La chiesa dei SS. Pietro e Paolo è a valle di Casalvecchio, sulla riva sinistra della fiumara d'Agrò. Era annessa ad un cenobio basiliano fondato attorno al 1117. Nello stesso tempo fu probabilmente edificata la chiesa; essa fu rinnovata nel 1172 dal capomastro Gherardo il Franco, come afferma un'iscrizione sull'architrave della porta principale. Presenta all'esterno masse geometricamente definite. Il suo aspetto chiuso ed il coronamento di merli accusano chiaramente la funzione di fortezza cui fu chiamata la chiesa essendo isolata nella campagna. Singolare è l'accesa veste del parametro murario policromo, festoso apparato decorativo vibrante nel motivo dinamico degli archi intrecciati. Lo compongono i materiali più diversi: tufo arenario e lavico, pomice, calcare, lava e cotto. Notevole l'astratto gioco di questi materiali nelle ghiere degli archi dei portali. Stilisticamente la chiesa è una pittoresca sintesi di motivi disparati attinti dalle varie culture architettoniche allora presenti nell'isola per tradizione o per recente importazione. Arabo è il senso bloccato delle masse stereometricamente definite, l'arco acuto, la soluzione costruttiva delle cupolette su archetti sovrapposti, la sagoma dei merli; bizantino l'uso dell'arco intrecciato sulla stesura esterna dei muri, la tessitura del parametro murario a mattoni variamente composti, l'uso di pulvini su capitelli, ecc. Nel suo aspetto planimetrico la chiesa accusa il compromesso tra la pianta basilicale latina e quella a simmetria verticale bizantina, distinguendo due corpi centralizzanti ciascuno con propria cupola: quello della navata e quello del Santuario. La fronte dell'edificio compone in unico massiccio corpo le due torri scalarie ora semidistrutte, che portavano al cammino di ronda, con l'esiguo nartece ad unico arco. Il portale principale e quello del lato destro appartengono al rifacimento del 1172. All'interno la tripartizione della navata è ottenuta da archi acuti su colonne con capitelli grossolanamente definiti e pulvini. Al centro della navata principale è la cupola maggiore ad ombrello su alto tamburo poggiante su archi sovrapposti; sul presbiterio è la cupola minore su di un tanburo ottagonale poggiante su archi sfalsatamente sovrapposti sfuggenti e chiaroscurali. Le navate laterali sono coperte da crociere (da G. Bellafiore La civiltà artistica della Sicilia, Firenze, 1963). La chiesa, con l'annesso convento, sono da inserire in quel processo che i Normanni, dopo la conquista dell'isola, avviarono per ridar vita ad usi e costumi religiosi cristiani dopo due secoli di dominazione araba. Quest'opera si tradusse nel ripristino dei monasteri basiliani, editicazione di Abbazie oltre che di castelli fortificati. Nell'anno 1086 il conte Ruggero iniziò l'opera di ricostruzione del Monastero dei SS. Pietro e Paolo di Agrò, che fu completata dal figlio Ruggero II. Interessanti notizie del Monastero e della chiesa possiamo trarre dagli scritti di Giampiero di S. Teresa, in parte pubblicati in una graziosa edizione in pochi esemplari realizzata dal Comune di Savoca: ''Eppure di quel Santo monastero, oggi, non restano che alquanti ruderi solitari, abbandonati, forse apprezzati come monumenti d'arte e d'isteria, e nulla più. La bellissima chiesa che fortunatamente ancora esiste all'impiedi, dopo la soppressione contro gli ordini monastici, nel 1866, divenne proprietà privata e vi fu tempo quando venne adibita a fienile, a stalla per chiudersi gli animali e a magazzino per incassarsi i limoni.  Ahi! Quelle macerie, al viandante che passa per quelle contrade, parlano un linguaggio veramente troppo misterioso,troppo incomprensibile al profano che nulla sa delle loro grandezze nel passato. Per colui, invece, che sente le nobili origini di quel mistico ritiro, ogni zolla di terreno, ogni sasso, ogni rudere che qui si trova è un libro aperto in cui si leggono le grandi opere di Dio a pro dei nostri lontani antenati e di noi che ne raccogliamo tutta l'eredità spirituale. Vogliamo, dunque, far voti che in quella chiesa dove un giorno echeggiavano le voci degli angeli con quegli degli uomini a Dio religiosi di S. Basilio cantando le lodi al signore sia ripristinato il culto a ciò che ancora, dopo 836 anni (noi p. Giampietro da S.Teresa scriviamo nel 1936). (...) Non possiamo lasciare sotto silenzio quanto avvenuto verso il 1794, regnando Ferdinando IV sembra che i monaci che vi abitavano stavano a disagio  a causa dell'aria insalubre e a causa del terreno che minacciava continuamente frane e scoscendimenti. Il torrente Agrò vicino allargava il suo dominio minaccioso e lambiva continuamente la sponda. Fu per questa ragione che i detti monaci hanno dovuto fare istanza alla S. Sede, all'Archimandrita e al Re di essere altrove trasferita tutta al giurisdizione di esso monastero coi titoli, preminenze ecc., mentre quel luogo nel torrente Agrò nonostante la sua illustre storia, la sua vetusta e monumentale vita sarebbe rimasto come semplice ospizio. Il  Re e tutte le autorità stabilirono la nuova sede del Monastero Agrillino in Messina. La legge di soppressione lo coinvolse nel ciclone settario, il terremoto del 28 dicembre 1908, meno crudele, lo lasciò intatto; il piano regolatore della Commissione edilizia lo trasformò e di esso non rimase altro che la semplice lapide che prima era murata all'esterno. Ci hanno tramandato gli antichi che in questo Monastero e nella chiesa di S. Pietro e Paolo d'Agrò esistevano opere artistiche, pitture e quadri di impareggiabile valore; vi era una biblioteca immensa di manoscritti greci e latini che formava un immenso patrimonio scientifico e letterario. Con la soppressione monastica del 1866 tutto andò dilapidato, tutto andò soggetto ad un commercio infame degli antiquari e per giunta stranieri, inglesi, francesi e tedeschi. Sappiamo che la commissione di antichità e belle arti attende alla conservazione di quello che è rimasto, ma mi sembra di verificarsi la storiella di colui che dopo aver venduto i cavalli va in cerca delle cavezze (...). Immediatamente dopo la soppressione degli ordini religiosi, nel 1866, il monastero e proprietà passarono al demanio e poscia a persone private. Questi furono: Luciano Crisafulli fu Elia, Maddalena Crisafulli fu Elia, seppelliti nella chiesa dello stesso Monastero. A giudizio del Bottari la chiesa dei SS. Pietro e Paolo d'Agrò è "uno dei monumenti più significativi della nostra arte medievale" (cfr. Nota sul Tempio Normanno dei SS. Pietro e Paolo d'Agrò, in "Archivio Storico Messinese'', XXVI-XVII (1925-26), Messina, 1927). Il monumento, è stato riscattato nel 1909 al patrimonio artistico nazionale.