Ce
n’è per tutti i gusti. Sono le sagre che prepotentemente,
nella calda estate, vivacizzano ogni angolo dell’isola. Sfarzose, a volte anche modeste ed improvvisate, ma tutte sapientemente improntate all’esasperato movimentismo, o meglio ancora, per rispondere alla necessità di allungare, con una ulteriore giornata festaiola, l’estate vacanziera dei singoli paesi. Qualcuno sostiene che si tratta della “news” dello sviluppo locale, fenomeno di cui tutti si riempiono la bocca e nessuno sa come realizzarlo. Castagne, ciliegie, meloni, pane, bruschette, salsicce, formaggi, cipolle, melanzane, pantofole, e chi più ne ha più ne metta, sono una infinitesima parte dell’elenco dei prodotti che danno vita alle varie manifestazioni e costituiscono, altresì, parte del glorioso ed accattivante patrimonio enogastronomico siciliano che gli operatori considerano come il nuovo filone aureo del turismo rurale. Basti guardare le cifre che girano attorno a questo nuovo business per rendersi conto dell’interesse che riscuote e, soprattutto, l’ immensa potenzialità. Comunque, solo poche, in questa confusione di sapori e profumi, si meritano la palma olimpionica di Sagra DOC. Il merito della scoperta di questi prodotti è tutto degli stranieri, desiderosi di visitare ristoranti, cantine, gastronomie, e con essi i luoghi di produzione, ma grande merito va riconosciuto anche ai nostri cuochi, veri ambasciatori culturali, che con i nostri prodotti allietano i palati di ogni angolo del mondo. Dalle cifre che emergono dall’analisi di questi ultimi anni, si può affermare che questo settore è strategico per l’Italia e a maggior ragione per la Sicilia, sia per il numero di imprese e di occupati, che per il fatturato. Quella siciliana è una tradizione eno-gastronomica molto ricercata, in quanto esprime una cultura antica, frutto di scambi, di elaborazioni che costituisce un prezioso forziere della nostra identità regionale, apprezzato in tutto il mondo. Ogni prodotto contraddistingue un paese ed ogni paese è contraddistinto da un prodotto. Il prodotto tipico rappresenta la storia di una comunità, ma anche di un territorio; esso, oltre agli ingredienti, amalgama la cultura, le tradizioni, la disperazione, le preghiere, le speranze, ecc. di una intera comunità. Nel promuovere il prodotto tipico bisogna far capire al consumatore o al turista che sta degustando un pezzo di storia, di cultura e di tradizione. E il suo appagamento non deve e non può essere esclusivamente materiale, ma anche spirituale. Amore per i prodotti, ma anche per i luoghi d’origine, che deve essere portato con loro e trasferito ad altri potenziali turisti-consumatori. Per il Censis, il turismo gastronomico è definito “di prossimità”, inteso cioè, come “trasferimenti di piccolo e medio raggio”. Un modello di turismo che si va sempre più imponendo attraverso i distretti eno-turistici con la visita obbligatoria ai paesini e alle borgate. Un turismo secondo il Censis che nell’arco di 5 anni dovrebbe raggiungere i 15 milioni di turisti, innescando la creazione di diecimila posti di lavoro, tra part e full time. E ciò, è dimostrato dall’interesse che le grandi guide enogastronomiche manifestano, tra cui la Michelin, la quale ha dedicato una sezione al turismo rurale. Interesse analogo si è registrato per il turismo legato al vino la cui valenza nazionale si aggira intorno a 5 milioni di presenze con un fatturato sui 250 milioni di Euro. Naturalmente, i prodotti offerti devono essere rigorosamente certificati e garantiti sul piano della qualità e della sanità, meglio ancora, se gli stessi, possono fregiarsi della protezione della DOP Denominazioni di Origine Protetta o della IGP l’ Indicazioni Geografiche Protette e della AS Attestazioni di Specificità. Ma è anche necessario favorire tutte le iniziative che servono a promuovere i vari prodotti e con essi anche le aree di produzione attraverso le aziende agrituristiche, le Confraternite gastronomiche, le Scuole, i Distretti agroalimentari o rurali, le Sagre e le Fiere. Bene! Se questo grande patrimonio costituisce una potenziale ricchezza bisogna a tutti i costi preservarlo, valorizzarlo e cercare di averne un ritorno economico al pari di ogni altra risorsa naturale o culturale. Una riflessione a parte meritano le Sagre che rappresentano il momento più esaltante della promozione di un prodotto e del territorio di provenienza e per tale motivo bisogna dare la giusta rilevanza. Per far ciò, bisogna necessariamente rivedere le Sagre dando loro una severità organizzativa evitando inutili improvvisazioni che danneggiano, non solo l’immagine del prodotto, ma anche dell’intero territorio, che genera soltanto sfiducia ai produttori che sono i veri artefici e responsabili del prodotto stesso, e non le Amministrazioni locali, le Pro-loco e le associazioni varie. Bisogna limitarne la corsa all’inflazione delle sagre, e attenzionarle in maniera forte, per dare il giusto riconoscimento e valore ad un prodotto che è “la bandiera di un territorio”, e come tale deve essere amato, rispettato e festeggiato come legame tra presente e passato. Allora bisogna far presto, iniziare con una ricerca storica di tutti i prodotti tipici ed enogastronomici siciliani, catalogarli suffragandoli da presupposti storici, classificarli promuoverli a sagre DOC, il tutto sancito da un decreto Assessoriale che ne stabilisca tempi e modi della manifestazione. Avremo così per l’intero territorio una calendarizzazione ufficiale delle sagre regionali, in questo modo possono facilmente essere pubblicizzate, ma soprattutto finanziate utilizzando alcune Misure del P.O.R.. Ampio risalto potrà essere dato ai prodotti con un marchio europeo, o prodotti che sono a maggior rischio di estinzione, o ancora, prodotti che coinvolgono nella promozione più territori comunali. Naturalmente, nell’occasione dovranno essere evitate la vendita di prodotti concorrenziali, o di altri prodotti che non afferiscono al territorio. In questo modo salveremo la storia dei nostri territori rurali, concorreremo a non far morire l’economia locale, e contribuiremo a far decollare quel tanto desiderato sviluppo, attraverso un turismo distrettuale, capace di innescare processi di sviluppo integrato che concorre ad ingrossare l’economia delle stesse aree rurali oramai in agonia irreversibile. |