Calascibetta ha origini antiche, forse risalenti alla preistoria, come sembrano suggerire i numerosi ritrovamenti nell’area intorno alla rupe su cui sorge la città, ma l’attuale centro cittadino sembra probabilmente originato da un castello arabo sulle cui rovine si stabilirono i Normanni. Il ruolo fondamentale di potenti famiglie nella vita sociale di una cittadina in cui la libertà dal giogo feudale aveva un valore assoluto.

 

Immutabile, silenziosa, quasi surreale nelle giornate in cui la nebbia la avvolge totalmente lasciandone intravedere le ombre scure delle case organizzate come in un presepe costruito da abili mani artigiane senza tempo. Calascibetta si presenta così, sia che la si osservi dall’alto costone roccioso su cui sorge la dirimpettaia Enna e dalla quale sembra si possa quasi toccarla allungando semplicemente una mano; sia che la si scorga un pezzo per volta a far capolino tra gli alberi, mentre si percorre la strada tortuosa che conduce sino alla cima dell’aspra rupe su cui è abbarbicata come il nido di un’aquila. La dimensione del tempo si perde totalmente nell’immagine più simile ad un’acquerello che ad un paese fatto di pietre e mattoni e popolato da genti il cui vissuto quotidiano ci tramanda la ricca storia di questo piccolo centro. Una storia antica. Troppo facile ipotizzare che quell’alta rupe di tufo calcareo, così naturalmente fortificata e nelle cui viscere si intrecciano come le celle di un’alveare grotte ampie ed accoglienti, sia stata abitata sin dalla preistoria. E poi come non immaginarne una frequentazione da parte di tutti quei popoli che in epoche remote combatterono per impadronirsi di Enna e che potevano ritrovare in quell’alta rupe un avamposto ideale per i loro propositi di conquista. Lo stesso Diodoro Siculo parla di una città, Ennaterrina, che potrebbe essere individuata nell’attuale Calascibetta. Certamente anche quest’area, così come la gran parte della Sicilia, fu interessata dall’ampio movimento monastico basiliano. I resti di insediamenti bizantini sono presenti in contrada San Giovanni, mentre una piccola chiesetta è ubicata in contrada San Teodoro. Forse un popolamento era presente nei pressi di queste aree e in contrada Realmesi dove sorge una grande necropoli. Poi gli abitanti, magari terrorizzati dall’ennesima invasione si rifugiarono in cima al costone roccioso, protetti dalle mura di una fortificazione chiamata Castello Marco. Confusi frammenti di storia, la presenza di numerosi insediamenti preistorici, di Necropoli nelle zone limitrofe concorrono ad avvalorare l’ipotesi di una frequentazione antica del sito. Ed a questi elementi si aggiungono i tratti della leggenda che vollero Calascibetta come una delle stazioni di sosta di Pietro - divenuto poi il santo protettore del paese - durante il suo lungo peregrinare da Gerusalemme verso Roma. L’apostolo si sarebbe fermato qui qualche tempo convertendo le genti del luogo. Il primo abitato coerente in cima alla rupe sembra essere tuttavia più probabilmente di origine araba come si può dedurre facendo derivare il nome Calascibetta dall’arabo Kalat-Shibet, toponimo che indicherebbe la presenza di un castello sulla rupe, il monte Xibet. In effetti era consuetudine dei dominatori Arabi costruire le loro fortezze in luoghi aspri ed elevati da cui ci si poteva contemporaneamente difendere dai nemici e controllare un territorio ampio. Sui ruderi di una vecchia fortezza araba sembra poi che i Normanni del Conte Ruggero abbiano impiantato il primo embrione dell’attuale Calascibetta. Questa parte della storia è senz’altro meno oscuro perché più recente ed ha inizio nel 1062 allorché il Conte Ruggero d’Altavilla occupò con il suo esercito il monte Xibet per utilizzarne la posizione strategica e sferrare l’attacco decisivo contro i Saraceni arroccati ad Enna. La vittoria del Conte venne dopo la decisiva battaglia alle pendici del monte. Ma dopo di allora la cima del costone roccioso di Calascibetta divenne insediamento stabile protetta dalle mura del Castello Marco dentro le quali iniziarono a sorgere gli edifici religiosi dedicati, i primi due, a San Pietro ed a Maria SS. Assunta. Le vicende storiche di Calascibetta nella fase immediatamente successiva furono quelle del resto di Sicilia, con la sottomissione al giogo prima Normanno e poi Angioino. Con la presenza degli Aragonesi Calascibetta ospitò Pietro II, figlio di Federico II, che abitò la cittadina sino al giorno della sua morte nel 1347. Prima della sua morte Pietro II concesse al paese che lo aveva adottato alcune concessioni cui se ne aggiunsero altre successivamente per premiare i Calascibettesi per la loro fedeltà alla corona di Spagna. Ma Calascibetta fu soprattutto città libera, gelosa delle proprie prerogative di indipendenza ed insofferente al giogo feudale, come dimostrano le volte in cui i suoi abitanti andarono incontro a grandi privazioni pur di poter riscattare la propria libertà. Nel 1535, infatti, Calascibetta, in quanto città demaniale, fu data in pegno dal re Carlo V a Ludovico Vernagallo. Riconquistata la propria libertà e la propria autonomia, pagando la somma del riscatto perché fosse affrancata dalla servitù, Calascibetta si potè fregiare del titolo di "Città Vittoriosa" che si aggiunse, poco più in là nel tempo, all’altro titolo di fedelissima. Questi titoli sono ancor oggi presenti nella scritta "Victoriosa et Fidelissima Urbs Calaxibectae" che appare tra gli artigli dell’aquila del gonfalone della città. Era il 1848 ed il 1860 i Calascibettesi mostrarono ancora una volta il proprio fiero desiderio di libertà partecipando alle insurrezioni popolari ed alla spedizione garibaldina che portarono all’Unità d’Italia. Uno degli aspetti più interessanti della storia di Calascibetta è sicuramente il rapporto tra le potenti famiglie del luogo e l’amministrazione delle prerogative demaniali della città. I numerosi benefici derivanti dalla fedeltà riconosciuta alla corona di Spagna, in particolare tra il XV ed il XVI secolo, consentirono ad alcune famiglie calascibettesi come i Di Leto, i Terracina, i Bellomo, i Di Vita, di gestire la condizione demaniale inserendo congiunti nell’amministrazione pubblica ed intrecciando rapporti, tramite alcuni congiunti membri del clero, con le autorità ecclesiastiche che gestivano il patrimonio delle due chiese principali di Calascibetta, Maria SS. Assunta e San Pietro (quest’ultima distrutta dal terremoto del 1693). Membri delle famiglie avevano anche un ruolo determinante nella vita sociale del paese eccellendo in alcune tra le più nobili professioni del tempo.

