Damiano Marinelli , socio della sezione fiorentina del Club Alpino Italiano, aveva fatto una ascensione sull’Etna nel maggio del 1875 e ne aveva riportato un ricordo piacevolissimo, costellato di tanti piccoli episodi, quali il calore umano, l’ospitalità , le bellezze naturali viste, al punto di giurare a sè stesso di rivedere sui luoghi etnei appena possibile. E pochi anni dopo mantenne la promessa, ritornando però in pieno inverno per vedere altri aspetti sconosciuti del vulcano.

Così nel gennaio del 1877 scese alla stazione ferroviaria di Acireale e prese alloggio in uno dei pochi alberghi ivi esistenti. L’indomani partì a piedi di buon mattino e dopo una lunga camminata di 3 ore attraverso i centri di Aci Catena, Aci Sant’Antonio, Viagrande, Trecastagni, Pedara giunse al borgo di Nicolosi, a quel tempo tappa obbligata per tutti i viaggiatori che volevano salire sul vulcano. Strada facendo era rimasto colpito dagli estesi vigneti, dalle piantagioni di ulivi e dai tanti alberi da frutta sparsi qua e là.

In paese il Marinelli si fermò nella locanda di Giuseppe Mazzaglia ( un’altra era gestita da un certo Galvagno) e da qui mandò a chiamare Antonino Carbonaro, conosciuta guida dell’Etna, che già lo aveva accompagnato nella prima ascesa del 1875 e di cui era rimasto molto contento.Ritrovò con estremo piacere il Carbonaro, il quale gli prospettò subito che l’indomani avrebbero avuto cattivo tempo, per cui urgeva prendere tutte le precauzioni possibili. Concordarono i prezzi della salita che risultarono così suddivisi: 8 lire per la guida, 6 lire per i muli e 2 lire per potere pernottare nella Casa Inglese. A questo proposito il Marinelli seppe che i viaggiatori inglesi pagavano solo 1 lira, perché detta casa era stata costruita nel 1811 da Mario Gemmellaro con il contributo di 60 onze dato dagli ufficiali della flotta inglese di stanza a Messina in quel periodo storico.

Per ingannare il tempo intercorrente tra i preparativi e la partenza il Marinelli fece una veloce escursione sui vicini Monti Rossi ( 948 m s.m.) dalla cui cima spaziò con la vista dall’Aspromonte alla Piana di Catania. Ritornato a Nicolosi, partì alle ore 2,30 pomeridiane con la guida e con un mulattiere e dopo breve percorso si fermò alla "Casa del Bosco" a 1285 m s.l.m., dove i numerosi viaggiatori trovavano paglia per gli animali, legna per riscaldarsi e acqua per dissetarsi. Durante il cammino il Marinelli osservò il paesaggio tutt’intorno e lo vide per lo più coltivato a segale, specie in tutti quei siti dove i castagni erano stati tagliati e il terreno si presentava soffice e profondo e molto adatto a quel cereale che cresceva bene a notevole altitudine. Nelle zone sciarose risultava alquanto diffusa la Ginestra (Genista aetnensis), dal cui duro legno i boscaioli locali ricavavano un carbone eccellente e molto utilizzato dalle genti etnee e più in alto ancora le prime macchie di betulla ( Betula aetnensis) , un originale endemismo vegetale etneo.

Nella "Casa del Bosco" si fermarono per circa 2 ore in attesa della mezzanotte. Seduto accanto al fuoco, il Marinelli ascoltò con molta attenzione le storie raccontate dal mulattiere e dal Carbonaro e la descrizione della produzione di tanti prodotti locali sia caseari che agricoli. Mezz’ora dopo la mezzanotte montarono sui muli avvolti in pesanti mantelli per difendersi dal freddo che diveniva sempre più pungente, man mano che salivano su per la mulattiera. Non c’era luna e la tortuosa via era rischiarata a malapena solo dalla fioca luce di una lanterna portata dalla guida e dall’istinto dei muli, che già conoscevano per bene il sentiero. Guardando in basso si notavano chiaramente le luci che illuminavano la città di Catania.

Man mano che si saliva la guida indicava al Marinelli i vari siti attraversati ossie le Rasorelle, la Tacca dell’Arena ( antico deposito di neve), la Volta di Gilormo, la Tacca delle Alvarelle ( altro antico deposito).

Dopo un’ora e mezza di salita il Marinelli rimandò indietro il mulattiere con gli animali e proseguì solo con la guida, a piedi e ormai sulla neve che trovò ghiacciata e croccante sotto i suoi passi. Non si vedeva fauna alcuna e neppure vegetazione, all’infuori di larghe macchie di spino santo ( Astragalus siculus) , cibo delle greggi che nella stagione secca venivano spinte sin lassù.

