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Il contenuto del presente articolo è stato estratto dal testo “Manuale di
Ingegneria Naturalistica Vol. 2”, realizzato dagli autori G.SAULI, P.
CORNELINI, F. PRETI, su iniziativa della Regione Lazio.
L’ingegneria
naturalistica è una disciplina tecnica che utilizza le piante vive negli
interventi antierosivi e di consolidamento in genere, anche in abbinamento
coi seguenti materiali:
- paglia;
- legno;
- pietrame;
- reti metalliche;
- biostuoie;
- geotessuti.
Fra i vari campi di applicazione si possono elencare:
- difesa dei versanti dall’erosione;
- contenimento e prevenzione frane;
- sistemazioni idrauliche in zone impervie e montane;
- reinserimento ambientale delle infrastrutture stradali e ferroviarie;
- rinaturalizzazione cave e discariche;
- rimodellazione delle sponde fluviali;
- consolidamenti in aree costiere;
- ricostruzione in generale delle reti ecologiche.
Le finalità principali di ogni intervento di ingegneria naturalistica sono
le seguenti quattro:
1) tecnico-funzionali: ad esempio antierosive e di consolidamento;
2) naturalistiche: ossia non semplici coperture a verde ma ricostruzione e/o
innesco di ecosistemi paranaturali mediante l’impiego di specie autoctone
che non alterino gli equilibri ecologici preesistenti;
3) paesaggistiche: di ricucitura al paesaggio naturale circostante,
coerentemente coi pattern locali;
4)economiche: creando strutture competitive ed alternative ad opere
tradizionali.
L’ingegneria naturalistica affianca alla progettazione canonica una
metodologia innovativa ed interdisciplinare, che comprende le seguenti fasi:
- esame delle caratteristiche topoclimatiche e microclimatiche di ogni
superficie di intervento;
- analisi del substrato podologico con riferimento alle caratteristiche
chimiche, fisiche ed idrologiche del suolo in funzione degli ammendanti e
degli additivi da impiegare;
- esame delle caratteristiche geologiche e geomorfologiche;
- verifiche geotecniche e idrauliche;
- valutazione delle possibili interferenze reciproche con l’infrastruttura.
Prendendo ad esempio la costruzione di una strada, si considerano gli
effetti dovuti allo spargimento dei sali antigelo, le ripercussioni sulla
sagoma limite dovute allo sviluppo della vegetazione e, ancora, le
interferenze e le implicazioni indotte dalla presenza della fauna indigena;
- acquisizione della base conoscitiva, logistica e fitosociologica con
particolare riferimento alle serie dinamiche degli ecosistemi interessati
per l’efficace utilizzo delle caratteristiche biotiche di ogni singola
specie;
- utilizzo degli inerti tradizionali ma anche di materiali innovativi come
biostuoie e geotessuti;
- selezione delle miscele di sementi delle specie erbacee in funzione
dell’efficacia antierosiva, dei processi di organicazione dell’azoto, della
progressiva sostituzione delle specie impiegate con le specie selvatiche
circostanti;
- accurata selezione delle specie vegetali da impiegare, con particolare
riferimento a specie arbustive ed arboree da vivaio, talee, zolle erbose da
trapianto, stoloni e rizomi. Si privilegia il ricorso alle specie autoctone
e derivate da propagazione locale;
- abbinamento della funzione antierosiva con quella di reinserimento
ambientale e naturalistico;
- miglioramento nel tempo di tali funzioni, grazie allo sviluppo delle parti
ipogee (sotterranee) ed apogee (aeree) delle piante.
Come si può vedere, la disciplina dell’ingegneria naturalistica abbraccia un
campo vastissimo di applicazione, interlacciandosi in un rapporto di mutuo
scambio tecnico-normativo con la classica ingegneria civile-edile.
La diffusione attuale è molto più larga in Europa (Scandinavia, Germania,
Austria, Svizzera) che non in Italia ma si registra un interesse crescente
da parte di addetti ai lavori e non, appoggiato anche dalle Amministrazioni
Regionali che intendono incentivare l’utilizzo delle tecniche naturalistiche
ed organizzare campagne di informazione e sensibilizzazione.
La previsione per il futuro è ottimistica, anche in virtù delle intrinseche
proprietà di mitigazione d’impatto ambientale degli
interventi di ingegneria naturalistica.
Le ricadute principali su uno studio di VIA (Valutazione d’Impatto
Ambientale) sono essenzialmente due:
1) tutela preventiva dei beni ambientali coinvolti dall’opera progettata. Le
tecniche naturalistiche ampliano la gamma di possibilità tra le quali
scegliere il progetto a minor impatto;
2) mitigazione e compensazione degli impatti residui inevitabilmente creati
da qualsiasi intervento sul territorio.
Queste due finalità sono perseguite all’interno di tre principali settori:
1) rinaturazione (o rinaturalizzazione): ricostruzione di biotopi o
ecosistemi paranaturali, non collegata ad interventi di tipo strettamente
funzionale;
2) ingegneria naturalistica in senso stretto: realizzazione di sistemi
antierosivi, stabilizzanti o di consolidamento realizzati con piante vive,
in abbinamento con altri materiali innovativi e/o in “grigio” (calcestruzzo,
etc);
3) provvedimenti per la fauna, in particolare per garantire la continuità
degli habitat e le vie di accesso tra i diversi elementi ecologici degli
ecosistemi.
