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Mistretta è un antico centro posto a 1.000 metri d’altezza sui Nebrodi occidentali. Il mistero delle sue origini è legato essenzialmente alla querelle che interessò intere generazioni di storici, a cominciare dalle prime documentazioni di età greca e romana, e che vedeva confrontarsi due ipotesi diverse legate a due antichi toponimi, Am’Ashtart (popolo di Astarte) o Mete’’Ashtart (uomini di Astarte), che potrebbero aver potuto indicare la stessa città divenuta in epoca greca, Amestratos, e successivamente Mytistraton o indicare un centro diverso. Ciò che, in ogni caso, appare chiaro, è l’origine semitica della nomenclatura, che sembrerebbe indicare, qualunque sia l’interpretazione che si vuol accettare, una presenza fenicia nella zona in cui sorge oggi l’attuale centro di Mistretta. La vera origine del paese sembra comunque più probabilmente autoctona e più precisamente sicana, con un processo di successiva ellenizzazione che gli valse i nomi già ricordati. Per l’ipotesi che Am’Ashtart e Mytistraton fossero due centri differenti, sembra, comunque, protendere, agli inizi del secolo, l’archeologo comisano Biagio Pace, che ritiene la prima, un centro non lontano da Alimena, mentre, la seconda, l’abitato colonia greca attuale Mistretta. Sullo sfondo delle Guerre Puniche, il centro ellenico fu posto sotto un terribile assedio dai Romani che l’espugnarono con un azione congiunta delle truppe di Attilio Calatino e Aquilio Floro. Dopo aver occupato Mytistrato, i Romani la distrussero e, come narra Diodoro Siculo, vendettero gli abitanti superstiti come schiavi. Altra notizia storica attendibile è quella con cui Polibio parla di Mytistrato come di un centro posto in posizione strategica e munito di un castello "vetustissimo". Ed in effetti Mistretta, sin dalle sue origini, acquista importanza per la sua posizione dominante, divenendo punto di riferimento imprescindibile per chi viaggiava tra il cuore della Sicilia ed il Tirreno. Il castello, di cui parlava oltre che Polibio anche Tucidide, dominava la città, che vi sorse attorno, ed era baluardo duro da superare, finché una sua parte consistente non crollò per una frana. Le sue macerie sono riconoscibili nella campagna di San Pietro, presso cui scavi hanno portato alla luce reperti archeologici di grande valore risalenti al periodo precedente la dominazione romana. Questa dominazione fu per Mistretta lunga e dolorosa soprattutto quando signore della città fu il romano Caio Verre, il racconto delle cui prepotenze ci è stato fatto da Marco Tullio Cicerone. La fortezza fu ricostruita dagli Arabi che dominarono il paese tra l’827 e il 1070 ed i suoi ruderi, ancora oggi, dominano la città. Alla dominazione araba successe quella normanna durante la quale il castello fu ampliato ed abbellito. Il re normanno Ruggero d’Altavilla, nel 1101, donò Mistretta con le sue chiese e tutto il suo territorio al fratello Roberto, Abate della Santissima Trinità in Mileto Calabro. Qualche anno dopo si hanno le prime notizie della Chiesa Madre, arricchita nel 1170 dal vescovo di Cefalù che ne fece dono, insieme ad un cospicuo patrimonio, ad un canonico della sua cattedrale. Nel Medioevo le falde del castello erano circondate da mura i cui resti sono visibili nel Vico Torrione e lungo la Strada Numea dove si apre la Porta Palermo, una delle due antiche porte della città. Oltre all’insediamento urbano circondato dalle mura, vi erano numerosi "bagli", aggregati sociali e produttivi circondati da orti. Proprio dagli antichi "bagli" hanno avuto origine i quartieri di Mistretta nei quali è possibile leggere la differenziazione etnica e quindi la localizzazione di quelli bizantini, arabi ed ebraici. Nel 1282, stanchi delle continue dominazioni e dei sorprusi subiti ad opera dei signori del luogo, i cittadini di Mistretta si unirono alla rivolta dei "Vespri Siciliani", ottenendo dagli Aragonesi il titolo di "imperialis" con cui la loro città fu inserita tra quelle demaniali ed accolta nel Parlamento del Regno. Da quel momento Mistretta seguì le sorti della Sicilia, dominata dai Re di Castiglia e d’Austria, dai Borboni e dai Piemontesi. Ed anche questa non fu per i suoi cittadini un’epoca felice sottomessi com’erano a feudatari senza scrupoli. Nel 1447, Re Alfonso, sancì la demanialità di Mistretta ed i suoi Casali e, nel consentire al ceto artigiano di entrare a far parte del governo della città, creò i presupposti affinché, nel XVI secolo, la città si arricchisse di numerosi monumenti religiosi e civili. Notevoli testimonianze del ‘500, fase storica di splendore per Mistretta, ci sono date dalla magnificenza dei lavori con i quali gli scalpellini del paese arricchirono la Chiesa Madre, aggiungendoli ai raffinatissimi interventi dei Gagini. E di questo periodo è pure la fondazione dell’Ospedale e la Casa dei Pellegrini, edifici ancora oggi esistenti con le loro originarie caratteristiche. Il ‘700 fu anch’esso periodo di benessere per gli amastratini per la crescita economica dovuta all’esportazione di prodotti agricoli ed allo sfruttamento dei boschi comunali. Mistretta diviene quindi importante centro commerciale e sede di uffici e magazzini che consentivano una efficiente lavorazione e commercializzazione dei prodotti. A questa ricchezza corrisponde l’affermarsi di una ricca borghesia che, grazie alle proprie commesse, consentì il fiorire di una serie di attività artigianali per la lavorazione del ferro e del legno. Questa ricca classe sociale provvide a far edificare palazzi signorili e urbanizzò l’area di proprietà della Chiesa di Santa Caterina. L’edilizia popolare dell’epoca, ricca di interessanti elementi decorativi, appare ancora intatta e riveste un grande interesse sociologico, potendovi trovare i segni delle tradizioni, dei mestieri e dei rapporti fra ceti e maestranze. Nell’ottocento furono costruiti larghi, piazze, pubblici passeggi e giardini a costituire un nuovo assetto urbanistico influenzato dalla presenza a Mistretta dell’architetto Basile. Nello stesso periodo lo scultore amastratino Noè Marullo contribuì, con le sue opere d’arte, ad arricchire le già pregevoli chiese di Mistretta e i suoi splendidi palazzi. A seguito di eventi storici così intensi, Mistretta è divenuta sede di un ricchissimo patrimono urbanistico e di beni artistici, iconografici, architettonici ed etnoantropologici. Un itinerario per le vie della città. Mistretta è una piccola perla d’arte incastonata sul massiccio dei Nebrodi, verde dei suoi boschi, e resa ancor più bella dallo sfondo azzurro del Tirreno. In certe giornate terse, arrampicandosi su, verso i ruderi del suo antico castello, ci si rende conto facilmente che l’unico limite alle capacità dei nostri occhi è dato dalla difficoltà per il nostro sguardo di distogliersi dalla visione delle Eolie, che emergono dal Tirreno, dell’Etna innevata, dei boschi tutt’intorno e, proprio lì, appena sotto di noi, delle immagini colorate delle tegole dei tetti delle case, interrotte dall’aprirsi improvviso di larghi e piazze e dall’elevarsi degli eleganti campanili delle chiese. Così, i ruderi del castello, un tempo freddo baluardo difensivo, sembrano segnalarci con che straordinario luogo abbiamo a che fare. E non c’è modo migliore per ringraziare quelle antiche pietre che iniziare il nostro viaggio per Mistretta proprio da loro, cogliendone il respiro antico e suggestivo. Conosciuto già in epoca romana - "vetustissimo", lo definisce Polibio -, dopo una disastrosa frana che ne distrusse una buona parte, il Castello fu ricostruito dagli Arabi nel IX secolo e utilizzato ancora dai Normanni e dai feudatari del luogo. Si presentava con pianta rettangolare, circondato da tre fila di mura di cinta, ancora visibili tra i ruderi, e potenziato da quattro robuste torri merlate che raggiungevano l’altezza di 27 metri, mentre, il palazzo superava di poco i 