Il "nido d'aquila fuso nella rupe", cosi come lo definì Pipitone Federico ovverosia il castello, è per Mussomeli non soltanto il monumento di maggior interesse e richiamo ma rappresenta inequivocabilmente l'inizio della sua storia. Manfredi III, valoroso guerriero, ebbe ad inerpicarsi sulla rupe, dove oggi si erge l'edificio rimanendo impressionato dal panorama che tutt'intorno si apriva al suo sguardo; ma egli era anche un geniale stratega e non poteva non notare che qualsiasi fortezza fosse stata li edificata avrebbe goduto della naturale protezione dell'impervia rupe, decidendo quindi la costruzione del castello. Iniziata nella seconda metà del XIV secolo, la fortezza fu definitivamente pronta nei primi anni del 1400 tra la gioia degli abitanti del piccolo centro che portava allora il nome di Manfrida. Ma già qualche anno prima che l'opera fosse ultimata in tutte le sue parti, Manfredi, vecchio e malato, aveva trasferito tutti i suoi beni al cugino Andrea Chiaramonte; prima di allora Manfredi, nonostante il suo precario stato di salute, era riuscito a convocare nel suo castello, unendoli in giuramento, i baroni siciliani per resistere alle smanie espansionistiche degli Aragonesi pronti a sbarcare in Sicilia per impossessarsene. La Sicilia era allora retta da quattro vicari della famiglia Chiaramonte ed il giuramento dei nobili mostrava subito la sua fragile consistenza a causa del convincimento di alcuni dei baroni che in ogni caso un giuramento di fedeltà al giogo aragonese sarebbe stato preferibile all'anarchia in cui versava l'isola in quel particolare momento storico.

Morto Manfredi, Andrea si trovò quindi solo a dover fronteggiare la potenza aragonese. Rifugiatosi in un primo momento a Palermo, decise poi di trattare con il re vincitore che per tutta risposta gli confiscò i beni trasferendone la proprietà a Guglielmo Raimondo Moncada. Sconfitto e umiliato Andrea decise quindi di tentare la carta della mediazione, rendendo omaggio alla regina Maria che falsamente lo perdonò, imprigionandolo poi e condannandolo a morte insieme all'arci-vescovo di Monreale appena ventiquattro ore dopo la loro richiesta di clemenza. A causa delle vicissitudini dei suoi signori, Mussomeli attraversò alterne vicende è un susseguirsi continuo di nuovi padroni tra cui, per ottant'anni, a partire dal 1467, i Campo che fecero di Mussomeli un importante centro agricolo, consentendo una rinascita del paese testimoniata tra l'altro dalla presenza in questi anni di un notevole sviluppo dell'edilizia religiosa e, nel sito, di una delle più importanti università di Sicilia.

Dal 1546 sino all'abolizione del feudalesimo, il castello e la terra di Mussomeli furono sotto il dominio dei Lanza di cui vale la pena di ricordare l'opera di Cesare, profondo conoscitore dei problemi agrari, industriali ed economici, che affrontò in modo risoluto nonché amante della filosofia e della cabala. La sua presenza in paese portò ancora una volta ricchezza e splendore. Fondò il monastero delle Benedettine, costruì la torre dell'orologio, migliorò le condutture dell'acqua e inoltre affrontò i temi del rilancio dell'economia e del miglioramento delle condizioni di vita degli agricoltori della contea.

Quando la discendenza dei Lanza giunse al conte Ottavio, le condizioni della contea erano decisamente positive: la situazione economica era complessivamente buona e i nobili dell'epoca non correvano più il rischio di aggressione da parte dei banditi cosicché don Ottavio con la famiglia si trasferì in paese, adibendo nel 1603 il castello a carcere.

Quando la sua funzione carceraria fu abbandonata, questo iniziò a vivere un periodo di degrado a cui si pose rimedio nel 1884 allorché furono eseguiti i lavori di restauro di alcuni elementi decorativi mentre, nel 1909-10, l'architetto Ernesto Armò dell'università di Palermo,ebbe cura di ripristinare con attenzione certosina gli antichi fasti dell'edificio.

 

Difficilmente è possibile ritrovare in Sicilia le stesse suggestioni comunicate dal castello di Mussomeli, scenografica cittadella fortificata, abbarbicata su una solitaria rupe alta 80 metri, sede, nei secoli, di potenti signori e segreti imperscrutabili occultati da emozionanti clausure. L'austera costruzione si presenta con la sovrapposizione di tre diversi ordini di cui quello superiore rappresenta il castello vero e proprio e sul quale si erge, a dominare un vasto panorama, una robusta torre. L' aspetto complessivo dell'edificio risente dei rigidi schemi del tardo Medioevo siciliano, senza nulla concedere alle ardite concezioni architettoniche del barocco. Vi si accede attraverso una stradina scavata nella roccia che attraversa anche quello che doveva essere un profondo fossato successivamente richiuso, superabile grazie al ponte levatoio che caratterizzava il primo impianto difensivo dei castelli dell'epoca. Man mano che ci si appresta verso la cima, ci si rende conto dei mille particolari che caratterizzano il castello: le sue possenti mura di cinta, le feritoie, i corpi di guardia, e si ha la netta sensazione di udire ancora il rumore delle armi e le voci dei baroni di Sicilia che Andrea Chiaramonte nel 1391 qui convocò in un'ampia sala del piano inferiore. Dinnanzi alla porta d'accesso del primo recinto, la scuderia, con la sua volta gotico-normanna a botte e direttrice ogivale, mostra la sua ampiezza capace di contenere 50 cavalli. Essa è stata trasformata da circa ottant'anni in una chiesa che accoglie 1'1 e il 2 settembre le celebrazioni di messe in occasione di una sagra paesana. Ogni volta che si cambia livello si attraversa un ricco portale ornato di stemmi ed eleganti fregi e sempre ci si parano innanzi emozionanti sorprese.