Pertinenza di queste famiglie era anche la proprietà dei più vasti appezzamenti terrieri nei dintorni della città e quindi, in una realtà prevalentemente agricola, l’amministrazione della cosa pubblica, quella del patrimonio ecclesiastico e quella della proprietà privata e dell’agricoltura, finivano per coincidere dando la sensazione di una presenza feudale. Non vi erano feudi veri e propri nel territorio di Calascibetta, quando in alcuni testi storici se ne fa menzione ci si riferisce prevalentemente all’accorpamento di unità agricole a costituirne di più grandi. E’ pur vero che le forme di privilegio delle potenti famiglie di Calascibetta in qualche modo potevano richiamare una natura feudale della comunità che, tramite i membri delle famiglie inseriti nelle istituzioni cittadine e religiose, potevano trattare direttamente, senza l’intermediazione dell’aristocrazia feudale, con Palermo, per le questioni laiche, e con Catania per le questioni inerenti problemi religiosi e l’amministrazione dei beni della Chiesa. I complessi rapporti tra Chiesa, famiglie ed amministrazione pubblica e privata sono in qualche modo chiariti nel "Libro Rosso", un volume unico dallo straordinario valore storiografico, custodito a Caltanissetta.

 

 

Vedendo Rugiero, che l'assediò, che l'espugnazione di Enna era difficile, tirò gli alloggiamenti, e portò l'esercito sopra un colle, ch'è lontano da Enna quasi due miglia, e non è diviso da lei, se non da una valle, il quale luogo si chiama Calascibetta" 

Fazzello, Storia di Sicilia

 

 
I dintorni di Calascibetta sono costellati di tracce evidenti di una frequentazione del sito vecchia di millenni: Necropoli, abitazioni rupestri e rinvenimenti archeologici di manufatti e ceramiche testimoniano di una presenza umana costante. Ed insieme a queste straordinarie evidenze archeologiche la geomorfologia del territorio, prevalentemente calcareo, offre interessanti spunti di visita per la presenza di numerose ed ampie grotte alcune delle quali si aprono nel paese o sulle ripide pareti dello sperone roccioso su cui sorge Calascibetta.
 

