
Un
luogo incredibilmente ricco di storia e di particolari da scoprire ma
anche di una curiosa rivalità tra due centri nati dalla stessa città,
tanto gelosi l'uno delle prerogative dell'altro da fare di Ragusa una
città dai due volti, di cui il pili antico, Ibla, sembra sospeso in una
dimensione senza tempo.
La città dai due volti
L'
incontro con il Giano è sempre complicato. Bisogna esser pronti a tollerare
le sue due facce, diverse e spiazzanti. Acquistando consapevolezza delle
prerogative del di fronte tutto diviene più semplice e si impara a districarsi
tra tanta ambiguità. Così, Ragusa, proprio come il Giano, mostra ì suoi
due volti, talmente diversi da imporre al comune due nomi: il primo, Ragusa,
è quello di una città moderna e vivace, importante centro commerciale
ed amministrativo, capoluogo di provincia; l'altro si chiama Ibla, sonnecchiosa
ed ammiccante, vecchia e suggestiva. Il complesso urbano ragusano si sviluppa
su tre colli separati dalle cave di San Leonardo e di Santa
Domenica e caratterizzato nei suoi edifici più importanti dal classico
tardo-barocco siciliano, esploso dopo il terribile sisma che sconvolse
il Val di Noto nel 1693. Lo stile architettonico della ricostruzione unisce
in parte Ragusa Superiore ed Ibla. La prima è nata praticamente dopo il
sisma, con una pianificazione che comprendeva la strutturazione di un
impianto urbano regolare che si sviluppa a scacchiera sulla collina del
Patro. Ibla invece, antecedentemente al terremoto, doveva preservare nonostante
la ricostruzione - la classica disposizione a presepe dell'abitato oltre
che alcune interessanti emergenze architettoniche precedenti il 1693.
I due centri sono tenuti insieme dalla scalinata che si diparte dal santuario
di Santa Maria delle Scale, un edificio religioso che si affaccia sii
Ibla dalle ultime propaggini della più alta Ragusa Superiore. E' una vicenda
storica molto particolare quella che ha determinato la rivalità tra i
due centri, molto più diversi tra loro di quanto non faccia sospettare
la diversa dislocazione altimetrica e il differente impianto urbano. I
contrasti, nati all'indomani della ricostruzione post-sisma, raggiunsero
l'apice nel XIX secolo per le difficoltà degli abitanti di Ragusa Superiore,
centro in continua espansione, di dover vivere in totale dipendenza amministrativa
e dei servizi da Ibla. La crisi divenne talmente insostenibili e da imporre
una separazione amministrativa tra le due città, che avvenne cori decreto
governativo aprendo una fase di separazione che perdurò sino al 1926.
Un anno dopo, Ragusa, divenne anche capoluogo di provincia essendo state
poste le basi, con il miglioramento delle vie di comunicazione e del sistema
dei servizi, per un'espansione razionale di una città moderna ed efficiente.
E tuttavia, quella antica divisione è ancora viva, soprattutto tra le
persone più anziane o nella rivalità tra le feste dei due santi più importanti
del capoluogo, San Giovanni, il santo di Ragusa Superiore, e San Giorgio,
la cui fastosa chiesa domina Ibla. Volete un esempio di questa rivalità?
Una bella e fresca sera d'estate, durante una deliziosa passeggiata per
i sentieri fioriti del Giardino Ibleo ad Ibla, una anziana e simpaticissima
signora, compreso che non eravamo del posto, ci si è avvicinata raccontandoci
qualcosa del suo paese e lasciando trapelare dal tono appassionato della
sua voce il suo grande amore per la città in cui era sempre vissuta. Dal
canto nostro non abbiamo potuto fare a meno di dirle "com'è bella
Ragusa" E lei, non nascondendo più di tanto un certo fastidio per
la nostra dabbenaggine: "Questa non è Ragusa... è Ibla! "
Cenni storici sulle origini di Ibla.
La
storia degli insediamenti umani nel sito su cui sorge attualmente Ragusa
è antichissima, basti pensare che tracce di essi nei dintorni della città
sono state datate sin dal 111 millennio a.C. E' facile constatare la qualità
e la quantità di questi insediamenti visitando il Museo Archeologico
che è ubicato a Ragusa Superiore. In particolare, tra il IX e VIII sec.
a.c., si sviluppano evidenti soprattutto nelle necropoli con tombe a forno
e a grotticelle che affollano le pareti delle cave della zona. Ibla, come
ancora oggi appare evidente, è legata ad una posizione strategica invidiabile.
La collina sii cui sorge, ricca d'acqua, domina l'alto corso dell'Irminio,
uno dei più importanti e grandi fiumi iblei, che nasce dal Monte Lauro
qualche chilometro più a nord. L'abbondanza d'acqua, la posizione dominante
a controllare una vasta arca e la naturale fortificazione del sito convinsero
i Siculi, che si ritiravano verso le terre più interne sotto la pressione
costiera dei Greci, ad edificare qui la loro roccaforte, quella che secondo
alcune fonti doveva essere Hibla Heraia. Legata a filo doppio con
la città di Kamarina, colonia della potente Siracusa, Ibla conobbe fasi
alterne di ricchezza e decadenza, proprio perché questo legame la costringeva
a seguire le diverse vicissitudini della cittadina greca sulla costa.
1 rapporti con Kamarina consentirono comunque ad Ibla di intrecciare proficui
rapporti commerciali con le altre città della costa, almeno sino all'invasione
Cartaginese che produsse la distruzione della città greca. Agli occupanti
Cartaginesi si sostituirono, intorno al IV sec. a.c., i Romani. La dominazione
romana fu, almeno
per questa parte della Sicilia, fattore di grande decadenza in particolare
per quelle genti che vivevano di agricoltura e pastorizia. Le terre vennero
confiscate dai dominatori che le assoggettarono al demanio praticando
una sorta di feudalesimo di stato. Abbandonati campi e pascoli, le terre
rinselvatichirono. Ne migliorò la condizione dei contadini con l'avvento
dei Bizantini a partire dal IV sec. d.C. Sotto l'Impero Romano d'Oriente,
Ibla, diviene però un grosso centro abitato difeso, oltre che dalla strategicità
del sito anche dall'edificazione di possenti mura di cinta. Nell'868 i
Musulmani conquistano Ibla facendola divenire città tributaria ed importante
centro politico-economico per una vasta arca. Ma il dominio
arabo rappresenta soprattutto una chiara fase di svolta particolarmente
per le nuove politiche di gestione delle terre con la frammentazione del
latifondo ed il ritorno di parti consistenti della popolazione al lavoro
nei campi ed alla pastorizia. L'abbandono della scellerata politica latifondista
produsse grandi benefici per tutti, anche per l'introduzione di nuove
varietà vegetali provenienti dall'oriente e che hanno finito per caratterizzare
il paesaggio ibleo come il carrubo, divenuto un vero e proprio simbolo
della zona, l'ulivo, il ficodindia. Ma non è tutto qui, in questi due
secoli di dominazione araba Ibla sviluppa anche fiorenti attività artigianali
ed industriali, in particolare per la lavorazione della seta, intrecciando
proficui scambi commerciali. Sembrava insomma che tutto andasse per il
verso giusto, ma l'arrivo dei Normanni con il loro carico di opprimente
feudalità, a tratti persìno eversiva, rimise in discussione i privilegi
acquisiti dai ragusani. Quale miglior pretesto di una bella crociata contro
gli "Arabi infedeli", condotta con scaltrezza e con il favore
del clero e della Chiesa fatti oggetto di donazioni di terre ed edifici
- per strappare ai poveri contadini i fazzoletti di terra faticosamente
resi fertili dopo secoli d'abbandono?
