SICILIA DA SCOPRIRE
 Il Monte
Conca

  di Aristide Tomasino


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Il sistema idrogeologico

La flora

La fauna

La presenza dell'uomo


 

Il Monte Conca è un corpulento rilievo situato nelle Sicilia centrale, precisamente nel territorio del comune di Camprofranco, che ricade in provincia di Caltanisetta. Esso possiede non comuni doti ambientali, tanto da farlo includere in un’area di protezione che porta lo stesso nome del monte.
La sua altezza non è rilevante, raggiungendo appena 437 m s.l.m., ma è la sua costituzione geologica la cosa che lo fa naturalisticamente interessante, così come lo sono le conseguenze prodotte da tale costituzione.
Il Monte Conca è fatto di gesso. Il gesso è un particolare tipo di roccia sedimentaria che fa parte del gruppo delle evaporiti. Questo gruppo di rocce si è formato per evaporazione dell’antico Mediterraneo, quando, circa 6 milioni di anni fa, subì una crisi termica e parzialmente si prosciugò. In tale frangente cominciarono a depositarsi e cristallizzare i sali contenuti nelle sue acque, che, nell’ordine di sedimentazione, furono: il carbonato di calcio (calcare), il carbonato doppio di calcio e magnesio (dolomia), il solfato di calcio (gesso), il cloruro di sodio (salgemma) e infine il cloruro di potassio (silvite). A questi sali si aggiunse successivamente lo zolfo.
Quando, sotto l’effetto di fenomeni tellurici, alcuni di questi sedimenti - i calcari, le dolomie e i gessi – emersero in superficie sotto forma di rocce compatte, andarono soggetti alla azione degli agenti atmosferici e diedero origine a straordinarie geomorfologie, che sono dette fenomeni carsici. Nei calcari l’acqua piovana, ricca di acido carbonico, intacca e dissolve la roccia, creando solchi, buche (doline), inghiottitoi e caverne. Nei gessi si hanno azioni simili, anzi ancora più marcate, in quanto che il solfato di calcio si dissolve nell’acqua senza bisogno dell’acido carbonico.
Nel Monte Conca, che come s’è detto è di gesso, siffatti fenomeni sono eclatanti; da qui la necessità di salvaguardare la zona, istituendo nel 1995, un’area protetta che porta la denominazione di Riserva Integrale di Monte Conca.
La Riserva in questione, che occupa una estensione di 2,45 km2, comprende oltre il Monte di cui s’è detto, anche tre altri rilievi che si trovano nella parte settentrionale del territorio; sono questi Cozzo Don Michele (373 m), Rocche di Don Michele (317 m) e Rocche di Tullio(289 m). Inoltre l’area è solcata dal Fiume Gallo d’Oro, un affluente del Platani, che, scorrendo sulle rocce evaporitiche, si carica dei sali colà presenti, da cui l’antico nome di Salito.
La tutela del territorio non si limita solamente agli aspetti geologici, ma si estende anche al sistema idrogeologico in esso presente, alla flora, alla fauna ed alle testimonianze antropiche passate e recenti.
 