Pochi luoghi possono vantare una tale armoniosa ricchezza di cose come Calascibetta. Le stradelle che si inerpicano sull’alta rupe su cui la cittadina è abbarbicata, conducono a terrazze o piccoli archi che si aprono su paesaggi incantevoli che si perdono sulla linea dell’orizzonte. Tutto ciò che si scorge è gradevole e la natura, da tempi immemorabili, tutt’altro che ostile, luogo adatto perché vi si stabilissero popolazioni antiche sin dalla preistoria della Sicilia. Le testimonianze della presenza di insediamenti umani nei siti intorno al paese sono tra le più interessanti di Sicilia e fra queste spicca la Necropoli sita in Località Realmese con le sue circa trecento tombe a "grotticella" risalenti al periodo compreso tra il IX e l’VIII secolo a.C.. Gli scavi, condotti dall’archeologo siracusano Paolo Orsi, portarono al rinvenimento di numerosi manufatti, probabilmente frutto dell’azione di dilavamento di un sito posto più a monte ed in particolare furono trovate ceramiche dello stile di Serraferlicchio così chiamate dal nome della omonima località nei pressi di Agrigento cui si fanno risalire i primi ritrovamenti relativi a questo orizzonte. Nelle adiacenze della Necropoli doveva infatti trovarsi un villaggio siculo da cui provengono manufatti, monili e monete conservate presso il Museo Archeologico di Siracusa. Vi sono anche tracce di sepolture più recenti risalenti al periodo della dominazione Araba. Necropoli preistoriche con ipogei sorgono in contrada Valle Coniglio e Caldarella. Di grande interesse archeologico è Malpasso al cui nome è legata anche una cultura. Nel sito sono stati rinvenuti oltre ad una Necropoli anche alcune abitazioni risalenti probabilmente al secondo millennio a.C. Le tombe di Malpasso hanno una notevole rilevanza a causa della unicità della loro struttura che non presenta elementi di contatto con altri ritrovamenti nell’isola ma piuttosto con resti archeologici sardi e a Malta. In particolare le tombe si presentano a "grappolo" cioè con un insieme di camere comunicanti tra di loro e disposte su piani differenti. Tale struttura sembra sopravvivere nel sito sino all’età del bronzo. Per quanto concerne la ceramica di Malpasso questa si caratterizza per una scarsa varietà tipologica con prevalenza della forma a bicchiere ovoidale e fondo monocromatico di rosso lucido. Ben centotrenta tombe a "grotticella artificiale" compongono la Necropoli di Calcarella presso cui sono state ritrovate ceramiche risalenti all’età del bronzo con decorazioni piumate e fibule assimilabili ai rinvenimenti di Cassibile (SR) alla cui cultura è pure da ricollegare il sito archeologico della Necropoli Cozzo San Giuseppe (X-VIII sec. a.C.). I dintorni di Calascibetta sono anche caratterizzati da numerose grotte alcune delle quali di un certo interesse sono inglobate nel tessuto urbano sotto il quale formano un fitto dedalo di antri ricadenti in massima parte in proprietà privata. Tra queste ultime non è raro trovarne adibite ad uso improprio di magazzino o come ricovero per animali. Il sistema di grotte forse più interessante è quello delle grotte di San Pietro scavate nella roccia della rupe su cui sorge la Chiesa omonima, ed il cui accesso in qualche caso è complicato dall’assenza di sentieri percorribili. Piuttosto ampia la grotta "Purtredda" che si trova lungo la via Longobardi e che deve il suo nome alla presenza in epoca Longobarda di una grande porta a chiudere l’ingresso della città. Si tratta in realtà di due grotte distinte, l’una di circa 25 mq., l’altra meno ampia ed entrambe sono provviste di nicchie scavate nelle pareti. Le grotte di Santa Maria ricadono per lo più su terreni di proprietà privata per cui è necessario chiedere l’autorizzazione a visitarle. Sono tutte caratterizzate da un unico abitacolo dalla superficie media di circa 3 mq. Ve ne sono alcune alla destra della Chiesa Madre in un orto chiamato "Baglio", oltre il quale, scendendo una scalinata se ne aprono altre. Alle spalle della Chiesa Madre, una stradina adiacente a via Pietro d’Aragona conduce ad altre piccole grotte. A rimarcare l’aspetto rupestre del paesaggio di Calascibetta sono anche le grotte di Sant’Agata che costellano una parete rocciosa nei pressi di via San Matteo e che hanno dimensioni abbastanza variabili oltre ad essere spesso in comunicazione tra loro attraverso stretti cunicoli. Più accessibili, anche perché valorizzate da un progetto di recupero, sono le Grotte alla Plaza che si aprono nei pressi di Piazza Umberto I. Le grotte sono state utilizzate come abitazioni rupestri sino al periodo compreso tra il XV e il XVII secolo. Vi si accede attraverso la via Conte Ruggero o la via San Michele che si trova esattamente sopra le grotte. Entrambe le strade si dipartono dalla piazza Umberto I. Disposte su più livelli scavati nel tufo calcareo le grotte si presentano di dimensioni differenti e sono tra di loro quasi tutte intercomunicanti e dotate di nicchie scavate sulle pareti.

