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Un itinerario per le vie della città. Mistretta è una piccola perla d’arte
incastonata sul massiccio dei Nebrodi, verde dei suoi boschi, e resa ancor
più bella dallo sfondo azzurro del Tirreno. In certe giornate terse,
arrampicandosi su, verso i ruderi del suo antico castello, ci si rende
conto facilmente che l’unico limite alle capacità dei nostri occhi è
dato dalla difficoltà per il nostro sguardo di distogliersi dalla visione
delle Eolie, che emergono dal Tirreno, dell’Etna innevata, dei boschi
tutt’intorno e, proprio lì, appena sotto di noi, delle immagini
colorate delle tegole dei tetti delle case, interrotte dall’aprirsi
improvviso di larghi e piazze e dall’elevarsi degli eleganti campanili
delle chiese. Così, i ruderi del castello, un tempo freddo baluardo
difensivo, sembrano segnalarci con che straordinario luogo abbiamo a che
fare. E non c’è modo migliore per ringraziare quelle antiche pietre che
iniziare il nostro viaggio per Mistretta proprio da loro, cogliendone il
respiro antico e suggestivo. Conosciuto già in epoca romana -
"vetustissimo", lo definisce Polibio -, dopo una disastrosa
frana che ne distrusse una buona parte, il Castello fu ricostruito dagli
Arabi nel IX secolo e utilizzato ancora dai Normanni e dai feudatari del
luogo. Si presentava con pianta rettangolare, circondato da tre fila di
mura di cinta, ancora visibili tra i ruderi, e potenziato da quattro
robuste torri merlate che raggiungevano l’altezza di 27 metri, mentre,
il palazzo superava di poco i 20. Magnifico, potente, inespugnabile,
efficace nell’assolvere il suo compito difensivo, favorito dalla natura
impervia della rupe su cui sorge, il castello ha sempre rappresentato, per
gli amastratini, il simbolo della prepotenza dei potenti, ma si sa, quando
la misura è colma... E così, nel 1633, gli abitanti di Mistretta,
inferociti, diedero fuoco e distrussero il vecchio maniero, già peraltro
acciaccato dagli anni e, tutto sommato, incolpevole dell’uso
spregiudicato che delle sue pietre si era fatto. Indugiamo ancora un poco
tra quelle pietre per continuare a cogliere l’antico silenzio della
storia e godere ancora dello straordinario paesaggio di questo lembo
incantato di Sicilia, per poi ridiscendere verso il paese, per assaporare
un altro suo pregiato simbolo, la Chiesa Madre, intitolata a Santa Lucia.
La storia dell’edificio religioso può essere divisa in tre distinte
fasi la prima delle quali va dal XII secolo sino alla seconda metà del
‘400. Erano le sue origini, incerte per quanto riguarda la data esatta
della sua edificazione, ma già iniziava a divenire forte la fede per la
martire siracusana le cui celebrazioni attiravano numerosi fedeli da ogni
dove. La chiesa era più piccola dell’attuale, corrispondendo grosso
modo alla sua odierna navata centrale, ed era priva di torre
campanaria.Tuttavia sull’antico edificio non è possibile aggiungere
molto, tanto che la vera edificazione della Chiesa Madre, viene fatta
risalire alla sua seconda fase, che inizia dal 1470, prolungandosi sino al
1623. E’ periodo florido per
Mistretta che vede accrescere e migliorare sotto il profilo funzionale ed
estetico il suo asssetto urbano e il luogo di culto risente positivamente
di questo clima favorevole. La chiesa fu resa più grande e coronata dall’altissima
e possente torre campanaria, una delle più alte dell’isola (alta 28
metri e larga 9). Era poi il periodo in cui da Mistretta transitarono i
Gagini che non negarono il loro straordinario contributo artistico all’arricchimento
della chiesa che potè godere anche del contributo in eleganza e abilità
delle maestranze amastratine. Dal 1625 si apre la terza ed ultima fase
della vita della chiesa che si completerà ai giorni nostri. E’ l’epoca
degli ultimi ritocchi e dei definitivi ampliamenti ed arricchimenti.