Ricompattata la proprietà della terra in poche mani, i fertili campì dell'altopiano
tornarono ad impoverirsi sino a quando non fu istituita l'enfiteusi e,
successivamente, venuto meno il giogo feudale la cui decadenza subì una
brusca accelerazione all'indomani della Rivoluzione Francese (1789). Ma
a questo arriveremo dopo. Ragusa, sconfitti gli Arabi, divenne sede di
contea con Goffredo, figlio di Ruggero il Normanno e successivamente passò
sotto il controllo della potente famiglia dei Chiaramente che, con Manfredi,
unificarono il suo territorio con quello di Modica. Nasceva così la Contea
di Modica (1296). Congiure di palazzo, cospirazioni, tentativi eversivi
ai danni della corona, finirono per avere un effetto diverso da quello
voluto e la famiglia Chiaramente cadde in disgrazia. A prender possesso
della Contea giunse campagne ed a coltivarle aiutati dai provvedimenti,
di enfiteusi, la divisione delle terre dietro tiri compenso periodico
attribuito ai latifondisti tutto sommato non eccessivamente gravoso. Di
questo si è occupato Leonardo Sciascia nel suo lavoro Fatti diversi
di Storia letteraria (Sellerio, Palermo): 1l contadino non vi era
proprietario a pieno titolo, ma una forma di enfitesui non gravosa, revocabile
soltanto per il mancato pagamento del canone e trasmissibile in eredità,
creava una condizione di interessato attaccamento alla terra quasi se
ne avesse la piena ma aperto a un sagace reinvestimento di una parte di
quel reddito in opere di miglioria, di bonifica: che secondo il viceré
Caracciolo era appunto quel che ci voleva, ma quasi nessuno pensava di
fare, per l'agricoltura siciliana". Nel 1693 il terribile sisma che
sconvolse la Sicilia orientale ed in particolare il Val di Noto, rase
al suolo praticamente tutta Ibla. La popolazione, funestata dall'evento
luttuoso, si spaccò letteralmente in due tra coloro che vollero abbandonare
il vecchio sito di Ibla edificando la Ragusa Superiore e coloro che invece,
più legati alle proprie origini, decisero di rimanere riedificando una
nuova città sulle rovine della vecchia. Della divisione tra le due città
abbiamo già parlato. Entrambe, Vale la pena di ricordarlo, rappresentano
tra i luoghi di maggiore splendore del tardobarocco siciliano, i cui fasti
e le cui imponenti manifestazioni scenografiche sembrano avere un contenuto
catartico notevole, la rivalsa dell'uomo sugli eventi naturali cataclismatici.
La ricostruzione, in ogni caso, modificò il paesaggio nelle immediate
vicinanze di Ibla, non soltanto perché accanto ad essa sorse una nuova
città, ma anche per l'estrazione massiccia di materiali da costruzione
dalle latomie ragusane. lx potenti famiglie ragusane edificarono palazzi
di straordinaria eleganza e le chiese risorsero più grandi e maestose
di un tempo, spesso sulle fondamenta dei vecchi edifici crollati, di cui,
alcune conservano ancora parziali elementi costruttivi. dalla
Spagna Bernardo Cabrera, personaggio il cui cinismo, e la cui potenza,
temuta persino dai sovrani di Palermo, sono entrati nella leggenda. Sotto
di liti la Contea di Modica divenne talmente potente da divenire "Regnum
in regno", un regno nel regno dotato di una larghissima autonomia
amministrativa che gli consentiva di esportare vasti quantitativi di merci
in franchigia ed addirittura di coniare moneta in proprio. Inutile dire
che la ricchezza della Contea, straordinaria in questa fase
storica, era totale appannaggio di pochi mentre il grosso della popolazione
era condannato
a vivere in condizioni miserevoli sotto lo spietato giogo feudale. Successori
dei Cabrera furono gli Henriquez, imparentati con i reali di Spagna, che
vissero da lontano e con un certo distacco il loro ruolo di conti di Modica.
Questo allentò la pressione feudale sugli abitanti che faticosamente ripresero
a ripopolare le proprietà. Attaccamento volto non solo a tiri accrescimento
del reddito, Tracciare un itinerario per le strade di Ibla è un'impresa
complessa, non tanto perché non vi siano cose da vedere, quanto perché
consigliare un percorso per vedere le tante che vi sono implica l'automatica
esclusione di un altro, altrettanto pittoresco e suggestivo. Forse la
cosa migliore sarebbe di perdersi per il dedalo delle sue stradine, per
la stia fitta rete di scale, vicoli e cortiletti, alla ricerca del suo
cuore antico, della stia essenza più vera e delle meraviglie che si celano
ad ogni suo angolo. In questo caso non ci sono guide migliori dei suoi
abitanti, con la loro eccezionale ospitalità , pronti ad indicarci scorci
nascosti di grande fascino, "raccontandoceli" con l'orgoglio
di chi sa di vivere in un posto unico, così ricco di
storia e di memorie. Per visitare Ibla come ci ha lasciato scritto il
mai abbastanza compianto scrittore comisano Gestialdo Bufalino - "ci
vuole una certa qualità d'anima, il gusto per i tufi silenziosi e ardenti,
i vicoli ciechi, le giravolte inutili, le persiane sigillate su uno sguardo
nero che spia; ma anche si pretende la passione per le macchinazioni architettoniche,
dove la foga delle forme in volo nasconde fino all'ultimo il colpo di
scena della prospettiva bugiarda". Noi, comunque, un percorso per
le vie di Ibla l'abbiamo seguito, anche se ci siamo fidati molto del nostro
istinto e delle sensazioni raccolte
dalla gente del posto. Abbiamo cercato prima di inquadrare la città nel
suo insieme, godendo dello straordinario scenografico del suo impianto
a presepe. Siamo così saliti sino al Santuario della Madonna
delle Scale dinnanzi al quale sta proprio un magnifico belvedere da
cui godere quel magnifico colpo d'occhio che cercavamo. Difficile distogliere
lo sguardo da quel panorama e altrettanto complicato è resistere alla
tentazione di farsi fotografare con quell'impareggiabile sfondo. Alle
nostre spalle sta comunque la bellissima Chiesa di Santa Maria delle Scale,
edificio religioso che merita, per alcune sue pregevolezze, una visita
più che attenta. La facciata, accanto a cui si innalza la torre campanaria,
è rivolta a nord-ovest, in direzione di Ragusa Superiore, mentre l'ingresso
alla chiesa è collocato sulla navata sinistra. La chiesa ha una storia
antica: costruita nel XIII secolo, dell'impianto originale, dopo il sisma
del 1693, è rimasta solo la navata destra. Proprio i portali
che introducono su questo lato dalla navata centrale sono gli elementi
di maggior pregio dell'edificio. i quattro portali, veri gioielli di architettura
medievale, si presentano in stili e dimensioni differenti: il primo, il
più piccolo, presenta una arco a sesto acuto in stile gotico, prodotto
dalla confluenza di dite eleganti colonnine finemente scolpite; il secondo,
La
vecchia Ibla offre un'immagine di sè orgogliosa e compiaciuta, con quel
suo modo di essere in una dimensione senza tempo. Senza tempo appare ogni
suo angolo, e così i mascheroni, le mensole, le chiese imponenti e scenografiche
e poi stradine, vicoli, cortiletti e ripide scalinate...
