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Introduzione
I processi di depurazione
La biomassa fissata
Contattore biologico italiano energeticamente
sostenibile
Contattore biologico rotante anaerobico
Conclusioni
Introduzione
Da uno sguardo sull’attuale panorama
scientifico risulta evidente
il continuo incremento delle attività di ricerca aventi
ad oggetto lo studio di nuovi sistemi per la produzione di
energia rinnovabile; negli ultimi anni, l’attenzione è stata
focalizzata,
tra l’altro, sulle tematiche riguardanti la produzione
di biocarburanti ed in particolare, la loro produzione dalle acque
reflue, campo al quale una unità di ricerca del CIRPS -BIOFUELS
& EINEP- sta dedicando particolare interesse.
Nello studio che segue, partendo da un’analisi storica dell’evoluzione
dei processi a biomassa fissata - dai sistemi a filtri
fino alle attuali tecnologie che permettono di produrre biometano
– si descrive un nuovo processo a contattori biologici
la cui sostenibilità energetica è stata dimostrata grazie all’utilizzo
di una particolare tecnologia innovativa italiana che consente
un’elevata razionalizzazione dei consumi.
su
I processi di depurazione
Per facilitare la comprensione dei
processi di depurazione
delle acque devono evidenziarsi, innanzitutto, le differenze
tra le tre categorie nelle quali possono essere suddivisi tali
processi: fisici, chimico-fisici, biologici; ciascuno di essi viene
utilizzato a seconda del tipo di acqua da trattare e del grado
di severità richiesto.
Ad esempio, un’acqua che contiene solamente particelle in
sospensione può essere trattata con mezzi fisici (decantazione,
filtrazione,ecc.). Un’acqua che contiene sostanze disperse
o disciolte quali sali minerali deve essere trattata con mezzi
chimico-fisici (precipitazione con idonei reagenti chimici).
Un’acqua contenente principalmente sostanze organiche
viene trattata per via biologica. E’ frequente l’abbinamento di
tutte le tre categorie al fine di ottimizzare il ciclo depurativo
nel suo complesso. Nelle
acque reflue è frequente la contemporanea
presenza di acque domestiche e industriali, cosicché
tali acque subiscono, dapprima, un trattamento fisico (separazione
delle particelle insolubili quali sabbia e detriti vari,
separazione degli oli e dei grassi, ecc.); segue un trattamento
chimico-fisico onde precipitare metalli pesanti; infine, si procede
al trattamento biologico che assicura l’abbattimento di
quasi tutte le sostanze organiche presenti.
Nella maggioranza dei casi le tre categorie di trattamento
non sono intercambiabili, sia per ragioni tecniche sia per
ragioni di costo e, pertanto, le scelte processuali sono praticamente
obbligate. Naturalmente, nell’ambito di ciascuna
categoria, esiste la possibilità di scelta tra processi e
apparecchiature
differenti, scelte dettate dall’esperienza o dalle preferenze
dei progettisti.
Per le applicazioni riguardanti la produzione di biofuels risulta
estremamente interessante lo studio dei processi biologici
e, in particolare, dei sistemi cosiddetti a biomassa fissata.
Questi processi riproducono fenomeni naturali in cui microrganismi
di diverse specie si nutrono delle sostanze di
rifiuto presenti nelle acque, consentendo a queste ultime di
essere scaricate liberamente o, eventualmente, recuperate
per altri usi.
Normalmente, gli impianti di depurazione delle acque richiedono
la somministrazione dell’ossigeno necessario al
metabolismo dei microrganismi coinvolti (processi aerobi).
Esistono anche sistemi metabolici che operano in assenza di
ossigeno (processi anaerobi), ma questi sono molto più lenti
e sono utilizzati per trattamenti collaterali o nel caso in cui la
concentrazione di sostanze organiche di rifiuto sia superiore a
quanto normalmente presente nelle acque reflue.
Dal punto di vista della sostenibilità energetica vi è da osservare
che in tali processi aerobi la somministrazione di ossigeno
comporta un elevato dispendio energetico e, pertanto,
occorre molta cura nella scelta impiantistica in modo da ottenere
risultati adeguati a costi contenuti.
Tale problematica non si pone, invece, con riferimento ai
processi anaerobi nei quali, infatti, non vi è dispendio energetico
in quanto generalmente con essi si produce un biocarburante
chiamato biometano (il cosiddetto biogas) che serve a
coprire il fabbisogno energetico del processo, oltre a renderne
disponibile un certo eccesso impiegabile in usi diversi.
