Fra
passato e presente.
La
storia del paese dall'epoca augustea all'Unità
di M Grazia Sapienza
Pesce
Recupero
dell'identità storica o dormitorio di Catania?
di Pier Giuseppe
Giuffrida
La
tradizione artigiana dell'ex capitale del vino
di Pietro Nicosia
Un
progetto per ridare dignità alla vecchia "Vampulieri"
Mompilerì,
oasí da salvare
Mascalucia,
3 agosto 1943
di Giuseppe Privitera
L'antico
carnevale
di M.G. Sapienza Pesce
Architettura
religiosa
CHIESA
MADRE di M.G. Sapienza Pesce
In
giro per Mascalucia si può anche scoprire che ....
di Agata Nicosia
Fra
passato e presente.
La
difficile ricerca di una nuova identità
Dagli
anni 60 agli 80, Mascalucia, come tutti i paesi della prima fascia etnea
limitrofi alla città, ha conosciuto un processo di trasformazione
veloce e radicale. L'espansione edilizia, favorita da un piano regolatore
estremamente permissivo e dalla mancanza di regole e di controlli, ha
fatto si che si smembrasse quasi completamente Il tessuto urbano che costituiva
la base omogenea di una piccola comunità che, pur avendo un Interscambio
vitale con la città, manteneva Integri suoi modelli culturalí
che determinavano, non diversamente da tutti i piccoli centri, una specifica
qualità della vita, dei rapporti umani e sociali. Questo tessuto
era ancora integro quando la struttura produttiva era ancora In parte
legato alla campagna circostante. L'identità era costituita dal
riconoscimento reciproco di appartenenza ad una comunità
con delle regole più o meno stabili. La gente veniva Identificata
più con I "pecchi" che con il cognome. I ritmi temporali
erano scanditi dalle cerimonie liturgiche e dalle feste sacre e profane
che costituivano modalità di incontro, di confronto e di progetto
tra generazioni. I tremila abitanti degli anni sessanta erano tutti "qualcuno"
di cui si conosceva la storia personale, Il posto sociale, la cultura
e addirittura la personalità. Questa conoscenza "vis à
vis" determinava una forma convenzionale di controllo socìale
del quale ogni nuova generazione provava a travolgere le regole, pur non
mettendo mai In discussione H senso di appartenenza al valori della comunità.
Questi mutamenti erano fisiologici alla comunità stessa: essa poteva
così comunicare anche al livello più edonistico del "pettegolezzo",
morbida conflittualità tra appartenenti a quartieri diversi (Matrice
- San Vito) che si manifestava anche nelle dicotomie della politica, dello
sport, delle parrocchie
e della partecipazione alle feste religiose. Questa storia recente, anche
se appare ormai lontana, è ancora tutta da scrivere; forse è
urgente farlo perché In gran parte legata ad una tradizione orale
e della memoria ormai annegata In una nuova omologazíone culturale
che è quella, complessa e problematica, di ogni periferia urbana.
Questo nostro
inserto dedicato al paese, vuole cominciare a scriverne le prime pagine.
Ringraziamo
la dott.ssa M.G. Sapienza Pesce, bibliotecaria comunale che ha voluto sintetizzare
per noi una parte dei risultati delle sue ricerche storiche (che quanto
prima saranno raccolte In volume) e quanti hanno e non hanno dato un contributo
al nostro lavoro.
pagina iniziale
La
storia del paese dall'epoca augustea all'Unità
Il
Casale di S. Lucia
Prima "Massa"
romana, poi casale medievale, in fine municipio - Il ruolo svolto durante
il periodo risorgimentale
Che
il territorio su cui sorge Mascalucia sia stato abitato all'epoca in cui
Cesare Augusto imperatore mandò coloni nella provincia di Catania,
lo dimostrano gli oggetti che gli agricoltori, nei secoli scorsi, dissodando
la terra, hanno ritrovato: "sepolcri di argilla, antiche medaglie,
giarre di smisurata mole, lucerne monete, pietre incise", materiali
quasi tutti riconducibili all'epoca Romana. Il dott. Antonino Somma, in
un suo testo del 1840, riguardante Mascalucia, descrive un avanzo di lucerna,
che egli personalmente possedeva: "... un avanzo di lucerna, la quale
porta impresso un Giove con la sua aquila. Vedesi la testa di quel nume
ben delineato. Da questo insieme a vedere la maestà di quel dio
dei fulmini: il suo disegno mi sembra romano e non greco... " Poche
le "pietre incise" ritrovate. La più importante fu rinvenuta,
a seguito di scavi eseguiti nei pressi dell'antico tempio di S. Antonio
Abate al Cimitero, in un sepolcro di argilla e raffigura il dio Marte
secondo tipici stilemi Romano imperiali. Sempre nei pressi del succitato
tempio fu ritrovato un "mazzuolo" che il Somma così descrive:
"Mazzuolo " di basalto dell'epoca archeolitica, trovato nelle
vicinanze del Camposanto di Mascalucia. Misura in lunghezza m 0, 19 e
in spessore m 0,07". Agli inizi del 1800, nel quartiere della Trinità,
alcuni agricoltori scavando scoprirono un vasto pavimento a mosaico, delle
colonnette di argilla e dei "doccioni" di piombo. Questi ritrovamenti
hanno fatto pensare, intorno al 1830, al professore di architettura civile
D. Mario Musumeci: "che il modo della costruzione fosse romana e
che quel monumento potesse essere uno splendido bagno pubblico, fabbricato
da qualche potente. Questa scoperta potrebbe confermare ciò che
scrisse Cornelio Severo, cioè che sulle pendici dell'Etna vi fossero
delle terme". 1 maggiori reperti archeologici furono rinvenuti nella
contrada "Ombra" che si pensa fosse abitata dagli Ombri, popolo
di origine celtica. Frèret, nella sua "Historia", giustifica
la presenza degli Ombri a Mascalucia nel seguente modo: "questo popolo
cacciato dai Toscani passò insieme coi Pelagi ed i Siculi nella
nostra Isola e vi posero la loro dimora". L'Abate Vito Amico nel
suo "Dizionario topografico della Sicilia" scrive che in quell ''Ombria"
contrada esisteva un antichissimo municipio catanese che fu distrutto
dal tempo e dalle eruzioni dell'Etna, infatti gli ultimi resti furono
seppelliti nel 1444 dalla lava che scendendo da "Grotta del Bue"
attraversò Massannunziata e coprì la contrada Fondo Noce
di Mascalucia. Rimase a testimonianza di quel popolo, solamente una torre
così detta di " Portuso" che, per il modo della costruzione
e per la sua architettura sembra appartenere ai floridi tempi dei Romani.
Sia Scasso - Borrello che Ortolani descrivono nei loro testi che nel lato
sinistro della "Torre" vi era una vasta cisterna costruita
sul corno occidentale di un antichissimo cratere. Le contrade pedemontane
dell'Etna furono abitate sin dalla più remota antichità;
molti tra i più famosi popoli antichi si disputarono il possesso
delle pendici di questo fertilissimo vulcano. Ne danno testimonianza sia
Cicerone che Plinio nelle loro opere, infatti è per lo meno probabile
che il territorio di Mascalucia sia stato abitato da oltre diciannove
secoli e che quel Municipio dell'Ombria sia stato fabbricato da quei Romani
stabilitisi allora in Catania; Cordaro Clarenza nella sua opera "Osservazioni sopra
la storia di Catania" del 1833 asserisce che a quella Colonia mandata
da Cesare Augusto furono assegnati i più fertilì terreni,
tra i quali quello dell'Etna. La discesa della lava fece spostare il sito
abitativo più in basso. Ebbe origine così l'odierna Mascalucia,
centro e capo dei paesi limitrofi, e ciò si deduce da un antico
tempio dedicato a S.Antonìo Abate databile ai primi secoli del
Cristianesimo in Sicilia di cui tratteremo in seguito. Sin dall'epoca
di Diocleziano (III° sec.d.c.) le località dai topo nomi latini
rappresentano in Sicilia un gruppo consistente; si tratta per lo più
di "massae'' o " stationes" cioè aggregazioni di
persone. Intorno al 324 Mascalucia, veniva appellata Massalargia dal latino
Massa (villaggio) larga (dono), perché data in dono dall'Imperatore
Costantino alla Santa Sede. San Gregorio Magno Papa, nel 590, nella sua
epistolata XLI "ad Ciprianum" fa menzione delle "Massae"
esistenti nel territorio di Catania... (Marciano) nunc habitat in Ecclesia
quae est in Massalargìa costituita diocesis Catanensis Ecclesiae...