 
 
Alcuni, fra i quali il celebre Padre Pelvini che cita il Metafraste, ed il Baronio nella storia ecclesiastica, fan rimontare l'origine della città a parecchi anni pria della venuta di Gesù Cristo, e dicono, che l'Apostolo Pietro, partitosi d'Antiochia per andare a Roma, approdò in Palermo, e di lì portossi in Calascibetta, dove colle sue prediche stabilì la Religio di Cristo. Forse perciò si onora anche oggidì come Patrono della città". (C.M. Borghese, Vittrice, e Fedel Città di Calascibetta). Proponiamo una descrizione del Pitrè della festa in onore del patrono San Pietro così come avveniva alla fine del secolo scorso.
 

E' tradizione che il Capo degli Apostoli partendo da Antiochia per andare a Roma approdasse a Palermo e da qui si recasse in Calascibetta a predicarvi la religione di Cristo. "E forse fu in commemorazione di ciò - mi scrive da quel comune il sig. G.B. Borghini - che il Conte Ruggero de’ Normanni venuto qua per la espugnazione de’ Saraceni dalla vicina Enna, vi eresse un tempio in onore di S. Pietro che proclamò patrono della città, portò le reliquie, ed istituì la festa che ora si celebra la prima Domenica di Agosto ed il Lunedì seguente". Nel mese di Luglio, ogni mattina, alle 3, le campane suonano a festa; il suono è chiamato priu o preu, gaudio, gioia. La sera il viaggiu a San Petru, cioè il pellegrinaggio alla chiesa del Santo, è un atto di devozione delle donne, le quali possono, dirsi compensate della fatica nel salire a quell’altezza dal fresco che vi trovano: ristoro ai grandi calori estivi. Chi facesse quel pellegrinaggio en amateur assisterebbe ad una scena esilarante e fantastica. Chiunque giunga in quella chiesa, dopo compiute le pratiche di devozione, va a porsi sul capo, per tre volte di seguito, il triregno di S. Pietro. Immaginiamo la figura di una comare, di un contadino, con quell’arnese in testa! Eppure senza questa cerimonia non può dirsi viaggio quello che si è fatto!