Le suggestioni del visitatore non possono che accrescersi allorché, penetrati all'interno dell'edificio, ci si lascia catturare dall'immobilismo temporale delle splendide sale gotiche a cui si accede attraverso portali ogivali, dalle evoluzioni eleganti dei capitelli e delle bifore che lasciano penetrare raggi di luce i quali sembrano indicare ai nostri sguardi ciò che questi non devono trascurare.

11 castello fu adibito nel XVII secolo a carcere e questa sua funzione ha probabilmente condizionato la natura austera e clausurale della costruzione alimentando credenze e leggende popolari come quella del fantasma che vi vive e delle tre donne che vi furono rinchiuse, murate vive. Il castello di Mussomeli ha vissuto nella sua lunga storia momenti di splendore alternati a momenti di abbandono che ne hanno deteriorato la struttura. A partire dal secolo scorso (1884) furono iniziati i lavori di restauro che riguardarono, in quella fase, alcuni elementi decorativi. Ma a metter mano ad una ristrutturazione coraggiosa dell'edificio chiaramontano fu, nel 1909, l'architetto Armò che consenti al castello di divenire un importante centro di interesse culturale, tanto che questo oggi fa parte della Società Internazionale dei Castelli, cd è stato di recente soggetto di un francobollo, appartenute ad una serie raffigurante i più significativi castelli d'Italia.

 

Tirata fuori dai normali flussi turistici, la provincia di Caltanissetta offre comunque l'opportunità' di un itinerario più che interessante alla riscoperta degli antichi manieri tra cui il più celebre è senz'altro quello di Mussomeli.

E' inevitabile che questo piccolo centro nisseno si rivolga ad esso come sua maggior attrattiva architettonica ma è un errore limitarsi, per chi raggiunge Mussomeli, ad una visita al solo castello senza soffermarsi ad ammirare ciò che il paese può regalarci. Ed in effetti già colpisce il suo delizioso aspetto di paesino montano inequivocabilmente descritto come tale dal suo stesso nome che secondo alcuni deriverebbe da Mons Mellis, l'antica denominazione del Monte San Vito che domina il paese. Il centro del paese mostra non poche sorprese come, ad esempio, l'eleganza del palazzo del barone Mistretta, che sorge su piazza Umberto I, o la chiesa di San Francesco, edificio religioso risalente al XVI secolo e voluto dai Padri Minori Conventuali. lrripetibili sono le suggestioni che si sprigionano dal silenzioso e misterioso quartiere di Terravecchia al centro del quale si eleva, monumentale, la chiesa Madre dedicata a San Ludovico ed edificata da Manfredi III di Chiaramonte nel XIV secolo per poi essere successivamente ampliata nel XVII. Un altro antico palazzo nobiliare per il quale vale la pena soffermarsi, è senza dubbio palazzo Trabia non lontano dal quale è possibile osservare il Collegio di Maria e il complesso dei Minori Osservanti con la chiesa del Monte. Infine si possono attenzionare l'elegante fontana del Nettuno nell'omonima piazza, la chiesa di Sant'Antonio ed il Complesso dei Padri Domenicani con la sua chiesa.

La volta di quest'ultima, che custodisce al suo interno un prezioso crocifisso ligneo di Fra' Umile da Petralia e il simulacro della Madonna dei Miracoli, fu affrescata da Domenico Provenzano. Vuole la leggenda che, quando ancora il paese aveva la denominazione di Manfredonia dal nome di Manfredi di Chiaramonte, uno degli abitanti del piccolo ma florido centro rurale, paralitico, si fermasse a riposare un 8 settembre, addormentatosi, al suo risveglio si ritrovò guarito. Alle sue grida che inneggiavano al miracolo gli abitanti di Mussomeli accorsero e poco distante dal luogo del magico evento rinvenirono l'immagine della Madonna con il bambino Gesù dipinta su di una pietra che fu collocata in un edicola sostituita successivamente dalla chiesa. E cosi la Madonna divenne patrona del paese e l'8 settembre i cittadini di Mussomeli le rendono omaggio accorrendo numerosi al cospetto della sua immagine. Questo piccolo racconto popolare dà indubbia ragione della grande religiosità di Mussomeli e dei suoi abitanti, ma anche dei cittadini dei centri di questa parte del nisseno.