Avrei
voluto chiedere a Ulli che cosa spinge un giovane psicologo tedesco
ad abbandonare il suo paese per finire nel posto più sperduto
del Mediterraneo, a potare capperi d'inverno e fare i trasporto con
ì mulì d'estate. Avrei voluto chiederglielo, ma la risposta
era già nei suoi occhi intensi, nei suoi gesti rapidi, nel passo
svelto lungo i sentieri appena abbozzati tra le sciare. Forse la risposta
è proprio H, in quelle case spruzzate sopra la pietra scura di
lava, le loro pareti bianche, il pulsare dello Stromboli sotto i piedi.
E' difficile andare via da Ginostra, è difficile pensare, quando
te ne sei andato, che quel posto esisteva davvero. Ginostra è
un pugno di case nell'isoletta dì Stromboli, la più lontana
dell'arcipelago eolíano. E' il posto più remoto del Mediterraneo,
ancora più lontano delle tre ore di aliscafo che la separano
da Milazzo. Il minuscolo approdo di Pertuso è grande quanto una
vasca da bagno. Dicono che sia il più piccolo del mondo; i turisti
arrivano con il traghetto e aspettano al largo finché non arriva
il "rollo", che ancora oggi esce con una barchetta per andare
a prenderli. D'inverno rimangono solo una trentina di persone, la sera,
solo un paio di luci sono accese dentro le case. D'estate diventano
dieci, cento, mille volte di più. Ginostra come terra estrema,
come punto di confine: rifugio della sinistra avanzata o di chi è
alla ricerca di un misticismo perduto altrove; ma anche posto esotico
per gente con il vestito bianco, il volto abbronzato e il portafoglio
rigonfio. Bella Ginostra, bella per passarci due settimane l'anno. Difficile
restarci, viverci per sempre, quando inizia a fare freddo, il mare s'ingrossa
e si può rimanere isolati per settimane.. Per questo qui il progresso
ha avuto un effetto strano, dirompente. L arrivato dentro uno spesso
fascicolo della Regione pieno di calcoli e di dati, un paio di pareri,
qualche bella frase e una soluzione: bisogna fare un porto nuovo, spenderemo
quattro miliardi e lo faremo alle Secche di Lazzaro. Lazzaro è
una punta di scogli a due chilometri di distanza dal centro abitato.
Per arrivarci c'è solo una mulattiera franata. "E' ovvio,
il porto è solo il primo passo, poi dovranno fare la strada e
poi vorranno passare con le macchine e quindi costruiranno le case".
Aiméé Carmoz è invecchiata in quest'isola. Anche
lei ha deciso di lasciare il suo paese per vivere qui, in mezzo a una
nuvola di gatti."A noi non interessa il Paradiso, chiediamo solo
di vivere come tutti gli altri, avere gli stessi diritti degli altri
cittadini italiani". Mario Lo Schiavo invece quel porto lo vorrebbe,
e lo vorrebbe proprio a Lazzaro. Lui è nato ed è sempre
rimasto a Ginostra. Da sempre ha lavorato come "rollo", e
adesso non vuole che siano gli "stranieri" a decidere cosa
devono fare della sua terra. Ma ci sono anche ginostresi a non volere
il porto a Lazzaro. La popolazione si è trovata presto divisa
in due parti: trenta persone che si incontrano cento volte al giorno
e che per cento volte si scrutano, si evitano e non si salutano. Ginostra
dunque come frontiera, come simbolo di un progresso che rischia di arrivare
a cancellare tutto. Anche qui come altre volte, anche qui come altrove.
Un progresso che, ancora una volta, ha la faccia degli onorevoli, le
promesse dei burocrati, l'affanno dei sindaci, il fragore delle ruspe
che divorano terra e storia. Uno scontro che con il tempo è diventato
aspro, a volte violento. Qualcuno ha dato fuoco ad una casa, un incendio
doloso stava per inghiottire le prime abitazioni del paese. Quelli della
Legaambiente, che più degli altri si sono battuti per impedire
che tutto si risolvesse in una nuova speculazione, non mi nascondono
di avere avuto paura e subito anche
qualche minaccia. Ginostra è anche questa. Una storia di piccoli
inganni, di strane decisioni, di sentenze discutibili. Per raccontarla
si potrebbe partire dall'85, quando la compagnia di aliscafi del Siremar
pensa a un nuovo approdo e ritiene che il posto migliore sia proprio
il vecchio Pertuso. Oppure dall'87 quanto la Regione per la prima volta
parla del progetto da fare alle Secche di Lazzaro. Il comandante della
Siremar non è d'accordo, dice che le condizioni del mare e dei
venti sconsigliano questa scelta. La sconsigliano anche i vulcanologi:
questo è pur sempre un vulcano, scrivono, e può esplodere
da un momento all'altro e non è tanto logico doversi fare due
chilometri a piedi prima di scappare dall'isola. Ma i lavori iniziano
lo stesso. L'impresa in due anni riesce a mettere solo ventiquattro
cassoni e un paio di pali di sostegno. Poi arriva il blocco ordinato
dal ministero dell'Ambiente. Ma il Consiglio di giustizia amministrativa
ordina di riprenderli, perché, sostiene, sono già a buon
punto. E così il ministro dovrà bloccarli un'altra volta.
Infine, l'ultimo capitolo, lo scorso Natale. Il sindaco Tommaso Carnevale
dichiara inagibile il Pertuso: pericolo di frane e caduta massi. Quattro
mesi di isolamento e una parte della popolazione costretta ad andarsene
via. Bel coraggio quello mostrato dal sindaco e dal presidente della
Regione Campione nell'atterrare con l'elicottero sul molo del pericolo.
Bella prova di efficienza quella del sindaco che dice che in dieci giorni
rimetterà
a posto il vecchio approdo, solo dopo aver avuto assicurazione da Campione
che il porto si farà a Lazzaro. Coraggio ed efficienza che a
qualcuno fanno dubitare che ci fosse veramente pericolo. Lasciando
l'isola e ritornando verso Milazzo tutto diventa presto un ricordo.
Ti sembra lontana la storia di questo porto che tutti vogliono ma che
ognuno vuole da una parte diversa. Sembrano lontani i racconti degli
scontri e delle denunce, delle minacce e degli incendi. Ti ritornano
in mente solo le piante di capperi, i gesti della gente, Carolina e
Sirena, le due asine di Ulli, o Tais, il cane che mi è venuto
a salutare prima di partire. Ricordi la Ginostra specchiata nel viso
di Zà Vincenzina che stende i suoi panni davanti casa e dice
che non se ne andrà mai, o di Carlo Ciccotto che davanti al suo
ufficio postale perennemente vuoto guarda una decina di
gatti
che si contendono una piccola scodella. Ginostra è questa, è
quel passo svelto di Ulli che sale instancabile per i sentieri, ci mostra
cos'é questo paese nel mondo e perché lui ha deciso di
viverci per sempre. E' difficile capire cosa c'entrino il presidente
della Regione, gli esposti, la carta bollata in un posto come questo.
Né, forse, arrivando in elicottero o restando un paio di giorni,
si potrà mai capire che cos'é veramente Ginostra.