Momento cruciale fu, il 1775, allorché il Vescovo Gioacchino Lancillotto
Castelli, in visita pastorale in paese, dedicò nuovamente la chiesa ed il
suo altare alla santa Siracusana. Oggi, questa preziosa opera di
architettura religiosa, si presenta a tre navate, separate da due ordini
di colonne in pietra monoblocco e capitelli di diverso stile, finemente
lavorati dagli scalpellini locali che hanno provveduto anche ad adornare,
con bassorilievi di pregevole fattura, il portale principale in pietra
arenaria. Il portale nord, è databile intorno al 1494 ed è opera del
maestro Giorgio da Milano. Il portale sud è anche il più recente essendo
stato aperto nel 1626. Di notevole pregio artistico è, all’interno
della chiesa, il settecentesco coro ligneo, consegnato alla chiesa dal
sacerdote G. Biffarella. Proprio l’interno
della chiesa racchiude da solo un’itinerario artistico irripetibile a
cominciare dalla Cappella dedicata a Santa Lucia, nella quale è situato
il simulacro marmoreo opera, nel 1527, di Bonifazio Gagini. La statua
della Santa è posta in una nicchia nella parte centrale di un trittico
marmoreo attribuibile ad altro componente della numerosa (per fortuna!)
famiglia Gagini, e si presenta con la tradizionale postura con il piattino
contenente i suoi occhi, in una mano e, nell’altra, una palma. Di un
altro Gagini (Nibilio) ma del 1604 è l’ostensorio. Ma,
complessivamente, si può dire che i Gagini abbiano letteralmente
imperversato (positivamente, si intende) nella chiesa. Tra le opere non
gaginiane sono da segnalare la tela delle Anime Purganti (1651), opera di
Tomasi Purganti da Tortorici progettata per metter in risalto le figure
delle anime, quindi molto definite, in contrasto con l’atmosfera quasi
rarefatta in cui si muovono gli angioletti. E meritano più che un fugace
sguardo anche le preziose cappelle di Maria SS. dei Miracoli (XVI sec.),
del Sacramento (1739) ed il magnifico Crocifisso del Genovesi (XVI sec.).
Tante altre e tutte da scoprire sono le meraviglie celate (ma non troppo)
dalle mura sacre dell’edificio e dopo esserci soffermati ad ammirarle,
usciamo dall’edificio ed imbocchiamo via della Libertà lungo la quale
incontreremo la Chiesa di San Sebastiano. L’edificio religioso, già
edificato nel 1569 è dedicato al Santo Patrono (insieme a Santa Lucia) di
Mistretta. Danneggiata dal terremoto del 1967, è stata ricostruita
tenendo conto dei criteri di conformità con l’edificio originale. Il
prospetto è rimasto praticamente intatto e contiene l’artistico
altorilievo raffigurante il Titolare. Al suo interno la pregevole vara (XVII
sec.) su cui poggia la statua del Santo scolpita da Noè Marullo. Ancora
lungo via Libertà la Chiesa di San Francesco a cui è annesso il Convento
dei Cappuccini. La chiesa, edificata nel 1570, contiene un prezioso coro
ligneo dell’architetto Gino Biffarella e le tele raffiguranti S. Anna,
opera del Catalano il Vecchio (1599) e la Madonna degli Angeli di Scipione
Gaetano Pulzone (1588). L’orto
annesso al Convento dei Padri Cappuccini fu coltivato fin dal 1656, anno
in cui il convento fu ampliato e modificato. Successivamente, nel 1866, in
seguito ad una legge sulla soppressione di alcuni Enti ecclesiastici, l’orto
fu destinato a giardino pubblico ed attualmente è Villa Garibaldi
dedicata all’eroe dei due mondi nel 1889. Poco distante dalla Chiesa di
San Francesco si erge l’ex Palazzo di Giustizia, utilizzato come tale
solo qualche tempo dopo la sua costruzione, ultimata nel 1853, all’atto
della quale era destinato a Casa degli Esercizi. Attualmente è adibito a
sede del Giudice di Pace, Scuola Musicale, Archivio Storico e Museo. In
fondo a via Libertà è Villa Chalet, progettata nel 1871 dall’architetto
Cannata ed acquistata dieci anni dopo dal Comune che la aprì, dopo i
necessari collaudi, nel 1907. In zona
anche la Fontana Pia e l’Ospedale Vecchio. La data di edificazione dell’Ospedale
è leggibile sull’architrave del portale interno assieme al nome del
fondatore, il prete Filippo Pizzuto. |