". Si fa riferimento al tempo di S.Antonio Abate al Cimitero. Le
Massae, nel corso degli anni, furono più volte sequestrate o restituite
all'autorita' Pontificia ed incorporate al regio Erario. Nicolò
I Pontefice pose a patto della pace con l'Imperatore Michele, la restituzione
dei patrimonio calabrese e siculo; ma le speranze della Chiesa romana
per la restituzione svanirono, poiché la Sicilia cadde sotto il
governo dei Saraceni. L'Imperatore
Ottone I, nel 962, promise al Pontefice la restituzione delle contestate
Massac appena espulsi i Saraceni dalla Sicilia. I Normanni, guidati dal
valoroso Conte Ruggero, riuscirono ad espellere i Saraceni dalla nostra
isola e nel 1088 il Conte Ruggero assegnò al Vescovo di Catania
un vasto territorio che comprendeva il Monte Etna con tutte le sue campagne
e boschi e Massae: San Giovanni, Galermo, Mascasia, Praci, Sampiero, Camporotondo,
Rapisardo, Malpasso, Mompilieri, Nicoloso, Lapidara, Trecastagni, Via
Grande, San Giovanni le Punte, San Gregorio, Santa Maria Belvedere,...
Nel 1169 un terremoto arrecò danni a Mascalucia, ma il paese continuò
la sua esistenza avendo un terreno molto fertile che produceva ottimo
vino e cereali, per cui pagava la cosiddetta "decima" al Vescovo
di Catania a cui apparteneva. Per i Casalì "di lu paysi di
Cathania" nel 1239, con la reintegra della città di Catania
al Regio Demanio, si era venuta a creare una strana situazione e cioè
Catania, città demaniale risultò priva di un demanio proprio,
poiché pur continuando ad estendere la propria giurisdizione amministrativa
sui casali, nonne aveva alcuna sui loro territori. Mascalucia faceva parte
di essi come si deduce dagli Atti dei giurati ... gli abitanti o "vigneri
di lu paysi dì Catania" erano quelli "di
la cuntrada di mompileri, di sanctu petru, di la maniscalchia, di la pidara,
di trimustera, di tricastagni, di sanctu Johanni di la punta e della contrada
monti albi..." Un dato molto antico lo troviamo nelle "Rationes
decimarum" degli Archivi Vaticani per il 1308 con l'elencazione della
chiesa (e quindi già parrocchia) di San Nicola di Mascalucia"...
Nel 1337 dopo la morte di Federico di Aragona, la Regina Eleonora, sua
moglie, volendo condurre un'esistenza solitaria e religiosa pose temporaneamente
la sua dimora in un quartiere di Mascalucia detto le Guardie, oggi "Santa
Spera". Il 5 agosto del 1381 vi fu una copiosa eruzione che scaturì
a confine tra Tremestieri e Gravina, in contrada Santa Marta. La lava
seppellì moltissime zone ben coltivate e proseguì la sua
discesa in direzione sud-est. Altri dati, invece, orienterebbero diversamente
il significato del toponimo Mascalucia. Contrada "della maniscalcia"
risulta infatti denominata la zona in due pergamene del 1349 e 1351 del
Tabulario di San Nicolò l'Arena ai Benedettini. Giovanni Andrea
Massa così scrisse in merito all'allevamento dei cavalli: "...
La fecondità di questo Monte (Etna) non si restringe ai soli vegetali:
evvi copia incredibile di greggi, e di armenti ... laonde per guardare loro
la sanità, è di mestieri spesso segnarle dell'orecchi, scrive
Strabone: le razze de' cavalli generati in questo Monte, sono sì
robuste di membra, che in tempo de' Re Aragonesi si adoperavano scalzi;
e si agili, che oppiano, in velocità di correre, dà loro
il vanto sopra ogni altro corsiero del inondo". E' dell'ottobre 1454
l'ordinanza dell'Arcidiacono dell'Abbazia di Sant'Agata di Catania "per
li contrati di la maniscalchia, et mumpileri" in merito all'esercizio
degli usi civici, soprattutto in considerazione che essendo stata la contrada
di "la maniscalchia" una "difesa" regia per l'allevamento
dei cavalli... Dal censimento del 23 agosto 1602 risultano 230
case con 1150 anime, ed era così costituito formalmente in Casale.
In epoca successiva ì Casali (Massae) passarono all'amministrazione
civile e gíudiziaria di Catania, sino all'anno 1640. Nell'anno
1641 sotto il re Filippo IV, segnato negli annali della storia come stolto
dilapidatore del patrimonio regio, per varie vicissitudini, o meglio "capricci",
degli Spagnoli a cui la Sicilia apparteneva, i Casali furono venduti all'asta.
Mascalucia con tutti i suoi quartieri, Fallichi, Guardie, Marletti, Lombardi,
Carusi, Rapisardi e altri, il 22 dicembre 1645, riscontrato dagli atti
del Protonotaro, fu venduta a Giovanni Andrea Massa, ricco Signore genovese.
Egli la donò, in un secondo tempo, a Niccolò Placido Branciforte,
Principe di Leonforte, e di Butera, il quale con privilegio del re Filippo
IV, in data 4 luglio 1651 venne nominato "Duca di S. Lucia o Mascalucia".
Di questi privilegi goderono i suoi cittadini sino ai primi decenni del
1800; infatti il Magistrato Municipale vestiva una toga simile a quella
del Senato di Catania. Dall'Abate
Vito Amico apprendiamo le varie vicissitudini di queste Massae-Casali.
