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Aveva diciassette anni Umberto Boccioni, quando, nel novembre
del 1899, lasciava la Sicilia per seguire il padre, commesso di prefettura,
a Roma,
dove era stato trasferito. Nell’isola, pur soggiornandovi per pochi anni -
vi era arrivato nel 1897 - il giovane Boccioni aveva però vissuto le sue
prime esperienze formative e creative, rivelatrici di quelle qualità (il
talento e l’ingegno) che lo renderanno protagonista assoluto del futurismo
italiano.
Si deve a Gino Agnese la fondamentale Vita di Boccioni (Camunia, 1996), che
ha fatto luce, per la prima volta e con completezza di informazioni, sugli
anni siciliani di Boccioni e sull’importanza di quegli anni, trascorsi
prevalentemente a Catania, nell’iter formativo e nello sviluppo delle sue
attitudini pittoriche e creative. Boccioni nella città etnea frequenta la
regia Scuola Tecnica ‘Agatino Sammartino’, impressionndo i suoi compagni per
‘avere una non comune bravura’ nel disegno a mano libera e nell’ornato’.
Intanto, in attesa del conseguimento del diploma tecnico che gli permetterà
di accedere agli studi superiori e ai corsi di disegno che pensa di
frequentare, il giovane Boccioni è impegnato a scrivere articoli per un
giornale locale, la Gazzetta della Sera.
Nell’ambiente del quotidiano catanese, dove il suo lavoro è molto apprezzato ed elogiato dal direttore
Paolo Arrabito, ha modo di conoscere alcune tra le più importnati penne del
giornalismo cittadino: sono i redattori Luigi Palizzi Campagna, Giuseppe
Cavorretta e soprattutto Guglielmo Policastro che lo introduce peraltro
nella cerchia dei sostenitori del leader siciliano dei Fasci, l’agitatore
socialista De Felice. I fedeli dell’animatore delle rivolte contadine del
1894 e del 1898 sono soliti riunirsi in un bar cittadino e tra quelli con
cui Boccioni s’intrattiene di più vi sono il poeta Giovan Battista De Seta,
il giornalista e militante politico Turiddu Russo, il giovane filosofo
Francesco Marletta. Alle idee del socialismo defeliciano, Boccioni, si sente
vicino, ma a colpirlo di più è proprio il carisma di De Felice, la sua
capacità di suscitare consensi che si trasformano spesso in acclamazioni
popolari pubbliche e festose. Ma anche altri ambienti e circoli frequenta
Boccioni, altre sedi di giornali, incuriosito com’è dai quotidiani e dai
periodici che cominciano a illustrare con disegni e stampe varie i pezzi di
cronaca, i commenti e gli editoriali. Pensa che quello dell’illustratore è
un lavoro che gli piacerebbe fare in futuro e magari per un giornale
nazionale.
Insomma, come scrive Agnese ‘Umberto assetato com’è di conoscenze ed
esperienze, ha avvicinato persone e ambienti, ha bevuto a tante fontane di
Catania, sicché questa città ha come plasmato la sua formazione, in più
dotando di spunti, di suggestioni e di orizzonti la sua voglia di metter
piede là dove il successo pre moltiplicato dalla luce dei riflettori: il bel
mondo del giornalismo, delle lettere e delle arti, della mondanità, del
talento manifesto e acclamato: quel talento che qui bacia la fronte, per
esempio, a Nino Martoglio, poeta vernacolo, direttore dello spassoso,
battagliero periodico ‘D’Artagnan’ e artefice della rinascita del ‘Machiavelli’,
il teatro di via Ogninella dove spesso Umberto è andato ad applaudire
l’Opera dei pupi, riportata agli antichi fasti da due nuovi e straordinari
marionettisti, Giovanni Grasso e Angelo Musco’. Da Catania inoltre,
Boccioni, in quegli anni che la abitò, scriveva spesso al resto della
famiglia, che era rimasta a Padova, alla madre a alla sorella. E proprio
alla sorella, Amelia, in una lettera del 26 dicembre 1898, scritta
all’inizio della giornata, dopo che ‘sono passati i fumi del vino e dei divertimenti’, descrive la natura particolare del clima catanese:‘Tu domandi
se arriva la neve a Catania? Qui come leggerai nelle macchie d'inchiostro
del "Corriere" dicono che fa un freddo indiavolato, e che gela l'inchiostro
sulla penna, figurati dunque che dicono freddo quando si va via senza
cappotto alla mattina, e quasi alla sera, e mentre io scrivo sono le 8 della
mattina la finestra è aperta spalancata e la gente passa tutta senza
cappotto. Dunque se invece d'essere un inverno dei più gelati come lo
chiamano qui fosse un inverno buono noi con i vestiti che abbiamo potremmo
vendere i nostri cappotti e buona notte’. E in quel clima mite, al giovane
Boccione piaceva andare spesso alla Playa, la spiaggia della città,
amorevolmente descritta nel suo primo tentativo letterario: il romanzo,
rimasto incompiuto e manoscritto a cui aveva dato per titolo Pene d’anima.
Romanzo che, assieme a una serie di tempere e di disegni, Boccioni lasciò in
Sicilia, facendone dono ad un amico catanese, suo compagno di scuola, Mario
Nicotra. Abitando poi, tra Roma e Padova, Boccioni conosce e frequenta
artisti già famosi, tra i primi Gino Severini e Giacomo Balla e comincia a
viaggiare per
Parigi e altre capitali europee, inserendosi sempre più
proficuamente nel panorama artistico nazionale, dedicandosi ormai totalmente
alla pittura e mostrando stile originale e temperamento caparbio e
combattivo. Nascono i primi quadri importanti con i quali comincia ad
ottenere chiari e riconosciuti successi. E la Sicilia gli è ancora
suggestivamente presente: nel 1907 realizza Beata Solitudo - uno dei disegni
più indagati e originali del suo primo periodo artistico - avendo in mente
Il trionfo della morte che ha visto, quand’era in Sicilia, a Palermo. Lo
documenta Danih Meo nel suo saggio Della memoria di
Umberto Boccioni (Mimesis,
2007): ‘Le analogie compositive e tematiche col Triono della morte sembrano
connotarlo come modello della sezione inferiore di Beata Solitudo. Le
allegorie della morte nell’affresco di Palermo e nei disegni di Boccioni
sono rappresentate da uno scheletro d’uomo su un cavallo smagrito, tutto
pelle e ossa, in avanzato stato di decomposizione’. Lo storico dell’arte,
Meo, che accuratamente indaga il quadro boccioniano, continua a evidenziare
i rimandi di Beata Solitudo all’affresco siciliano: ‘Anche i cavalli sono
associabili al modello siciliano’, come ‘i personaggi dei due amanti’:
presentano affinità evidenti che fanno indiscutibilmente pensare
all’attenzione e all’attrazione che la grande opera palermitana esercitò su
Boccioni. Non fu importante quindi solo Catania nella storia e
nell’evoluzione culturale e artistica di Boccioni ma, in maniera più ampia e
forse ancora non del tutto approfondita, la Sicilia in generale gli offrì
idee e immagini che rimasero a lungo impresse nella memoria e nella mente di
uno dei Maestri migliori del futurismo italiano.
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