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Il 19 novembre del 1927, un altro condannato al confino nell’isola siciliana
di Lipari, si aggiunge alla nutrita schiera di politici, intellettuali e
attivisti antifascisti che già vi risiedono: è il leader del Partito Sardo
d’Azione, Emilio Lussu, che da un anno viene incriminato in più gradi di
giudizio e in altrettanti assolto, per aver procurato la morte di uno
squadrista che, assieme ad un’intera banda di fascisti, esaltati in una
forsennata caccia all’uomo, aveva dato l’assalto alla sua casa. I magistrati
riconoscono chiaramente le ragioni della legittima difesa di Lussu, ma il
regime decide lo stesso di allontanarlo dalla sua terra, per motivi
dichiarati ufficialmente di ordine pubblico, in realtà
palesemente
politici. La sua deportazione è breve e per certi aspetti ‘comoda’ rispetto
alle ‘traduzioni’ di altri confinati, ma solo perché ha pagato il biglietto
- non solo per sé ma anche per tutta la scorta - del traghetto che ha fatto
rotta da Cagliari a Milazzo, passando per Trapani e Palermo, con
destinazione Lipari: il luogo dove starà per due anni, dopo aver già
scontato un anno di carcere e prima di aver organizzato, con altri due
illustri compagni di confino, Carlo Rosselli e Fausto Nitti, un’evasione
dall’isola che, come ha scritto Gaetano Salvemini ‘è passata alla storia
insieme con quelle di Felice Orsini e di Pietro Kropotkin’. A ricostruire il
contesto nel quale è avvenuto il suo arresto, gli è stata comminata la pena
del carcere e dell’esilio, ha ideato e condotto a buon fine la fuga da
Lipari, è lo stesso Lussu, quando arriva sano, salvo e libero a Parigi,
nell’agosto del ’29, con uno scritto dal titolo La catena ( pubblicato lo
stesso anno in Francia e tradotto in italiano, per la prima volta nel ’31
dalle edizioni di Giustizia e Libertà; in seguito più volte ristampato).
‘Lipari’ – scrive Lussu – ‘ è la capitale dell’Arcipelago Eolico. L’isola
omonima è la più grande e la più popolata. A vederla da lontano, è un
incantesimo’. Ma la meravigliosa isoletta era stata adibita, dal regime
fascista, all’ospitalità coatta dei dissidenti politici, come ricorda Lussu:
‘a Lipari vi sono oltre 500 confinati di cui 400 politici, provenienti da
ogni parte d’Italia e da tutti i partiti: democratici, liberali,
repubblicani, cattolici, massoni, socialisti, comunisti, anarchici’; questi
sono costretti a condividere un limitato e circoscritto spazio dell’isola,
isolati dal resto della popolazione e soprattutto assiduamente sorvegliati:
‘in una zona così ristretta, l’ambiente è zeppo d’agenti. In media un agente
per due confinati. Uno crede di passare inosservato in un posto appartato,
ma cento occhi lo spiano’. Il pensiero della fuga, a Lussu, viene in mente
appena sbarcato nell’isola; ma intanto rivede tanti amici di diverse parti
d’Italia, come lui confinati perché antifascisti; costruisce, come gli
altri, amicizie e relazioni e occupa il tempo, forzatamente ozioso, con
discussioni e passeggiate, vedendo svanire progetti più impegnativi e
costruttivi per migliorare la qualità della vita quotidiana, poco graditi
dalle milizie fasciste (come quello di formare una ben fornita biblioteca).