La città di Catania, nel 1652, li ricomprò per la somma
di centonovantaseimila scudi ma appena due anni dopo, nel 1654, ritornarono
nelle mani dei Baroni che li ricomprarono. Da
un controllo numerico degli abìtanti nel 1653 così si legge:
"St.ta Lucia, seu Mascalucia: 1412, Mompíleri 515". Comincia
così il lungo periodo del baronaggio pseudo feudale che durerà
fin oltre il 1868. Fin
dal 1821 esisteva in Mascalucia una vendita di Carbonari, che, dal nome
antichissimo avuto da questo paese, s'intitolava la "Vendita degli
Umbri Liberali " ed a cui erano affiliati tutti gli uomini di questa
parte dei contado catanese aspiranti alle idee di libertà. Nel
1837 Mascalucia fu tra i paesi più attivi. L'insurrezione in simbiosi
con il suo capoluogo, inalberò la bandiera della franchigia, cantando
il "Tedeum" nella Chiesa Madre. Questi fatti, fallito il tentativo
rivoluzionario, procacciarono a Mascalucia l'istituzione di un processo
politico e la condanna di parecchi paesani che avevano preso parte a quei
fatti. Nel 1848-49, confermò questo suo attivismo liberale iscrivendo
molti suoi giovani nei ruoli dell'esercito sicilia no; Matteo Consoli,
inteso Su sanno, possidente di egregia famiglia di Mascalucia fu vitti
ma della reazione borbonica com'è ricordato da Atto Vannucci nel
libro dei Martiri pe l'Indipendenza Italiana. Il
Barone Gaspare Rapisardi, dopo il ritorno dei regi, venne condannato
alla deportazione all'isola di Favignana. Moltissimi i danni, gl'incendi,
I uccisioni subite da Mascalucia e dai paesi limitrofi, quando essendo
cadute le sorti della rivoluzione, l'efferato Del Carretto, dopo l'eroica
ed infelice difesa di Catania, sguinzagli sulla città e sul contado
la su "barbara" gente. Una parte veramente significante Mascalucia l'ebbe nei fatti insurrezionali
del maggio 1860. Lo sbarco di Garibaldi a Marsala e l'invasione di Palermo,
non avevano ancora determinato una partecipazione altrettanto attiva nel
resto dell'isola. Catania era silenziosa, e i patrioti non sopportavano
quell'atteggiamento inerte dei catanesi; il comitato provinciale rivoluzionario
era accorso a Mascalucia; lì si fuse col comitato locale, diramò
i suoi ordini per la concentrazione a Mascalucia delle squadre rivoluzionarie
che si andavano formando nei diversi punti della
provincia, convertì le piazze pubbliche e le case di molti privati
in arsenali di munizioni da guerra, costruendo cartucce, e preparando
polvere e piombo. Tutto ciò si faceva alla scoperta beffando così
Clary e Rivera, i generaliregi, che, con forza numerosa, si trovavano
di stazione a Catania, e che non ebbero l'ardire di opporsi alle operazioni
dei rivoluzionari. De Sivo, storiografo dei Borboni, così scrive:
"... Clary e Rivera avrebbero potuto agguantarli e dissolverli in
quel vicino nido...". Ma i generali borbonici non l'osarono e Mascalucia
fu il primo paese dell'isola, dopo Palermo, ad inalberare la bandiera
della rivoluzione. Martino Speciale, da un balcone della casa comunale,
abbassata la bandiera del Borbone, fece sventolare quella di tricolore.
Le squadre rivoluzionarie della provincia intanto si andavano raggruppando
in Mascalucia e, all'alba del 3O maggio, sotto il comando del generale
Giuseppe Poulèt, mossero verso Catania, alla volta dei nemico.
Lì non ebbero fortuna; impazienti di combattere, non attesero altre
squadre che, da Lentini, dovevano unirsi a loro; furono sgominati, disfatti,
lasciando così libero il varco verso Mascalucia, alle truppe regie.
Il generale Clary si preparava velocemente a raggiungere questo paese,
per punirlo della sua audacia e disfarlo "fin dalle fondamenta"
com'ebbe a rispondere a qualcuno che per carità di Patria s'era
spinto a domandare pietà per quello sventurato paese. Per enorme
fortuna degli abitanti di Mascalucia, giunse un ordine superiore che lo
chiamava immediatamente a Messina dove il Borbone voleva tentare l'ultima
resistenza. Non
solo eroi di "spada" aveva Mascalucia, ma diede i natali ad
un grande poeta estemporaneo, che per la sua acuta satira, uno studioso
del tempo appellò "Aristofane di Mascalucia"; il suo
nome anagrafico era Vito Mangano, conosciuto come "Sciddica-sapuni",
di umilissime
origini e autore di un componimento "il Parlamento Italiano", composto tra
la fine del 1866 e l'inizio del 1867. Con la sua "penna", insofferente
della tirannide dei Borboni, esaltò le imprese del 1848 e la rivoluzione
del 1860; questo "canto" è un documento significativo
delle opinioni popolari sul parlamento italiano nel periodo d'involuzione
e di crisi che seguì l'unificazione.
Desidero concludere
con quanto mi è stato riferito dal Signor Longo Francesco in merito
a ciò che è avvenuto a Mascalucia nel 1848:
"In
occasione dei Moti Rivoluzionari dietro la chiesa di San Nicolò
vi era un trappeto per a macina delle olive. Mia nonna Concetta Rapisarda
che abitava
lì accanto ha visto i patrioti fondere il piombo per fare le pallottole
dei fucili per i moti rivoluzionari che si sono svolti a Catania in Piazza
dei Martiri ed al ritorno ha visto che avevano le mani bruciate dal tanto
sparare. A proposito di ciò vi è una leggenda che dice:
"i Borboni venivano su da Catania con l'intenzione di punire Mascalucia
per aver dato rifugio ai patrioti, quando per la strada incontrarono un
giovane di bell'aspetto (San Vito) che li indirizzò da tutt'altra
parte".
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Recupero
dell'identità storica o dormitorio di Catania?
Vigne,
agrumi, anzi cemento!
Alla
edificazione selvaggia non è seguito nell'ultimo ventennio un armonico
sviluppo di infrastrutture e servizi L'anacronistica utilizzazione del
territorio del Comune di Mascalucia, più che materia di urbanisti
dovrebbe essere materia di psicologi e magistrati. Se in altre realtà
il rapporto fra territorio e profitto è stato parte integrante
dello sviluppo, a Mascalucia questa è stata l'unica ed incontrastata
unità di misura della crescita economica. La sevaggia cementificazione
ha sacrificato qualsiasi valore della realtà culturale della Mascalucia
dei primi decenni del dopoguerra. Per chi come me ha vissuto le varie
stagioni di crescita di Mascalucia, ed ha potuto giudicare i fatti ed
i comportamenti dei mascaluciesi, non resta altro che il rimpianto di
non aver lottato abbastanza o di non aver compreso l'importanza e la qualità
dello scontro. Il periodo che va dal dopoguerra ai primi degli anni '60,
fino cioè all'approvazione del primo programma di fabbricazione,
è caratterizzato da atteggiamenti modesti e felici da parte di
tutti (ci si divertiva con poco). Notevole importanza assumevano le attività
sportive e culturali: gli stessi antagonismi calcistici con Gravina, San
Giovanni La Punta e San Gregorio rappresentavano momenti di genuina vitalità.
Tutto ciò fino a quando qualcuno non scoprì che la "terra"
potesse essere utilizzata per lo sviluppo urbanistico - ed anche per arricchirsi.
A questo contribuì il fallimento dell'agrumeto, quale coltura principale,
ed il tradimento delle politiche comunitarie, che favorirono la trasformazione
degli ottimi vigneti, in aranceti, utilizzati solo a fini industriali.
Ciò coincise con l'avvento della sindacatura del barone Rapisarda,
le prime fortune dell'impresa Palmeri ed un programma di fabbricazione
che permise per un decennio l'edificabilità di tutto il territorio
comunale (il cosiddetto 10%). Questo trinomio, che generò nuovi
ricchi e nuove figure sociali, non tenne conto di regole elementari per
uno sviluppo ordinato e civile, quali la crescita di servizi adeguati
alle necessità dei cittadini: dalle scuole alle strade, all'acqua,
alle strutture di ordine pubblico per un controllo efficace, al flusso
migratorio, alle strutture per il tempo di non lavoro per giovani ed anziani.
Si costruì in tal modo una città senz'anima, una città per
dormire, ed il sentimento della gente, che aveva scelto Mascalucia quale
nuova dimora, si trasformò da amore in indifferenza e poi in odio.
Si giunse così ai primi anni '80. Fu adottato dal Commissario Regionale
un nuovo Programma di Fabbricazione che dall'oggi al domani bloccò
ogni attività edificatoria in attesa di redigere un vero Piano
Regolatore Generale. Nacque il fenomeno dell'abusívismo con un
ulteriore sconvolgimento degli assetti sociali e politici di Mascalucia.
Il consenso passò a coloro i quali fecero finta di non vedere,
permettendo la definitiva distruzione del territorio. Troppo tardi venne
approvato un Piano Regolatore inutile, in quanto elaborato su di una cartografia
vecchia che non rispecchiava la realtà dei luoghi: servizi e strade
previsti dovevano sorgere dove già esistevano case o progetti approvati.
