La
gente del luogo le conosce col nome di "Saracina" ma lo studioso
brontese Benedetto Radice le chiamò le "Grotte dei Giganti"
mentre El Idrisi, il geografo arabo vissuto durante il regno di re Ruggero,
le aveva definite "Grottedella farina" per la presenza, nei
pressi, di numerosi mulini ad acqua e identificate tout court col ben
popolato villaggio di Maniace, "territorio ferace a abbondante di
ogni maniera". Il
roccione tufaceo in cui, come orbite cieche, si aprono si trova vicino
Maniace, su una sponda del torrente Saraceno che più a valle lambisce
l'antica abbazia benedettina di S. Maria, meglio conosciuta come Castello
Nelson, e guarda alla terrazza naturale dei "Balzi",le antichissime
lave su cui nel passato scorreva la via di comunicazione più sfruttata
per secoli per andare da Messina a Catania o per raggiungere, dalla costa
ionica, Palermo. Di cellette sepolcrali d'epoca genericamente definita
pregreca, tutta la zona da Bronte a Randazzo e fino alla montagna di Bolo,
dalla Rocca Calanna a Fontanamurata al Margiogrande, è ricca: minime
Pantaliche che non suscitano mai, tuttavia, la curiosità reverenziale
e il religioso timore che invece producono le "Grotte dei giganti"
a Maniace. Tre delle quattro cellette della "Saracina" si aprono
sui fianchi del roccione mentre una quarta, sull'orlo del torrente, è
piuttosto un corridoio con tracce di opera umana, un cunicolo che nasconde
ancora qualche mistero, se è vero che andava a sboccare nella parte
diametralmente opposta, e che viene regolarmente allagato dall'acqua.
Delle altre, la più vasta presenta un vano di circa 24 metri quadrati
e pressappoco delle stesse dimensioni è anche un'altra, mentre
la più bassa, sul fianco della collinetta, quasi inaccessibile,
è sensibilmente più piccola e non presenta le mensole scavate
nella roccia che hanno le altre due. Alla luce anche degli scavi clandestini
che negli ultimi anni hanno interessato la zona e considerato che una
di esse presenta all'imboccatura un incastro tipico delle tombe castellucciane,
si può forse dire che la piramide tufacea della "Saracina"
ospitò in epoca preellenica un sepolcreto per pochi personaggi d'alto
rango e che nei secoli successivi essa divenne la parte più avanzata,
una sorta di torre di avvistamento, per il nucleo umano che in epoca greca
intorno a questa fortezza naturale costruì poi un insediamento
difeso da forti mura. E' un'ípotesi che, in assenza dei necessari
saggi archeologici, sorge spontanea esaminando i tratti di fortificazione
in pietra lavica ben lavorata venuti alla luce qualche anno fa anche per
l'erosione dei terreno, insieme a numerosi frammenti di manufatti ceramici,
proprio a ridosso della collinetta calcarea delle Grotte. Non è
poi escluso che queste celle scavate nel tufo, dal IX al XII secolo, in
pieno Medio Evo e dopo la liberazione dalla dominazione araba della Sicilia,
siano state abitate da monaci ed eremiti in quel tempo molto diffusi in
questo territorio. Di una "grangia", cioè di una dipendenza
basiliana situata in questa zona, infatti, non si sono mai trovate tracce
ma alcuni oggetti rinvenuti dai cosiddetti "tombaroli" proprio
all'interno di una delle grotte di Maniace, fra cui un piccolo e bellissimo
crocefisso in bronzo, fanno pensare anche ad una utilizzazione religiosa
di queste cavità, come accadde d'altronde su scala più vasta,
dai primi secoli dell'era cristiana in poi, per le chiesette rupestri
del Siracusano. Ma sono ipotesi. Ciò che è necessario, da
tempo, è invece una seria ricognizione archeologica di questa zona,
che fra l'altro, è una delle più belle della vallata anche
dal punto di vista naturalistico. Dalle "Grottedella Saracina"
giù giù fino alle sponde dell'alto corso del Simeto, dove
il buon Radice aveva individuato anche i mosaici di una villa romana, la
vallata di Maniace è ricca di tesori sepolti. E di verità
ancora da svelare.
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