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La Sicilia sud-orientale fornisce, insieme con altre aree italiane (la Puglia, il Materano) e del Mediterraneo (la Serbia e la Cappadocia), numerosissimi esempi di un fenomeno noto come “civiltà rupestre”: l’uso di abitare nelle grotte non soltanto nelle fasi più antiche della preistoria dell’uomo, ma in periodi storici molto più vicini a noi. In Sicilia questa pratica si diffuse nei secoli che segnarono il passaggio dall’Evo Antico a quello Medio, soprattutto nei territori delle attuali province di Siracusa e Ragusa ed anche nel Calatino. Già alla fine del Settecento, alcuni viaggiatori stranieri tra i quali pittori e disegnatori francesi restarono affascinati dai più grandi siti rupestri della Sicilia ed in particolare dalla Cava d’Ispica, che ritrassero in bellissimi acquerelli e nelle raffigurazioni che accompagnano le loro descrizioni. Nei due secoli successivi, storici ed archeologi hanno fatto sempre più luce sulla diffusione geografica e sulla cronologia di questo tipo di insediamenti. In alcuni casi i complessi abitativi rupestri mostrano una sicura connessione con esperienze di vita religiosa associata (monachesimo, cenobitismo), ma spesso fu la necessità di sfuggire a gravi pericoli come le invasioni a costringere gruppi anche consistenti di persone a cercare rifugio in luoghi sicuri, a volte scegliendo siti molto arroccati e non visibili da lontano. Questi insediamenti presentano alcuni elementi costanti: il contesto geologico (pareti di roccia calcarea di fiumi e torrenti, le cosiddette “cave”; o speroni sempre calcarei affioranti in zone collinari o motagnose); la vicinanza o la disponibilità di acqua; la prossimità di antiche necropoli pure scavate nella roccia (talvolta utilizzate come modello, talaltra direttamente riadoperate con ampliamenti e modifiche); la preoccupazione difensiva (nei pochi casi in cui le grotte sembrano facilmente accessibili potevano forse esistere fortificazioni, di cui esiste almeno un esempio esposto più avanti); la frequenza di croci ed altri segni cristiani, tra i quali vari affreschi. Vogliamo qui presentare brevemente un nucleo di grotte situate sul lato occidentale della montagna di Pantalica, nel territorio di Sortino in provincia di Siracusa. Pantalica è un’altura di roccia calcarea che domina da profondi burroni i fiumi Anapo e Calcinara, che qui confluiscono; vi si trova il maggiore complesso rupestre di tombe dell’intera Sicilia: infatti la necropoli dei Siculi preistorici, in uso dal XIII fino al VII secolo a.C. (dall’Età del Bronzo allo stabilirsi dei Greci in Sicilia), contengono almeno 5.000 sepolcri scavati nelle pareti verticali dei burroni. Secondo gli archeologi i villaggi di capanne dei Siculi venivano invece costruiti sul pianoro superiore di Pantalica. Pantalica, con la Valle dell’Anapo, è anche un’area protetta per il suo grande interesse naturalistico dal 1988 e gestita come una Riserva dall’Amministrazione Provinciale di Siracusa. Tra le numerose specie animali che qui vivono, ricordiamo poiane e corvi imperiali, gallinelle d’acqua, cotibugnoli e coturnici; volpi, martore e istrici; trote, granchi di fiume, ramarri e rospi; la flora è caratterizzata dai tipici platani orientali, da pioppi e salici e dalla vegetazione palustre (menta, giaggiolo acquatico). I villaggi rupestri di Pantalica sono quattro, e sono posti in zone diverse del sito. A Nord si trovano il gruppo piccolo, detto della Cavetta, e uno dei tre maggiori, denominato del Crocifisso; a Sud è il complesso di San Nicolicchio; ad Ovest, come detto prima, si trova, molto vicino ad una trincea difensiva, il gruppo di San Micidario. I tre gruppi maggiori ricevono il nome dalla chiesetta che, anch’essa scavata nella roccia, caratterizza ognuno di essi. La chiesetta di San Micidario, che gli archeologi datano tra il IX e l’XI secolo d.C., è evidentemente il luogo di preghiera - realizzato in una tecnica umile ma che non ignorava la più importante architettura costruita - di un villaggio che comprendeva grandi ambienti, spesso articolati in più vani, e grotte più piccole, in qualche caso utilizzate forse come magazzini e botteghe. Un esempio straordinario di grande escavazione è dato dal cosiddetto “palazzo”, costituito da cinque vani (tra i quali un atrio la cui porta doveva essere chiusa da una trave, e un salone centrale che misura 8 x 4,70 metri) più un ballatoio scoperto nel quale sono scavate conche di raccolta dell’acqua. Inoltre finestre, nicchie, incassi, maniglie e vari altri elementi mostrano che questa ed altre grotte dovevano essere stabilmente abitate e permettevano di vivere in un luogo la cui natura in buona parte offriva condizioni di sostentamento. Un esempio invece di magazzino è forse rappresentato da una grotta di circa 3 x 2,20 metri, che mostrava una serie di incassi alla base di una delle pareti interne; essi potevano servire per alloggiarvi un soppalco o una pedana per conservare prodotti agricoli o materiali che non dovevano essere posti direttamente sul terreno. Molte delle grotte di questo gruppo, che sono varie decine, sono oggi, in parti più o meno estese, franate o evidenziano gravi rischi di deterioramento, dovuti all’erosione naturale della roccia calcarea. Ma in altre zone, sempre nel Siracusano, camere rupestri sono in condizioni peggiori perché sono tutt’oggi utilizzate in modo inadeguato e persino come depositi di rifiuti, e in un caso pericolosamente vicini a cave di pietra. Le grotte di Pantalica continuano quindi a rappresentare uno degli esempi più chiari di come si doveva svolgere la vita di una piccola comunità di fede cristiana che per motivi soprattutto di sicurezza (per sfuggire ad esempio alle incursioni degli Arabi del VII e dell’VIII secolo d.C.) viveva in un luogo appartato e reso forte dalla natura.  

Per raggiungere le grotte

Appena superato il IX chilometro della strada asfaltata che da Ferla conduce alla montagna di Pantalica (la stessa strada che, dopo aver condotto all’”anaktoron”, il palazzo del principe dei Siculi, termina dopo l’XI chilometro nella zona della Cavetta), in corrispondenza della trincea di Filiporto, si avvia un sentiero che reca, dopo un paio di centinaia di metri, a vari ambienti scavati; dopo una grandissima galleria naturale si arriva alle grotte più importanti tra le quali spicca la chiesetta di San Micidiario.