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Nell’autunno del 1906, Max Weber, il padre fondatore della sociologia
moderna, fu in Sicilia. Aveva bisogno di riposo e calma, dopo un agitato
periodo d’impegni editoriali, per la cura della rivista Archiv, e di studio
intenso per il saggio sulla rivoluzione russa del 1905 che aveva iniziato a
scrivere, e scelse la Sicilia come meta di un viaggio che compì assieme alla
madre, Helene, e alla moglie, Marianne. Ed è quest’ultima che narra di quel
viaggio verso ‘un mondo sconosciuto e magnifico, nuovo rispetto all’Italia
stessa’, nella monumentale biografia del marito, da lei scritta nel 1926 (e
pubblicata in Italia da Il Mulino nel 1955 col titolo Max Weber Una
biografia).
Marianne descrive il paesaggio che li accoglie al loro arrivo in Sicilia,
diretti alla prima meta del loro tour, Taormina, raggiunta ‘viaggiando lungo
la costa coronata di vigne e limoni fragranti’. E’ un curioso susseguirsi di
visioni diverse: ‘letti ampi e secchi dei fiumi, che trasportano sassi
anziché acqua, che tradiscono il deserto dell’interno’; brulle montagne, al
di là delle quali ‘il mare riluce di blu, di viola e di verde, come uno
scintillante monile’; in lontananza, intorno alle Eolie ‘le onde danzano
festose e spumeggianti, circondate di misteriose nubi di fumo’. Quindi, in
prossimità di Taormina, si scorge l’Etna ‘che si erge sempre più maestoso
dal mare via via che la strada sale tra i declivi di olivi e di mandorli.
L'ampia base del vulcano è adorna di una ghirlanda di viti e di splendidi
sempreverdi, la salita è ricoperta più semplicemente di latifoglie e di
pini. Infine, lasciati dietro di sé gli insediamenti umani, l'Etna diviene
un eremita distolto da tutte le bellezze terrene e avvolge la cima nell'incorporea
unità panica delle nevi perenni. Lassù in alto, la montagna sembra
appartenere all'infinito piuttosto che alla terra’.
Nella cittadina greca d’obbligo è la visita al grandioso e antico teatro,
dove, ricorda Marianne, ‘nell'emiciclo che coniuga il paesaggio eroico con
lo spirito greco, Weber legge ad alta voce passi dell'Odissea; l'Ellade lo
avvolge. Vede con Omero il rosso vino del mare’.
Il viaggio dei tre prosegue per Siracusa ‘cuore un tempo della grande vita
operosa e principale avamposto della civiltà greca, adesso un altopiano
roccioso, grigio argento e privo di alberi, nelle cavità del quale il
pastore è tornato a dimorare insieme alle sue capre’ e dove ‘nelle prime ore
del mattino, come Polifemo afferra un animale dopo l'altro per mungerlo
presso 1'angusta uscita della grotta buia’.
Catturati nel luogo ameno da una ‘infinita malinconia del passato sotto un
cielo splendente, il cui profluvio di raggi abbaglia senza pietà l'occhio
settentrionale’ i
Weber, dopo essersi abbandonati ai piaceri di una gita in
barca per un mare così limpido da far intravedere le ‘meraviglie del fondo’,
continuano a ‘riposarsi quieti sulle latomie, il cui grande labirinto fu
scavato un tempo nella terra da un intero esercito di prigionieri ateniesi’
e riflettono sulla bellezza del luogo, ottenuta però a caro prezzo: ‘qui
migliaia di persone hanno consumato infelicemente le proprie esistenze tra
lavori pesanti. La loro sofferenza si è adesso mutata in bellezza: un magico
giardino incassato con letti di fiori e gruppi d'alberi. Le alte pareti di
roccia sono rivestite di rigogliose piante rampicanti; remoto dal mondo,
sussurra d'intorno il silenzio; sciami d'api ronzano intorno ai fiori
d'edera dall'acre odore; in alto, sul margine della terra, erte ghirlande
di cipressi si profilano sull'azzurro del cielo, l'albero del pane inarca
il suo tetto d'ombra’. Con una visita alla fonte del Cyane si concludono i
giorni siracusani dei Weber che s’inoltrano per Agrigento. ‘Il viaggio verso
Agrigento’ – documenta Marianne – ‘conduce per un brullo paesaggio
montagnoso. In autunno non c'è cotica erbosa a coprire le colline argillose
gialle e sulfuree, nelle quali i rovesci temporaleschi hanno scavato solchi
profondi. Dove un tempo ondeggiava il grano e i boschi facevano ombra, è
adesso in agguato la desolazione spaventosa e assoluta. Sulle cime inospitali si abbarbicano misere dimore, gialle e grigie come l'argilla
dei monti. Come fanno a sopravvivere qui gli esseri umani, sotto quel cielo
ardente e spietato? Anche Agrigento sta ammassata su di uno scosceso
cocuzzolo montano, ma l'antico impianto romano continua a rifornirla d'acqua
e le macchie di cactus dalle gigantesche diramazioni proteggono i giardini.