C'è da
chiedersi, tenuto conto dell'alto costo per elaborazíone dello
strumento urbanistico,
dove stiano le responsabilità di tale inefficienza. Ed a causa
di ciò la regione Siciliana ha richiesto una nuova elaborazione
della zona agricola e zona C5, che a tutt'oggi non è stata eseguita,
causando gravi danni a tutta una serie di piccoli proprietari, che si
vedono negato il diritto di costruire sul proprio terreno acquistato certamente
con grandi sacrifici. Grandi
sono le responsabilità della classe che non ha avuto né
la capacità né la volontà di intervenire per un definitivo
assetto urbanistico del territorio di Mascalucìa, forse frenata
da vincoli clientelari e di condizionamenti esterni al Palazzo. Nello
stesso tempo c'è da chiedersi perché, dopo un lungo periodo
di commissariamento, nulla di concreto si
vede in materia urbanistica, considerato che il potere decisionale della
tema di commissari non è come quello dei sindaco, vincolato al
gìudizio della Giunta Municipale e del Consiglio Comunale. I
Commissari, infatti, rispondono solo alle leggi ed al loro rispetto; sono
quindi in grado di dare risposte urgenti e concrete ai cittadini, ai quali
interessa l'efficenza e la certezza del diritto.
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La
tradizione artigiana dell'ex capitale del vino
Un
serio discorso sulla realtà artigianale mascaluciese, oggi, non
può non essere condizionato dagli avvenimenti che negli ultimi
25 anni, hanno letteralmente rivoluzionato la vita socio-economica del
paese Mascalucia, nel giro di qualche lustro - alla fine degli anni '60
- ha visto ridurre, fino a quasi scomparire del tutto, le attività
trainanti della sua economia, quali agricoltura ed artigianato. All'inizio
del settimo decennio l'attività edilizia ha avuto un tasso d'incremento
paragonabile a quello di una metropoli. Nell'edilizia l'occupazione è
aumentata rapidamente, con la conseguenza che artigianato e settore agricolo
hanno cominciato a segnare il passo. La popolazione è cresciuta
in 20 anni del 1000%, ed i terreni agricoli hanno dovuto lasciare spazio
all'edilizia forsennata. Mascalucia, sebbene oggi sia poco più
che un sobborgo di Catania, è ancora ricordata nell'hinterland
etneo - e non solo per il vino; la sua storia è legata, a doppio
nodo, con lo sviluppo della viticoltura. Il vino che l'ha resa celebre
nelle guide turistiche nazionali, è quello di Contrada Ombra, zona
che si estende in quella fetta di terreno che confina con Pedara. Al centro
di tutta l'area si innalzala vecchia Torre Ombra, punto di riferimento
per la moltitudine di massari e braccianti che lavoravano la terra; i
vigneti sorgevano tutt'intorno. Di questo oggi rimane solo il rudere della
Torre ed i resti di sconfinate vigne coltivate a terrazze. Molti vigneti,
poi - a causa della solita politica regionale - furono trasformati in
agrumeti, con il risultato di immettere sul mercato arance scadenti a
scapito di ottimi vini. Il segreto dell'elevata qualità del rosso
dell'Ombra, è il terreno lavico e la posizione collinare circa
420 metri slm -. Ai nostri giorni del vino Ombra è giunto addirittura
un doc-prodotto più per motivi sentimentali dall'ingegnere Bonaccorsi
nelle poche vigne rimaste - e buone intenzioni (ma solo quelle) per far
entrare Mascalucia nel gran tempio dei ricordi. Le attività tradizionali
dell'artigianato locale, parlano invece al femminile, con l'arte del ricamo
e dei tappeti. Mascalucia, ma anche altri paesi della fascia pedemontana,
era la meta dei catanesi in cerca di ricamatrici. Un tempo i negozi di
-abbigliamento erano solo per pochi benestanti, ed il rifugio, per tutti,
si trovava nelle sarte. Si cuciva di tutto, dalla biancheria intima agli
asciugamani; dalle camice alle lenzuola da letto; dai pantaloni agli abiti
da lavoro. Il massimo della frenesia si raggiungeva in tempo di sposalizi:
tutto passava dalle ricamatrici, il più delle volte parenti della
sposa. A lavoro ultimato, poi, tutto il corredo era orgogliosamente esposto
a congiunti ed amici. La figura centrale del ricamo era la "mastra
". A lei venivano affidate le giovani fanciulle per l'apprendistato.
E dalle severe "mastre". uscivano fuori provette ricamatrici
pronte a cucire il proprio corredo. Per molte l'arte del ricamo giovava
a far quadrare il bilancio familiare. Erano tempi duri per tutti e filo
ed ago permettevano, quanto meno, di risparmiare sui vestiti. L 'attività
artigianale che ha maggiormente caratterizzato Mascalucia, è però
quella della tessitura dei tappeti. La patriarca dei telai è Domenica
Pellegrino, che insegnò la tessitura di lini o semplicemente di
pezze di vestiti smessi, negli Istituti d'Arte. L'inizio di questa forma
artigianale, si ebbe quando le ristrette condizioni economiche costrinsero
la popolazione a trarre dal nulla il soddisfacimento dei bisogni quotidiani.
Così i vestiti vecchi divennero materia prima per la tessitura.
Gli indumenti, tagliati a strisce, erano prima immersi nei pentoloni con
la tintura del colore desiderato, e poi tessuti. E' questo il tipico tappeto
mascaluciese figlio della "vancalata" la coperta che gli asinari
ponevano in groppa al somaro. Di questa attività, che per alcune
famiglie divenne un'occupazione dalla quale ricavarne un utile, oggi rimane
ben poco. Tutto è nelle mani della nipote di Domenica Pellegrino,
Cettina Poma, che con enormi sacrifici, tenta di tenere viva la maggiore
tradizione mascaluciese.
pagina iniziale
Un
progetto per ridare dignità alla vecchia "Vampulieri"
Mompilerì,
oasí da salvare
Nutrita
campagna delle "Vigne" di Catania, il casale fu seppellito nell'eruzione
del 1669. Dopo 300 anni un gruppo di nostalgici vuol far rivivere la collina
ferace e rigogliosa Sorgeva ai piedi dell'omonimo monte, la "Terra
di Mompileri", nella zona nota come le "Vigne di Catania".
