Nino
Caldalano lo conobbi dopo una serie di inviti, che puntualmente avevo
preso, e successivai mente disdetto, organizzati dal caro mio amico Giuseppe
Marchese. Per me era la prima volta che avevo contatti con un disabile.
le mie ansie scaturivano dalla preoccupazione di trovare un tipo di comportamento
quanto più congeniale all'incontro con quel "povero sventurato".
Dovevo chiedere, come va? Oppure, che si dice? Tra me e me ripetevo che
erano domande stupide e prive di significato. Si può chiedere ad
un disabile "come va"? Male! Come vuoi che vada ad un povero
Cristo seduto perennemente su di una sedie a rotelle. E Peppino, invece,
che continuava a prendere appuntamenti. Nino abitava in un quartiere popolare
di Palermo, alle spalle dei convento dei Domenicani, in un vecchio palazzo
ottocentesco cui si accedeva attraverso un enorme androne, all'interno
dei quale regnava un grande cortile interamente ciottolato, dominato da
una immensa magnolia i cui rami si contorcevano tra loro, come se contrastassero
una lento morte, ma che comunque, la dicevano tutta sulla nobiltà
dell'edificio. Un'ampia rampa di scale in marmo, da cui lateralmente alcune
colonnine in ferro ossidato trattenevano un lavorato passamano ci portò,
credo al terzo piano, dell'enorme fabbricato. Il palazzo, nonostante vetusto,
manteneva integralmente lo splendore e la classe di un'epoca gentilizia
risalente ai gattopardi siciliani. Ad aprirci venne la sorella di Nino,
che con un sorriso mi fece sentire immediatamente a mio agio. Una breve
presentazione e poi, a seguire, una stanza dietro l'altra, tutte rigorosamente
in ordine e guarnite da mobili e suppellettili vari. I tetti erano dipinti
con delle immagini un po' sbiadite che ricordavano gite e paesaggi rurali.
Una, due, tre, quattro, cinque. Nino si trovava nell'ultima stanza affacciato
ad un balcone che dava su una piazza popolare che era di transito tra
il centro città ed il porto. Un raggio di sole si proiettava sulle
sue gambe minute, che come soprammobili, si adagiavano piegandosi sulla
sedia a rotelle. La forte luce che entrava dal balcone e il buio della
stanza si contrastavano e pertanto, riuscivo a vedere a malapena, la sagoma
accartocciata di Nino su quella carrozzella. Mi colpì subito il
suo sorriso aperto ravvivato da un paio di baffi e la sua voce sonora
e sincera. "Finalmente!" Gridò con tono di meraviglia.
"Bene, Signor Mario o ta chiamari dutturi Mariu? Il suo accento ricordava
l'intonazione dei mio paese. le cadenze e le tonalità familiari
mi furono di grande aiuto per intavolare un dialogo. Quando scorsi bene
l'intera figura rimasi letteralmente scosso. Uno spintone bonario e di
incoraggiamento di Peppino mi portò dal centro della stanza davanti
a quel povero Cristo. Non sapevo cosa fare e cosa dire. Dovevo dargli
la mano, baciarlo. Insomma ero confuso. lui conoscendo l'imbarazzo di
chissà quante altre persone come il mio, con tono autoritario disse:
"veni ccà babasunì . Porsi la guancia e chiusi gli
occhi. Chissà per paura o per quale pericolo. Mi resi conto di
essere uno stupido! lui intuendo il mio stato d'animo sorridendo mi disse:
"non ti preoccupare nun è malatia ca si mmisca'. Finalmente
vidi i suoi occhi neri che mi scrutavano e che venivano in mio soccorso
come per alleviarmi qualsiasi riluttanza nei suoi confronti. Al furbacchione
gli bastarono pochi minuti per capire con chi aveva a che fare. Insomma!
Dopo la breve presentazione il colloquio lo conduceva lui. Rideva, scherzava
specie dei suoi problemi, mi raccontava di persone, eventi, curiosità.
E più lui si districava, più mi sentivo a mio agio. Dopo
un buon quarto d'ora mi sembrava d'avere davanti una persona normalissima,
anzi cominciavo a dubitare che il disabile fossi io. Peppino guardava
soddisfatto ed io per trovare consolazione mi affidavo alla nostra amicizia
e alla sua parentela. Come si può ridere di se stessi in questo
stato? Dicevo tra me e me. Non riuscivo a capire che cosa lo rendesse
felice. E ogni qual volta mi passava per la mente un pensiero, porca miseria!
