|
La vita di Antonino Mancuso Fuoco inizia nel lontano 13 giugno 1921; vive una vita ricca di avvenimenti tristi e lieti, ma se oggi lo si potesse interrogare egli direbbe che la sua vita è stata normale, comune. Trascorre un’infanzia serena, fatta di tanto amore, gioco, lavoro. I suoi giochi preferiti sono i giochi di squadra dove emerge la sua prontezza di riflessi, la furbizia e l’astuzia; si tratta sempre e comunque di giochi creativi, spesso inventati al momento, molto diversi dai nostri, quasi sempre costruiti. La sua adolescenza la trascorre in maniera armoniosa fino all’età di ventuno anni quando perde la madre, una donna eccezionale, a suo dire, molto operosa, di larghe vedute, che allevò i figli inculcando loro una buona dose di elasticità mentale e di apertura verso il mondo esterno. Da quel momento una serie di avvenimenti funesti lo colpiscono: innanzitutto la guerra con la distruzione e l’angoscia che si porta dietro, la lontananza degli affetti più cari, la scomparsa del padre, la morte, dopo solo dieci mesi, della giovane moglie appena ventiquattrenne, la nascita/morte del primogenito dal secondo matrimonio. Dopo questi tristi avvenimenti finalmente la nascita di altri tre figli: Gaetano Antonino, Silvana, Maria Giacoma. Si dedica amorevolmente alla loro educazione, intrisa di affetto e di attenzione, ma un disastro economico lo costringe ad emigrare in Germania anche se per pochi mesi. Di ritorno si rimette a lavoro nel proprio paese, allora abbastanza povero; arriva il momento in cui le figlie decidono di proseguire negli studi; non indugia un solo istante a trasferirsi a Torino in cerca di lavoro non avendo denaro sufficiente per far fronte alle loro necessità. Il soggiorno a Torino comporta tuttavia una buona dose di malinconia e di nostalgia, così il Mancuso riprende i suoi pennelli, usati in passato per interrompere la vita a volte monotona dei campi, per fare qualche omaggio ai suoi amici o per dedicare qualche disegno ai propri figli. Prendono forma e colori i personaggi e gli ambienti naturali della sua infanzia, inoltre l’acquisto di qualche dipinto da parte di personaggi che frequentano la scuderia dove lavora gli torna utile per arredare in qualche modo il bivano preso in affitto e arrotondare lo stipendio già strettamente ripartito. Il suo soggiorno torinese dura pochi anni; colpito da paresi è costretto a rientrare in paese su consiglio dei medici che lo hanno in cura. Un nuovo periodo di difficoltà e di scoramento ricomincia interrotto da una lettera amica che lo invoglia a riprendere i pennelli. Un primo articolo apparso sul “Bolaffiarte” lo rende fiero: una valanga di richieste di suoi dipinti arrivano da ogni dove. Il Mancuso diventa un fiume in piena, comincia a raccontare e a raccontarsi attraverso il disegno e il colore. Tutte le impressioni ricevute da bambino, da ragazzo, da giovane, si traducono in splendidi paesaggi infuocati o innevati o l’uno e l’altro. C’è tutta una storia dentro: di contadini, di massaie, di bambini e di giovani che giocano, un’intera esistenza raccontata con occhi fiduciosi e innocenti, aperti solo alla speranza. Ha così inizio la sua “carriera “ artistica che gli offre l’opportunità di conoscere tantissime persone ai quali rivela oltre al suo talento, la grande sensibilità, l’umorismo e l’ironia che c’è in lui. Tantissime sono le mostre collettive e personali a cui partecipa, stupendosi sempre della celebrità che lo investe e mantenendo la semplicità che lo ha sempre contraddistinto. Difficilmente si allontana dal proprio paese natìo, sono gli altri ad organizzare esposizioni per lui. Molti amatori vengono sin in paese per ammirare i suoi dipinti e per comprarli. Così trascorre per un po’ di anni la sua vita, dedita soltanto all’arte. Ad un certo punto decide di ritornare alla vita dei campi; compra un gregge e porta con sé, in campagna, le sue tele e i suoi pennelli. La sua vita finisce in un’ afosa giornata di giugno del 1996. Sulla parete della casa di campagna, messo ad asciugare, un bellissimo quadro incompiuto che contiene già un soggetto ben definito: mostra un cielo estivo turchino e un immenso prato verde su cui pascola un cavallo dal manto? |
|