Lungo
una dorsale collinare quasi all'estremo orientale della provincia di Enna,
al limite tra il complesso montuoso dei Nebrodi e le frangiature laterali
degli Erei ad un'altezza intorno ai 600 metri sorge l'antica cittadina
di Regalbuto. Da Catania vi si arriva percorrendo la strada statale 121
oppure l'autostrada Catania-Palermo sino allo svincolo di Catenanuova.
Il suo territorio è attraversato dal fiume Salso che va a confluire,
in territorio di Centuripe, nel Simeto. E' un paese con alle spalle una
storia abbastanza lunga. Certamente il sito topografico dove sorge il
paese è stato frequentato già nel paleolitico e nel neolitico
come è attestato dal rinvenimento di utensili e ceramiche nel corso
del tempo, anche se non è mai stata condotta una vera indagine
archeologica che lo abbia documentato scientificamente. In generale si
suppone l'esistenza di un centro abitato indigeno più o meno ellenizzato
tra il IV e il III sec. a.C. che aveva la sua acropoli sul monte S. Calogero
probabilmente frequentato fino al periodo medievale, identificabile con
l'antica Amèselon, presidio Mamertino posto tra Centuripe ed Agira,
di cui parla Diodoro che ne descrive la conquista intorno al 270 a. C.
da parte di Gerone di Siracusa che, distrutte le mura, ne spartì
il territorio tra le città confinanti. Le fonti antiche sono sparute
e non concordi e solo un'accurata campagna archeologica sul poco che resta
( grazie all'azione devastatrice dei "tombaroli") sarebbe in
grado di fornire un'accurata ricostruzione storica. Esistono segni di
una utilizzazione dei siti rupestri del territorio in età bizantina
in forma di piccoli insediamenti comunitari sul modello organizzativo
delle comunità basiliane, caratterizzate da un'economia agricola
povera e di pura sussistenza sorretta da un forte spirito religioso. E'
con l'occupazione musulmana che si hanno le prime testimonianze storiche
certe. Il modello arabo di gestione amministrativa del territorio prevedeva
infatti la nascita di centri rurali minori e tale fu il casale fortificato
Rahl-Butahi cioè Regalbuto. Come scrivono V. Venticinque e A. Monaco
(Itinerari storici di Regalbuto, Catania, 1988, da cui abbiamo attinto
molte notizie): "esso sorgeva, secondo la tradizione e gli antichi
storici, sul declivio della contrada Monte; sulla cima dei monte fu costruita
la "Rocca", sulle cui rovine venne eretta la chiesa di S. Calogero,
oggi un rudere che da il nome al monte".
La documentazione storica di questo casale arabo è fornita da un
successivo atto di donazione che il conte Ruggero fece del conquistato
casale di Butah all'arcivescovo di Messina nel 1087. Ne è notevole
testimonianza l'ancora in parte esistente quartiere "saracino"
con un agglomerato di abitazioni addossate tra loro e collegate da archetti
e passaggi sotto i quali si snodano viuzze strettissime. La Butah araba
era quindi un piccolo centro poco popolato con la funzione di stazione
di presidio sulla via che conduceva da Palermo a Catania, che il conte
Ruggero conquistò senza far ricorso alle armi e sul quale di conseguenza
non esercitò il diritto di conquista non riducendo gli abitanti
in servitù della gleba. "Gli Arabi abitanti di Butah erano
semplici pastori ed agricoltori o piccoli proprietari che possedevano
terre comuni dove esercitare il pascolo e raccogliere la legna. Ruggero,
così come fece nel resto dell'isola, per non alienarsi gli animi
della popolazione cercò di rispettarne le leggi, la religione e
i costumi ma anche il diritto di proprietà ". La donazione
del luogo alla chiesa di Messina dette titolo all'Arcivescovo ad esercitare
i diritti feudali soprattutto quelli di riscuotere le decìme ed
eleggere i magistrati. Questa
donazione fu oggetto di una lunga controversia che si concluse nel 1740
con una sentenza del tribunale del Real patrimonio che la riconobbe falsa.
Ruggero diede inoltre all'Arcivescovo di Messina la facoltà di
popolare il casale di cristiani e di fabbricarvi chiese a lui sottoposte.
Così il sovrano, con la concessione della signoria alla Chiesa,
dava la facoltà feudale di imporre tributi agli abitanti e di riscuotere
le decime dovute m cambio dell'amministrazione dei sacramenti e degli
altri servizi spirituali. Questo privilegio fu esercitato con rigore tanto
che esistono nell'archivio della chiesa parrocchiale due documenti di
scomunica verso coloro che non pagavano i tributi. Durante il regno di
Federico Il di Svevia il territorio di Regalbuto era stato usurpato dai
vicini abitanti di Centuripe; quando Federico Il nel 1220 tornò
dalla Germania si adoperò per riaffermare le vecchie leggi feudali
trovando resistenza in molti luoghi dell'isola tra cui Messina e Centuripe.