20. Magnifico, potente, inespugnabile, efficace nell’assolvere il suo compito difensivo, favorito dalla natura impervia della rupe su cui sorge, il castello ha sempre rappresentato, per gli amastratini, il simbolo della prepotenza dei potenti, ma si sa, quando la misura è colma... E così, nel 1633, gli abitanti di Mistretta, inferociti, diedero fuoco e distrussero il vecchio maniero, già peraltro acciaccato dagli anni e, tutto sommato, incolpevole dell’uso spregiudicato che delle sue pietre si era fatto. Indugiamo ancora un poco tra quelle pietre per continuare a cogliere l’antico silenzio della storia e godere ancora dello straordinario paesaggio di questo lembo incantato di Sicilia, per poi ridiscendere verso il paese, per assaporare un altro suo pregiato simbolo, la Chiesa Madre, intitolata a Santa Lucia. La storia dell’edificio religioso può essere divisa in tre distinte fasi la prima delle quali va dal XII secolo sino alla seconda metà del ‘400. Erano le sue origini, incerte per quanto riguarda la data esatta della sua edificazione, ma già iniziava a divenire forte la fede per la martire siracusana le cui celebrazioni attiravano numerosi fedeli da ogni dove. La chiesa era più piccola dell’attuale, corrispondendo grosso modo alla sua odierna navata centrale, ed era priva di torre campanaria.Tuttavia sull’antico edificio non è possibile aggiungere molto, tanto che la vera edificazione della Chiesa Madre, viene fatta risalire alla sua seconda fase, che inizia dal 1470, prolungandosi sino al 1623. E’ periodo florido per Mistretta che vede accrescere e migliorare sotto il profilo funzionale ed estetico il suo asssetto urbano e il luogo di culto risente positivamente di questo clima favorevole. La chiesa fu resa più grande e coronata dall’altissima e possente torre campanaria, una delle più alte dell’isola (alta 28 metri e larga 9). Era poi il periodo in cui da Mistretta transitarono i Gagini che non negarono il loro straordinario contributo artistico all’arricchimento della chiesa che potè godere anche del contributo in eleganza e abilità delle maestranze amastratine. Dal 1625 si apre la terza ed ultima fase della vita della chiesa che si completerà ai giorni nostri. E’ l’epoca degli ultimi ritocchi e dei definitivi ampliamenti ed arricchimenti. Momento cruciale fu, il 1775, allorché il Vescovo Gioacchino Lancillotto Castelli, in visita pastorale in paese, dedicò nuovamente la chiesa ed il suo altare alla santa Siracusana. Oggi, questa preziosa opera di architettura religiosa, si presenta a tre navate, separate da due ordini di colonne in pietra monoblocco e capitelli di diverso stile, finemente lavorati dagli scalpellini locali che hanno provveduto anche ad adornare, con bassorilievi di pregevole fattura, il portale principale in pietra arenaria. Il portale nord, è databile intorno al 1494 ed è opera del maestro Giorgio da Milano. Il portale sud è anche il più recente essendo stato aperto nel 1626. Di notevole pregio artistico è, all’interno della chiesa, il settecentesco coro ligneo, consegnato alla chiesa dal sacerdote G. Biffarella. Proprio l’interno della chiesa racchiude da solo un’itinerario artistico irripetibile a cominciare dalla Cappella dedicata a Santa Lucia, nella quale è situato il simulacro marmoreo opera, nel 1527, di Bonifazio Gagini. La statua della Santa è posta in una nicchia nella parte centrale di un trittico marmoreo attribuibile ad altro componente della numerosa (per fortuna!) famiglia Gagini, e si presenta con la tradizionale postura con il piattino contenente i suoi occhi, in una mano e, nell’altra, una palma. Di un altro Gagini (Nibilio) ma del 1604 è l’ostensorio. Ma, complessivamente, si può dire che i Gagini abbiano letteralmente imperversato (positivamente, si intende) nella chiesa. Tra le opere non gaginiane sono da segnalare la tela delle Anime Purganti (1651), opera di Tomasi Purganti da Tortorici progettata per metter in risalto le figure delle anime, quindi