Era in grado di leggerlo e mi dava la risposta. Ad un tratto pensai: "come
può stare senza donne, chissà se ne sente il bisogno"?
lui scuotendosi come se stesse rispondendo al mio pensiero, diceva che
era in cerca di una ragazza "seria e di buoni princìpi' e
che voleva farsi una famiglia. Cosa da pazzi! Allora è normale,
dissi tra me. Ebbi paura! Nino riusciva a leggere i miei stupidi
pensieri. Forse avevo sottovalutato la sua intelligenza. Stavo sbagliando
tutto, mi dovevo comportare come una persona normale. E continuavo a chiedermi
chi era Il disabile: Lui o io. E lui, Tiè! Per tutta risposta aggiunge:
"Devi sapere che il malato è colui che non è in pace
con se stesso e con gli altri, a prescindere se è seduto su di
una sedia a rotelle o corre tra le strade in compagnie di donne e a cavallo
di motori" A questo punto era meglio non pensare e mettermi a sua
completa disposizione. Finalmente avevo capito che davanti a me non c'era
un disabile, ma una persona normale, con una intelligenza e una filosofia
di vita che era molto superiore alla m'la. Non riuscivo più a vedere
l'handicap. Parlava, aveva la serenità e la forza che non avevo
io, quella serenità e forza che avevo cercato e non avevo mai trovato.
Mi parlò della sua malattia, delle sventure di tanti altri disabili
che non potevano uscire di casa, che non sapevano leggere e scrivere,
cosa che lui faceva benissimo, non avevano amici, abitavano in posti dove
non riuscivano a vedere manco il sole. Lui mi diceva che, grazie a Dio,
aveva tutto, e pertanto, si riteneva soddisfatto. Povero Mario! Quella
lezione mi cambiò la vita. Dopo un'oretta salutammo, non prima
di avere degustato un limoncello preparato dalla sorella, che prematuramente
è deceduto qualche anno dopo la sua scomparsa, a suo dire: "è
chiù bonu di chiddu accattatu". Trascorsi giorni molto confusi,
senza che riuscissi a capire che cosa mi stava succedendo e cosa mi rendeva
infelice. Dopo circa una settimana, Nino mi chiamò al telefono.
Mario io sono, Nino Caldalano. la sua voce mi riempì di gioia.
Non sapevo cosa dirgli per l'immensa commozione. Come va Nino; e lui:
"tutto bene!" E Nino ancora: "mi sembri un po' seccato,
che hai"? Bho! Non lo so! Ma,... "Niente non ti preoccupare,
la vita è bella, queste sono cose passeggere". `I tinti i
malatii sunnu". "A famiglia tuttu a postu?" Così
l'indomani ed ancora altri giorni. Dopo un periodo mi accorsi che parlare
con lui stavo bene. Incominciai a cercarlo. Non potevo più fare
a meno di sentirlo, parlargli delle mie cose, dei miei problemi, mi faceva
stare bene. lui sempre con tono tranquillo e serenità d'animo,
ma soprattutto con una filosofia di vita che avrebbe fatto invidia ai
grandi della Grecia classica, mi sollevava da ogni mia preoccupazione.
Dopo qualche mese, ríngraziavo Dio che mi aveva fatto conoscere
questo strano ed insospettabile "Angelo". Con Nino riuscivo
a parlare di tutto e tutti. Insomma, dopo qualche periodo eravamo diventati
grandi amici. Un giorno mi chiese di essere accompagnato dal Prefetto;
voleva a tutti i costi crearsi una famiglia, per non dare più fastidio
alla sorella, ma soprattutto condurre una vita sentimentale normale. E
per questo gli occorreva un appartamento tutto suo, magari un primo piano
terra, dove s'i poteva muovere facilmente, ma soprattutto dove poteva
avere intimità con la sua futura sposa. "Ma quale sposa? Chi
lo vorrà mai? dicevo tra me e me. Quella fu una gita indimenticabile.
Lo portammo giù dal terzo piano alcuni amici. Durante il tragitto
scherzosamente diceva 'picciò stamu attenti ca gammi chissi suli
haiu", oppure, `un vi' chiamu cchù pi fari traslochi, stati
attenti ca vi licennziiu" ecc., una serie di battute che facevano
morire dalle risate. Non sentimmo né io, né gli altri la
fatica. Finalmente il Prefetto ci ricevette. Nino parlava con autorità
e senza peli sulla lingua, enunciando tutti i suoi diritti e citando articoli
di legge, sentenze
e quanto altro a favore della sua causa. Il Prefetto annotò tutto
e disse che avrebbe esaudito il suo sogno, intervenendo con l'assessore
comunale alla casa. Uscendo Nino lanciò l'ultimo suo monito: "Mi
raccumannu Prefè, Lei sulu mi po aiutori'. Un giorno al telefono
mi confidò che era "mezzu zitu"; io dissi: "che
vuoi dire Nino". E lui sícuru: "lu sacciu e idda no".
Sorridendo e tanto per accontentarlo chiesi chi era la fortunata? Nino
mi raccontò che annualmente nel periodo estivo si recava in Polonia,
dove c'era un centro di cura di riabilitazione, facevano dei massaggi
speciali ed in quella occasione aveva conosciuto una ragazza polacca e
che si era innamorato. Non volevo crederci, ma alla visione di una foto
della ragazza mi convinsi. Ma senza peli sulla lingua e da buoni amici
gli dissi: "Questa ragazza è veramente innamorata di te o
ti prende in giro? A quei tempi il muro di Berlino esisteva ancora ed
anche il divieto di movimento delle persone. "Non vorrei che ti sposa
per avere la cittadinanza italiana?" Nino mi assicurò di "no!"