Una
certa qualità d'anima...
ch'esso
con arco a sesto acuto in stile gotico, è impreziosito da eleganti decorazioni
riproducenti motivi floreali, scimmie, draghi e serpenti; si presenta
circoscritto da due esili colonnine sormontate da due angeli e, sull'arco
a sesto, sovrasta il portale una figura di Madonna con il Bambino; il
terzo portale, il più alto, si discosta dagli altri per lo stile rinascimentale
con cui è stata effettuata la sua ricostruzione dopo un terremoto nel
'500; il quarto è formato da fasci di colonnine intrecciate e confluenti
a formare l'arco in stile gotico; esso si apre su un altro portale,
il più elegante per le preziose sculture di cui è
ornato, che si apre su un bel dipinto raffigurante le Anime
del Purgatorio. Ritornati all'esterno della chiesa, subito davanti
ad essa, vi è una scalinata che si inoltra in lui sottopassaggio. Sempre
guardano verso Ibla e il fondo valle, a poche decine di metri in linea
alla nostra sinistra, si vede il bel campanile della Chiesa della Madonna
dell'Idría, con gli eleganti motivi decorativi gialli e verdi.
Orientandoci cori il campanile, raggiungiamo questo secondo edificio religioso,
scendendo per le scale verso valle. La fitta traina di scale e sottopassaggi
ci condurranno, attraverso il Quartiere
degli Archi, sino ad un complesso di edifici barocchi comprendenti oltre
alla Chiesa della Madonna dell'Idria anche i bellissimi palazzi della
Vecchia Cancelleria e Cosentini. Completato nel 1760, Palazzo
Nicastro o della Vecchia Cancelleria è attualmente in parte occultato
dalle impalcature montate per il suo restauro. Una copertura tuttavia
insufficiente ad impedire di apprezzare gli splendidi decori delle mensole
che sorreggono i balconi e le loro elegantissime ringhiere barocche in
ferro battuto. Dell'adiacente Chiesa della Madonna dell'Idria
si può dire che essa sia nata tre volte, la prima come edificio religioso
bizantino, la seconda, nel 1626, come chiesa attribuita all'Ordine dei
Cavalieri di Malta - sono ancora evidenti all'interno dell'edificio le
croci dell'Ordine - e la terza nel 1739, frutto della ricostruzione post
terremoto. Non è del tutto chiara la fase storica in cui
la chiesa fu dedicata alla Madonna dell'Idria; precedentemente
il Titolare era San Giuliano. Il culto della Madonna dell'Idria
è di norma evocativo di carenze d'acqua,
in questo caso invece, per la presenza al di sotto della chiesa di una
ricca sorgente, veniva praticato come auspicio che una tale ricchezza
non venisse mai meno. La facciata a dite ordini sovrapposti riproduce
la divisione interna a tre navate e presenta al centro un grande portone
ai cui lati vi sono due paraste ornate da sculture corrose dal tempo.
Al di sopra dell'arco semicircolare del portale d'ingresso
si trova una cornice che racchiude eleganti sculture ed ancora più in
alto tre cornicioni sormontati da una finestrella. I due portoni laterali,
più poveri, sono sovrastati da due finestrelle circolari con le cornici
finemente intagliate. Il secondo ordine, completato in alto da un frontone
triangolare, presenta al centro una finestra e lateralmente due balaustre
cui si sovrappongono due modanature. Sulla sinistra si erge un bel campanile
sorretto da una torre a pianta quadrangolare. Belle le rifiniture del
campanile con balaustra e cuspide a cupolino ottagonale arricchita da
una copertura di mattoni con disegni di vasi gialli e foglie verdi. Dalla
parte opposta alla torre campanaria, su una parete dell'edificio, è rimasta
inglobata una porzione di colonna della vecchia chiesa distrutta dal terremoto.
La chiesa è in continuità con
il sottostante Palazzo Cosentini, di cui fa bella mostra di sè il magnifico
portale barocco riccamente decorato. La continuità tra i due edifici non
è casuale in quanto la chiesa appartenne, dopo la sua ultima ricostruzione
proprio alla famiglia Cosentini. L'interno della Chiesa della Madonna
dell'Idria presenta le tre navate divise da due file di colonne corinzie.
La prima cappella della navata destra è separata dalla navata centrale
da una balaustra in pietra nera, in realtà comune pietra calcarea oscurata
dalla millennaria permanenza a contatto con il petrolio di cui il sottosuolo
ragusano è ricco. Il fondo della stessa cappella, oggi occupato da un
affresco, rappresentava un tempo la via di comunicazione tra la chiesa
e Palazzo Cosentini. A sinistra della cappella una porta conduce alla
sacrestia dove è conservata una porzione di colonna facente parte dell'originaria
struttura bizantina. In fondo alla navata sinistra si trova tino bel dipinto
di Mattia Preti,
detto il Calabrese, raffigurante San Giuliano e San Giovanni (XVII sec.).
Nell'abside, al centro di una bella tribuna secentesca barocca, vi è la
statua della Madonna che un tempo veniva portata in processione il 15
settembre. Per non far pesare l'assenza della Madonna dalla sua abituale
postazione, nei giorni della festa un complesso meccanismo spostava un
dipinto - oggi coperto per restauri e posto lateralmente nella parete
dell'abside - a coprire il vuoto nella tribuna. Attualmente la statua
della Madonna non lascia più il suo posto nell'abside perché la stia veneranda
età e la delicatezza soprattutto degli abiti in stoffa originale, ne hanno
consigliato la sostituzione con una statua più nuova per la processione.
