Noi tutti mangiamo volentieri il frutto di questa pianta, ma gli antichi lo apprezzavano forse più di noi; sembra infatti che le antiche popolazioni si cibassero abbondantemente di "more di rovo"e ne conoscessero le proprietà astringenti. Sono il frutto autunnale preferito dagli uccelli, dalle arvicole e dalle volpi. Si possono mangiare in molti modi: crude o cotte con le mele in marmellata o gelatina. Si può fare con esse un buon vino o un eccellente sciroppo per il gelato. I fiori della mora prugnola o rovo sono raccolti in rami e hanno forma di roselline; possono essere bianchi o rosei secondo la varietà. I rami lunghi e cadenti producono i notissimi frutti colore blu scuro, quasi nero. Per quanto riguarda le proprietà, i frutti, che sono i più usati nella medicina popolare, contengono zucchero, acidi organici diversi, ecc. Le foglie contengono una discreta quantità di acido tannico. I frutti hanno azione astringente, forse per merito dei loro acidi organici, sono perciò impiegati anche contro l’infiammazione della gola e della bocca sotto forma di gargarismi. Mangiati in grande quantità irritano le vie digerenti e producono diarrea. Le foglie e i nuovi getti hanno proprietà leggermente astringenti e diuretiche. Si impiegano in infuso contro la diarrea cronica, la dissenteria, l’idropisia, le tonsilliti e i mal di gola. I frutti, se presi maturi, costituiscono un alimento sano e gustoso oltrechè rinfrescante. Un tè molto aromatico si ottiene da un infuso di foglie di rovo mescolate con quelle di lampone. Il decotto, oltre ad essere un efficace astringente, si può usare anche come lozione rinfrescante per il viso. Comunque tutte le preparazioni devono essere accuratamente filtrate. Il rovo si presenta sotto molteplici forme botaniche e soltanto gli specialisti sono in grado di distinguerle l’una dall’altra.Questa pianta, non notissima ai profani, ha un fusto strisciante e legnoso, foglie persistenti ovali, fiori a grappoli a forma di sonagli, bacche rosse quando giungono a maturazione, e cresce nei luoghi pietrosi e lungo i pascoli sulle Alpi e sugli Appennini. L’uva ursina (nome botanico Arctostaphylos uva ursi) prende nome da una leggenda dell’Anno Mille: un monaco eremita, inseguito da un orso affamato, trovò rifugio in una grotta, davanti alla quale si stendeva un tappeto di quelle piante in piena maturazione, dalle bacche rosse e assai invitanti. L’orso fu attratto dalle bacche e si dimenticò del monaco che potè così tornare sano e salvo al suo eremo. La leggenda dice ancora che da allora l’orso divenne mansueto e domestico. Una pianta miracolosa, quindi, l’uva ursina. E un po’ lo è davvero perchè le sue foglie, come sostennero dei dotti inglesi nel Medioevo, alleviano le infiammazioni dell’apparato genito-urinario e in particolare le uretriti, le cistiti, la leucorrea, la ritenzione dell’urina e anche l’enuresi (incontinenza involontaria di urina, specialmente durante la notte). Per questa ragione, per un lungo arco di tempo, decotti ed altri preparati di uva ursina sono stati il rimedio popolare tradizionale per i piccoli, ma noiosi e ricorrenti disturbi dell’apparato urinario. In effetti l’uva ursina contiene arbutina che nell’organismo può produrre sostanze che portano appunto rimedio a stati infiammatori e morbosi dei reni e della vescica. Recenti ricerche hanno messo in luce l’efficacia di questa pianta anche contro i calcoli renali.