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Con la conquista araba, nell’831, Palermo diventa un importante centro del
mediterraneo islamizzato. Sotto la loro dominazione, la città attraversa un
periodo di benessere e di splendore, che durerà anche con la successiva
dominazione normanna, come testimoniano i numerosi scritti dei viaggiatori,
geografi e poeti che visitarono la città tra il IX e XII sec. Tale benessere
determinò un enorme sviluppo economico e sociale, nonché demografico;
infatti, dalle poche migliaia di abitanti dell’epoca bizantina si passa agli
oltre 80.000 sotto gli arabi, giustificando così anche il primo ampliamento
urbanistico della sua storia. Infatti, fuori dalle mura della penisola del
Piede fenicio, la cosiddetta Galca, sorge la cittadella detta al Halisah
(l’Eletta), sede degli emiri e cuore amministrativo della città,
corrispondente all’odierno quartiere della Kalsa.
Alla crescita della popolazione dovette necessariamente corrispondere un
aumento di produttività agricola, grazie soprattutto ad una sistematica
innovazione delle scienze e delle tecniche agrarie, le quali costituiranno
l’apporto più significativo della civiltà islamica in occidente.
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Giardini di Palermo in una carta francese del XVII sec.
Le innovazioni agricole introdotte dagli arabi trasformarono il paesaggio
agrario di Palermo, rendendolo florido e rigoglioso, come documentano le
parole del geografo persiano Ibn Hawqal, che nel 977, visitando la città,
così descrive la campagna palermitana:
“(Palermo) è circondata da numerosi corsi d’acqua che scendono da ovest ad
est; la loro corrente è capace di far girare dei mulini che sono difatti
attivi in diverse località. Lungo i corsi d’acqua, dalla sorgente fino alla
foce, si stendono terreni paludosi coperti di cespugli, dove cresce la
canna di Persia (canna da zucchero), ed esistono giardini da frutta, orti e
campi di zucche. In questi terreni si raccoglie soprattutto il papiro, con
il quale si fabbricano i rotoli dove scrivere. Attorno all’abitato vi sono
delle sorgenti meno conosciute, dalle quali si trae grande utilità, come
quella del Qadus, a sud, e la Grande Fontana e la Piccola Fontana, situate
all’angolo della montagna che incombe sulla città. Esse sono la più grande
sorgente del paese. Tutte queste acque sono utilizzate per l’irrigazione dei
giardini. La maggior parte dei corsi d’acqua (…) sono usati per
l’irrigazione dei giardini, a mezzo di norie. Gli abitanti (…) possiedono un
gran numero di giardini, di grande capacità produttiva; essi sono posti ad
una certa distanza dall’acqua e non sono quindi irrigati naturalmente come
accade in Siria”.
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Senia nel giardino del palazzo della Zisa. (da
P.Todaro, Utilizzazioni del sottosuolo di Palermo in età medievale, in
AA.VV., Palermo Medievale)
Si accenna qui, oltre alla presenza di numerosi giardini ed orti, anche al
particolare sistema di prelievo dell’acqua dai pozzi (la noria), frutto di
soluzioni tecnologiche innovative, unite a conoscenze idrauliche che
permettevano di trasportare l’acqua in luoghi lontani da quello di prelievo.
Ma la vera novità, oltre all’introduzione di singole tecnologie, è
rappresentata dalla diffusione di un nuovo sistema di coltivazione che
comportò una vera e propria rivoluzione agraria, costituita dall’insieme di
piante, tecniche e conoscenze elaborate dalle culture agricole
mediorientali, del Maghreb, ma soprattutto della Spagna islamizzata (Al
Andalus), con la quale si intrattenevano intensi scambi culturali e
scientifici. I princìpi innovativi dell’agricoltura arabo-andalusa si basano
fondamentalmente sulla importanza della conservazione della fertilità del
suolo, ma soprattutto sulla ottimizzazione dell’acqua, così preziosa in
ambiente mediterraneo. Gli agronomi arabi, memori delle esperienze
accumulate nei loro luoghi di origine, territori siccitosi per buona parte
dell’anno, importano le loro conoscenze anche a Palermo, il cui assetto
geologico favorisce grandi accumuli sotterranei d’acqua, la quale però va
individuata, incanalata, sollevata in superficie e, successivamente,
mediante complesse sistemazioni idrauliche del suolo, distribuita nei campi.
Un territorio, quindi, che funziona come un immenso spazio idraulico, nel
quale le macchine e i manufatti idraulici, le sistemazioni del suolo a fini
irrigui, le colture e le loro consociazioni, concorrono ad ottimizzare al
massimo l’uso dell’acqua. Il suddetto spazio idraulico, identificabile con
la Piana di Palermo - la Conca d’Oro - nasce da una particolare
conformazione geologica di tale territorio. Esso consiste in una pianura
quaternaria, leggermente inclinata in direzione ovest-est verso il mare,
costituita da uno strato di calcareniti – il cosiddetto tufo – di spessore
variabile, da pochi metri a oltre cento, molto permeabile, tale da
determinare la formazione di falde acquifere negli strati di contatto con le
formazioni impermeabili più profonde di natura argillo-marnosa.
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Schema di un qanat palermitano. (da P.Todaro, Il
sottosuolo di Palermo).
L’acqua presente nelle falde, attraverso dei pozzi, veniva portata in
superficie per mezzo di norie a tazze o senie e successivamente accumulata
in apposite cisterne (gebbie), per essere, infine, distribuita agli
agrumeti.
Tali pozzi attingevano l’acqua direttamente da falde sottostanti oppure dai
qanat, originali e lunghi acquedotti sotterranei di origine arabo-persiana
che, con un sistema ingegnoso e semplice allo stesso tempo, consentono
contemporaneamente la captazione ed il trasporto di acque dalle falde
profonde fino al raggiungimento del luogo di utilizzazione in superficie,
posto anche a notevole distanza dal luogo di captazione della falda stessa.
I qanat, da un pozzo principale di rinvenimento della falda, procedono nel
sottosuolo con una pendenza minima, così da indurre un lento ma costante
movimento dell’acqua (laminazione), che si mantiene pura, senza causare
pericolose erosioni delle pareti e del fondo della galleria, trasportandola
verso i punti di utilizzazione nella campagna circostante, e in alcuni casi
all’interno della città.
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La Conca d’Oro. Dipinto di Francesco Lo Jacono
(1838-1915) – Collezione privata (foto di Giacomo D’Aguanno)
Oggi, purtroppo, gli agrumeti della Conca d’Oro sono quasi completamente
scomparsi; le uniche testimonianze di quella che era una volta la campagna
attorno a Palermo sono rappresentate dai quadri dei vedutisti ottocenteschi
palermitani o dalle foto d’epoca, anche solo di qualche decennio fa, che la
ritraggono. Anche gli ultimi scampoli di agrumeti che ancora resistono sono
in via di estinzione. Occorrerebbe una maggiore sensibilità verso il
paesaggio, che dovrebbe essere sentito come un bene comune, primario, ma
soprattutto non illimitato, e per ciò stesso andrebbe non solo conservato ma
valorizzato, così come auspica nel suo preambolo la Convenzione europea del
paesaggio (Firenze, 20 Ottobre 2000): “…il paesaggio svolge importanti
funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e
sociale (…) coopera all’elaborazione delle culture locali e rappresenta una
componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale d’Europa… - ed
ancora - …la qualità e la diversità dei paesaggi europei costituiscono una
risorsa comune per la cui salvaguardia, gestione e pianificazione occorre
cooperare …”.
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