• I ruderi di Santo Stefano

 

 

 

 

 

I ruderi di Santo Stefano in contrada Dagala del Re costituiscono patrimonio fondamentale da rivalutare nell’ambito dell’archeologia provinciale. Le analisi condotte da studiosi del calibro di Pace e Bottari testimoniano l’importanza del sito come realtà storico - culturale. La struttura della chiesa è fondata su una pianta di tipo centrale con appendici del nartece e della zona absidale trilobata, di cui oggi ritroviamo appena la cellae trichora e le appendici del porticato. Il nartece era anticipato da porte d’ingresso, e accompagnato da altre entrate lungo le ali. Non è stata ancora stabilita con certezza la datazione della basilichetta, che si fa risalire al VI-VII d.c., ma c’è chi sostiene che sia avvenuta anteriormente alla dominazione araba. La difficoltà di stabilire con esattezza la data di fondazione diviene impresa parecchio ardua, in quanto non abbiamo a disposizione materiale diretto, ma dobbiamo riferirci a documenti che attestano la presenza dell’impianto di Santo Stefano in riferimento ai grandi eventi. Le prime notizie ci pervengono dalle testimonianze della colata lavica del 1284. Raciti – Romeo in Acireale e dintorni conferma l’esistenza di un nucleo costituito dall’eremo di Santo Stefano e circondato dai fiumi di lava. La nostra fonte più antica resta comunque un dichiarazione del giugno 1144, in cui il vescovo di Catania si impegnava a proteggere i pascoli dei catanesi dai boschi di Mascali dei monaci di Santo Stefano. Una breve ricostruzione storica permette di appurare la presenza dei monaci già nel 1125, e successivamente la fuga avvenuta nel 1284 all’epoca dell’eruzione vulcanica. Comunque gli esperti hanno datato le cellae trichorae nel periodo della dominazione bizantina, quindi tra 535 e l’827. Alla stessa epoca risalgono probabilmente le cube del randazzese, costruite intorno al 600 d.c. e anch’esse d’origine bizantina. Scoperte che risalgono all’immediato dopoguerra testimoniano il ritrovamento di un piccolo camposanto nei pressi dell’eremo; sulle tombe non è stato possibile ricavare alcun dato visto il disfacimento in cui versavano. Senza aver ancora risolto il dilemma della datazione, gli studiosi sono tuttora in conflitto nell’assegnare il complesso all’opera di una comunità basiliana o di una benedettina. San Basilio riformò il monachesimo orientale inserendo nella sua regola il lavoro manuale e lo studio della Bibbia, preludendo in parte alla regola che San Benedetto avrebbe annunciato dopo oltre un secolo.

Questa sorta di parallelismo tra i due ordini monastici accentua maggiormente la difficoltà di etichettare il complesso. Le due tesi si confrontano principalmente sulla planimetria del sito, e data la scarsità di resti della costruzione il dubbio appare irrisolvibile. La principale argomentazione a favore di una edificazione basiliana è basata sulle trattazioni riguardo le chiese siciliane d’età bizantina e sullo stile a trifoglio della costruzione di Dagala del re. La controparte rileva la presenza nel XII secolo di almeno un monastero benedettino in ogni paese etneo, e il complesso di Dagala del Re dimostrerebbe così una presenza dell’ordine in questo versante del vulcano. L’importanza del monumento è da ricercarsi nella presenza di un nartece "regolare e monumentale che non si riscontra nelle Chiese similari coeve della Sicilia" come attestato dal professore Giovanni Vecchio. Possiamo rilevare un sistema planimetrico simile in Sicilia a Malvagna, a Catania presso la Chiesa del Salvatorello e nella Certosa di Siracusa. Ad una disamina approfondita si può notare come gli ultimi tre siti siano pesantemente asimmetrici e lamentino l’assenza di un nartece, che rappresenta il vero vanto del centro di Dagala del Re. Fonti autorevoli sostengono l’impossibilità di una ricostruzione parziale della chiesetta, ma bisogna ugualmente operare per dar nuovo lustro alla zona. Tra le proposte di recupero: liberare i resti dell’eremo dalle erbacce che lo circondano e ne scalfiscono la bellezza, creare una segnaletica ben provvista per i turisti e per i locali, stimolare l’interesse su altri rilevanti siti archeologici nel Comune di Santa Venerina e costituire con l’eremo di Santo Stefano un percorso storico-culturale tutto da scoprire.