Dei confinati, che conosce quasi tutti, Lussu racconta come cerchino di
aggregarsi per aree di interesse ( ‘gli storici, i letterati, gli
spiritisti’), anche per vincere la solitudine, costretti come sono a non
poter frequentare la popolazione residente che ‘vive a sé, come un’altra
razza’. E che anche lì è stata fascistizzata e irreggimentata, come può con
amarezza e ironia constatare Lussu in occasione della farsa elettorale del
Plebiscito nazionale: ‘a Lipari, le elezioni plebiscitarie furono
silenziose, ma solenni. Al comizio del ‘gerarca’ venuto da Messina, prese
parte poca gente ma alle elezioni intervennero tutti. Lipari ha molti
emigranti nell’Australia e nel Canada: votarono anche quelli. Purtroppo,
negli ultimi anni,
parecchi
elettori erano morti: anch’essi votarono. Immaginatevi i viventi! Inquadrati
da militi e agenti, in varie colonie, raggiunsero le urne. Allo scrutinio
dei voti, si trovò che il numero degli elettori inseriti alle liste era
stato superato di tre. La vitalità del Regime è innegabile’. Intanto vengono
deportati nell’isola, dal Nord Italia, gli antifascisti liberali Carlo
Rosselli e Fausto Nitti, con i quali Lussu condivide da subito la comune
insofferenza per l’orribile costrizione liparota. Così i tre ben presto si
cimentano nell’elaborazione di un piano di fuga dall’isola (dalla quale,
peraltro, nessun confinato era sino ad allora riuscito a fuggire). Con
rigorosa determinazione, Lussu si costringe ad una esemplare e abitudinaria
condotta di vita, funzionale a sviare qualunque pensiero di evasione da
parte dei suoi controllori: ‘presi l’abitudine di uscire di casa solo due
volte al giorno, e per poco. Se il tempo era cattivo, e lo era spesso
d’inverno, non uscivo. Osservai rigorosamente quest’orario per un anno e
mezzo. Nessuno mai mi vide fuori di casa in altre ore. Gli amici dicevano
che gli abitanti di Lipari regolavano il loro orologio sulla mia
passeggiata, come gli abitanti di Konigsberg su quella di Emmanuel Kant’.
Il piano dei tre è semplice: individuare un punto della costa dove poter,
inosservati, buttarsi a mare, raggiungere il largo e farsi prendere a bordo
da un’imbarcazione amica.
Delineata le traiettoria della fuga con geometrica esattezza e dopo tanti
tentativi andati a vuoto, finalmente la sera del 27 luglio del ’29, Lussu,
Rosselli e Nitti riescono a eludere la sorveglianza delle guardie,
raggiungono il mare e, a nuoto, il motoscafo, dove amici antifascisti li
aspettano per portarli via. Alla notizia della loro evasione, fa seguito a
Lipari una repressione, aspra e feroce, della già scarsa libertà dei
confinati. I tre fuggitivi arrivano a Parigi e si
uniscono
al gruppo degli antifascisti italiani in esilio. Lussu di lì a poco si
premura di scrivere la storia della sua detenzione e fuga, preoccupandosi di
precisare: ‘io non avrei scritto queste pagine se non pensassi a trarne
delle conclusioni politiche’. E queste consistevano nell’invito all’azione
contro il regime mussoliniano ‘anche a costo di essere più crudamente
sopraffatti’; a farla finita con ‘la rivoluzione delle pescivendole e delle
lavandaie’ perché ‘lo stato è armato, vigila e si difende’, ed è quindi
necessaria ‘una lunga disciplina per inquadrare le azioni di massa’. Per
fare questo, Lussu lancia un appello alle avanguardie dell’antifascismo, che
non devono eludere la loro funzione d’esempio e di guida delle masse: ‘i
capi, nelle grandi ore, hanno preparato, animato, guidato, non atteso dalla
moltitudine anonima il gesto liberatore. Hanno suscitato, non mendicato
energia e azioni’. Questi ideali sosterranno, coerentemente, tutta la
militanza antifascista di Lussu, che poi, nell’Italia liberata e
repubblicana, continuerà ad occuparsi di politica, da deputato al
Parlamento, ponendo al centro dei suoi interessi e delle sue battaglie la
questione meridionale. E la Sicilia, nei suoi saggi degli anni ‘50- lontana
ormai dall’essere stata il posto dov’era arrivato con ‘una doppia catena ai
polsi’ – diventa oggetto della sua analisi storico-politica: lo sguardo di
Lussu ne coglie le diversità con la sua Sardegna (‘la nostra regione è
un’isola, la Sicilia non lo è affatto’) e la sua riflessione valuta le
condizioni politiche (l’autonomia regionale) e le potenzialità economiche e
infrastrutturali dell’isola come fattori di un certo e positivo sviluppo, in
uno con quello del resto dell’Italia: il suo entusiasmo, però, era troppo
ottimistico, come rivelerà la storia siciliana della seconda metà del 900.
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