In un mondo in frenetica convulsione le realtà locali faticano a mantenere la stabilità economica di un tempo. Il consumismo dell’età moderna accentua il divario tra i magnificenti centri commerciali di moda americana e le botteghe artigianali ancora ancorate ad un passato in fase di dissoluzione. E’ il culmine della dispersione dell’individualità umana, l’esaltazione della massa come luogo in cui confondersi. Come naturale conseguenza ne segue una svalutazione del prodotto: oggi si privilegia la quantità alla qualità. La riprova esiste nelle nostre abitazioni invase da inutili arnesi, acquistati semplicemente in virtù di una promozione o del basso costo, e poi puntualmente inutilizzati. Fortunatamente ancora oggi esistono uomini arditi che mirano alla conservazione e alla perenne celebrazione degli utensili che forgiarono la nostra civiltà odierna; e forse questo confronto diretto col nostro passato prossimo potrebbe limitare la folle orgia consumistica che ci avvinghia. Confrontarci con la minuzia artigianale dei nostri avi ci farebbe riscoprire una parte di noi ormai rimossa e dimenticata: la capacità di apprezzare un manufatto realizzato dalla sapiente tecnica dell’artigiano. Di certo non riusciremo mai a concludere questo circolo vizioso cui il consumismo ci ha relegati, ma probabilmente una sensibilizzazione alla qualità potrebbe in parte attenuare il fenomeno negativo. Degli “uomini arditi” di cui dicevo prima ne ritroviamo una frammento nel Museo del Palmento nella zona sud di Santa Venerina. Lo stabile con attiguo un forno per i lavori in ceramica si finanzia con le offerte dei visitatori e con la vendita dei prodotti realizzati in proprio. Si tratta di una piccola factory in cui i proprietari coniugano la produzione artigianale e la conservazione degli antichi oggetti della civiltà contadina del territorio. La forgiatura e la decorazione dei pezzi al tornio è opera di Cristiane Amblard, conduttrice del museo in collaborazione col marito Nino Carnabuci. La piccola azienda artigianale non gode di molti sbocchi al di fuori del Comune, se si esclude come attestato dalla signora Amblard “un negozio di Bolzano, l’unico nel quale esportiamo le nostre creazioni”. Nel futuro dei gestori c’è un sogno:”Speriamo che i nostri fgli proseguano le nostre attività e le incrementino”. Il territorio intorno il Museo, un tempo di ben 4 ettari, è stato in seguito limitato dopo la costruzione dell’autostrada che lo squarcia al suo interno. Oggi restano appena 4000 mq. coltivati ad olivo. Il Museo è racchiuso in una casa padronale del 1850, ed è stato suddiviso in tre settori. Quali ornamenti che precedono l’ingresso del Museo e che troviamo a bella posta lungo il tratto esterno segnaliamo le “bombe dell’Etna”, trattasi di materiale lavico che gira a velocità vorticose all’interno del cratere ed appena viene espulso assume una caratteristica forma affusolata. Poco più avanti ci attendono diversi tipi di pompe ad acqua costruite intorno agli anni ’40, in particolare una realizzata da D’Agostino a Linera e una del 1868, raro reperto dell’archeologia industriale. Avanzando di qualche metro ci attende una “bascuglia”, arnese utilizzato per pesare l’alcool. Sempre all’esterno è stato interamente ricostruito un torchio in pietra, di vecchia fruizione padronale. Dopo un giro all’aperto ci addentriamo a scoprire l’interno del Museo che ospita nelle varie stanze grande documentazione della vita contadina. Così ci ritroviamo in compagnia degli arnesi quotidiani della vita rurale, una tipologia di “zappe” risalenti al secolo scorso, un antico ebulliometro, torchi e arnesi culinari. Dopo qualche passo fanno capolino le caratteristiche “conche” , i caloriferi dell’era passata, e una svariati modelli delle prime macchine da cucire. Così tra uno stanzone e l’altro, cullati dalle meraviglie dell’età passata, ci è parso di poter gustare una genuinità pura e vigorosa lontana secoli dalla nostra civiltà in perenne moto accelerato.