li suo territorio - completamente distrutto dall'eruzione del 1669 - era
largo un miglio e lungo un miglio e mezzo (circa due chilometri per 3)
e ricopriva circa un terzo dell'attuale territorio di Mascalucia, di cui,
oggi, è contrada. Il vecchio casale di Momspelero, (divenuto poi
Vampuleri e quindi Monpileri), apparteneva al nobile Calvagno de Turtureto,
che lo cedette, insieme ai casali di Mascalucia, Trecastagni, San Giovanni
La Punta, San Gregorio, Viagrande, Pedara, Plache, San Pietro, Sant'Agata,
Trappeto e Caniporotondo, al Duca Giovanni Andrea Massa.; all'epoca -
nel 1645 - contava 163 case e 626 abitanti. Nel suo territorio esistevano
ben 8 chiese. La più importante era la chiesa Maggiore o Santuario
dell'Annunziata, oggi ricostruita e meta di numerosi pellegrinaggi. Il
motivo di questa massiccia presenza di luoghi sacri, è dovuta alla
misticità dei luoghi ed alle magnifiche statue del Gaggini, che
richiamavano un notevole numero di fedeli. Nel corso dei secoli, a causa
della particolare posizione geografica, Mompileri fu investita da numerose
eruzione dell'Etna. L'omonimo monte si formò proprio da un cratere
eruttivo. Gli storici che descrissero il monte, ne parlarono come collina
ferace e rigogliosa di vegetazione. Fra le eruzioni in tempi recenti,
si ricordano quelle del 1447, 1536 e 1537. Un sentore di quello che poi
successe nel 1669, gli abitanti lo ebbero nel 1537, quando una attività
eruttiva iniziata nei pressi della Schiena dell'Asino, sputò lingue
di lava che aggirarono il monte Mompileri e lambirono il casale al confine
con l'attuale Borrello. Un altro fronte si diresse verso Mascalucia, arrestandosi
all'altezza del monte Ceravolo. Le cronache giunte a noi parlano di un
evento prodigioso propiziato dal Sacro Velo di Sant'Agata, esposto davanti
al Santuario dell'Annunziata. La lava in quell'occasione si arrestò
proprio sul muro di tramontana della chiesa, perforandolo appena, senza
demolirlo. L'eruzione del 1537 è ricordata anche per lo sprofondamento
del cratere centrale dell'Etna; a causa dei notevoli boati e dei terremoti
che accompagnarono l'attività eruttiva, essa fu interpretata, dal
popolo, come presagio del Giudizio Universale. Ma l'eruzione che cancellò
dalla faccia della terra Mompileri, è datata 1669. La lava cominciò
a fuoriuscire il 12 marzo di quell'anno e, in poco più di un mese,
il magma in cuocato raggiunse Catania. Furono distrutte le contrade di
Mompileri, Nicolosi e Camporotondo e l'abitato di Malpasso - che all'epoca
contava 8 mila abitanti -. Sotto la coltre di lava finirono gran parte
dei territori di Mascalucia, San Pietro Clarenza, San Giovanni Galermo
e Místerbianco. La tremenda eruzione cessò il 15 luglio
fra la gioia degli scampati e la disperazione di chi perse tutti i suoi
averi. Praticamente la storia di MompiIeri finisce qui. Successivamente
gli abitanti si spostarono nelle zone vicine. Gran parte di essi scelse
Mascalucia, che ingrossò la popolazione. Alla chiesa dell'Annunziata
è legata una storia mistica. Si racconta, infatti, che ad una giovane
donna appari in sonno la Madonna che le disse di far scavare sotto
il sito della vecchia Chiesa Maggiore, per riportare alla luce la statua
della Vergine delle Grazie - del Gaggini - scampata alla lava per una
bolla d'aria che la preservò. Così fece la giovane donna,
e fra lo stupore dei fedeli e di quanti le credettero, nel mese di agosto
del 1704, affiorò alla luce il simulacro della Vergine. Li fu edificato
il Santuario di Mompileri che tutt'oggí è meta di pellegrinaggi.
Poco distante dal Santuario si trova la Grotta dell'Eremita, utilizzata
negli anni '30 da un vecchio monaco, Fra Graziano, che li fissò
la sua dimora. Quel che resta di Mompileri nel suo complesso è
un infinito paesaggio lunare, costituito per la maggìore da deserto
lavico colorato da gialle ginestre. Man mano che ci si allontana dal sito
del Santuario della Madonna, spuntano come funghi villette e costruzioni
che minacciano la quiete in cui riposa il vecchio casato di Vampuleri,
seppellito dalle pietre nere. Un progetto per salvaguardare la zona di
Mompileri dal degrado delle numerose discariche che lo soffocano e dall'edilizía
che lo sta aggredendo, è stato realizzato dall'Arca - Associazione
di Ricerca Culturale ed Ambientale - che in queste ultime settimane ha
presentato la proposta di istituire un'Oasi. Il progetto mira a convertire
la zona a fini ambientalistici e religiosi per tutelare e rivalutare le
poche aree risparmiate dall'aggressione edilizia. Nell'Oasi, che dovrebbe
comprendere aree del territorio di Mascalucia e Nicolosi, dovrebbero essere
inseriti servizi ecologici di utilità sociale, quali un canile
consortile per il ricovero e cura di animali randagi; e zone turistico-ricettive
concriteri costruttivi compatibili con la funzione ecologica dell'insieme.
A cura dell'Archeospeleologia dell'Arca (in tempi recenti) sono stati
effettuati alcuni sopralluoghi all'interno delle grotte formate dall'eruzione
del 1669, che hanno riportato alla luce nuove zone del vecchio Santuario
dell'Annunziata. Il
progetto dell'Oasi, inoltre,
mira a salvare anche la Valle di San Marco, il quale paesaggio spinse
il regista John Huston a girare le scene finali del kolossal cinematografico
"La Bibbia" - Abramo che si appresta a sacrificare Isacco, si
ritrova a transítare nelle distrutta città di Sodoma al
quale , come comparse, presero parte anche alcuni mascaluciesi.
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Mascalucia,
3 agosto 1943
Il tre
agosto del 43 Pedara e Mascalucia furono protagoniste di una sollevazione
spontanea contro le truppe tedesche ormai in fase di ritirata dopo la
battaglia, che dalla metà di luglio, infuriava con esiti alterni
nella piana di Catania. La caduta del fascismo del 25 luglio, l'arresto
di Mussolini e le prime forme di organizzazione di resistenza antifascista
avevano fatto deteriorare i rapporti, non sempre buoni, tra i comandi
militari italiani e germanici. Questo scollamento cominciava ad essere
avvertito anche a livello popolare dove pur non traducendosi ancora in
una organizzazione politica con progettualità "resistenziale
", tuttavia cominciava a produrre fenomeni di intolleranza contro
una serie di atti (sequestri di beni, animali, automezzi ecc.) accompagnati
talvolta da violenze gratuite, messi in opera dai soldati tedeschi. Come
scrive G. Motta nell'opuscolo "i fatti del 1943 di Pedara e Mascalucia",
pubblicato nel 1977: "toccato nella sua "roba" cioè
nella disponibilità di quel poco che gli è possibile procurarsì
a fatica... il nostro popolo è insorto ... perché si sentì
defraudato degli ultimi mezzi di speranza e per reagire alla soverchieria
dello straniero". La meccanica degli avvenimenti è variamente
ricostruita da testimonì e cronache del tempo. "Il
motivo occasionale fu dato dai cavalli che tre tedeschi volevano portare
via agli Amato, sfollati a Mascalucia dove avevano un villino, i tre spararono a freddo ad uno degli Amato, che fu colpito a morte; un loro nipote, Gianni
fu ferito alla coscia. Gli Amato risposero con le armi (a Catania erano
titolari di un'armeria ed avevano molta merce a Mascalucia) e ne fornirono a
quanti ne fecero richiesta. In breve si
sparò dappertutto: dal campanile della chiesa-madre, dalle terrazze,
dai vecoli, dai balconi contro ogni tedesco che si vedeva. Schiere di
cittadini fluttuavano da un punto all'altro, armati di fucili anche a
canne mozze e di pistole. Di quei tre tedeschi che erano andati dagli Amato per
ì cavalli, non si seppe più nulla; si disse che erano stati
uccisi, ma i loro corpi non furono trovati; qualche altro tedesco che si
trovò a transitare per Mascalucia ci lasciò la pelle. Solo
all'imbrunire gli animi si placarono. Verso sera si vide transitare per
il paese un camioncino sul quale era stata píazzata una mitragliatrice
con un lungo nastro, con a bordo soldati italiani e tedeschi. Evidentemente
i due comandi, per evitare il peggio, avevano raggiunto un accordo. Quel
camioncino fece e rifece più volte Via Etnea.
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L'antico
carnevale
In passato
l'aria gioiosa del carnevale invadeva le strade già un mese prima
del giovedì grasso, o meglìo dal giorno dopo l'Epifania
sino alle Ceneri. Venivano
montati, lungo la via Etnea e nelle due piazze principali, gli altoparlanti,
conosciuti più comunemente coI nome di trombe, che diffondevano
musiche allegre. Il
cosiddetto "covo" era il Bar Caruso situato lungo la via Etnea
nei pressi della chiesa Madre, lì era allocato tutto il materìale
musicale che immancabilmente e senza remissione di sosta, esclusa la notturna,
veniva diramato tramite apparecchiature speciali nella briosa aria mascaluciota.
