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Oggi è il 27 dicembre del 1908. Una sera come tante a Messina. Nell’aria
fredda si respirano ancora i fumi della festa, del Natale appena trascorso.
E una letizia
ingenua, scalda gli animi di questa gente semplice. Si è fatto
quasi buio, tutto è calmo. I pescatori hanno tirato su in secco le loro
barche, e fiduciosi, sperano molto nel giorno che verrà per poter riprendere
il mare. Si ha bisogno sempre di tanto, e, una pesca fruttuosa farebbe
comodo. La notte si annunzia con foschie, che all’orizzonte adesso vagano un
po’ perse. Così, lentamente. E il freddo inverno ha già coperto del suo
manto livido le colline lontane. Nelle case, ogni bimbo spegne il proprio
lume, tenuto acceso a quel piccolo Gesù appena nato, che dal suo povero
giaciglio, soltanto un po’ di paglia, pare sorrida. Vicino, stanno poi i
doni ricevuti. Nella cesta, i più piccini hanno trovato qualche arancia, un
pezzo di torrone, e la favola bella del Natale. Dopo gli ultimi tramestii,
il silenzio si fa grande. Nell’aria il vento porta il suono di un’ultima
campana. Tutto scivola in
quel giusto riposo tanto atteso. Meritato. Anche
la marina, con le sue sagome oscure e i barconi neri, pare anch’essa una
città che tace. I villaggi lontani, i suburbi e il cuore stesso del borgo,
si addormentano dolcemente. Non sanno che di lì a poco, non si
risveglieranno più. Che la tragedia incombe. Arriva un’alba chiara, quella
del 28 dicembre. Le luci di quest’ultima saranno scenario tremendo di morte
e distruzione. Si ode all’improvviso potente un gran fragore, la terra si
scatena: è il terremoto. Messina viene sepolta di se stessa, in un tempo
brevissimo che sa di irreale. Si spegne così la vita di ciò che è stato
soltanto poco prima. Tutto adesso è dolore e smarrimento. Giungono da ogni
dove urla strazianti, lamenti, gemiti accorati. E non vi è fine. Lontano, il
mare divenuto oscuro, lotta in un turbinio spaventoso, tremendo, ed è ancor
più che disperazione….
Oggi è il 28 dicembre del 2008. Il giorno della Commemorazione, del ricordo.
Son trascorsi cento anni da quell’alba, da quel tragico mattino. Un secolo
lungo come una grande ferita. Dal seme del dolore, Messina è caparbiamente
rinata, ancor più ostinata e fiera. Merito della sua gente, che, da sempre,
l’ha amata oltremodo, e che tra le avversità più grandi, ha saputo
costruirle un futuro. Nello sconforto più immane, i figli dello stretto sono
stati forti in quella fede che vede sacre le proprie radici, e, che
comunque, benedice sempre la propria terra. In questa notte particolare, per
le vie principali della città, si è svolta una Via Lucis. La fiumana di
persone ha ondeggiato luminosa e assorta nella preghiera. E la commozione è
stata veramente generale. Al punto che, le piccole fiammelle, hanno
punteggiato l’oscurità come fossero state davvero anime tornate a brillare e
vivere del loro cuore. Il silenzio tutt’intorno si è dilatato, ed ha
accompagnato il corteo fino alla piazza del Duomo. Chiunque
abbia alzato gli
occhi, ha potuto vedere l’orologio del campanile fermo alle 5 e 21, ora
della catastrofe. Grande cosa è il sentimento della pietà, che in questa
circostanza si è fatto veicolo di un comune sentire. Come un unico respiro.
Poi, dal mare, è arrivato un suono profondo e un pò angosciante: quelle
delle sirene delle navi costiere, che così hanno salutato quest’alba. E di
seguito, all’orizzonte, in una luce fulminea, un bagliore lontano si è come
dileguato. Ci si chiede, anche a distanza di tempo, cosa sia stata una
calamità di questo tipo, e cosa abbia voluto significare la terribile
nevralgia di questa terra. A pensarci bene, si resta ancora oltre modo
sbigottiti e attoniti. Al fine, di certo ancor più smarriti. Forse, nel suo
destino, tutto ciò è stato quasi una bilancia con l’Eterno, o, forse, la
storia del tener conto di quel dialogo sempre esistente tra l’uomo e la
natura, con la quale, a volte, è difficile arbitrare.
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