Il recupero ambientale delle discariche
Una volta conclusosi il ciclo di vita di una discarica, si vengono a creare
vaste zone in terra sia sulla sommità dei cumuli di rifiuti, sia nelle aree
adiacenti l’impianto. A questo punto è necessario recuperare a verde il
terreno compromesso e ripristinare quanto più possibile le condizioni
ambientali in armonia col contesto circostante, comprendente le specie
boschive, gli aspetti paesaggistici, le caratteristiche pedolitologiche,
ideologiche superficiali e così via.
La “resurrezione” è resa possibile dall’ingegneria naturalistica, con una
procedura semplificata di rivegetazione che si articola lungo le seguenti
fasi:
- riporto di terreno vegetale sugli inerti drenanti di ricopertura;
- eventuale trapianto in zolla a mosaico di cotici di formazioni erbacee di
prati-pascoli polifiti. Un simile intervento è indicato soprattutto in aree
ad elevata naturalità, come quelle adiacenti a SIC (Siti d’Importanza
Comunitaria) e ZPS (Zone a Protezione Speciale);
- semina con fiorame proveniente da formazioni naturali o paranaturali
autoctone;
- semine o idrosemine potenziate con miscele adatte alla situazione
pedoclimatica ed ambientale locale;
- messa a dimora di specie arbustive autoctone con disposizione a isole,
evitando geometrismi che conferiscano un aspetto “artificiale” d’insieme. E’
importante considerare che l’impiego delle specie arboree deve essere
limitato alle sole fasce marginali esterne al corpo della discarica, per
ragioni funzionali di durata dei teli di sigillatura;
- consolidamento dei terrapieni e sistemazione di canalizzazioni
perimetrali, a volte abbinati con tecniche antierosive o stabilizzanti sulle
parti della discarica poste in scarpata, sì da evitare ruscellamenti e
solcature del pendio;
- realizzazione di fasce boscate per creare un effetto tampone.
Si vogliono ora descrivere gli interventi di rivegetazione riguardanti due
tipi di discariche.
1) Discariche Rifiuti Solidi Urbani
L’attuale tendenza è quella di sigillare completamente il corpo della
discarica (incaramellamento) con materiali
impermeabili quali geomembrane e materiali bentonitici.
Sul rivestimento superiore è possibile mettere a dimora le specie vegetali
che, pur inserendo i loro apparati radicali, non arrivano alla geomembrana,
lasciandola intatta e perfettamente funzionante. L’unico problema pratico è
il reperimento delle miscele idonee di sementi e degli arbusti locali, per
poter effettuare un inserimento il più rispettoso possibile del paesaggio
circostante. Si cita a titolo d’esempio la realizzazione della discarica RSU
di Sciaves (BZ), che è stata sovrimposta ad un vecchio scavo di versante ed
è in serie ad un impianto di compostaggio in cui viene convogliata gran
parte dei rifiuti organici. Il residuo in output dall’impianto è avviato
definitivamente in discarica. Nel fondo della discarica i rifiuti conferiti
sono ricoperti
con strati di terreno vegetale. A saturazione avvenuta, si effettua la
copertura superiore dapprima con geomembrane e non
tessuti, che fungono da sigillanti, poi con lo strato drenante ed il terreno
vegetale, che viene sottoposto ad idrosemina. Dopo un breve periodo di tempo
necessario per lo sviluppo delle sementi e degli arbusti autoctoni, si può
già vedere l’effetto positivo complessivo sul versante ripristinato a verde.
Da notare che, pur essendoci una fitta popolazione di Pini silvestri sullo
sfondo, questi non sono stati selezionati per il rinverdimento a causa del
loro lungo apparato radicale, capace di approfondirsi molto e quindi
potenzialmente dannoso per la geomembrana e in ogni caso destabilizzante per
i ricoprimenti.
2) Discariche minerarie
Si riporta l’esperienza della ex miniera di Campo Pisano (CA), contenente
sterili a basso contenuto di zinco e piombo. La superficie totale è di circa
1000 m2, tutti dislocati in pendenza da 40° a 45°. L’area è stata suddivisa
in otto parcelle da 5 x 25 metri ciascuna, rinaturate con diverse metodiche
in modo da poter confrontare i risultati ottenuti. Le tecniche adottate sono
le
seguenti:
- rivestimento con biofeltro preseminato e preconcimato, fissato con rete
metallica a maglia 10 x 10 cm;
- fascinate e cordonate vive di tamerici alternate a messa a dimora di
arbusti autoctoni;
- palizzata viva di tamerici;
- copertura con stuoia in fibra di cocco e piantagione di piante erbacee
perenni;
- rivestimento in paglia con rizomi sminuzzati di graminacee e semina;
- copertura con terra vegetale, stuoia in fibra di cocco e semina;
- messa a dimora di arbusti autoctoni di gariga mediterranea e cespi di
graminacee in vaso;
- testimone (nessun intervento).
Su tutte le parcelle è stata eseguita una idrosemina di copertura con
miscuglio di specie selezionate tra le più resistenti all’aridità e alla
carenza nutrizionale. È stata irrigata la sola parte alta del versante e in
effetti l’attecchimento maggiore ha riguardato proprio tale zona, a
dimostrazione che l’acqua è fra i più importanti fattori limitanti per la
rivegetazione di terreni compromessi. Alla fine l’impiego di arbusti
pionieri mediterranei si è rivelato essere la scelta migliore, sia come
attecchimento, sia come durabilità. Non altrettanto si può dire per le
semine, a meno che non si adottino particolari espedienti come lo
spargimento di fienagioni o il concomitante trapianto di cespi di graminacee
locali.
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