Il sistema idrogeologico

Il sistema idrogeologico della Riserva di Monte Conca è costituito da una scarsa rete superficiale che è sostenuta dalle argille che sono impermeabili, per loro intrinseca natura, e sono onnipresenti sui suoli gessosi, ma soprattutto è formato da un sistema idrico sotterraneo, attualmente attivo. Infatti le abbondanti acque piovane che cadono sulla zona si inabissano nelle numerose fenditure della roccia, e segnatamente in una rilevante cavità, detta localmente zubbiu, che si apre sul lato meridionale del Monte Conca. Le acque accolte da siffatta buca, che in sostanza è un classico inghiottitoio, dopo aver attraversato il Monte Conca riemergono sul lato settentrionale dello stesso rilievo, attraverso una ulteriore cavità che è detta Risorgenza o Grotta Carlazzo e si versano nel Fiume Gallo d’Oro.
L'Inghiottitoio Di Monte Conca, nella sua prima parte, è costituito da una galleria orizzontale che si sviluppa lungo le preesistente fatturazione tettonica della roccia. Le pareti sono levigate e prive di concrezionamento. Dopo circa 100 m, la cavità si sviluppa in senso verticale con la presenza di quattro pozzi a cascata, profondi rispettivamente 9, 12, 31, 26 metri, intervallati da brevi collegamenti orizzontali. Alla base di questi pozzi sono presenti grandi marmitte, scavate dal violento impatto dell'acqua, che formano piccoli laghetti. In corrispondenza dei pozzi si hanno imponenti colonne e colate di calcite a forma di cascate. Alla base dell'ultimo pozzo si trova una galleria orizzontale ad andamento sinuoso lunga circa 400 m, con un'altezza variabile da 1 a 10 m. Sulle pareti è possibile osservare la stratificazione macroscopica della roccia, costituita integralmente da cristalli di gesso. Man mano che si va avanti, a causa dei considerevoli depositi di fango e detriti e dell'abbassamento graduale del soffitto, la galleria diventa inaccessibile all’uomo, permettendo solo il deflusso delle acque.
La Risorgenza di Monte Conca, conosciuta localmente come Grotta di Carlazzo, in effetti rappresenta, come s’è detto, la riemersione a giorno delle acque che s’erano inabissate nell’Inghiottitoio. Questo affioramento, che è a regime perenne, avviene, dove c’è un'ansa del fiume Gallo d'Oro. La Grotta Carlazzo è una cavità suborizzantale che si sviluppa su due livelli sovrapposti: attivo quello inferiore, fossile il superiore. A circa 20 m dall'ingresso, in corrispondenza di un laghetto, si apre sul soffitto un pozzo ascendente di origine antropica, scavato rimaneggiando una preesistente cavità naturale verticale. Questo pozzo era uno stratagemma umano per estrarre le acque sgorganti dalla Risorgenza. A tal fine l’accesso alla grotta veniva temporaneamente ostruito in modo da poter accumulare più acqua possibile nel laghetto che si trova sotto dell’apertura artificiale, da qui il liquido elemento veniva tratto in superficie mediante una noria (senia) a trazione animale. La ragione di tale espediente stava nel fatto che tali acque, essendo esenti da sali minerali, come invece lo sono quelle del Fiume Gallo d’Oro, potevano essere utilizzate in agricoltura.
All'interno della Riserva, oltre alle grotta citate, ve ne sono delle altre, fra cui la più significativa è la Grotta del Mortaio. E’ questa una modesta cavità che si sviluppa per circa 50 m in orizzontale, lungo una frattura tettonica; il suo antro lo troviamo ingombro di grandi massi e tappezzato da concrezioni e cristallizzazioni di gesso di svariate forme. Vi sono sicure tracce di frequentazione umana, in particolare vi si rinvengono gradini ed appigli per agevolare gli spostamenti nel suo interno e si riscontra una divisione dell’ambiente ipogeo in due parti: quella più profonda destinata ad ovile e quella più prossima all’ingresso finalizzata alla permanenza dell’uomo.
 

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La flora

Su buona parte della Riserva è presente una vegetazione gipsofila; cioè caratteristica dei suoli gessosi. In effetti, a dispetto di quello che normalmente si potrebbe pensare il solfato di calcio, in genere, non ha azione chimica sulle piante sia senso positivo che negativo. A parte poche piante che sono strettamente dipendenti del gesso, e perciò sono dette gipsofile esclusive, la maggior parte della vegetazione che cresce sui suoli gessosi è composta da piante che possono vivere anche su altri substrati e pertanto sono dette gipsofile facoltative o gipsovaghe. Queste ultime, però, come si dirà fra breve, hanno anch’esse un certo legame con il gesso.
Fra le prime troviamo: la Borracina dei gessi (Sedum gypsicola), una piantina perenne con foglie succulente; il Cavolo di Tineo (Brassica tinei), una erba endemica siciliana, dal corpo villoso, e la Borracina biancastra (Sedum rupestre), anch’essa perenne e succulenta, avente uno sviluppo in altezza di qualche decimetro.
Per le seconde la lista sarebbe alquanto lunga in quanto si tratta di piante, in genere adatte a vivere sui suoli calcarei (calciofile),ma che hanno scelto il substrato gessoso per pura opportunità, poiché su gli altri suoli mostrano scarsa capacità a vincere la competizione con le altre specie. Dunque si rifugiano sui gessi, dove le altre specie calciofile trovano difficoltà ad allignare per la costante aridità del terreno. Fra di esse ve ne sono di rupestri, come la felce perenne Cedracca (Asplenium ceterach) oppure l’erbetta annuale Borracina azzurra (Sedum caeruleum); oppure erbacee steppiche, come il Tagliamani (Ampelodesmos mauritanicus) e il Barboncino (Hyparrhenia hirta); o cespugliose, come l’Euforbia arborea (Euphorbia dendroides), il Legno puzzo (Anagyris fetida) e l’Erba lunaria (Gypsophila arrostii). Facciamo notare come quest’ultima, malgrado il nome, non è inclusa fra le prime.
Nella Riserva in questione, però, oltre alla flora gipsofila che abbiamo appena descritto, è presente una diversa comunità vegetale che vive in un ambiente totalmente differente. Si tratta della vegetazione idrofila che cresce nei pressi del fiume, dei ruscelli e delle zone sorgentizie. Sulle rive del Fiume Gallo d’Oro troviamo alcune specie ripariali arboree come il Pioppo nero (Populus nigra), la Tamerice (Tamarix gallica) e diverse forme erbacee come il Crescione (Nasturtium officinale) o il Sedano d’acqua (Apium nodiflorum). Nelle valli umide allignano popolamenti fitti di Canna di palude (Phragmites communis), di Mazzasorda (Typha latifolia) e di Canna renana (Arundo pliniana); quest’ultima svolge una lodevole funzione di contenimento del terreno in quanto colonizza aree ad elevata pendenza. Non mancano anche i giunchi; fra cui, ad esempio, il Giunco maggiore (Juncus acutus), che venivano raccolti dai locali per confezionare manufatti d’intreccio.
 

