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Spesso mi è accaduto di sorprendere i miei amici, o, a volte ancor più
semplicemente taluni sconosciuti, intenti a chiacchierare un pò vanamente
della città di Messina. E di quest'ultima, che è la terra dove io sono nata,
sentirne di seguito pressappoco così: "Messina? E' come dire... un grosso
paesone." - e di rimando: "Beh, si, in fondo... è una piccola cittadina".
Che dire? Dopo un attimo di esitazione, che volete? - ne ho sorriso
benevolmente. Perchè Messina non è niente di tutto ciò. E da sempre, non le
ha mai reso giustizia l'approssimazione degli uomini, quel loro andarle
vicino, e poi, non vederla mai del tutto. Signora marinara per antonomasia,
questa non è mai stata solamente un piccolo borgo, e nel tempo, per non
abbandonare del tutto se stessa, e potere continuare ad amarsi, in cuor suo
non è mai divenuta una città. Proprio così. Messina è un luogo, si, un
tramite magico e lieve. Tale
leggerezza è negli angoli suoi più romiti, fra
le pieghe nascoste, in quegli occhi suoi segreti che lei rivolge sempre agli
uomini, come via all'incantamento. Da sempre perla dello stretto e culla di
antiche civiltà, (come ebbe a dire Cicerone), questa si estende in un
passaggio luminoso tra i mari più belli del Mediterraneo: il Tirreno e lo Jonio. Città cortese per eccellenza, è da subito benevola con il viandante,
che la sua Madonnina lucente benedice. Eccola Messina. La si vede dal mare
come una città-maga, che tutto svela e tutto sottintende. Appare fatua e
d'un tratto malinconica, per quell'abbandono compiaciuto con se stessa, e
per l'abbraccio che riversa al mare, suo alter-ego. Sinuosamente adagiata
sotto il sole delle sue colline, lei si fa ammirare intenta a far bella
mostra dei suoi tetti, che brillano cangianti nell'ora del tramonto. Ed ecco
il campanile del Duomo e le balconate verdi, il disegno delle sue vie
regolari ed ampie, la collina, su in alto, della Caperrina di Montalto e le
altre alture, con fortezze e bastioni. E ancora Rocca Guelfonia ed il
Turlone, ed infine il campanone bronzeo di Cristo Re. Tutto, proprio tutto,
qui attende sempre all'ultimo respiro del mare. Al suo vento di scirocco,
chiamato anche "di canale", che è messaggero degli dei. E quando in lei, i
giorni si fanno fitti di buio, e le acque diventano d'un tratto tempestose,
e magari soltanto dopo qualche ora, tutto di quell'impeto si placa, allora
Messina è al cuore del suo cuore. Anche l'ira rabbiosa di Scilla e Cariddi,
sue spaventevoli sirene, si è tacitata. E Nettuno, ormai dimentico di quel
continuo arbitrare tra queste due ultime furie (come allude dalla sua nobile
fontana), sembra finalmente aver trovato la pace. Un nuovo sguardo adesso la
culla. E quello iridescente di Morgana, sua presenza-assenza, che veste di
seta e arcobaleno. Lei. La fata. Dunque
Messina è proprio questa. E' fiera,
è nobile, è ancora l'antica Zancle. A volerla cercar fra le sue vie, magari
dopo la pioggia della notte, lei ci sorprende del suo silenzio stupefatto,
che diligente dedica a se stessa. Sorride poi soave ai naviganti, così,
fatta per loro fuggevole chimera. E lesta ancor continua il nuovo giorno.
Che dire di Messina? Del prossimo venire? Del momento suo fugace, dentro al
quale ogni cosa in lei s'appresta? Poche ore ancora, ed ecco giunger tosto
il tempo del riposo, dell'emozione: la notte. Tutto accade e può accadere
adesso.... Messina vive ormai un fitto buio, e quel tenue suo pulsare ora
si spegne. Così che di se stessa lei si commuove, sogna. E a chi la insegue
con ostinazione, ed è ormai vinto dalla sua malìa, lei, come una bella
donna, insegna ad andare al cuore delle cose, a saper guardare, e infine
anche vedere. Perchè questo è il suo intimo respiro.
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