Quella musica
rallegrava le ragazze che a casa erano in tende a cucire i propri vestiti
e quelli dello "zito " per poi indossarli nei gruppi in maschera.
Il periodo carnascialesco
cominciava con il giovedì delle comari ed era usanza che si pranzasse
insieme con i vari compari di San Giovanni ovvero i Padrini e Madrine
di Battesimo dei propri figli, ed infine ecco giungere il sospirato giovedì
grasso, gioia di tutti, ma specialmente dei bambini e dei macellai che
in quell'occasione vendevano moltissima carne di maiale., infatti in questa
giornata si è soliti preparare per menù, pasta di casa o
maccheroni a cinque "purtusi" il tutto condito con abbondantissimo
sugo con carne di maiale. Mangiate pantagrueliche innaffiate da litri
e litri di vino della contrada "Ombra", Dolci tipici cannoli
alla ricotta (famosi i cannoli di donna Angela; oggi i migliori, secondo
il mio palato, sono quelli di Nello Torrisi che oltre ad essere buoni
sono anche giganteschi!). Il
ballo in piazza Chiesa Madre, però era quello più atteso
dai giovani che dagli anziani. Le
ragazze indossavano il "dominò " per poter ballare inosservate
agli sguardi dei curiosi, con i ragazzi che da tempo facevano loro l'occhiolino.
Le maritate,
anch'esse rese irriconoscibili dal dominò, la mascherina ed i lunghi
guanti, scherzavano e ballavano con i parenti o con gli scapoli spacconi;
durante le manovre la dona non doveva mai parlare, ma solo ballare e ammiccando,
alla fine convinceva il Cavaliere ad invitarla da "Teresino "
o da "Caruso" e lì si facevano regalare una scatola di
cioccolattini. L'euforia,
i colori, i fiori, ed il ritmo che caratterizzavano il carnevale di Mascalucia,
attiravano moltissimi abitanti del paesi viciniori che si lasciavano
prendere dalla voglia di divertirsi e di farsi contagiare dalla sana follia
di questo periodo. Altra tipica usanza, molto più antica, erano
i "diri " che venivano recitati
da persone di tutte le età che giravano per le strade del paese
recitando conefare scherzoso rimatefavolette a doppio senso. Giuseppe Pitrè
così parlava di questa usanza: "Chiamasi diri nella Sicilia
orientale una rappresentazione popolare in dialetto siciliano, sia profana,
sia sacra, che colà suole comporsi ed eseguirsi da villici o da
maestri... Ricordo specialmente le carnalivarate di Catania e i diri di
Mascalucia .... In
Mascalucia, negli ultimi giorni della baldoria carnevalesca, scriveva
nel 1889 Vito Giuffida, la truppa degli attori improvvisati, camuffati
da donna, da Prologo, da Corriere, da padre, da amante - i personaggi
più frequenti in queste rappresentazioni - vi improvvisano una
originalissima recita in versi. Giunti
in piazza, in un crocicchio di vie, aduna cantonata in cui stazionava
gente, domandando un poco di spazio, fanno allargare la folla, formano
in mezzo ad essa un cerchio e v'incominciano le loro rappresentazioni.
Anzi il primo verso caratteristico dì siffatte declamazioni suole
essere il seguente: Largu,
signuri mei, facemu ruota,..." Sempre il Pitrè, in un altro
suo libro parla delle "Carnalivarate di Mascalucia "; "
.. in quel vago, gentile e pittoresco comune, è costume nel Carnevale
recitarsi dal popolo commedie satiriche in maschere nelle pubbliche piazze,
e Sciddica-sapuni (soprannome di un Vito Mangano 1807- 1870), poeta popolare
estemporaneo, le compone anno per anno..."
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Architettura
religiosa
S.ANTONIO
ABA TE
A
sud del centro storico di Mascalucia, all'interno del cimitero centrale,
si trova un tempio di stile gotico antico la cui architettura risale ai
primi tempi dei Cristiani in Sicilia. La sua architettura originale pare
risalga ad epoca anteriore alla venuta dei Saraceni (anno 827). Sicuramente
doveva far parte della giurisdizione dei P.P. Benedettini a quell'epoca
diffusi in tutta l'isola. Attraverso la donazione di Tertullio, padre
di San Placido, erano entrati in possesso dì immensi beni, tra
cui molte terre nei dintorni di Catania In seguito appartenne all'Ordine
dei Cavalieri Gerosolimitani, ed essendo unica chiesa, tra le contrade
etnee, fu parrocchia dei paesí limitro quali San Giovanni Galermo,
Gravina, Tremestieri etc.. Nel 1446, per elevare a Collegiata la chiesa
parrochiale di S. Maria dell'Elemosina di Catania, il Papa Eugenio IV associò
varie Parrocchie di pertinenza alla vasta Diocesi Catanese, fra cui quella
di S.Antonio Abate di Mascalucía chiamata allora San Nicola,"
.. nec non de Itriapraedicta, et parochialem S. Nicolai de Maschalsia
insimul canonice unitas, quarum quadraginta duorum,.... " alla quale
ordinò, di pagare annualmente alla nominata Collegiata, unitamente
con la parrocchia di Santa Maria dell'Itria di Catania, la somma di 42
fiorini. Il tempio ha il prospetto a sudest, verso l'oriente. Lo stile
all'origine della sua edificazione era puramente gotico, modificato nei
secoli da innovazioni. La porta maggiore del prospetto e la finestra rotonda
al di sopra, sono di tipico stile gotico moderno continentale con influssi
arabo- normanni; mentre l'altra porta a mezzogiorno è di stile
gotico ad arco a sesto acuto. Sino agli anni sessanta, era possibile ammirare
il caratteristico pavimento, il quale per lunghezza era diviso in due
parti uguali da uno scalino in pietra lavica alto circa 15 cm.; il livello
diverso del pavimento era
una necessità assoluta nei primi tempi del Cristianesimo,
affinché
le donne si trovassero separate dagli uomini, le due porte della chiesa
servivano infatti per differenziare l'ingresso delle donne e degli uomini,
le prime infatti si servivano della porta laterale, gli altri della porta
anteriore. All'interno un grande arco ogivale, che poggia su bassissimi
piedistalli, divide la navata dalla tribuna. Lungo il lato a mezzogiorno
vi è una porta bassa ed angusta a sesto acuto, in pietra bianca,
e due finestre piccole e lunghe semi circolari, di cui una murata, ma visibile e una seconda che appare soltanto
all'interno, poiché venne chiusa all'esterno nel 1719, anno in
cui si edificò una cappella dedicata a Maria Vergine. Nel muro
di tramontana vi è una finestra uguale alla prima, chiusa anch' essa per r l'edificazione de Ila cappella di S. Nicolò di Bari.
Un ampio arco disegna la navata centrale metre nel muro opposto a tramontana
è una porta di pietra bianca che riporta la data del 1617 e dà
ingresso alla cappella del SS. Sacramento, costruita dall'omonima Confraternita.