Gli impianti a colture fissate utilizzano gli stessi processi
metabolici degli impianti a colture sospese (fanghi attivi) ma
si differenziano da questi ultimi in quanto le colonie di microrganismi
aderiscono su degli appositi supporti posti all’interno
della vasca.
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La biomassa fissata
L’analisi della storia evolutiva dei
processi a biomassa fissata
evidenzia la mole di ricerca ed il numero di menti che oramai
per due secoli sono state coinvolte datando il 1887 come
l’inizio di tale “avventura”. In tale anno, infatti, il Massachussets
State Board of Health decise di studiare l’impiego di materiali
solidi per ossidare la materia organica: vennero utilizzati dieci
filtri in cui si posero vari materiali, tra cui torba, ghiaie e sabbie
di varie granulometrie. I risultati furono positivi e venne deciso
di costruire un impianto costituito da contenitori in cui venne
posta della ghiaia e dalla cui sommità si versavano, a intervalli
di venti minuti, i liquami che, scendendo lungo lo strato
di ghiaia, subivano un certo grado di depurazione. La tecnica
attirò l’attenzione degli Inglesi che la migliorarono ottenendo
riduzioni del 75% delle sostanze organiche ossidabili. Negli
anni successivi vennero sperimentate e applicate numerose
varianti che costituiscono quelli che sono conosciuti ai giorni
nostri come ’filtri
percolatori’. Questi ultimi, pur presentando
indubbi vantaggi, anche economici, sono condizionati da vincoli
di processo che non consentono di ottenere il massimo
grado di efficienza depurativa.
Nel 1921 Buswell iniziò a studiare in dettaglio i processi a
‘contattori biologici’ e nel 1928 concluse che fosse utile evitare
la formazione di colonie anaerobie a scapito delle colonie
aerobie nonché aumentare le superfici specifiche rispetto al
volume delle vasche. Nacquero così i primi sistemi in cui, al
posto della ghiaia, furono fissate nelle vasche dei supporti
piani di varia foggia sui quali potessero depositarsi le colonie
di microrganismi. Il processo si svolgeva in due tempi nei quali
si alternavano periodi di riposo a periodi di insufflazione di
aria al di sotto delle superfici di contatto. Buswell si rese conto
che la biomassa di microrganismi dopo un certo arco temporale
andava in parte allontanata perchè raggiungeva una
sorta di “maturazione” che rallentava l’efficienza del processo.
Pertanto, suggeriva di scuotere periodicamente le superfici di
contatto in modo da disporre di biomassa “fresca” in grado di
accelerare nuovamente il grado di depurazione. Negli anni ’30<
con Hays si svilupparono i contattori in serie (nel 1942 esistevano
63 impianti di questo tipo) ma essendo il processo abbastanza
laborioso non si riuscì a dimostrare la sua superiorità
rispetto ai sistemi a fanghi attivi.
Negli anni ’50, Hartmann, sotto la guida del Professor Popel
dell’Università di Stoccarda, valutando la letteratura esistente
determinò criticamente i motivi degli scarsi risultati ottenuti
con gli impianti a contattori sino ad allora conosciuti: egli decise
di costruire i primi contattori a dischi rotanti. Questi erano
costituiti da una serie di dischi sufficientemente spaziati tra
loro e fissati su di un asse orizzontale sul quale agiva un
motoriduttore
che consentiva una lenta rotazione. Tali rotori, erano
posti in una vasca e immersi per circa il 40% del loro diametro
in modo da permetterne l’aerazione e lo scarico della biomassa
in eccesso. La spaziatura tra i dischi era tale da assicurare
l’ossigenazione e il ricambio della biomassa in eccesso. Hartmann
condusse esperimenti con vari stadi di trattamento, ricavandone
i dati di carico. Finalmente, il processo a contattori
biologici approdò a risultati soddisfacenti e cominciò ad intaccare
il predominio dei processi a fanghi attivi.