Il re riuscì a domare le rivolte e indignato per la resistenza
dei suoi abitanti cinse d'assedio e distrusse Centuripe. Il Fazello ci
informa che i Saraceni di Butah parteciparono a fianco del sovrano svevo
alla distruzione di Centuripe ottenendone in cambio protezione e il titolo
di "Reale" perlaloro città che da allora, aggiunto al
nome, forma il toponimo Regalbuto.
Circa trent'anni dopo nel 1261 sotto il regno di Manfredi, gli abitanti
di Centuripe che si erano ribellati al sovrano, si vendicano dando alle
fiamme e distruggendo sin dalle fondamenta il paese di Regalbuto. Il re
Manfredi fece ricostruire la cittadina e il nuovo abitato fu edificato
su un altro lato del colle (Fondo del Monte). Dal XVI sec. con l'avvento
del dominio spagnolo si assiste ad un movimento di crescita della popolazione
che passa dai 1812 abitanti del 1570 ai 9115 del 1861. Sono i secoli della
grande feudalità con un'economia legata al latifondo che determinava
una condizione spesso ai limiti della sopravvivenza per la maggior parte
della popolazione contadina, la prima a pagare il prezzo delle situazioni
di crisi determinate da eventi naturali (epidemie, terremoti, carestie).
La netta divisione in classi sociali è notevolmente accentuata
nelle zone della Sicilia centrale la cui principale risorsa era costituita
dalla produzione cerealicola. E' il periodo infatti in cui sono comuni
fenomeni come rivolte, sommosse, banditismo, dirette contro lo strapotere
e le angherie dei baroni. L'unica entità stabile rimase la Chiesa
che, dopo la
crisi del periodo della Riforma luterana, riorganizzò la sua presenza
su tutto il territorio con i presi i piccoli centri come Regalbuto, dove
si assistette ad un processo di rinascita delle preesistenti istituzioni
religiose ed a nuovi insediamenti conventuali da parte dei nuovi ordini
religiosi, a Regalbuto, come d'altra parte in tutta le regione, furono
gli ordini monastici gli esclusivi detentori della cultura; essi intuirono
la rilevante valenza politica dell'istruzione e stabilirono usi e precetti
innovatori, come ad esempio quello sulla gratuità dell'insegnamento
... Alcuni di questi ordini sono sicuramente presenti sin dall'inizio
del XV sec.; ma solo dopo la seconda metà dei cinquecento, in seguito
al moltiplicarsi delle loro iniziative e ad una loro maggiore specializzazione,
essi acquisteranno impulso e vigore" (Venticinque, Monaco op. cit.)
Il principale ordine ecclesiastico presente a Regalbuto fu quello degli
Agostiniani che già alla fine del quattrocento avevano aperto più
case religiose tra cui il convento di S.Agostino che era il 18' in Sicilia
e possedeva una biblioteca ricca di codici e recentemente dispersa. Anche
i Gesuiti, arrivati a Regalbuto verso il 1680 eressero nell'arco di 50
anni due case religiose; in una di esse, denominata Collegio di Maria,
fu aperta una scuola che divenne ben presto rinomata e frequentata dai
figli delle famiglie più nobili e da giovani di estrazione sociale
meno abbiente. Questa rappresentò un importante strumento di elevazione
culturale del paese che era caratterizzato da un altissimo tasso di analfabetismo.
Tra gli altri ordini che insediarono strutture conventuali nel paese sono
da ricordare i Carmelitani, i Domenicani, i Cappuccini.
Questi ultimi si insediarono nella chiesa di San Vito, oggi comunemente
conosciuta come chiesa dei Cappuccini distinguendosi per attività
assistenziali per i poveri egli infermi. Anche gli ordini femminili ebbero
una notevole presenza come testimoniano l'esistenza dei monastero di San
Giovanni Battista e di Santa Maria degli Angeli delle Agostiniane. Numerose
anche le confraternite, e le congregazioni religiose laicalí. La
più importante era quella di San Vito che aveva il privilegio di
"questuare" in tutta l'isola e di tradurre la sua ricchezza
nella costruzione di oratori in pieno centro cittadino. " Le confraternite
regalbutesi avevano lo scopo di incrementare il culto mariano e di recuperare
sul terreno della religiosità popolare, che trovava nelle pratiche
cerimoniali (processioni, feste) le sue più espressive in manifestazioni".