All'interno della Chiesa, al centro della parete di fondo della tribuna
s'inarca una piccola abside in cui è collocato un altare. Nell'abside,
simile ad una nicchia, si possono notare degli affreschi di attribuzione
ignota, che vengono così definiti dal Guglielmini: "... Il
nicchione è dipinto da certi affreschi da fare strabiliare anche
i morti: è in centro
scarabbocchiato una badiale conchiglia sopra due cornucopie a conserto:
e come queste si confacciano con quello, vattello a domandare al tintore,
che la inventò, ed il quale con lo stesso giudizio volle anche
nei lati del volto accoppiare due grossi vasi di terra con fioroni rossi
onde non trovarsene di simili in natura. Con lo stesso cattivo gusto è
scovertamente tinto il frontespizio, che finge d'essere una specie di
loggiato, sebbene non si possono distinguere, e altri imbratti di calcina,
onde furono cassati. Però è tuttavia visibile in uno dei
riquadri inferiori di essi il Santo in alto di essergli apparso a tentare
Satana sotto la figura di Centauro" A poco più di un metro
di distanza dallo spigolo di sud-est del Tempio sorge una torre campanaria
che si appoggia a questo con un arco a mattoni rossi compatti sormontato
da blocchi di pietra lavica impastati con "terra rossa". Questa
torre campanaria consiste in una costruzione quadrangolare, di pietra
lavica lavorata a blocchi, priva di porte, finestre e di scale (sia interne
che esterne delle seguenti dimensioni due lati misurano circa due metri
e mezzo e gli altri due un metro e sessanta). Alla sua sommità,
tra due colonne semi distrutte c'è una campanella, che suona solo
con la forza del vento. Probabilmente la torre campanaria avrà subito
gravissimi danni dai terremoti, che nei secoli hanno colpito Mascalucia.
Ecco cosa scrisse Francersci Granata, nel 1957, a riguardo di questo bellissimo
Tempio: ... "La Domenica del Corriere ", nel 1902, non esitava
a catalogare il Tempio di S:Antonio Abate di Mascalucia tra "le bellezze
d 'Italia ". Il pavimento, in piastrelle di terracotta di gusto tipicamente
siciliano, è valorizzato da lapidi in
marmo bianco, ognuna con epigrafi ad allo valore morale; su una di queste,
senza data, si possono leggere le seguenti parole: " collego Rodo
Tero Sic Devoro -Digero Condo- Defunctos Omnes Quas Pia Mater- Amat".
Nel 1903 l'Amministrazione
di Mascalucia, conscia del tesoro che possedeva, ordinò dei restauri
al monumento comprendenti la ricostruzione del tetto sprofondatosi nel
1828 ed il consolidamento delle mura.
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CHIESA
MADRE
Recentemente il Parroco
Don Pasqualino Distefano (che ringraziamo per le notizie forniteci) Distefano
ha porta io alla luce un antichissimo altare nell'attuale cappella del Sacro
Cuore, chiamata sino ad ottant'anni addietro "Cappella di San Nicola".
Questo altare che porta ancora l'iscrizione "J:H:S" (Jestis Hominum
Salvator)
dì colore nero, avrebbe fatto parte dell'antica Chiesa Madre della
"Terra di Santa Lucia" nei secoli XII-XV, dedicata al Patrono
San Nicola. Nel XVI secolo, la Chiesa Madre, sempre nella direzione tramontana-mezzogiorno,
fu arricchita da diversi affreschi realizzati da maestranze della zona,
alcuni dei quali sono ancora visibili nell'attuale cappella del Sacro
Cuore e del Crocefisso: colonne a torciglione, immagine di San Nicola
Cristo alla colonna, Cristo con la croce... L'eruzione del 14 e 15 marzo
1669 risparmiò il centro del paese e così anche la Chiesa
Madre. Ma il successivo terribile terremoto del 1693 danneggiò
gravemente le sue strutture compreso l'appena allestito campanile che
nel 1690, il Principe Butera Nicola Placido II Branciforte aveva fatto
edificare a completamento dell'edificio. Agli inizi del secolo XVIII,
con molto fervore, si avviò l'opera di riedificazione. Alla Chiesa
Madre si volle dare un aspetto ancora più imponente. Fu orientata
da ovest ad est riutilizzando come transetto della nuova chiesa la parte
meno danneggiata dell'antica fabbrica. Fu pure costruita una grande
sacrestia ed i monaci che venivano a villeggiare nel vicino convento di
"Sant Antuneddu" realizzarono in bellissimo stile rococò
gli armadi ed i sedili per abbellirla. Essi, inoltre, scolpirono anche
gli stalli del coro e i quattro confessionali, ancora oggi esistenti.
Negli anni settanta la sacrestia fu usata come scena di alcuni famosi
film. Ai primi dei 900 il vicario sac. Vito Longo dirigendo personalmente
i lavori, ampliò la chiesa con la costruzione delle due navate
laterali e del secondo campanile lasciato però incompleto. La chiesa
contiene diverse opere d'arte di un certo pregio tra cui: balaustra dell'altare
maggiore con colonnine monolitiche in marmo, quattro altari a scultura
ed a intarsio in marino; nella cappella del Sacro Cuore, un ricchissimo
altare della "Esposizione" realizzato con molta maestria in
legno dorato; "Tavola" attribuibile al Giordano, raffigurante
la Madonna delle Grazie; tela di Michele Rapisardi raffigurante la Madonna
Addolorata. All'esterno si può ammirare come i conci di pietra
lavica, ben tagliati e squadrati, fanno da cornice alla facciata di colore
chiaro. Un elegante campanile affiora al di sopra della facciata ed acquista
rilievo plastico e spessore prospettico per la scansione ritmica degli
archetti che lo rifiniscono. La bella cupola conica in cunei invetriali
epolicromi completa la grazia artistica dell'insieme conferendo, tra l'altro,
una suggestiva nota di colore. Questa chiesa di stile normanno siculo
è degna sorella della Chiesa Madre di Pedara, simile nello stile
e nel campanile che fa presupporre, viste le parallele vicende storiche,
una simile progettualità di ricostruzione se non le stesse maestranze.
Le ampie superfici dei prospetti principali non ché l'uso della pietra
lavica da taglio nelle grandi paraste la collocano tra gli esempi più
significativi delle "chiese nere " dell'Etna. SAN VITO
MARTIRE: A sud del paese sorge la chiesa dedicata all'attuale
Santo Patrono "San Vito" Sulla facciata principale, che guarda
la via Etnea, sono posti ai lati le statue di San Modesto e di San Crescenzio.
Sull'architrave troneggia San Vito con a lato i cani che simboleggiano
la fedeltà e la nobiltà contro le insidie avverse. La costruzione
è della seconda metà del settecento. L'attuale chiesa di
stile romanico è a tre navate. La chiesa di San Vito negli ultimi
decenni è stata rimodernata ed arricchita da fregi marmoreì
alle pareti che non sempre ne hanno rispettato lo stile e l'armonìa.
All'interno in un apposito altarino "corazzato"viene custodita
la statua secentesca del venerato santo protettore San Vito con tutto
il suo tesoro (oggetti preziosi ecc.). Esiste una paia di altare "San
Vito e Artemia" del 1857 del famoso pittore Michele Rapisardì,
(1822-1886). Da segnalare la Madonna delle Grazie, incisione su ardesia
che veniva venerata nell'anonimo "atareddu " nel palazzo Cirelli.
Sul coro affreschi ottocenteschi sul miracolo e la glorificazione di San
Vito, opera pittorica di Sebastiano Conti di San Giovanni La Punta.
CHIESETTA DEL SOCCORSO: A nord del centro urbano di Mascalucia
vi è la contrada "Soccorso" ed in essa, prima che il
fiume di lava del 1669 devastasse Mompileri, esisteva una chiesa dedicata
alla Beata Vergine del Soccorso, detta della Miserícordia. All'epoca,
veniva curata e retta da un prete eletto un tempo dall' Abate di Mascalucia,
assegnato nell'anno 1650 dall'Arcivescovo di Messina. In questa chiesa
si venerava con singolare culto la Beatissima Vergine dell'Aiuto ed era
meta di molti pellegrini. L'eruzione del 1669 risparmiò la chiesetta
addossando la colata lavica al muro di tramontana, purtroppo, anche se
risparmiata dall'Etna, essa subì l'incuria dei cittadini e del tempo.