Se lo diceva lui, dovevo fidarmi. Mi disse ancora che al prossimo viaggio
l'avrebbe sposata. Roba da non crederci. Al ritorno Nino aveva portato
con sè la moglie. E che moglie?! Era una ragazza bella, simpatica,
una di quelle ragazze straniere che colpiscono subito. Era molto carina.
Gli occhi chiari e forme rotonde con la pelle rosea tipica dei paesi nordici.
Parlava un ítaliano stantio e pieno d'errori ed i suoi occhi si
mostravano tristi come se avessero visto la miseria e le sofferenze. Pare,
che fosse figlia di una notabile dei partito comunista polacco e proprio
per questo abbia avuto storie per uscire dalla sua nazione. Níno
la guardava come se fosse un sogno. le accarezzava la mano poi le chiedeva
di darle un bacio. Una volta vennero a trovare la sposina i suoi familiari
ebbi in quell'occasione il piacere di accompagnarli per i mercati di Palermo.
Dovevate vedere la gioia e la meravigha per tutto quei ben di Dio che
era mostrato sulle bancarelle. Guardavano con gli occhi sgranati come
se si trattasse di qualcosa di miracoloso. E chiedevano cosa fosse o come
si chiamasse quei determinato frutto. loro conoscevano soltanto le pere,
le mele, le arance e la frutta secca, mi accorsi solo allora che negli
Stati dell'est si stava effettivamente male. la stessa meraviglia la mostravano
anche per i negozi, per le macchine, ecc. Un giorno, Nino, mi confidò
che sua moglie mandava i propri risparmi, frutto della sua pensione al
genitori in Polonia, dove pare, con mia grande meraviglia, consentissero
di vivere per un mese. Alla faccia della miseria. Nino ebbe finalmente
la sua casa. Sembrava confortevole, piacevole, ma soprattutto era al piano
terra, ciò, gli consentiva di muoversi facilmente. Tutte le volte
che lo andavo a trovare mi mostrava soddisfatto il suo piccolo regno e
soprattutto la regina della sua casa, come la chiamava lui soddisfatto
e pieno d'entusiasmo. Con i risparmi accumulati aveva acquistato una camera
da letto ed una cucina ed una serie di suppellettili che la rendevano
accogliente. Alle piogge d'autunno Nino mi chiamò: "Vieni
ti devo parlare". Mi ero quasi preoccupato per quella telefonata.
In quella occasione mi mostrò un muro pieno d'umidità. la
qualcosa, li per lì, dissi che poteva essere poco rilevante. Nei
giorni successivi con le piogge più insistenti il tetto divenne
un colabrodo. L'umidità saliva anche dal basso. le porte non si
riuscivano più a chiudere, i mobili si presero di muffa, e nonostante
le stufe
accese l'ambiente era gelato. Andammo a trovare l'assessore comunale per
cercare di fare riparare il tetto. Venne il primo, il secondo tecnico,
mandarono degli operai, ma era tutta una messa in scena. D'altronde, era
difficile ammettere che quello stabile, terminato da un anno, era giù
in condizioni pietose. Una giorno andammo anche a trovare l'assessore
al Patrimonio dei comune di Palermo. in quella occasione Níno si
mostrò duro ed íncazzato. Gliele cantò di santa ragione.
Nino aveva capito tutto. la sua felicità era durata pochissimo.
Quella casa tanto desiderata sarebbe stata la sua tomba. Inizialmente
incominciò ad avere un brutta influenza che si trasformò
in bronchite e poi in pleurite. Il danno era stato fatto. L'umidità
di un anno gli aveva cagionato una malattia irreparabile, specie per il
suo fisico debole e provato. Una notte venne ricoverato d'urgenza al reparto
di rianimazione di Palermo. Rimase lì qualche giorno. lo in quel
periodo mi trovavo fuori Palermo per lavoro. Al ritorno seppi che Nino
era morto, e che era stato già da qualche giorno tumulato. Rimasi
di stucco. Una forte rabbia mi pervase interamente. Ma non c'era più
niente da fare. Non avevo la forza manco di parlare. Dopo qualche settimana
andai a trovare la moglie. Mi raccontò dei giorni di sofferenza
che Nino aveva vissuto. E soprattutto, come avesse accettato con cristiana
rassegnazione il suo terribile destino. Non si disperava assolutamente,
rimaneva immobile senza batter ciglio. Stava morendo e comprendeva tutto,
mai una lacrima mai una parola. Mi prodigai a fare avere la pensione di
reversibilità alla
moglie. In attesa l'accompagnai in una parrocchia
dei quartiere dove il sacerdote le diede la prima assistenza. Finalmente
arrivò la sua pensione. Da allora non la vidi più. Più
tardi seppi che si era unita con un tizio e che successivamente, presa
dalla nostalgia della sua terra, era tornata in Polonia. Era scomparsa
in silenzio come era venuta. C'est la vie! Comunque, grazie ancora Nino.
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