Usciti
dalla chiesa e continuando a scendere, lasciandoci sulla sinistra Palazzo
Cosentini, giungiamo su Corso Mazzini che percorreremo sino a piazza della
Repubblica su cui si affaccia la Chiesa delle Anime del Purgatorio
e di Tutti i Santi. Al sagrato si accede per una bella scalinata recintata
nel secolo scorso da una ringhiera opera del maestro di Acireale Angelo
Paradiso. Il prospetto a dite ordini riproduce la divisione interna a
tre navate delimitate sulla facciata da due coppie di colonne scannellate
con capitelli corinzi, Il portone centrale presenta l'arco semicircolare
sormontato da una serie di sculture tra cui cinque puttini ed ai lati
due colonnine finemente scolpite; più in alto due piccole nicchie contengono
due statuette. Al di sopra dei due portoni laterali,
con architravi scolpiti, si aprono due finestre. Il secondo ordine, chiuso
in alto da un frontone triangolare, presenta al centro un ampio finestrone.
Il campanile a pianta quadrata e con orologio si innalza sii una roccia
staccato dal corpo principale della chiesa. Secondo la tradizione, ai
tempi dell'Inquisizione, grossi anelli di ferro, fissati sulla facciata
della chiesa, servivano per legare i bestemmiatori. L'interno è diviso
in tre navate da due file di sei colonne corinzie e presenta nell'abside
centrale quattro colonne corinzie che incorniciano il pregiato altare
in marmo sormontato da una grande dipinto di Francesco Manno, detto Francescone
(1754-1831), raffigurante le Anime del Purgatorio e Tutti i Santi. Il
resto dell'interno è caratterizzato da statue, quadri di Santi, tra cui
spiccano nel primo altare della navata sinistra una pala secentesca cori
tre statuine raffiguranti da sinistra Santa
Lucia, San Rocco e Sant'Agata. Usciti dalla chiesa si segue per pochi
metri via del Mercato sino ad imboccare, a destra, la Salita dell'Orologio,
una stretta scalinata che si inerpica per un breve tratto verso la parte
più alta di Ibla attraversando archi e sottopassaggi. Quello che si attraversa
è uno dei luoghi più suggestivi di Ibla, proprio uno di quelli che conviene
percorrere lascandosi guidare dalle proprie sensazioni, magari alla ricerca
in noi di quella certa qualità d'anima... La prossima tappa è la grande
Chiesa di San Giorgio la cui maestosa cupola si scorge dopo aver
raggiunto la parte più alta di Ibla senza trascurare di osservarne ogni
angolo. Orientandoci con l'imponente costruzione iniziamo la discesa ancora
per strette stradine, scale e vicoletti che, di tanto in tanto, si aprono
su silenziosi cortili o su affascinanti scorci dei tetti tegolati delle
case. E' una discesa allietata dalla sempre maggiore consapevolezza di
possedere quella data virtù ed effettuata incuranti del trascorrere
del tempo proprio come sembrano non curarsene più di tanto gli sguardi,
tutt'altro che freddi, dei mascheroni in pietra e dei motivi antropomorfici
delle mensole dei balconi e dei portali dei palazzi che sembrano scrutarci
nel nostro cammino. Giunti in piazza Duomo possiamo goderci la scenografica
facciata barocca dell'imponente Chiesa di San Giorgio, opera dell'architetto
Rosario Gagliardi che la progettò all'indomani del terremoto del
1693. L'edificio è certamente quello che più di ogni altro, ad Ibla, incarna
il valore catartico del tardo-barocco, capace com'è di esorcizzare con
la sua mole e la ricercatezza delle forme ardite, l'evento luttuoso del
tremendo sisma che sconvolse il Val di Noto. Sul luogo su cui si erge
oggi la chiesa, prima del terremoto sorgeva un edificio religioso dedicato
a San Nicola che aveva a sua volta sostituito, con l'avvento del Cristianesimo,
un tempio romano dedicato al dio Vulcano. 1 lavori di edificazione di
San Giorgio ebbero inizio nel 1739 ed ebbero fine nel 1795. La maestosa
cupola è una sovrapposizione successiva risalente alla prima metà del
secolo scorso. Al sagrato si accede attraverso un'ampia scalinata (54
gradini) recintata da una pregevole
ringhiera in ferro battuto opera del "maestro" Angelo Paradiso
(1890). Il cancello d'ingresso alla scalinata è sormontato da una statuetta
in ferro di San Giorgio a cavallo. Colpisce subito la posizione leggermente
spostata della chiesa rispetto all'asse di simmetria dell'ampia piazza
su cui si affaccia. Secondo una credenza popolare questa posizione fu
voluta dal'Gagliardi perché la chiesa guardasse ad oriente verso il punto
esatto verso cui sorgeva il sole. La facciata si presenta a tre ordini
sovrapposti, riproducendo l'atteggiamento architettonico caro al Gagliardi
con l'elevazione a torre dell'edificio riscontrabile anche in altre sue
opere come la Chiesa di San Giuseppe, altra meta della nostra visita ad
Ibla, e nella Chiesa di San Giorgio a Modica.
La separazione degli ordini è operata da artistici cornicioni di gusto
rococò. nel primo ordine è evidente la divisione interna a tre navate,
marcata da dieci colonne corinzie, tre per ogni lato del portale centrale
e due coppie ai margini della facciata. Il portale centrale è sormontato
da una cornice angolare arricchita da festoni e dalle statue di due angioletti
che sorreggono la scritta Mater Ecclesia. Ancora sopra una lunetta
che si ritrova, meno ricca, su ognuno dei due portali laterali
dove è sovrastata da una finestra dai vetri colorati raffiguranti le simbologie
del martirio di San Giorgio.
Le due coppie di colonne laterali si perdono nel secondo ordine sostituite
da eleganti volute che sorreggono due statue equestri raffiguranti San
Giorgio (a sinistra) e San Giacomo. centralmente si ripropone lo schema
a due terne di colonne corinzie che nel secondo ordine racchiudono un
finestrone con una cornice riccamente intagliata e chiuso da vetri colorati
con un disegno che riproduce San Giorgio a cavallo che uccide il drago.
Nell'ultimo ordine si trova la cella campanaria ai cui lati vi sono due
volute che sorreggono le statue dei Santi Pietro (a sinistra) e Paolo
e, più all'interno, due colonnine corinzie decentrate rispetto alle terne
degli ordini inferiori. Per accedere alla torre campanaria è necessario
per una stretta scalinata di 120 gradini. A chiudere il prospetto principale
della chiesa è l'orologio sormontato dalla cuspide con in cima un globo
che sorregge una croce. Ai lati dell'orologio due volute recanti due vasi
finemente intagliati. La cupola, che abbiamo potuto ammirare precedentemente
circondata dai tetti delle case più alte di Ibla, è in stile neo-classico,
opera del capomastro ragusano Carmelo Cutraro. Alta 43 metri dal pavimento
della chiesa e sorretta da sedici coppie di colonne su
cui poggia la lanterna a sua volta sorretta da sedici colonnine. L'interno
della chiesa non è meno ricco e scenografico dell'esterno. La sua pianta
a croce latina è lunga 42 metri e larga 30. La divisione in tre navate
dell'edificio è garantita da due file di possenti pilastri. A San Giorgio
si accede normalmente da una porta posta sulla navata sinistra e raggiungibile
attraverso una scalinata che inizia in Piazza Duomo. La prima cosa che
colpisce una volta all'interno, oltre a stucchi e affreschi settecenteschi
che arricchiscono archi e volte, sono le trentatré finestre chiuse da
vestri colorati, veri capolavori dell'arte di vetrai milanesi, nelle quali
sono riprodotte figure di Santi, simbologie religiose e scene del martirio
di San Giorgio. All'ingresso della navata sinistra una nicchia
contiene la preziosissima Santa cassa in argento (XVII
sec.) sulla quale sono finemente intagliate figure di santi. Proseguendo
lungo la navata sinistra verso l'abside, una cappella contiene un pregevole
dipinto del pittore Vito D'Anna raffigurante l'Angelo Custode (1763).