Tra i sodalizi più prestigiosi possiamo annoverare quello di San
Sebastiano che controllava i riti della settimana santa, quello della
congregazione dell'Annunziata che esercitava la carità fra i membri
dell'associazione e i bisognosi e infine quello della congregazione delle
anime sante del Purgatorio che curava i culti del S.S. Sacramento con
fini formativi e di carità, in particolare l'assistenza ai moribondi,
la sepoltura dei defunti poveri ecc. L'associazione delle anime sante
del Purgatorio, pur sopravvivendo alle donazioni e alle elemosine, fu
un ragguardevole fatto economico per Regalbuto, anticipando funzioni e
prerogative riprese, ai tempi odierni, dai moderni istituti di credito
ed assistenziali".
Il periodo risorgimentale trova Regalbuto partecipe ai principali eventi
storici quali la lotta per l'abolizione della feudalità, la partecipazione
ai moti carbonari insurrezionali del 1820 diretti soprattutto contro il
pagamento delle decime ecclesiastiche all'Arcivescovo di Messina nonostante
queste fossero già state abolite dal governo borbonico. Tumulti
avvennero in paese anche nel 1837, ma i più gravi avvennero il
25 - 26 Marzo del 1848 quando vennero uccisi 27 liberali dalla fazione
pro-borbonica. Nel 1860 piccoli moti contadini per laterra furono repressi
da Bixio malgrado le promesse di Garibaldi. Anche a Regalbuto nel 1893
sorse una sezione dei fasci dei lavoratori che venne sciolta dalla violenta
reazione governativa del Crispi. Con l'Unità nazionale molti beni
ecclesiastici dei paese furono incamerati dal demanio ed in parte privatizzati
e deturpati. Regalbuto entrò a far parte del circondario giudiziario
di Nicosia. Tra gli avvenimenti più recenti possiamo segnalare
la distruzione di una buona parte dell'abitato di Regalbuto durante il
secondo conflitto mondiale per un intenso bombardamento aereo che causò
anche centinaia di vittime. La Regalbuto del dopoguerra vive le stesse
problematiche di tutti i centri dell'entroterra siciliano: sviluppo ed
occupazione. Tra gli anni 50 e gli anni 70 un forte esodo migratorio ha
determinato un abbassamento della popolazione attiva aggravando ulteriormente
le condizioni di sottosviluppo. Questo flusso ha interessato non soltanto
il norditalia ma anche i paesi nord europei e le americhe. Questo trend
è stato invertito negli ultimi anni con un incremento della polazíone
residente dovuto anche al rientro degli emigrati. Tuttavia non c'è
stato un processo di radicale spopolamento delle
campagne essendo ancora alto ( 26% circa) il numero dei lavoratori agricoli;
di contro il processo di divisione e di spezzettamento della terra ha
reso molto diffusa la piccola proprietà contadina a conduzione
diretta, che essendo tendenzialmente antieconomica, non ha creato occupazione,
rimanendo solo come attività marginale o integrativa di altri redditi
in genere di tipo assistenziale. La coltura dominante è il frumento
abbinato alle leguminose ed a colture permanenti come l'olivo. Negli ultimi
decenni ha avuto un certo sviluppo l'agrumicoltura grazie alla costruzione
dell'invaso di Pozzillo che ha permesso la risoluzìone dei problemi
d'irrigazione. Connesso al mondo agricolo un certo sviluppo ha avuto l'allevamento,
quello bovino in particolare, con un numero di circa 180 aziende nel settore.
L'allevamento praticato è di tipo seminomade e la commercializzazione
dei prodotti di tipo locale. Il latte viene trasformato con lavorazioni
artigianali in formaggi tipici, caciocavallo, pecorino, ricotta e tuma
(di ottima qualità) il cui consumo raramente supera i confini comunali.
Oltre all'emigrazione, l'altra valvola di sfogo dell'economia locale è
costituta dal settore terziario che interessa circa il 40% della popolazione
attiva, metà della quale è assorbita dall'impiego presso
le pubbliche amministrazioni e il resto dal piccolo commercio e dai servizi.
Un discorso a parte meritano artigianato e industria che hanno un numero
di addetti pari a circa il 35% della popolazione attiva (contro il 25%
della Sicilia). Il settore più
diffuso è quello delle costruzioni edili e delle trasformazioni
dei tessuti, del legno e degli alimenti. Pur godendo di una certa espansione
il settore è caratterizzato nella maggior parte da imprese familiari
o comunque artigianali. "La
mancanza di una seria politica di agevolazioni e incentivazioni nei riguardi
dell'artigianato; l'alto costo del denaro per l'acquisto
delle materie prime e delle macchine necessarie all'ammodernamento delle
piccole aziende; la mancanza di spirito di iniziativa personale o cooperativa,
sono fra i fattori che rendono debole la resistenza dei soggetti del settore
e limitano lo
sviluppo di più moderne attività imprenditoriali".