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La fauna

Mentre la flora di Monte Conca, come abbiamo visto, è più o meno legata al suolo gessoso, la fauna della Riserva non lo è affatto, se non per gli aspetti morfologici. Essa purtroppo non è stata ancora ben studiata; pertanto riferiremo qui solo alcuni tratti generici. Per quanto riguarda i macromammiferi è accaduto che, con la istituzione della Riserva, le varie popolazioni di questi animali hanno avuto un incremento numerico, essendo diminuita la pressione venatoria. Ciò si è registrato particolarmente per Coniglio (Oryctolagus cuniculus) e per la Lepre siciliana (Lepus corsicanus), ma ne hanno risentito anche altre specie, quali la Volpe (Vulpes vulpes), il Gatto selvatico (Felis sylvestris), il Porcospino (Hystrix cristata) e il Riccio (Erinaceus europaeus). Per i micromammiferi non si hanno dati.
Analoghe considerazioni si possono fare per l’ornitofauna. La continua attività di sorveglianza dei guardaparco della Riserva ha permesso agli uccelli stanziali e migratori di riappropriarsi di un territorio che gli era stato per lungo tempo negato, in quanto reso inospitale. Sulle pareti del Monte Conca, delle Rocche di Don Michele e di Tullio sono tornati a nidificare: il famoso Gracchio carallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), il Corvo imperiale (Corvus corax), il Falco pellegrino (Falco peregrinus), la Poiana (Buteo buteo) e il Gheppio (Falco tinnunculus). Non mancano sul territorio diversi rapaci notturni e, nelle zone fluviali e paludose, si rivedono varie specie anatidi e di ardeidi.
Per i rettili, oltre alla presenza della Biscia (Natrix natrix), della Vipera (Vipera hugyi), del Biacco (Hierophis viridiflavus), delle due Lucertole siciliane(Podarcis wagleriana e Podarcis sicula) e dei due Geghi (Tarantola mauritanica e Hemidactylus turcicus), occorre segnalare l’esistenza della Testuggine d’acqua (Emys orbicularis), che, in tutta la Sicilia, si sta rarefacendo progressivamente e ineluttabilmente.
Le specie di Artropodi, di Molluschi e degli altri animali, presenti nella Riserva, saranno certamente numerose e interessanti sotto il profilo zoologico; ma di esse non si hanno notizie alcune. Speriamo che l’Ente gestore dell’area protetta si faccia carico di colmare questa lacuna.

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La presenza dell'uomo

L’area in cui giace la Riserva ha avuto nel passato una certa importanza strategica, come testimoniano numerose emergenze storiche, archeologiche e antropiche.
Le più antiche vestigia umane della zona risalgono addirittura al Neolitico con i resti di villaggi di capanne rinvenuti nel versante occidentale del Monte Conca e collegabili alla presenza della via d’acqua, rappresentata dal Fiume Gallo d’Oro.
Facendo un grande salto nel tempo troviamo sulle pendici delle stesso Monte, alcune tombe di età greca, di tipo a “forno” e a tholos , ricavate nella roccia gessosa.
Molto significativa è la presenza di una strada consolare romana che attraversa la valle; strada che, nel Medioevo (1200 d.C.), diventa la “via regia” che congiungeva Agrigento con Palermo, passando per i vicini centri di Milocca (oggi Milena) e Sutera, assai prossimi alla Riserva.

Su questo itinerario fu costruito un ponte di pietra, restaurato nel 1935, ma crollato in tempi più recenti ed i cui resti riposano da bande opposte del Fiume Gallo d’Oro.
Testimonianze di attività umane nei secoli a noi più vicini sono alcune cave di calcare, coltivate anche in sotterraneo, sul Cozzo Don Michele e una modesta miniera di zolfo aperta sul lato occidentale del Monte Conca.
Attualmente la presenza dell’uomo si manifesta con pratiche agricole (cerealicoltura ed arboricoltura), nelle zone pianeggianti della Riserva, e con aree destinate al pascolo ovino, sulle alture.
La gestione della Riserva è affidata al CAI di Milena.
Gli interessati alla visita del Monte Conca possono contattare la guida Aristide Tomasino al 340 7145780, o visitare il sito www.volcanic.it, o mandare una mail a: aristide.tomasino@virgilio.it
 

 
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BIBLIOGRAFIA

• BIANCONE V., PANZICA M., La riserva Naturale Integrale di Monte Conca, CAI Sicilia, Palermo, s.a.
• LA ROSA V., Dalle capanne alle robbe, Pro Loco di Milena (CL), 1997
• TROIA A., La flora gipsicola, CAI Sicilia, Palermo, 2002