Nella cappella successiva un altro dipinto settecentesco, opera di Antonio
Manno, raffigura Santa Caudenzia. Nel transetto si può osservare il grande
quadro di San Giorgio a cavallo che uccide il drago dipinto nel 1866 da
Giuseppe Tresca. Sempre nel transetto, dietro una porticina, si trovano
la tomba e lo stemma del Conte Bernardo Cabrera, signore della Contea
di Modica (1392-1415), precedentemente sepolto nella vecchia chiesa di
San Giorgio. Proprio dinnanzi, si apre la porta d'accesso alla sacrestia
dove è conservata una bella tribuna d'altare (XVI sec.) di probabile scuola
gaginiana, composta dalle statue di San Giorgio, Sant'Ippolito e San Mercurio
poggianti su una base in cui alcuni bassorilievi riproducono le fasi della
vita del Titolare e le immagini dei Dodici Apostoli. Sopra la tribuna
si trova una statua gaginiana della Madonna. All'interno della sacrestia,
sulla porta d'ingresso, un dipinto settecentesco del Francescone raffigura
Cristo alla Colonna. Nell'abside sinistro è posto un pregevole Crocifisso
secentesco. Spostandosi verso il centro della croce latina e guardando
in alto si può apprezzare dall'interno l'imponenza e l'eleganza della
cupola. Nell'abside centrale è posto un altare marmoreo settecentesco
cui fanno da cornice sulle pareti laterali
gli stalli per il coro finemente intarsiati. Volgendo le spalle all'altare,
in tutto il suo splendore si può apprezzare l'organo di Casa Serani di
Bergamo con le sue quattromila canne (1881). Nel braccio destro del transetto
è contenuto un dipinto raffigurante San Nicola (1763) opera di Vito D'Anna.
Nell'abside fa invece bella mostra di sè un altra con transetto e due
altorilievi raffiguranti Gesù con l'adultera e con i bambini. Risalendo
la navata destra, nella quarta cappella, vi è un quadro del Guerci che
raffigura il Riposo in Egitto (1864) e nella terza, l'Immacolata
(1764) dipinta da Vito D'Anna. Sopra l'ingresso laterale destro, la nicchia
contiene la statua lignea di San Giorgio che uccide il drago (1878) realizzata
dallo scultore palermitano Bagnasco. Nella seconda cappella un quadro
raffigurante San Basilio e nella prima, opera di Vito Svirech, un dipinto
di San Vito (1774). Ritornando alla navata sinistra, nella prima cappella
è, conservata una tela raffigurante Santa Maria Maddalena dei Pazzi e
nella seconda un quadro della Madonna del Rosario impreziosito da una
bella cornice secentesca. Guadagnata l'uscita raggiungiamo piazza Duomo
alla cui destra, con le spalle a San Giorgio è l'elegante Palazzo Arezzo,
con il bellissimo balcone sopra un sottopassaggio. Continuando a scendere,
sulla sinistra, dove la piazza si immette in via XXV Aprile, si trova
il grazioso palazzetto ottocentesco che ospita il Circolo di Conversazione.
Nato tra il 1810 e il 1815 per consentire ai nobili ragusani di incontrarsi
per "conversare" in un ambiente esclusivo, il palazzetto
in stile neoclassico presenta tre ingressi incorniciati da paraste che-
sorreggono cornicioni recanti artistici bassorilievi. Il prospetto è chiuso
in alto e generalmente dalla scritta Circolo di Conversazione, stilla
quale sta un gruppo scultoreo, con un'aquila incisa sii uno scudo con
ai lati dite leoni con facce tintane. Non è, difficile ottenere di visitare
l'interno della struttura - che è privata - accompagnati dalla squisita
gentilezza dei frequentatori per rivivere suggestioni simili a quelle
trasmesseci dall'opera di Tornasi di Lampedusa. L'edificio è diviso in
sette vani tra cui il più importante, elegantemente affrescato ed arredato,
è la stanza della Conversazione. Vi sono poi una bella e ricca biblioteca,
una sala lettura e, nella classica divisione, la "stanza per gli
uomini" e la "stanza delle dorme". bellissimi gli arredi
d'epoca dei locali. Un disimpegno, occupato da un
essenziale servizio bar per un rinfresco estivo, per l'immancabile té
delle cinque o per un caffè - nero, bollente ed ovviamente dolcissimo
, introduce sul giardinetto alle spalle dell'edificio, piccolo ma molto
ben curato ed accogliente con i suoi bei cespugli fioriti e le piante
mediterranee. Abbandonando, forse un po' a malincuore, l'atmosfera vellutata
del Circolo di Conversazione, immediatamente dopo, sempre sul lato sinistro
di Corso XXV Aprile, si erge il Palazzo di Donna fugata, l'eleganza
degli esterni cela la straordinaria ricchezza degli interni (purtroppo
non è possibile visitare). Il palazzo conserva opere d'arte pregevolissime
come l'androne con doppio colonnato ed una scala marmorea, il complesso
delle stanze
ornate da stucchi ed affreschi che contengono, tra l'altro, un dipinto
raffigurante una Madonna col bambino di Antonello da Messina e una collezione
di pregiate ceramiche di Caltagirone dei maestro Giacomo Bongiovanni.
Purtroppo dobbiamo accontentarci di visionare l'esterno dei palazzo la
cui facciata presenta il portone centrale con arco semicircolare preceduto
dalle quattro porte d'accesso al teatro della Piccola Accademia di Ragusa.
Al primo piano vi sono sette balconi con nove finestre. Il primo dei balconi,
quello sopra l'ingresso principale del teatro, è occupato da un bovindo
in legno finemente lavorato. Proseguendo per corso XXV Aprile si giunge
a piazza Pola dove si erge la superba facciata tardo-barocca, opera del
Gagliardi, della Chiesa di San Giuseppe. L'edificio è stato costruito
sulle rovine di un'altra chiesa dedicata a San Tommaso e rasa al suolo
dal terremoto del 1693 e si presenta con la classica facciata a tre ordini
sovrapposti. Il primo ordine, con andamento convesso, presenta il portale
d'accesso alla chiesa sovrastato da eleganti sculture ed intagli. Due
colonne ed un semipilastro sono posti simmetricamente ad ogni lato del
portale.