Esistono tuttavia
delle eccezioni. Grazie anche alla Cassa Rurale e Artigiana che ha riposto
fiducia nello spirito di iniziativa e di impresa ad alcuni giovani operatori
locali, è nato uno slancio imprenditoriale senza eguali nel resto
della provincia ennese, soprattutto nel settore della plastica. Tra
le industrie più significative, anche per l'innovazione tecnologica,
possiamo citare la Francis e la Styl Sub che producono attrezzature subacquee
in gomma e plastica; la Agriplast e Plast 85 (tubi per irrigazioni), la
Cieffeci, la ComyPro, la Plastic Art, la Tecnoplast, la Milla, tutte dedite
allo stampaggio di materiali in gomma e plastica; la Regalgas (gas liquidi)
e la Oria (abbigliamento). Queste industrie assorbono circa il 20% della
forza lavoro di Regalbuto anche se i problemi della disoccupazione continuano
ad esistere e coinvolgono il 18-20% della popolazione soprattutto nel
settore giovanile. L'industria
turistica, da cui ci si aspettava un impulso dal "progetto lago",
non è riuscita mai a decollare nonostante le varie amministrazioni
comunali abbiano messo in testa ai loro programmi di sviluppo lo sfruttamento
delle risorse naturali e ambientali del lago Pozzillo, prevedendo una
serie di insediamenti infrastrutturali
e sportivi, in particolare la costruzione di una cittadella dello sport
in località Piano Arena (completata solo in parte) e di altre strutture
idonee allo sviluppo degli
sport acquatici; ma non si è ancora realizzato un progettato camping
ne' completata l'arteria stradale di collegamento tra Regalbuto e il Piano
Arena. Così la maggior parte dei flussi turistici che investono
il lago non hanno obiettivi residenziali ma si limitano a visite occasionali
in genere legate a date prestabilite (pasquetta, primo maggio ecc.) e
interessano solo parzialmente l'economia del paese.
Itinerario
storico - artistico
La
visita di Regalbuto può essere fatta in un'unica giornata poiché
pur essendo numerose le cose da vedere, esse sono nella maggior parte
non accessibili all'interno sia perchè pericolanti o in perenne
fase di restauro che per mancanza di guide. Quasi tutta l'architettura
religiosa e civile del paese è settecentesca; in questo periodo
infatti, anche ad opera delle congregazioni religiose, si ebbe un processo
di ricostruzione dei principali monumenti preesistenti secondo gli stilemi
dell'epoca. Il nostro itinerario assume come punto di partenza la piazza
Vittorio Veneto una delle principali del paese. Qui una volta sorgeva
la chiesa di Sant'Agostino In San Giovanni Battista e il monastero Agostiniano:
la prima pur essendo stata tra le più antiche chiese del paese
(era infatti dedicata in origine a Santa Maria De Auxilio antica patrona
della città) fu abbattuta nel 1928 per far posto alla piazza e
al monumento ai caduti nonché agli edifici del regime fascista;
del convento esistono soltanto i due chiostri pur se molto rimaneggiati.
In quest'area centrale, ai piedi del pendio del quartiere cristiano di
Santa Lucia, si può visitare la chiesa di Santa Maria della Croce,
di origine cinquecentesca ma completamente restaurata nel settecento.
E' un edificio che mantiene l'equilibrio, l'armonia e le proporzioni della
forma basilicale. L'impianto è a tre navate, a pianta crociata,
scandito da dieci pilastri che formano archi a tutto sesto e ne dividono
lo spazio in comparti regolari. La luce che si diffonde dal sopraelevato
presbiterio da a tutta la costruzione un senso di pesantezza alleggerita
però dai bargagli policromi degli stucchi che con tonalità
di azzurro oro e bianco segnano ritmicamente l'armonia delle arcate dando
all'insieme un imponente effetto plastico spaziale. All'esterno il transetto
emerge con uno stacco sulle navate dando un effetto scenografico di imponenza
che sovrasta l'ambiente urbano circostante richiamando con variazioni
le forme dell'architettura barocca romana. La chiesa dichiarata monumento
nazionale, fu gravemente danneggiata dai bombardamenti del '43 che causarono
anche danni alle grandi tele della Madonna del Purgatorio e del transito
di San Giuseppe recentemente restaurate. Con la ricostruzione furono sostituiti
gli altari minori con marmi provenienti dalla chiesa di Sant'Antonio da
Padova e da altre chiese. Fu anche cambiata la fonte battesimale con il
bassorilievo della sirena ritrovato nella cripta della chiesa di Sant'Agostino,
la quale ha un' impressionante somiglianza con le sculture ritrovate negli
scavi di Efeso, come a dimostrare l'esistenza di un'eredità che
travalica dalla cultura mitologica greca-romana a quella cristiana. Inoltrandosi
per via G. F.Ingrassia (la via principale del paese) si incontra il Collegio
di Maria (ex casa dei Gesuiti) con chiesa annessa. La costruzione segue
lo schema tipico della Compagnia: cortile centrale lasciato a giardino
su cui prospettano le camere e la loggia di raccordo con la cappella.
