La preparazione del pane di casa è ormai un rito d’altri tempi che prevedeva precise tecniche di lavorazione e l’uso di antichi strumenti da lavoro. Per le massaie era un’operazione consueta: iniziavano il ciclo produttivo con la cernitura della farina attraverso “u crivu”, un setaccio di forma circolare che consentiva di liberarla da eventuali scorie. Infatti, la farina spesso usciva dal mulino ad acqua ancora mischiata ad altre sostanze. Successivamente , dentro “a madida” (madia: è un arnese interamente in legno nel quale si impastava il pane) amalgamavano la farina con sale acqua e lievito naturale detto “criscenti” ottenuto da un impasto precedente. La madia era quindi un arnese indispensabile, usato in tutte le famiglie e a volte, poggiata stabilmente su un mobiletto in legno con sportello e dotata di coperchio, era parte integrante dell’arredamento delle antiche cucine e vi si conservavano il pane e gli utensili necessari per la preparazione. L’impasto ottenuto dopo esperte e non casuali manipolazioni, veniva lavorato ulteriormente nel Ragusano e nel Siracusano dove si mangia il pane “scaniatu”. Si metteva su un particolare tipo di gramola, “a briula”, costituita da una tavola in legno, che si poggiava tra due sedie, dal centro della quale partiva una leva azionata manualmente, “u briuni”, che consentiva di amalgamare l’impasto con movimenti regolari, dall’alto in basso mentre un aiutante lo rigirava sulla “briula”. Si modellava, quindi, con le mani in pani di diverse forme e misure secondo la tradizione e si riponevano su un letto, il posto più caldo della casa, venivano ben coperti e lasciati a lievitare. Nel frattempo la massaia preparava il forno a pietra per la cottura, bruciandovi dentro legni e fascine. Dopo la lievitazione dei pani, la massaia sapeva, per esperienza di doverli incidere con un coltello o una forchetta in modo da fare uscire vapore acqueo e anidride carbonica durate la cottura. Così facendo, non si sarebbero spaccati. Allo stesso modo, aveva imparato a riconoscere il momento più appropriato per introdurre le forme di pane nel forno; il momento in cui, cioè, il forno ha raggiunto l’esatta temperatura che consente di cuocere senza bruciare. La parte superiore del forno deve avere un colore biancastro. Quindi toglieva via la brace e la cenere, ripuliva il forno e infornava il pane. La massaia ancora inesperta, invece, per verificare la giusta temperatura del forno, prendeva un pezzo della pasta preparata la spianava con le dita e la infornava. La condiva poi con gli ingredienti che aveva a disposizione. Un’abitudine tramandata di generazione in generazione e alla quale si deve, probabilmente, la “nascita” della comunissima pizza e delle scacciate tipiche delle nostre zone. (La parola pizza, pare derivi dal latino “pinsere” che significa pigiare, spianare con le dita). Un altro pezzetto di pane in pasta veniva messo da parte con cura, dalla massaia. Sarebbe servito come lievito per il prossimo impasto. Ad opera di microrganismi presenti nell’aria, quel pezzetto d’impasto cominciava a fermentare e amalgamato successivamente con farina, sale, acqua, determinava la lievitazione naturale dei pani. Verso la fine dell’ 800 si cominciarono a diffondere i lieviti industriali grazie a Louis Pasteur che identificò i microrganismi della fermentazione e ne mise a disposizione le loro spore concentrate. Ma la massaia continuò per moltissimi anni ancora a produrre il pane in casa con il vecchio sistema. Che soddisfazione, infine, ammirare il frutto del proprio lavoro, ancora fumante! L’alimento più antico e più comune: il pane. Assistere oggi a questo “rito” è molto raro; fa immaginare ritmi di vita tranquilli, fa capire la genuinità e la semplicità della civiltà contadina.