Sui semipilastri sono poste due statue raffiguranti San Gregorio (a
destra) e Sant'Agostino. A pochi metri da terra, all'esterno delle colonne,
sempre nel primo ordine, altre due statue raffigurano Santa Gertrude (a
sinistra) e Santa Scolastica. Altre due colonne corinzie, una per lato,
delimitano marginalmente la facciata della chiesa. Centralmente, nel secondo
ordine, si apre un finestrone ad arco semicircolare sovrastato da sculture
ed incorniciato da dite coppie di colonne corinzie e due semipilastri.
lateralmente due volute sorreggono due statue raffiguranti San Marco (a
sinistra) e San Benedetto. Il terzo ordine, chiuso dalla ricca cuspide,
presenta la cella campanaria a tre archi. L'interno ha pianta ovale con
pronao, parte centrale e l'abside. Molto bello il pavimento a mattoni
colorati. In posizione simmetrica ai lati del , pronao
sono due nicchie: in quella di destra vi è una statua
in cartapesta di San Benedetto ed in quella a sinistra una statua d'argento
di San Giuseppe (XVII sec.). Belli gli altari laterali con i vetri dipinti
a simulare una loro natura marmorea e curiosi, sulle
pareti i balconcini e le finestre con grate che impedivano di incrociare
gli sguardi delle monache. Nell'abside un dipinto opera di Matteo Battaglia,
raffigura la Sacra Famiglia (1775). Sulla volta, un affresco dipinto da
Sebastiano Lo Monaco riproduce la figura di San Benedetto (1793). Prima
di uscire dalla chiesa Vale la pena rivolgere uno sguardo alla tribuna
con grate monacali posta sul pronao. Lasciata San Giuseppe, a sinistra
è via Orfanotrofio, dove, a poche decine di metri da piazza Pola si trova
la Chiesa di Sant'Antonio da Padova, con i suoi bei portali, uno
gotico del dodicesimo secolo e, alla sua sinistra, uno barocco frutto
della ricostruzione post-terremoto. Ritornati in piazza Pola svoltiamo
a sinistra proseguendo per Corso XXV Aprile. A poche decine di metri a
sinistra si erge la piccola Chiesa della Maddalena. L'edifico religioso,
edificato già nel 1500 e parzialmente ristrutturato dopo il 1693, presenta
una facciata piuttosto povera con l'ingresso ad arco semicircolare e due
paraste poste lateralmente. L'interno, a singola navata, conserva alcune
opere interessanti, come il pavimento della chiesa i corpi delle suore
Carmelitane. In effetti l'edificio religioso era sino alla fine del secolo
scorso di pertinenza delle Carmelitane la cui passata presenza nell'edificio
religioso è testimoniata anche da finestre e balconcini con grate monacali
sulle pareti interne dell'edificio. Di particolare pregio, sulla sinistra,
un fonte battesimale in pietra asfaltica la citi origine cinquecentesca
è denunciata da un'iscrizione che la attribuisce a Vincenzo Blundo. Sempre
a sinistra è un quadro settecentesco raffigurante il Rapimento di Elia
e una altro ottocentesco della Natività, opere di Pietro Quintavalle.
A destra due dipinti
settecenteschi raffigurano l'uno Santa Maria Maddalena de
paravento ligneo secentesco posto dinnanzi all'ingresso; il dipinto
raffigurante Maria Maddalena (1825), opera dell'abate ragusano Franco
Nicastro e, nella cappella a sinistra il bell'altare barocco (XVII sec.)
sul quale si trova un Crocifisso secentesco ed un quadro dell'Immacolata
dello stesso Nicastro. Proseguendo per Corso XXV Aprile si giunge
alla Chiesa di San Tommaso un tempo Santa Maria Valverde. La facciata
neoclassica della chiesa presenta un portone d'accesso sormontato da un
ampio cornicione sorretto da due semplici paraste. Più sopra del cornicione
si apre tiri ampio finestrone. L'interno ha pianta ovale. Proprio in prossimità
dell'ingresso si legge un'iscrizione che svela la consuetudini di un tempo
di seppellire sotto il Pazzi, l'altro la Pietà. Nell'abside un bel dipinto
attribuibile al D'Anna (XVIII sec,) raffigura la Vergine del Carmelo.
Sulla volta vi è un affresco della Madonna del Carmelo. lasciandoci alle
spalle la Chiesa di San Tommaso, poco più in là, c'è la piazza G. B. Odierna
presso cui si trova l'ingresso al Giardino Ibleo e la facciata della Chiesa
di San Domenico, ormai abbandonata ma di cui è però possibile apprezzare
il portale d'accesso con due colonnine poste lateralmente e il bel campanile
a pagoda ornato con mattonelle vivacemente colorate. Spostandoci sulla
adiacente via dei Normanni, a pochi metri sulla sinistra, protetto da
una ringhiera che non ne impedisce una visione completa, il bellissimo
Portale gotico di San Giorgio (XII sec.). Questo è ciò che resta
dell'antica Chiesa di San Giorgio, soltanto in parte distrutta dal terremoto
e demolita dai Ragusani che decisero di riedificarla altrove. Il portale
è costituito da sette colonnine che sostengono sette archi a sesto acuto
scavati a formare un altorilievo da
un unico grosso blocco di pietra. In alcuni degli strettissimi spazi lasciati
tra gli archi sono scolpiti elementi floreali ed animali fantastici. Il
settimo arco è sormontato da un bellissimo intarsio interrotto in corrispondenza
del sesto acuto da una croce anch'essa finemente scolpita ai cui lati
sono posti simmetricamente due rombi all'interno dei quali è intagliata
l'aquila simbolo di Ragusa. Al di sotto dell'arco più interno e a sovrastare
quella che doveva essere la porta d'ingresso alla chiesa è ricavata una
lunetta sii cui è scolpita l'immagine di San Giorgio a cavallo che uccide
il drago. Ritornando su piazza Odierna entriamo al Giardino Ibleo che
merita un'attenta visita insieme ai due edifici religiosi che contiene,
la Chiesa di San Giacomo e la Chiesa dei Cappuccini. Il giardino
fu voluto da tre nobili ragusani intorno alla metà del secolo scorso
ed alla sua realizzazione presero parte molti cittadini
di Ragusa che offrirono gratuitamente il proprio lavoro. Il suo cancello
d'ingresso è stretto tra due piccole torri a pianta quadrangolare. E'
il luogo elettivo per le passeggiate dei ragusani che vi trovano riparo
dalla calura estiva seduti sulle panchine immerse nel verde
o passeggiando per gli splendidi viali alberati e fioriti godendosi nel
contempo lo spettacolare panorama della Valle dell'Irminio su citi il
Giardino Ibleo si proietta come una terrazza. Percorrendo il viale d'ingresso
(Viale delle Palme), a poche decine di metri a sinistra si eleva la Chiesa
di San Giacomo o del Crocifisso. La chiesa fu edificata nel XIV secolo
con un impianto a tre navate ma la destra e la sinistra sarebbero crollate
in seguito al terremoto del 1693,
rimanendo in piedi la sola navata centrale. La facciata a campanile a
tre ordini denuncia un intervento recente (1902) di risistemazione e si
presenta con un ingresso centrale recante ai lati dite colonnine corinzie.