Il prospetto principale ha delle eleganti modanature in pietra grigia
mentre la facciata della chiesa si distingue per il gioco delle sporgenze
sottolineato dalle grandi sagome dei pilastri. La chiesa possiede ricchi
altari di marmo e alcuni quadri settecenteschi; pregevoli sono la statua
della Madonna del Soccorso e il crocifisso ligneo posto su uno degli altari
minori. Proseguendo per la via si incontrano il palazzo Falcone e il palazzo
Gerardi in bella architettura settecentesca, il palazzo Compagnini (bell'esempio
di stile liberty siciliano), il palazzo Municipale anch'esso settecentesco
ed attualmente in restauro. Si giunge infine su piazza della Repubblica
dov'è la Chiesa Madre (San Basilio). Ultimata intorno al 1764 fu
eretta su una preesistente costruzione cinquecentesca. La chiesa è
una grandiosa costruzione ad una sola vasta navata a doppia croce greca
sormontata al centro dei transetti, da due altre cupole di differente
ampiezza, finestrate e divise in otto spicchi. All'esterno la facciata
è costruita su uno schema curvilineo che imprime un rapido movimento
ascensionale a tutto l'edificio. Il prospetto della chiesa è fiancheggiato
dalla torre campanaria di forma piramidale alta circa 50 m. L'interno
colpisce per la sua vastità e altezza; le bianche e nude pareti
sono rotte da stucchi zebrati con lamine d'oro delicatamente dipinti che,
con la loro semplicità, conferiscono all'insieme un aspetto candido
e delicato. Tutta la navata e il presbiterio sono dominati dallo splendido
organo settecentesco rivestito in oro zecchino. Nel primo transetto a
sinistra si trova il maestoso altare di S.
Vito che si eleva per oltre 10 m ricco di colonne, di fondi di pregevole
marino rosso a larghe venature bianche e di altri marmi policromi. La
statua dei Santo che protende vittorioso la Croce, è opera dei
napoletano Giuseppe Picano. Pregevoli sono le tele degli altari minori,
opera di ignoti artisti, i 14 quadri seicenteschi raffiguranti la Via
Crucis, il quadro raffigurante la Sacra famiglia e il cinquecentesco quadro
della SS. Trinità che si trova nella sacrestia. Ci si inoltra successivamente
per via Plebiscito che si inerpica verso l'antico quartiere cristiano
dove palazzi del settecento un po' malconci si integrano con costruzioni
moderne che ne utilizzano in parte gli spazi, dando la sensazione di un
notevole disordine urbanistico. Da notare la facciata del palazzo Citelli
Fisicaro (1500-1700); il rudere della chiesa di Santa Maria degli Angeli
(o di Sant'Antonio da Padova) e la chiesa di Maria Santissima della Grazia
con annesso monastero delle Benedettine. Essa sorge al centro dell'antico
quartiere nella parte più elevata della città. La facciata
è in puro stile barocco con il tipico gioco delle sporgenze in
cui lo sconosciuto architetto riuscì ad esprimere il massimo dello
splendore del barocco regalbutese: il gioco luce-ombra si articola attraverso
un plastico portale che corona la monumentale scala di accesso alla chiesa
e attraverso le linee delle modanature e delle zone d'ombra create dalle
finestre e dal cornicione. L'interno straordinariamente sontuoso è
ricchissimo di decori e contrasta con la semplicità dell'impianto
architettonico. Accanto agli altari, una serie di statue poste su piedistalli,
in stucco levigato, assieme a putti in molteplicità di forme e
atteggiamenti che reggono targhe, riquadri e tendaggi, ne accentuano la
ricchezza. Il piccolo tempio intatto sino ad una ventina d'anni fa, si
trova in precarie condizioni. Accanto alla chiesa e collegato ad essa si
trova il convento, ancora sostanzialmente intatto nelle strutture. Nei
suoi fondaci dove un tempo furono le antiche carceri di Regalbuto si trova
oggi ubicata la biblioteca comunale "Citelli Morgana" I. Invia
Roma, dove sono i giardini pubblici, versa in stato di profondo abbandono
la chiesa della Madonna del Carmelo e il convento dei Carmelitani Si tratta
di una delle più antiche chiese del paese che esisteva già
all'inizio del 1400; a pianta ottagonale essa custodisce all'intemo delle
tele settecentesche di buona fattura e pregevoli altari in marmo policromo.