In basso, verso il mare, dove stanno i resti immensi dei templi, si ergono
ulivi secolari, mandorli, alberi del pane, come da una coltre di neve bianca
e leggera’. Da Agrigento ‘regno dei sogni di decaduta grandezza’ il viaggio
prosegue in direzione della ‘operosa Palermo’ che ‘riporta al presente’.
Nella città capoluogo, per i Weber, tutto è spettacolare: ‘la magnifica baia
con le montagne come diafane a fare da pilastri angolari’; l’attesa della
sera, quando ‘il sole si immerge con un colore rosso chiaro nel mare, e
allora il suo bacio di commiato arde per tutto il cielo’; la magnificenza
dell’arte normanno-bizantina con ‘l’incanto nei chiostri dei monasteri’ e
lo splendore delle chiese, dove i preti durante le funzioni, con le loro
‘genuflessioni e litanie’ sembrano, alla madre di Weber, Helene, praticare
‘magie antichissime’ e ‘la sua anima protestante rabbrividisce’; però, la
stessa Helene, rimane intimorita e stupefatta, a Monreale, dalla ‘immagine
sovrumana del Cristo Pantocrate’. Ma
Marianne precisa che oltre alle opere
d’arte, il loro interesse, in giro per la città, è suscitato da ben altro: è
‘il movimento della piccola gente che si offre attraverso le porte
spalancate delle case senza finestre ed esce sulla strada’, sono ‘le
pratiche della vita quotidiana che si svolgono qui alla maniera ‘antica’,
nello stretto budello delle strade, e antichissima è anche l'impressione che
suggerisce la sporcizia inaudita’. Ai Weber piace ‘la tenerezza che lega,
gli uni agli altri, quel brulichio di genitori e bambini proletari’. Helene
nota come ‘già da ragazzi i maschi vengano trattati dai padri come dei
compagni’ e come vi siano ‘famiglie infantilmente felici nonostante la
totale miseria’. Max Weber e la moglie constatano che non potrebbero mai
‘ambientarsi in mezzo a questa gente che gode del presente, che assapora
senza pensare la brevità del momento e pare non desiderare null’altro che
di essere felice; gente che lascia che tutto vada come va, che non vuole
nulla al di là di sé e non sembra lottare o aspirare ad alcunché’. La sosta
palermitana rallegrata dalla visione della variopinta e gaia umanità che
attraversa e vive la città, fa annotare, a Marianne, un serie di
considerazioni, frutto di discussioni con il marito - che nel biennio
precedente al viaggio, tra il 1904 e il 190, aveva ultimato e pubblicato la
sua fondamentale opera L’etica protestante e lo spirito del capitalismo -
sul carattere del popolo siciliano: ‘Che cos'è dunque che questi uomini
vogliono, ammesso che essi non vivano nutrendosi del terreno segreto
dell'inconscio? E le loro opere? In ultima analisi, sono frutto non della
volontà quanto della necessità, il prodotto di un talento forni¬to dalla
natura. No, nella misura in cui gli individui pensano, quel che loro sembra
innanzi tutto importante è di realizzare la ‘legge morale’ nelle proprie
azioni e fuori, nel mondo, di orientare cioè la propria vita non verso
comandamenti formulabili, bensì verso il concetto di un ordinamento morale
del mondo, verso dei doveri. Prima di tutti gli altri, gli ideali etici
hanno dignità assoluta, e l'ideale etico è anche una norma cui si deve
ubbidire, anche a spese della felicità esistenziale’.
Confrontata alla sua patria e al mondo nordico che ‘non sa immaginarsi una
vita matura senza l'impegno al servizio di doveri sempre nuovi, senza il
superamento degli ostacoli’ - conclude Marianne - a Max Weber ‘la solare
gioia esistenziale del Sud appare come un paradiso per l'infanzia’. Lasciata
la Sicilia, Max Weber e la moglie risalgono l’Italia e si fermano a Torino,
mentre la madre dello studioso fa ritorno in patria. Nei giorni trascorsi
nel capoluogo piemontese, ospite dell’amico Robert Michels, in una lettera
inviata alla madre, già in Germania, Max Weber traccia un definitivo
bilancio del suo soggiorno siciliano: ‘In una terra sconosciuta come la
Sicilia abbiamo dovuto dapprima cercare la bellezza, e questo prende
energia, tempo, e danaro, e per te è stato un grande strapazzo. Spero,
tuttavia, che tra le impressioni ricevute ce ne siano di tali cui tu possa
pensare con piacere. Dentro di me alcune delle immagini della Sicilia si
sono fissate indelebilmente e, come per lo più mi accade, il viaggio lo
gusterò davvero per intero soltanto nel ricordo. Le forti impressioni ci
rendono muti nel momento che le riceviamo’.
Di radiose suggestioni s’era dunque sostanziato il viaggio di Weber in
Sicilia, terra senza etica ma bella.
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