Dopo un’altra ora e mezza di marcia , i due giunsero in alto, ai 2.942 m della "Casa Inglese" che trovarono quasi interamente coperta di neve, per cui fu gioco forza entrare da una delle finestre laterali. Delle tre stanze solo quella a levante era abitabile: nelle altre due il pavimento era coperto da un sottile strato di ghiaccio. Con il carbone portato fu fatto un bel fuoco al centro della stanza , poiché il camino era otturato dalla neve. Guardando il termometro che aveva portato seco il Marinelli seppe che la temperatura era di 8 gradi C° sotto zero.

Dopo un parco desinare i due si riposarono: Antonino si addormentò rannicchiato su se stesso, mentre il Marinelli, steso su un pagliericcio, rimase irrigidito dal freddo e con i lunghi baffi induriti dal gelo.

Alle 5.30 partirono e si incamminarono verso il soprastante cratere. All’improvviso Antonino scivolò e mentre cadeva sbattè il muso su una bottiglia che portava nel petto, facendosi un poco di male. Strada facendo furono investiti da getti di fumo solforoso che impedì loro di respirare per cui si dovettero fermare e cercare un sentiero con l’aria più libera e quindi più pura. Stanchi ed ansimanti si sedettero su di un grosso masso per riposare e si ristorarono con un sorso di cognac e un poco di cioccolata che il Marinelli aveva pensato di portare con se. Ripresa la salita, alle ore 6.30 giunsero sulla cima orientale dell’Etna che in quel periodo era un poco più alta di quella occidentale. Il Marinelli si affacciò all’interno del cratere che ribolliva di fumo, di esalazioni e che emetteva un sordo mormorio, simile ad un uragano e prodotto dalla lava che gorgogliava sul fondo.

A causa del tempo nuvoloso l’escursionista toscano non poté godere del panorama eccezionale che in genere si vedeva dalla cima e che spaziava dalla Calabria, alle isole Eolie, alla Piana di Catania, alle cime più alte dei Nebrodi e pure delle lontane Madonie.

Alle 7 del mattino, il Marinelli, abbastanza soddisfatto della salita effettuata, ma non tanto dell’angusto panorama goduto, e accompagnato dalla guida riprese la via del ritorno. Scendendo all’improvviso scivolò e andò a finire in una delle tante fumarole che si trovavano sul sito del cratere e chiese aiuto. Il Carbonaro corse subito a tirarlo fuori e vi riuscì con un grande sforzo prima che le esalazioni calde lo bruciassero. Ritornati alla base del cratere, ambedue si riposarono e il Marinelli ne approfittò per controllare la temperatura esterna che con sua evidente sorpresa fu di -18 gradi C°, con una differenza che in 19 ore da Acireale al cratere aveva raggiunto i 35 gradi.

Poco dopo i due cominciarono la discesa, tra la neve ghiacciata e le varie fumarole che poi , andando sempre più giù iniziarono a diradarsi per poi scomparire del tutto. Cambiando ambiente i loro vestiti già inumiditi dai fumi e dai vapori delle fumarole a contatto con l’aria freddissima lontano dal cratere, gelarono e diventando bianchi diedero loro un aspetto più che comico. Il Marinelli voleva tornare ad Acireale attraverso la Valle del Bove ( 5 Km di larghezza per almeno il doppio di lunghezza, calcolò l’escursionista ), ma la guida si oppose dicendogli che in quel lato la discesa era più difficile e pericolosa a causa della neve ghiacciata. Così si accontentarono di vedere la Valle del Bove solo dal bordo: le sue pareti nevose, ripide ed altissime gli ricordarono i picchi delle Alpi che aveva visitato e scalato qualche anno prima. Indi cominciarono a discendere dal lato del "Montagnolo" ( La Montagnola) di 2.842 m di altezza, cono ad angoli acuti con pendii ripidissimi dove il Marinelli innalzò un cocuzzolo di pietre su cui lasciò una carta con il suo nome.

Dal "Montagnolo" discesero verso la "Casa del Vescovo" . Lungo la via trovarono la "Grotta di Sorvicenzo", luogo naturale molto adatto come riparo provvisorio per gli escursionisti. Li vicino raccolsero alcune violette delle Alpi, unici fiori rinvenuti in gennaio sull’Etna.

Vicino alla "Casa del Vescovo" visitarono una grande cavità naturale che veniva usata come serbatoio per la conservazione della neve, che poi in estate veniva portata con i muli a valle, per essere poi spedita per la gran parte in molte città della Sicilia e nel passato anche a Malta. Discendendo ancora giunsero al Salto del Cane dove cominciarono ad incontrare boschi, prati, vigneti e frutteti. E così di buon passo giunsero a Trecastagni dove il Carbonaro lasciò il Marinelli che in 2 ore giunse ad Acireale alle 15.00, contento di essere passato dall’inferno vulcanico al paradiso della riviera jonica. Era ritornato veramente in tempo. Infatti l’indomani una fitta nevicata coprì l’Etna sino a 600 m di altezza. Questo il resoconto abbastanza dettagliato di una escursione sull’Etna effettuata da Damiano Marinelli, in linea con quelli che erano i dettami escursionistici di quegli anni dell’ ‘800, programmati e messi in atto dalle diverse sezioni del Club Alpino Italiano, dalle Alpi alla Sicilia.