Dietro la chiesa si trova quel che resta del convento che, abbandonato
dai frati e confiscato dal governo, è stato venduto a diversi proprietari
che ne hanno snaturato le strutture. In via Vittorio Emanuele si può
visitare la chiesa del Purgatorio (San Rocco): attigua alla Chiesa Madre
è stata sede dei culto in suffragio dei defunti. Nell'interno da
notare un grandioso baldacchino di stucco addossato all'abside e lungo
i lati quattro altari rivestiti da interessanti dipinti. Proseguendo per
la stessa via si incontra il palazzo Azzaro (1700) e la chiesa di San
Domenico con convento dei Domenicani. Costruita all'estremità occidentale
dell'antico quartiere Saraceno, la fabbrica risale alla seconda metà
del cinquecento, rinnovata nel settecento come tutte le chiese del paese,
ne ricalca le tipologie barocche anche se poco resta all'interno, dei
suoi ricchi arredi. In via Dante, oltre al settecentesco palazzo Carchiolo,
si incontra la chiesa di San Sebastiano sede ed oratorio della omonima
confraternita. Di origine cinquecentesca è stata spogliata dei
preziosi arredi ad opera degli stessi confrati e riveste attualmente un
basso interesse. Una visita più accurata merita il quartiere di
Santa Lucia, parte estrema del quartiere Arabo Giudaico che conserva ancora
in parte l'antica struttura medievale. Da qui è visibile il Pianoro
di Monte San Giorgio (sito dell'antica Amèselon) e la contrada
Monte. La chiesa di Santa Lucia, situata sulla sommità del monte,
è un piccolo tempio rurale costruito su un preesistente luogo di
culto, di certo esistente alla fine del XV secolo, subì successivi
lavori di ripristino intorno al 1713. Essa è costituita da una
navata rettangolare e dall'abside su cui si erge l'altare e la nicchia
che custodisce il simulacro ligneo della Santa, tuttora oggetto di culto.
Percorrendo via Garibaldi possiamo farci un'idea precisa di quale poteva
essere un habitat arabo-siciliano (di cui diamo nell'apposito riquadro
una dettagliata descrizione). Interessante può rivelarsi una visita
ai monumenti esistenti fuori dall'abitato del paese in particolare della
cappella di S. Vito un piccolo edificio rettangolare dove era stato approntato
l'altare che doveva accogliere le reliquie dei Santo Patrono appena giunte
in paese prima della loro solenne e definitiva traslazione nella chiesa
Madre e della chiesa dei Cappuccini che nonostante le alterazioni mostra
ancora la sua originaria forma architettonica di stile goticonormanno.
In cima al colle di contrada Monte denominato San Calogero sorge il rudere
dell'omonima chiesa che ha oggi l'aspetto di una torre mozzata che domina
dall'alto l'abitato di Regalbuto. La tradizione vuole che essa sia stata
costruita sulle rovine dell'antica rocca saracena e che fa per molto tempo
la Chiesa Madre del paese. Variamente danneggiato nel corso dei secoli,
l'edificio subì vari rifacimenti fino al completo abbandono. Proponiamo
infine una breve escursione in contrada Cannavata poco distante dal paese,
dove su uno sperone roccioso, in un'area occupata da un più antico
insediamento rupestre, si può visitare la chiesa di S. Antonio
extra moenia. Camminamenti e scalinate intagliate nella roccia collegano
l'edificio con le grotte circostanti costituite da intagli artificiali,
con nicchie scavate nelle pareti ed altri interessanti dettagli come gli
anelli in pietra per legarvi animali, canalette per convogliare l'acqua
nella grande cisterna rettangolare di chiara origine bizantìna.
Tra i vari impianti dell'insediamento rupestre, merita particolare attenzione
un'opera singolare che alcuni identificano con un palmento, altri
con
un "paraturi" per la lavorazione della seta. Una terza interpretazione
suggerita da Venticinque e Monaco, supportata dalla toponomastica
del luogo e dalla tradizione popolare, identifica questo luogo come un
"trappitu" per la lavorazione della canna da zucchero. In questo
sito nel 1580 fu insediato un convento agostiniano di cui restano in piedi
solo il prospetto principale, parte del chiostro, la cisterna e parte
delle mura perimetrali. Requisito dallo Stato e successivamente privatizzato,
si trova in uno stato di estrema precarietà cui la civica amministrazione
vuoi porre rimedio recuperandone la proprietà per adibirla a nuove
funzioni.