Ai margini della facciata dite grossi pilastri sorretti da piedistalli
attraversano primo e secondo ordine. Quest'ultimo, separato dall'inferiore
da un cornicione, presenta al centro tiri finestrone sulla cui cornice
poggia una lunetta. Il terzo ordine è caratterizzato centralemente da
un altorilievo raffigurante San Giorgio a cavallo, da una balaustra che
lo percorre per tutta la sua lunghezza e, su di questa, in corrispondenza
dei pilastri sottostanti, le dite statue di San Giacomo Apostolo (a destra)
e San Giovanni Battista. Completa in alto la facciata la cella campanaria
con quattro colonne corinzie. Di particolare pregio all'interno della
chiesa, ad unica navata, è il repertorio di opere presenti nell'abside
tra cui tre altari (a destra, al centro e a sinistra). Nell'altare di
destra ha sede un dipinto raffigurante San Francesco di Padova citi fanno
da cornice quattro statue; al centro dell'abside, l'altare è sormontato
da un'aquila in pietra ed in una nicchia è conservata una statua seicentesca
di San Giacomo; a sinistra l'altare, in stile barocco, reca ai fianchi
due colonne dorate ed è sormontato da un bel crocifisso cinquecentesco.
Il soffitto dell'abside è stato magnificamente affrescato dal pittore
ragusano Mario Battaglia e raffigura immagini celestiali con i Quattro
Evangelisti (1754). Altre opere di minor rilievo sette-ottocentesche arricchiscono
i fianchi dell'edificio. Ritornati all'esterno imbocchiamo il Viale delle
Colonnine fino a raggiungere la Chiesa dei Cappuccini. Davvero modesta,
attigua all'ex Convento, oggi in parte adibito a Biblioteca Civica che
conserva preziosi voltimi del '500 e del '600, la chiesa contiene al suo
interno la più importante delle opere pittoriche ragusane, il Trittico
(1640-43) di Pietro Novelli detto il Monrealese (1603-47). 1 tre affreschi
sono conservati nell'altare centrale e raffigurano, quello al centro,
il più grande, l'Assunta che ascende al Cielo sotto gli sguardi degli
Apostoli e circondata da angeli e cherubini. Tra gli Apostoli, a sinistra,
una figura con barba e baffi rappresenta un autoritratto dello stesso
Novelli. Nel dipinto a sinistra vi è la raffigurazione di Sant'Agata che
riceve da San Pietro il seno
tagliatole da un soldato. Il quadro a destra raffigura Sant'Agnese e il
boia. Uscitì dal Giardino Ibleo si svolta a destra sino a via Tenete La
Rocca che conduce
sino alla piazzetta antistante la Chiesa di San Francesco all'Immacolata.
La chiesa ha subito durante la sua lunga vita almeno due interventì importanti
di rifacimento, uno del '500 ed uno, pìù radicale, dopo il terremoto del
1693. Sopravvissuti a questi rimaneggìamenti strutturali ed alle calamità
naturali ci rimangono stilla facciata una torre campanaria ed un magnifico
portale duecentesco in stile gotico. La torre campanaria rappresenta una
stimma delle sovrapposízione architettoniche di cui è stato oggetto l'edificio
religioso, con cinque ordini sovrapposti e separati da cornicioni. Gli
elementi costruttivi degli ultimi due ordini appaiono successivi al corpo
inferiore della torre che appare di età imprecisata. Pregevolissìmo è
il portale duecentesco che si apre sulla facciata della chiesa ma da cui
non è consentito l'accesso all'interno. Il bell'esempio di architettura
gotica si presenta con tre colonnine decorate con motivi floreali,
internamente alle quali si innalzano tre pilastrini sormontati da tre
sottili colonnine che confluiscono al centro a formare il sesto acuto.
L'accesso all'interno dell'edificio è consentito attraverso un portone
posto sulla navata destra. Una volta entrati e percorrendo la navata destra
verso l'abside, sulle pareti e sulle volte, colpiscono immediatamente
gli affreschi tra i quali, un quadro di Antonino Monoli raffigurante l'estasi
di Sant'Andrea (1724) nel primo
altare; un dipinto raffigurante San Giuseppe da Copertino (1816), dipinto
da Elia Interguglielmi, posto nel secondo altare; nel terzo altare spicca
un Crocefisso con due quadri di autori ignoti di cui, quello a destra
raffigura San Giovanni e l'altro la Maria Addolorata; nella cappella a
destra è allocato un altare in marmo vivacemente colorato con un quadro
settecentesco di San Francesco; nella cappella centrale ancora un altare
marmoreo sovrastato
da una grande tribuna lignea ricettacolo di una statua dell'Immacolata
(anni '50) opera di Arturo Runggalder. Proprio dinnanzi all'altare centrale
vi è una lastra conservato un quadro del XVIII secolo raffigurante la
Resurrezione del Cristo; nel secondo una statua di Santa Teresa e nel
primo, un dipinto settecentesco del Riposo della Sacra Famiglia. Usciti
dalla chiesa e dirigendosi attraverso una stretta stradina con pavimentazione
in basolato che ha inizio proprio a fronte della facciata dell'edificio,
si giunge al Palazzo Battaglia, fatto costruire intorno alla metà
del XVIII secolo dal barone Giampiccolo di Torrevecchia. Il palazzo ha
due belle facciate, una, quella laterale destra, è la prima che raggiungiamo
ed è caratterizzata da un ricco portale con arco semicircolare
sovrastato da un cornicione su cui si apre una finestra tombale in
pietra asfaltica raffigurante un cavaliere spagnolo qui seppelito nel
XVI secolo e, alla stessa altezza il pulpito. Di fronte al pulpito, si
possono osservare le canne dell'organo. Passando sulla navata sinistra,
nella cappella un altro altare in marmo è sovrastato da un dipinto del
1796 opera di Vincenzo Manno e raffigurante l'Immacolata. A sinistra della
cappella vi è un locale destinato ad accogliere il mausoleo del barone
Corrado Arezzo di Donnafugata nel quale sono contenutì, oltre allo stemma
del casato, tre sarcofaghi e tre mezzi busti raffiguranti membri della
famiglia del nobìle ragusano. Il mausoleo è chiuso da un elegante cancello
in ferro battuto. Risalendo per la navata sinistra, nel terzo altare è
circolare; in alto si apre un balcone con due finestre e sorretto da nove
bellissìme mensole. All'altra facciata, sita in via Orfanotrofio, si giunge
percorrendo
un arco alla sinistra della facciata laterale destra. Questa parte del
palazzo è caratterizzato da un portale ad arco semicírcolare e da tre
balconi anch'essi sorretti da pregevoli mensoline, sette per il centrale.
Con questo splendido esempio di architettura civile abbiamo completato
il nostro giro per Ibla ma non ne abbiamo dì certo esaurito le meraviglie,
tante e tante ancora, da vedere. Sta a chi visita il luogo scoprirne sempre
di nuove, impresa non certo difficile e comunque straordinariamente piacevole.