Sulla base dei lavori di Hartmann, la tedesca Stengelin realizzò
rotori costituiti da dischi di polistirene espanso dello
spessore di 12,5 mm, distanziati ciascuno di 20 mm. La tecnologia
risultò così brillante da costituire oggetto di licenza
di costruzione negli USA. In quel paese venne dato ulteriore
impulso alle ricerche mirate ad ottenere elevate superfici
specifiche in quanto i valori dell’epoca si aggiravano sui 100
m2/m3 di rotore. Negli anni ’70 la Società Autotrol depositò un
brevetto in cui si illustrava la realizzazione di rotori costituiti
da dischi piani alternati a dischi corrugati in modo tale che la
superficie fosse più alta: si ottenevano, così, valori compresi tra
127 e 174 mq/mc, a seconda del grado di impaccamento delle
corrugazioni e delle distanze tra ogni disco.
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Contattore biologico italiano energeticamente
sostenibile
Solo nel 1993 è stato messo a punto in
Italia dalla DEATEC s.r.l. un contattore biologico rotante non azionato
meccanicamente denominato commercialmente “ARCHIMEDE” e di seguito
illustrato.
 La novità di tale processo è costituita dalla nuova
progettazione di innovativi contattori caratterizzati da cabalette
disposte a schiera parallelamente all’asse di rotazione ed orientate in
modo tale da ricevere il flusso di gas proveniente dal basso.
 |
Contattore anaerobico
 |
Contattore ad aria aerobico
In questo
modo, si viene a creare una superficie di supporto per una grande
quantità di microrganismi che operano quindi in condizioni ideali per
utilizzare le sostanze organiche presenti nei liquami.
L’apparecchiatura,originariamente nata per trattamenti aerobici,
funziona grazie all’insufflazione di aria al di sotto del
contattore che, con i due mozzi terminali, appoggia semplicemente su due
supporti a ruota libera.
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Contattore biologico rotante anaerobico
Quando sono previsti trattamenti di tipo
anaerobico, i contattori Archimede vengono alloggiati in vasche chiuse,
fuori dal contatto con l’atmosfera. I gas iner ti (anidride carbonica e
azoto), che si liberano nelle trasformazioni anaerobiche, costituiscono
l’aria nel compito di indurre la rotazione e di tenere in sospensione la
massa di microrganismi da allontanare.
La biomassa anaerobia che si forma sul supporto plastico si riproduce e
si r innova continuamente, mentre le cellule inattive che si sfaldano
escono dalla vasca mantenute in sospensione dal gas biologico
insufflato. A valle del contattore viene
posto un sedimentatore di tipo chiuso nel quale si separano i fanghi in
eccesso che possono essere parzialmente riciclati in
testa o subire trattamenti di disidratazione.
Deve evidenziarsi che i biofilm –che hanno una complessa architettura
tridimensionale fatta di microcolonie con uno spessore medio di 20
micron solcate da canali acquosi – sono noti per la loro elevata
tolleranza agli ambienti ostili se comparati alle cellule liberamente
flottanti nei liquami. La validità di tale affermazione è stata
confermata da studi
mirati di tossicità nei quali vengono iniettate quantità note di
prodotti tossici nel sistema e viene valutata l’attività metabolica
residua.
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Conclusioni
L’ultimo processo sopra descritto
evidenzia la possibilità di produrre biogas e non solo (da recenti
studi, infatti, è emersa la possibilità di produrre per mezzo di tale
processo anche altri biocarburanti) a partire da substrati liquidi, o
resi tali, ricchi di sostanze organiche presenti nelle acque reflue o
negli scarichi delle attività agroindustriali.
L’efficiente sinergia riscontrata, quindi, tra la depurazione delle
acque, la razionalizzazione energetica e la produzione di biocarburanti
può costituire un punto di contatto tra imprese ed enti di ricerca di
notevole interesse oltre che di utilità per lo sviluppo di progetti
mirati al dimensionamento ed alla costruzione in ambito agricolo ed
industriale di impianti capaci di produrre in modo sostenibile i
biocarburanti sempre più necessari sia al trasporto sia alla produzione
di energia elettrica distribuita.
L’implementazione di una siffatta filiera dei biocarburanti, dunque, se
da un lato va incontro ad una domanda sempre più sostenuta di fonti
rinnovabili, destinata ad amplificarsi negli anni a venire, dall’altro
garantisce un ritorno economico certo di attività agricole razionali e
sostenibili, assicurando una crescita economica nel pieno rispetto delle
esigenze ambientali.
(*) Bibliografia: Consulting - Geva
Edizioni, Roma
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