Il lago Pozzillo
Il
lago artificiale Pozzillo é stato costruito con i finanziamenti
erogati dalla Cassa per il Mezzogiorno di proprietà dell'Ente Riforma
Agraria Siciliana (C.R.A.S.), ed attualmente in esercizio ENEL. La costituzione
di tale riserva si é realizzata eseguendo uno sbarramento sul fiume
Salso in prossimità della Contrada Pozzillo, in territorio di Regalbuto
a circa 4 Km dall'abitato, tale sbarramento sottende un bacino imbrifero
di 577 Kmq con una capacità di riserva di 141 milioni di mc, destinata
ad uso írriguo ed idroelettrico.
GEOLOGIA Il bacino
del fiume Salso comprende formazioni di terreni che vanno dal mesoizoico
(140 milioni di anni) a depositi attuali. L'area sull'invaso è
prevalentemente costituita da argille terziarie con rare intercalazioni
di Flysch Numidico. Specificatamente lo sbarramento è stato eseguito
lungo un affioramento per ovvi motivi geotecnici.
TIPO DI DIGA Il
tipo di diga è a cavità interamente di calcestruzzo, con
la zona centrale costituita
da blocchi in calcestruzzo delle dimenzioni 3x4x4 m accostati tra loro
e liberi di scorrere su giunti riempiti di ghiaia, compresa tra un tratto
a gravità massiccia in destra ed il manufatto per lo scarico di
superficie in sponda sinistra. Lo
sbarramento ha una massima altezza di 59 m con uno sviluppo al coronamento
di 358 m. La massima altezza raggiungibile dall'invaso è 366,50
m s.l.m.
UTILIZZAZIONE
TURISTICA DEL LAGO Per quanto riguarda
l'utilizzazione turistica del lago Pozzillo, poco si è fatto e
male, pertanto le svariate potenzialità di tale area sono come
dire "vergini". Solamente in questi ultimi anni con l'avvento
di sport relativamente poco costosi, si va utilizzando la superficie del
lago come area per praticare vela, windsurf, pesca. Le aree rimboschite
sono parzialmente utilizzate per scampagnate e pratica della mountain-bike
Il
quartiere "Saracino"
E'
senz'altro, tra i quartieri storici, il più vasto del paese. Esso
iniziava dall'odierno quartiere di S. Lucia e, costeggiando la chiesa di
S. Giovanni, si sviluppava lungo la via Garibaldi per terminare nell'attuale
contrada di S. Domenico. Malgrado gli sventrarnenti effettuati subito
dopo la grande guerra (1915-18), quali ad esempio quelli compiuti per
l'ampliamento di via Garibaldi, il suo successivo riassetto urbanistico
e recenti episodi di abusivismo edilizio, esso è riuscito a mantenere
sostanzialmente, l'impianto urbanistico che gli diedero i Saraceni quando
vi si trasferirono. Gli edifici, addossati l'un l'altro, sono spesso collegati
tra loro da archetti e passaggi sotto i quali si snodano vicoli, stradine
scoscese, scalinate. Gran parte della popolazione di questo quartiere
fino a pochi decenni or sono basava le proprie risorse quasi esclusivamente
sulle attività agricole e pastorizie: attività che hanno
perpetuato nei secoli consuetudini ed esigenze particolari, proiettandole
sull'architettura. Così spesso vediamo che le case sono state caratteristicamente
coordinate attorno ad un'area chiusa detta "azikka": vicolo
cieco riservato ad una o più famiglie dello stesso clan che, unite
in comunità, svolgevano qui tutti quei lavori necessari a soddisfare
i bisogni di ognuna di loro. La struttura specifica dell'abitato era condizionata
anche dal tipo particolare di produzione alla quale si dedicava la comunità,
sia questa agricola, pastorizia od
artigianale. Le abitazioni si affacciano lungo una strada principale detta
"shari" o si articolano intorno a strade chiuse secondarie,
con funzioni semipubbliche, dette "durub". Quasi sempre troviamo
anche altri elementi comuni nell'architettura dei quartiere: quali ampi
ballatoi aperti utilizzati per l'esposizione e l'essicazione dei prodotti
agricoli, scale esterne in pietra, stalle e fienili preceduti da porticatí,
e tutte le coperture dei tetti costituite generalmente da canne poggianti
su travature lignee ricoperte da coppi in terracotta. Infine la parte
intonacata delle case è spesso tinteggiata in bianco calce quando
non è lasciata completamente grezza. E' un tipo di tessuto urbano