Dall'opera di Giuseppe Pitrè, Feste Patronali in Sicilia
(Palermo, 1900), una ricostruzione della festa di San Giorgio e della
rivalità tra le due Raguse con un'analisi delle ragioni storiche del contrasto
tra le diverse anime della città
Le
feste di San Giovanni e di San Giorgio nelle due Raguse
Rivalità
dei due Santi. Preminenze di S. Giorgio. S. Giorgio e S. Giovanni
sono i santi rivali, che per tanti secoli tennero scissi gli animi dei
Ragusani. S. Giorgio fu importato dai Normanni; aveva quindi l'appoggio
officiale, e, simpatico e giovane com'è, fu il santo più popolare, più
cavalleresco, suscitando ovunque e sempre un gaudio festoso, un entusiasmo
spensierato e chiassone. S.Giovanni, più austero e più serio, venne invocato
nei momenti del pericolo, fra le masse dei lavoratori, nel tempo della
mietitura segnatamente. Patrono il primo per sanzione officiale e per
reiterare bolle pontificie, aveva moltissimi privilegi; patrono il secondo
per lo sviluppo demografico del quartiere ove sorse la sua chiesa, e per
la pertinace lotta che per secoli seppe fare al primo santo, riuscì a
metterglisi alla pari, per non dire a vincerlo. Ogni volta che S. Giorgio
veniva festeggiato, aveva diritto di essere accompagnato da tutte le statue
di santi che c'erano in paese. Delle cinque parrocchie in che era divisa
la vecchia Ragusa, quattro erano sempre pronte a subire questa forma di
vassallaggio, e mandavano volentieri le statue sacre ad ossequiare il
Patrono. S. Giovanni cercò di sottrarvisi, pigliando a pretesto ora il
vento, ora la pioggia, ed occorrevano sempre per tenerlo a dovere le ordinanze
del Governatore della Contea, che compendíava il potere regio. Una volta
finirono apposta mutilate tutte le statue della parrocchia di San Giovanni,
facendosi credere che i topi le avessero conciate a quel modo: ma S. Giorgio
tenne duro nei suoi privilegi; il Governatore ordinò che le statue così
mutilate compissero il loro dovere. Dovette essere una festa molto buffa,
ma il diritto fu salvo, almeno per quell'anno! Il clero di S. Giorgio
doveva officiare nella chiesa S. Giovanni il giorno della Domenica delle
Palme e piantare la sua croce d'argento in cornu Evangelii; ma
quante recriminazioni, quante lotte, quante busse se la croce veniva posta
un centimetro più in dentro o se un canonico andava più pettoruto! Una
volta il porta-croce fu pugnalato: un'altra volta un canonico fu sollevato
peso e gettato nel pubblico abbeveratoi.
Divisione
delle parrocchie e del comune di Ragusa. Festa di S. Giorgio
Il terremoto del 1693, distruggendo molti paesi della Sicilia distrusse
anche molta parte del comune di Ragusa, e con essa un buon terzo dei suoi
abitanti. I Ragusani, rimasti fino allora concordi, altri sotto la bandiera
di S. Giovanni, che già da tempi remoti aveva avuto una chiesa ed un culto
singolare, altri sotto quella di S. Giorgio, che, favorita dalle condizioni
politiche, col suo rito greco teneva soggetta canonicamente la chiesa
di S. Giovanni; ebbero l'opportunità di scuotere il pesante fardello della
tirannia della quale si credevano tutti vittima:
i devoti di S. Giovanni da quelli di S. Giorgio, i devoti di S. Giorgio
da quelli di S. Giovanni. I parrocchiani di S. Giovanni salirono sul versante
e vi si andarono a stabilire costruendo la loro nuova chiesa di S. Giovanni,
una delle migliori della provincia di Siracusa; e, batti, ribatti, riuscirono,
dopo altri diciassette anni di lotta persistente, ad emanciparsi dalla
ingrata soggezione della parrocchia di San Giorgio, ed ottennero la completa
indipendenza (1714). Un secolo e mezzo più tardi (10 Dic. 1865) la divisione
civile del Comune era un fatto compiuto e la Ragusa di una che era, diventava
due, con due sindaci, due popolazioni, due duomi, due cleri, aventi ciascuna
un suo santo patrono, avversario, come abbiamo veduto, l'uno dell'altro:
S. Giorgio per Ragusa Inferiore, S. Giovanni per Ragusa.
Questa divisione di un medesimo comune si presta a considerazioni
abbastanza malinconiche d'ordine morale, e fa pensare a tempi che
il linguaggio moderno qualifica per medievali. Eppure essa fu l'unica
soluzione possibile e la meno compromettente per la pace dei Ragusani.
Vero è che il dissidio non è cessato; tutt'altro, anzi! e basta conversare
per poco con uno di Ragusa o con un altro di Ragusa Inferiore per vederlo.
Ma le ragioni di primato che agli tini sembrano diritto ed agli altri
prepotenza, hanno perduto molto della loro forza primitiva, e le ire di
parte sono sbollite quanto basta a potere i dite comuni stare vicini senza
darsi molestia. Rimase la divisione religiosa, che non è lieve; ma ...
! La festa di S. Giorgio è il 23 Aprile, ma si apre sempre al Sabato Santo,
quando la statua dà il segnale dell'alleluja. Dal Sabato Santo
al 23 ed anche all'ottava la statua equestre è a disposizione del popolo,
che lo porta in trionfo, ed ognuno si crede fortunato se può ottenere
un posto sotto il fercolo. Ma nel giorno proprio, oltre la statua e la
cassa d'argento piena di reliquie, spesso c'è il martirio del Santo, cioè
la rappresentazione figurata, con personaggi viventi, parte a piedi, parte
a cavallo o sui carri. Si vedono sfilare in tutta gravità e con vesti
e paramenti ricchissimi, e con anacronismi stridenti, S. Giorgio e la
Sinogaga, Diocleziano e il mago Attanasio, la Peste, la Fame, la Guerra,
la Carità, la Fede, i manigoldi e gli angioli, la fornace ardente e il
Trionfo. Un dragone enorme tirato dalla reginella striscia per le vie
agitando la lingua e gli
occhi. In fondo alla processione grossissimi ceri son portati con isforzo
da un uomo su trionfi di legno dorato e due grossissimi pani a corona
(cuccidati) inzuccherati alla superficie e con disegni in cioccolata
e trofei di fiori. Ciascuno di quei pani rappresenta quattro tumoli di
farina, e dopo la festa quel pane viene sminuzzato e diviso ai proprietari
ed agli agricoltori, perché ne getti ognuno il suo
pezzettino nei campi seminati, propiziazione ad un buon raccolto. S. Giovanni
ha più clientela tra i massari; eppure non distribuisce nè pane, nè fettucce,
nè amuleti per i raccolti agricoli. Gli è che le feste di lui (24 Giugno
e 29 Agosto) ricorrono in tempo in citi le biade sono già state raccolte.
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