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Il grido
del caldarrostaio all’angolo della strada, in questa limpida sera
di novembre, mi riporta indietro nel tempo, ad altre sere di novembre
quando, bambina, sedevo sul “pedi da’ conca” a sgranocchiare
castagne appena abbrustolite o a mangiare le olive nere infornate mentre
ascoltavo le favole meravigliose che mia zia, maestra sapeva raccontare.
“Mamma, cosa è la conca?”, mi chiedono i miei figli,
espertissimi in personal computer e videogiochi, ma che non sanno niente
del vivere semplice di alcuni decenni fa. Rispondo che la conca era
il braciere di rame che d’autunno in primavera veniva acceso in
casa ogni pomeriggio, ma subito mi rendo conto che le mie parole non
riescono a spiegare cosa fosse effettivamente la “conca”.
Essa era il focolare, il centro della casa, il polo verso cui tutta
la vita della famiglia convergeva: era calore ed amicizia. Già
accenderla era quasi un rito sacro, si sceglieva la carbonella, “u’ginisi”
ben asciutta di modo che potesse subito prendere fuoco e ad essa si
aggiungeva la carbonella fatta di “n’uzzoli” di olive
o di “scorci” di mandorle. Il tutto andava fatto rigorosamente
fuori per evitare i cattivi odori, e il fumo.
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