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Edmondo De
Amicis, letterato italiano
vissuto tra la seconda metà dell'800 e i primi del '900, si trovò a
visitare la Sicilia nei primi anni dopo l'Unità d'ltalia, quando quale giovane
ufficiale del nuovo esercito, si trovò a fare la "prima guarnigione"
a Messina, da dove era partito poi con tutto il reggimento per combattere
contro l'Austria nella III guerra di indipendenza del 1866. Poi
per circa 40 anni lo scrittore non aveva avuto più l'occasione di visitare l'Isola.
So1amente nel novembre del 1906, ormai libero da impegni sia militari che
letterari, intraprese la via del Sud in ferrovia. Quando
dalla riva calabra vide in lontananza Messina ebbe un tuffo al cuore: la
nostalgia, la commozione ed i ricordi fattisi in quel momento vivissimi, lo
attanagliarono. Quella vista rappresentava per lui la prima giovinezza, le prime
esperienze militari, la prima lontananza da casa. Quanti mutamenti dall'ormai
lontano 1865, quando nell'isola non c'era ancora nemmeno un Km di strada
ferrata e si potevano notare le contadine messinesi che, meravigliate e
stupite, salutavano con segni delle mani le prime locomotive che posizionate
su delle rotaie costruite in tempo di record lungo la spiaggia, facevano le
loro prime prove tecniche, in attesa di essere utilizzate nella costruenda
rete ferroviaria nel versante orientale siculo. Dopo lo sbarco gli sembrò diversa
anche la città dello Stretto; nuovi quartieri con splendide botteghe, la luce
elettrica, i tramway in continuo movimento dal centro sino al sito del Faro,
allora fuori città. Ma tutti questi aspetti esterni erano purtroppo
bilanciati dalla visiva decadenza economica della città, in gran parte
causata dalla perdita del porto franco, dalla fillossera, dall'aggravio delle
imposte, dalla guerra dello zolfo con Catania e dalla improvvida politica
doganale del Governo, tutta rivolta a vantaggio delle grandi industrie
dell'Alta Italia e purtroppo a danno di tutta l'agricoltura del Mezzogiorno.
Tuttavia nonostante tutti questi aspetti negativi, il clima festaiolo della
città e l'indole gioiosa dei suoi abitanti, misero di buon umore lo scrittore
che si trattenne per più di un giorno nella città, per prepararsi poi al
viaggio per terra sino a Palermo. Il versante tirrenico gli sembrò, per
bellezza, per ricchezza di vegetazione e per colori naturali, uno dei più bei
territori d'Europa. I numerosi piccoli golfi dalle curve graziosissime e
dominati da alti promontori, il mare azzurro, le isole Lipari sfumanti in
lontananza, parvero portarlo in un mondo di sogni. Continuando il viaggio,
attraversò piccole pianure ancora verdi e spesso solcate da ruscelli, boschi,
vigneti e villaggi abbarbicati sulle alture che gli ridestavano all'improvviso
rimembranze classiche e storiche (la flotta di Amilcare, l'esercito greco di
Gelone e poi le armate di Federico) che lo accompagnarono sino alla vista del
Monte Pellegrino indi della città di Palermo. La capitale gli sembrò una
grande città con viali alberati, piazze, passeggi pubblici e con grandi
arterie (Via Maqueda e Via
Vittorio
Emanuele) che si incrociavano ai Quattro Canti. Un altro aspetto però
denotava una città piena di alterigia, con una popolazione poverissima, senza
una borghesia industriale e con una ristretta aristocrazia formata, in gran parte
dai siciliani più danarosi dell'isola. Molto evidente pure, tra gli aspetti
negativi l'emigrazione verso gli USA, che in quei primi anni del nuovo secolo
aveva già assunto proporzioni gigantesche, con paesi dell'interno che si
erano spopolati completamente o che avevano perduto almeno 1/3 della loro
popolazione. Girando per le vie della città, il De Amicis scoprì i numerosi
richiami riferentisi alle giornate garibaldine del 1860: gli scontri nei
vicoli, l'arrivo dei "picciotti" da tutte le parti dell'isola, le
barricate, il fuoco della flotta borbonica, gli incendi, i cadaveri e poi alla
fine il discorso di Garibaldi dal balcone del Palazzo Pretorio ad una folla
entusiasta. Da Palermo il De Amicis partì in treno alla volta di Catania,
attraverso il centro dell'isola. Quale differenza tra le coste e l'interno!
Stazioni ferroviarie sperdute e deserte, villaggi sulle coste dei monti,
castelli solitari come giganti e poi vastissime distese di terreno senza
alberi, case e neppure siepi, con solitari contadini, sparsi qua e là. Era il
latifondo, la piaga secolare dell'isola, mai sanata dai tanti e tanti governi
che si erano succeduti lungo il corso dei secoli. Dopo parecchie ore di
viaggio, all'improvviso dal finestrino del suo scompartimento lo scrittore notò
una lontana piramide bianca, un prodigio di bellezza naturale e di sovrana
maestà, con una nuvola bianca per corona: l'Etna! Man mano che si avvicinava,
i contorni della "Montagna" si facevano sempre più nitidi e chiari,
per cui si potevano notare i numerosi villaggi abbarbicati lungo i versanti, i
vasti boschi di querce e castagni e più in basso ancora i frutteti, i vigneti
ed anche gli aranceti ("i giardini"). Giunto a Catania il De Amicis
prese alloggio in un albergo del centro e poi cominciò a girare per le vie
della città. Ben presto si accorse di essere nella patria di Bellini. I
Giardini Pubblici, il Teatro Massimo, il monumento nella Piazza Stesicorea, la
bara conservata nel Museo dei Benedettini: tutto parlava del "Cigno",
autore di melodie immortali conosciute e cantate in tutto il mondo!
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