Oggi è
un rudere e solo pochi sanno che un tempo fu un luogo sacro meta di continui
pellegrinaggi. MADONNA BAMBINA: Non molto distante dalla
chiesa della Madonna del Soccorso, quasi a confine con il territorio di
Belpasso, si trovano i ruderi di una chiesetta dedicata alla Madonna Bambina.
Costruita in pietra lavica essa rappresentava il punto di raccolta di molte
mamme che pregavano, per le figlie, la Vergine Bambina. Un
bellissimo affresco si può ancora notare su una parete, anch'essa
mezza diruta, che raffigura Maria Santissima Liberatrice dal fuoco materiale
(la lava) e dal fuoco spirituale. La
Madonna dal volto dolcissimo, coronata da una corona dorata, tiene col
braccio sinistro il piccolo Gesù e con la mano destra aiuta a salvarsi
dalle fiamme un bambino che si aggrappa ad un nastro da lei teso. La
Madonna è raffigurata su una nuvola che sovrasta un paese in fiamme.
I colori dell'affresco sono molto delicati e appassiti dal tempo. Sull'altare
che guarda a tramontana si . può intravedere una pittura murale
della nascita della Vergine Benedetta. La maestra C. Tenerelli Pavia nel
lontano 1923 scriveva: "Premesso il ricordo di questa chiesa, non
è da omettere una prodigìoso avvenimento, ricordato da non
interotta tradizione e da una iscrizione che leggesi sotto l'immagine
della Madre di Dio, dipinta sul muro interno della Chiesa. Narra
la tradizione che pochi giorni innanzi al funesto terremoto del 1693, che
devastò Catania, la predetta ímmagine emise un abbondante
sudore e sgorgarono lagrime dagli occhi della Beata Vergine, forieri dall'inaudito
cataclisma ". A
solenne ricordo di siffatto avvenimento fu posta la dicitura: "In
sudore vultus mei, hanc patriam liberavi abingenti terremotu anni 1693
".
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In
giro per Mascalucia si può anche scoprire che ....
Ad uno
sguardo veloce, ìl paese di Mascalucia, mostragli evidenti segni
di un eccessivo e repentino incremento demografico. Il paese, sembra in
pochi anni essersi trasformato in un grande contenitore dove la gente
si è trasferita ad abitare con l'illusione di non essere in città.
L'Etna è più vicina.. ma, anche qui non esiste più
un metro quadrato di verde. Il traffico è caotico. Mascalucia è
considerato un paese "di passaggio" dove nessuno si sogna di
fare una visita al centro storico o di cercarne i segni della storia,
della cultura, del passato. Si pensa che non ne valga la pena. Ed è
un peccato. Una buona occasione per ripensarci, è data dalla Fiera
Antiquaria che si svolge, la II domenica di ogni mese e il sabato antecedente,
lungo la via Etnea del paese. L'atmosfera del mercatino è calda
e colorita. Una fila di bancarelle si susseguono con esposizione dei più
svariati oggetti e suppellettili che suscitano i ricordi delle case e
delle abitudini dei nostri nonni. Un piacevole tuffo nel passato che consente,
inoltre, di osservare Mascalucia sotto un'altra luce. Svuotate dal traffico
le vie del centro storico mettono in mostra palazzi e chiese mai notate
prima. Lungo le stradine più interne, si possono ammirare scorci
inimmaginabili di abitazioni e cortili, muretti a secco, antichi lampioncini,
enormi portali in pietra lavica lavorata, altarini con i fiori freschi,
balconcini bassi con i caratteristici gradini scuri e l'erbetta intorno.
Qui il tempo sembra essersi fermato a sfida degli eventi. Nelle vie principali,
numerosi sono gli antichi palazzi e ville in stile liberty (notevole la
Villa Cirelli all'ingresso dei paese). Proprio a Mascalucia, area metropolitana,
uno sguardo attento al di la delle vetrine delle case, può cogliere
momenti e abitudini della vita della gente più anziana che da sempre
vi abita. C'è
infatti chi ancora usa riunirsi, nelle sere d'inverno, attorno ad una
"conca" a discutere o chi lavora all'uncinetto dietro la porta
di casa. Al numero civico 234 della via Etnea, da quasi cento anni esiste
la Pasticceria Spampinato. La prima in assoluto per Mascalucia e i paesi
limitrofi. E' gestita attualmente dal Sig. Vito Spampinato e dalla sorella
che, seguendo le orme del padre, preparano rinomate specialità
dolciarie artigianali. Raccontano del padre che diffuse l'arte pasticcera
a Mascalucia, tant'è che alla fine degli anni 30, un suo "allievo",aprì
un proprio laboratorio ancora oggi esistente al numero civico 165 della
stessa via: la Pasticceria Torrisi. Nello stesso periodo, nacquero anche
la Pasticceria Caruso e quella della Sig.ra "Angela a cosa ruciara
". Questo
tipo di attività era fiorente a Mascalucia che rimase a lungo unico
punto di riferimento dei paesi vicini, nel settore. La bontà dei
prodotti del Sig. Spampinato l'assicura una signora di 84 anni cliente
affezionata che, con un vassoio in mano, ricolmo di dolci, racconta come
sin da piccola, a piedi scalzi, scendendo da uno degli antichi quartieri
di Mascalucia, veniva a comprare, "no'Teresino ", (antico soprannome
del proprietario) mandata dalla nonna. Pasta
reale, paste di mandorla, biscotti, pasticcini, panzarotti si trovano
sempre freschi . Anche la Pasticceria Torrisi ha mantenuto ancora di più
l'impronta dell'antica bottega con bancone e scaffali in legno. Ottimi
i biscotti: "rami napuli", "totò
", "cucciddati". Proseguendo verso il basso della via Etnea,
si consiglia una passegiata lungo la via Roma. Da qui si può percorrere
interamente la vìa Amantia con tutti i suoi vicoletti. Altre caratteristiche
strade da visitare sono, via Calvario, via Tempio, via Trinità,
via S Lucia, quest'ultima con i suoi caratteristici "murales"
Mascalucia ospita una inaspettata azienda agrituristica, l'Azienda Trinità,
estesa per circa tre ettari e coltivata ad agrumeto. L'antico caseggiato,
ben ristrutturato e delimitato da un giardino che lo isola, fortunatamente,
dal circondario, offre, tutto l'anno ospitalità rurale. Nella
zona di Massa Annunziata, da segnalare, il santuario dell'Addolorata con
l'annessa casa dei Padri Passionisti che accoglie incessantemente, religiosi
e gruppi ecclesiali impegnati per ritiri ed esercizi spirituali. Da qui
si consiglia di raggiungere anche la zona di Mompileri che, nonostante
il degrado circostante, ancora oggi, riesce a mantenere un'atmosfera misteriosa
che suscita rispetto. E' da ricordare la caratteristica festa di San Vito,
patrono del paese. Si svolge il 15 Giugno ed anche, ad anni alterni, la
prima domenica di agosto. Soprattutto in passato, era consuetudine degli
immigrati rientrare in paese in agosto per avere la possibilità
di partecipare alla "festa grande " dei loro santo patrono.
Tutti partecipavano
attivamente preparando, nei giorni precedenti la festa, con grande fervore,
i "carri", costruzioni scenografiche animate da personaggi viventi
che rappresentavano momenti salienti della vita dei santo. Quartieri diversi
preparavano ciascuno il proprio "carro" senza nascondere un
certo antagonismo che si manifestava pienamente il giorno della sfilata.
Numerose sono a Mascalucia i ristoranti e le pizzerie, tra cui vi segnaliamo:
il Portichetto e, per una cucina più "povera" e tradizionale,
Almcar Massa Annunziata.
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