molto definite, in contrasto con l’atmosfera quasi rarefatta in cui si muovono gli angioletti. E meritano più che un fugace sguardo anche le preziose cappelle di Maria SS. dei Miracoli (XVI sec.), del Sacramento (1739) ed il magnifico Crocifisso del Genovesi (XVI sec.). Tante altre e tutte da scoprire sono le meraviglie celate (ma non troppo) dalle mura sacre dell’edificio e dopo esserci soffermati ad ammirarle, usciamo dall’edificio ed imbocchiamo via della Libertà lungo la quale incontreremo la Chiesa di San Sebastiano. L’edificio religioso, già edificato nel 1569 è dedicato al Santo Patrono (insieme a Santa Lucia) di Mistretta. Danneggiata dal terremoto del 1967, è stata ricostruita tenendo conto dei criteri di conformità con l’edificio originale. Il prospetto è rimasto praticamente intatto e contiene l’artistico altorilievo raffigurante il Titolare. Al suo interno la pregevole vara (XVII sec.) su cui poggia la statua del Santo scolpita da Noè Marullo. Ancora lungo via Libertà la Chiesa di San Francesco a cui è annesso il Convento dei Cappuccini. La chiesa, edificata nel 1570, contiene un prezioso coro ligneo dell’architetto Gino Biffarella e le tele raffiguranti S. Anna, opera del Catalano il Vecchio (1599) e la Madonna degli Angeli di Scipione Gaetano Pulzone (1588). L’orto annesso al Convento dei Padri Cappuccini fu coltivato fin dal 1656, anno in cui il convento fu ampliato e modificato. Successivamente, nel 1866, in seguito ad una legge sulla soppressione di alcuni Enti ecclesiastici, l’orto fu destinato a giardino pubblico ed attualmente è Villa Garibaldi dedicata all’eroe dei due mondi nel 1889. Poco distante dalla Chiesa di San Francesco si erge l’ex Palazzo di Giustizia, utilizzato come tale solo qualche tempo dopo la sua costruzione, ultimata nel 1853, all’atto della quale era destinato a Casa degli Esercizi. Attualmente è adibito a sede del Giudice di Pace, Scuola Musicale, Archivio Storico e Museo. In fondo a via Libertà è Villa Chalet, progettata nel 1871 dall’architetto Cannata ed acquistata dieci anni dopo dal Comune che la aprì, dopo i necessari collaudi, nel 1907. In zona anche la Fontana Pia e l’Ospedale Vecchio. La data di edificazione dell’Ospedale è leggibile sull’architrave del portale interno assieme al nome del fondatore, il prete Filippo Pizzuto. Sull’architrave del portale esterno è possibile leggere la scritta: "Hospitale infirmorum et peregrinorum tantum ultima unica perpetua ove fundatorum voluntas 1779". Già inadeguato alle esigenze della popolazione nel secolo scorso, l’edificio fu soppiantato nel ruolo di ospedale dall’ex Monastero di S. Maria. Ritornando sui nostri passi, ripercorrendo a ritroso via Libertà, sulla destra, un largo introduce in via S. Caterina che possiamo percorrere sino ad incontrare la chiesa omonima. La Chiesa di S. Caterina, è stata costruita nel XV secolo, e si presenta con pianta basilicale a tre navate. Le colonne, in pietra locale, poggiano su capitelli arricchiti da bassorilievi raffiguranti scene del Vecchio Testamento e motivi floreali. Di pregevole fattura la statua della Titolare, attribuita a Giorgio da Milano (1493) e le sculture raffiguranti S. Marco e S. Antonio di V. Gagini (1572). Ritornati su via Libertà e dirigendoci nuovamente verso la Chiesa Madre, nei suoi pressi troveremo la Chiesa di S. Nicolò risalente al XV secolo con torre campanaria successiva (1670). Vi si trovano la statua lignea dell’Immacolata, opera di Noè Marullo, la tela raffigurante San Nicolò e il dipinto di A. Scaglione raffigurante S. Antonio. Durante questo breve itinerario per le vie ed i monumenti di Mistretta vi troverete ad attraversare stradine, vie, slarghi che sanno di storia e che offrono una tale quantità di bellezze architettoniche da risultare difficile persino il solo menzionarle tutte in questa sede. In altre parole visitare Mistretta significa confrontarsi con una obiettiva difficoltà: troppe cose belle da vedere. |