Ancora
oggi in Sicilia l'albero del gelso è una costante dei grandi appezzamenti
di terreno. Non è un caso, piuttosto è la traccia visibile
di un passato produttivo splendente che ha visto l'isola primeggiare in
Europa anche per la sericoltura e i manufatti tessili. Un primato, nella
qualità oltre che nella quantità, che raggiunse l'apice,
sul piano commerciale, nel secolo XVII, quando la seta risultö essere
il secondo genere prodotto (dopo il grano) e il primo più esportato.
Da allora, con una parabola discendente, l'intero fènomeno produttivo
conobbe alterne vicende che causarono una lenta ma irreversibile decadenza,
offuscandone persino la memoria nelle generazioni seguenti. La storia,
affascinante ed emblematica, della Via della Panorama della citta di Palermo
tratto da "Le Cento Città" 1887 seta in Sicilia - cosi
come è possibile ricostruirla - inizia molto tempo addietro, verosimilmente
durante la denominazione araba. Certamente, una delle testimonianze più
fulgide e più remote dell'arte della filatura della seta nel vecchio
continente è il mantello di Ruggero d'Altavilla, Re di Sicilia,
che è esposto allo Schatzkammer di Vienna. I caratteri cufici impressi
lungo il bordo ci dicono che il prezioso manufatto di seta rossa, ricamato
in oro e perle, fu realizzato a Palermo da artisti siculo-arabi nell'anno
528 dell'egira (A.D.1140 c.a.). Questo manto da cerimonia, che fu indossato
anche da altri Re normanni, era stato tessuto nell'opificio di corte dove
"dimoravano la perfezione e l'eccellenza". Questa struttura
produttiva era fiorente già durante il dominio musulmano, tant'è
vero che le stoffa di Palermo facevano bella mostra di sé nei mercati
di Alessandria d'Egitto, di Napoli, di Amalfi e di Salerno, fin dal secolo
IX.
Il reale opificio - denominato in arabo Tiraz - fu ereditato dai Normanni,
che anzi ne potenziarono, in vari modi, il prestigio e la produttività
. Nel 1147 ad esempio, nelle logiche della concorrenza più spiccata,
la flotta siciliana al comando di Giorgio d'Antiochia approfittò
della seconda crociata in Terra Santa per saccheggiare le città
di Atene, Tebe e Corinto e la regione dell'Eubea. Furono trafugati ingenti
quantitativi di preziosi manufatti e furono imprigionati un gran numero
di artigiani della seta e di donne operaie esperte nella bachicoltura.
Con l'apporto di tanta manodopera specializzata e di maestri della filatura
depositari di una grande tradizione, il Tiraz di Palermo potè sopravanzare
l'industria serica di Bisanzio, il cui fiorente e inattaccabile commercio
risaliva al secolo VII inaugurato, si dice, da due monaci persiani che
avevano ''rubato'' dei bachi in Cina e ne avevano fatto dono all'Imperatore
Giustiniano. Fu cosi che, fino al 1194, l'opificio palatino raggiunse
livelli di lavorazione straordinari, creando, come si direbbe oggi, la
moda dell'epoca. Con la line del regno degli Altavilla e prima della morte
improvvisa dell'imperatore Enrico VI di Hohenstaufen, cioè prima
del 1197, una gran parte di tesori e manufatti preziosi, compreso il mantello
di Ruggero, furono caricati su centocinquanta muli debitamente scortati
che risalirono la penisola e attraversarono le Alpi. Contemporaneamente,
da Palermo l'allevamento del baco e la coltivazione del gelso, le cui
foglie sono il nutrimento essenziale per la sopravvivenza del filugello,
si diffusero ovunque nell'isola, dando vita a numerosi e qualificati centri
di produzione e lavorazione della seta. Sia il prodotto grezzo che i tessuti
e i manufatti, esportati in Europa e in Oriente, rappresentarono per secoli
la voce più attiva nei circuiti mercantili che attraversavano il
Mediterraneo. Nel 1768 la produzione della seta superava le settecentomila
libbre, che venivano esportate in gran parte allo stato grezzo. Erano
le navi genovesi e veneziane prima, e poi quelle inglesi, olandesi e francesi
che caricavano questa seta non lavorata che raggiungeva quelle industrie
tessili del Nord Italia e dell'Europa, già altamente specializzate.
La fattispecie autorizza a dire che se la Sicilia non rappresentava affatto
la periferia del mondo economico dell'epoca, tuttavia non ne costituiva
l'avangazardia. All'eccellenza dei siciliani (e dei meridionali in genere)
nella sericoltura, alla loro competenza agronomica empirica (che lino
all'avvento dell'età moderna fu tra le più alte che il mondo
di allora potesse vantare) corrispondeva una loro debole capacità
di commerciare i propri prodotti. Una caratteristica, questa, che ha penalizzato,
come sappiamo, nelle diverse epoche e lino ai giorni nostri, l'intero
comparto agricolo isolano e, in parte, del Mezzogiorno italiano. In quei
tempi la coltura del gelso e la filatura della seta si erano diffuse ad
est come ad ovest nell'isola: a Noto, Caltagirone, Siracusa, Trapani,
Acireale e nel messinese, interessando un po' dovunque le città,
ma non coinvolgendo le forze sociali della campagna, come avveniva in
altre aree della penisola. Il commercio in Sicilia era regolato dai Consolati
della seta che erano rappresentati a Palermo, a Messina e a Catania. Nel
gennaio del 1776 Acireale si candidò a divenire Consolato per manifatturare
in proprio la seta, prodotta in gran parte nel territorio dei Manganelli.
Ma le tre città, forti degli antichi privilegi e delle finanze
a disposizione, si opposero risolutamente. Il redditizio oligopolio si
perpetuò cosi, tranne alcune concessioni alla "coraggiosa"
e operosa Acireale, fino al 1781 , quando Re Ferdinando III di Borbone
dispose che ogni città potesse tenere liberamente filatoi, telai
e quant'altro necessario alla lavorazione della seta. Sul finire del XVIII
secolo l'industria serica decadde nell'isola, continuando a prosperare
nel Sud d'Italia. Le manifatture, danneggiate dal blocco continentale
voluto da Napoleone, ma anche da un'incapacità a creare ammodernamenti,
ripresero nuovo slancio nei decenni successivi. In quest'ultimo momento
produttivo felice, fino agli anni '30 in particolare, nella sola città
di Catania lavoravano dai 15 ai 20 mila operai, poco meno del 50% dell'intera
popolazione, che non superava allora i 50.000 abitanti. In quegli anni,
distribuiti nelle varie filande, operavano a pieno ritmo circa 1170 telai
di cui solo 170 alla Jacquard (il tipo più moderno). Dopo il 1850
la sericoltura perse ogni valenza economica e commerciale, fino a scomparire
dall'orizzonte della progettualità produttiva. L'ipotesi aperta
e amara, con la quale vogliamo concludere, è che tutto sia finito
per l'incapacità di operare trasformazioni alla luce dei tempi
che cambiavano. Riprendere il filo del discorso interrotto è una
questione, ci pare, di buon senso e di lungimiranza politica. Ma anche
di passione e di rispetto per la nostra terra dai trascorsi straordinari.
Panorama della citta di Palermo tratto da "Le Cento Città" 1887 |