Così è passato il mese, e Calascibetta è venuta acquistando qualche cosa che non è ordinaria: un certo movimento negli abitanti e molti ospiti. Frammezzo al crescente viavai del Sabato, comincia il vocio insistente di chi vende ceci ed avellane: Nuciddi caliati! Ciciri caliati! di chi spaccia luppini: Luppini duci, carizza e roba bona! dei fruttivendoli: muscateddu, persica, ficazzani! dei mellonai: Tagghia ch’è russu! dei torronai: Turruni di mènnula! Tra’ forestieri prevalgono quei di Castrogiovanni, venuti non senza il segreto fine di mettere in burla i paesani. Saltiamo al Lunedì per osservare le statue de’ santi. Fermiamoci alla porta della chiesa del Patrono e vediamole entrare. Vengono ciascuna dalla propria chiesa, trasportate da contadini; e son cariche di frutta, di fiori e del caratteristico basilico. Qual’è la ragione di tanta copia dei prodotti della terra? Non dimentichiamo che Calascibetta guarda Castrogiovanni; che Castrogiovanni richiama all’antica Enna, e che Cesare ebbe culto in Enna. Lì, nella chiesa del patrono, stanno ad attendere la uscita di esso, e lo precedono per dargli il posto ultimo, che, come s’è detto, è quello d’onore. Sommano ad una trentina, con a capo l’Arcangelo Michele e alla coda S. Paolo. Ve n’è di belle figure, ve n’è anche di brutte e malmesse. Ma splende tra tutte S. Pietro, portato da una cinquantina di uomini. "Il santo è in ricchi paramenti pontificali, in sedia gestatoria di velluto rosso, guarnita di grandi ed eccellenti ricami di oro fine". Per via la processione si ferma quattro volte, perché i portatori delle statue possano prendere da mangiare e da bere. Codeste fermate, che dapprima rallegrano, finiscono con istancare i devoti, non pochi de’ quali non possono più sottoporsi alle aste delle macchine: donde la noncuranza che se ne ha e qualche dialogo punto adatto alla circostanza o qualche soliloquio sconnesso. Al ritorno nella chiesa principale però quasi tutti son presenti a ricevere il tradizionale torrone, compenso del trasporto o ricordo della devozione operosa. Ed allora, di corsa riportano, secondo la confraternita o il precedente corteggio, alle loro chiese i simulacri e senza tanti complimenti le abbandonano. Durante la festa molto è il consumo di dolci: e non deve mancare, neanche ai più poveri, il torrone. "Nelle famiglie agiate ne hanno i fanciulli, le persone di servizio e tutti quei dipendenti che in quella occasione si fanno un dovere di portare un qualsiasi presente o di fare anche una semplice visita di bonifesti. Un oggetto qualunque che si dà in regalo si dice ‘u turruni". Piatto di prammatica sono i maccheroni al pomidoro (pasta ‘ncaciata) con melanzane ed i galletti col medesimo pomidoro (gadduzzi ccu ‘a sarsa).

 
 

La festa della Madonna del Buonriposo ricorre ogni prima domenica e lunedì di settembre e, ancor oggi, l’aspetto cristiano si combina con quello pagano. Infatti, nell’ottocento dopo Cristo i coloni arabi che si stabilirono nelle vicinanze della fortezza Kalath-Shibet, usavano divertirsi organizzando giostre, feste e corse a cavallo lungo i boschi, i ruscelli e le pianure vicine. Da allora, è tradizione svolgere, ogni primo lunedì di settembre "il palio dei Berberi"; decine di cavalli con i rispettivi cavalieri che li montano a pelo, si inseguono in corsa in una strenuante gara mozzafiato che si svolge, attualmente lungo il "chianu a cursa". L’aspetto cristiano della festa è legato, in particolare ad un episodio avvenuto verso la fine del secolo scorso quando nelle miniere della zona in cui si svolge il palio, venne scoperta una grande roccia avente le sembianze della Madonna. I minatori che provarono a portarla in paese non riuscirono a trasportare la roccia poichè diventava sempre più pesante. Fu così che proprio in quel punto venne costruito un santuario in onore della Madonna del Buonriposo. In occasione della festa, oltre al "palio dei berberi" si svolge, ormai da diversi anni, la domenica mattina, un’importante fiera del bestiame che attira allevatori da diverse parti della Sicilia interessati, in particolare, al pregiato maiale di Calascibetta che, in passato veniva macellato e arrostito sul posto. Da questa usanza nasce l’attuale "sagra della salsiccia" che insieme ad una serie di giochi campestri completa la festa.

 
 

Calascibetta è piuttosto ben collegata con i maggiori centri della Sicilia.

Dista 7 km. da Enna e 3 km. dalla sua stazione ferroviaria.

Il paese si trova al centro dell'autostrada che congiunge Catania e Palermo ed è lontana 80 km. circa dalla prima e dal suo aereoporto (aereoporto di Fontanarossa) e 130 dal capoluogo siciliano (aereoporto Falcone-Borsellino).

Gli aereoporti collegano, con numerosi voli giornalieri, la Sicilia alle principali città d'Italia. Calascibetta dista poi 147 km. da Siracusa, 175 da Messina, 204 da Trapani, 34 da Caltanissetta, 135 da Ragusa e 82 km. da Agrigento.