che rispecchia la concezione araba dell'abitare. Nel mondo arabo le idee
religiose, magiche le considerazioni tradizionali e sociali precedevano
ed accompagnavano la costruzione d'un edificio; a maggior ragione
esse guidavano quelle comunità che, sprovviste di tecnici, partecipavano
collettivamente alla costruzione d'una casa. Alla lealtà per l'Islam,
concepita soprattutto in senso nazionale come una specie di patriottismo
confessionale, si mescolava (come anche oggi del resto) l'idea d'una fedeltà
ad un sistema di valori sociali superiori. La vita familiare (munalpahat),
istituzione primaria del mondo arabo, si ritrova sottoforma di grande
famiglia di tipo patriarcale. Questa struttura a egemonia maschile, accompagnata
dalle vivaci relazioni sociali tra gli uomini (musarakat) e dalla subordinazione
e clausura delle donne, era ed è un tratto radicato nei popoli
musulmani. Il "musulmano" restò fedele a questo modo
di costruire anche per ragioni ricolme di storia: per esempio la mancanza
di sicurezza che regnò per molto tempo fece sorgere case come vere
fortezze, Bisognava chiudere la casa dagli sguardi del passante, togliere
la vista dalla strada, sorvegliare giorno e notte in modo da garantire
e custodire la sopravvivenza della famiglia. Sono valori d'un mondo tradizionale,
idealizzato, con un ritmo flemmatico, calmo e pacifico nella sua vita
quotidiana, con la sua riserva sessuale assoluta per le donne e limitata
negli uomini. Un mondo quindi che se pur lontano dal nostro modo di vivere
ha fatto parte, e non per poco, della nostra storia.
Da
Venticinque, Monaco, Itinerai Storici di Regalbuto.
Genuine
tradizioni regalbutesi
Regalbuto
è un piccolo centro adagiato fra tre monti. Sembra quasi catturare
gli alberi d'ulivo e i mandorli che lo ornano. Giungendovi di sera, le
piccole luci mettono in evidenza la sua forma che rievoca inconscíamente
immagini fiabesche. Il quartiere più antico è 'A Cruci che
si di parte dalla via Amaselo. Anche se oggi è circondato da ogni
lato dall'editizia modema, serba il carattere arabo, è ancora compatto:
piccole abitazioní con scale ripide ed archi caratteristici, lucernari
ovali o quadrati. Conserva ancora oggi l'antica suddivisione in quartieri
"Santu Gnaziu " quartiere antichissimo adagiato nella parte più
bassa del paese, "achiazza centro storico dove è ubicato il
palazzo di città, "supra i fò ", "u saracinu
" dal cui nome si evince la dominazione saracena, 'l'uortu u signuri"
e "u sirruni ". Nelle manifestazioni regalbutesi c'è
un'anima popolare che si collega allo spirito creativo e alla capacità
di reazione all'indifferenza dei potenti. Particolarmente vivace e folcloristico
è il "Carnevale regalbutese " in passato molto rinomato
in tutta l'isola. Era usanza vestirsi in domino eportare gli amici al
bar e fin quando l'amico non riconosceva l'incappucciato, questi aveva
la possibilità di ordinare tutto quello che desiderava. Molto belli
i carri e le contradanze che venivano preparati molti mesi prima. Il 19
marzo per la festa di San Giuseppe chi ha ricevuto una grazia, imbandisce
"a tavulata" detta anche "festa di virgineddi ". Nella
"tavulata" c'è di tutto, come dicono i regalbutesi "ognì
tipu di pitittu ": dai ceci alle olive, dalle uova alla pasta e piselli,
dalle frittelle ai "cudduruna", dall'uva alle arance. Tutto
è a disposizione di tutti, comunque gli invitatì privilegíati
sono "i virgineddi" e "a vicchiania ". Sulla tavola
non deve rimanere niente perchè "u sciurinari" non è
permesso. Poco distante dalla tavola viene approntato un altare con l'effige
di San Giuseppe intorno al quale le donne recitano il rosario. Da non perdere
la festa di San Vito, patrono del paese. Durante i festeggiamenti i fedeli,
per tutte le vie princípali portano "addauro ", l'alloro,
a farlo benedire pregando: "e gridamu e gridamu cu cori cuntritu
viva Diu e Santu Vitu ". E'in questo periodo (primi di agosto) che
si svolge la fiera del bestiame e la corsa dei cavalli. In estate nella
cittadella dello sport che si trova nel lago Pozzillo, vengono organizzati
tornei e manifestazioni culturali.