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A pochi mesi dall’uscita del diciottesimo rapporto annuale di Legambiente
(Ambiente Italia 2007) è doveroso mettere in evidenza alcuni dati
sull’attuale stato ambientale.
Le fonti rinnovabili prodotte nel 2005 sul territorio nazionale hanno pesato
il 6% in meno sul mix energetico, mostrando un andamento in controtendenza
rispetto ai trend dei maggiori Paesi europei.
Negli ultimi cinque anni il comparto elettrico nazionale fa registrare la
riduzione di un punto percentuale dell’incidenza delle rinnovabili, passando
dal 18,6% al 17,6%. In Italia le fonti fossili, colpevoli dei negativi
risvolti sociali ed ambientali, occupano ancora la porzione più grande dei
consumi energetici: l’88%!
Se solo confrontiamo i valori di energia prodotta dalla fonte eolica in
contesto europeo c’è da rabbrividire. Se pur resta la fonte pulita italiana
più diffusa, infatti, a ogni 1000 abitanti corrispondono 6 MWatt, contro la
Danimarca dove ne corrispondono 73, in Germania 52 e 20 in Spagna. Siamo
forse rimasti un po’ indietro?
Di certo questo stato di fatto è indice del forte contrasto esistente tra
ciò che resta esclusivamente “verbale” (politica ambientale) e “quel che è
stato fatto” in questi ultimi anni (attuazione dei programmi ambientali)
assumendo come riferimento il 1997, anno in cui si dà il via al Protocollo
di Kyoto in virtù del quale nasce l’esigenza di ricorrere a fonti
energetiche alternative finalizzate alla riduzione e/o contenimento dei gas
serra (gas climalteranti).
In questo articolo ci occuperemo delle cosiddette agrienergie. Esse
rappresentano una fonte energetica alternativa interconnessa all’attività
agricola. Infatti, con questo termine si indica prevalentemente lo stock
energetico ricavabile dallo sfruttamento della biomasse, dove con biomassa*
chiamiamo tutte quelle sostanze di origine biologica: “materia”(=massa)
“biologica”(=bio).
Perché utilizzare le biomasse
Agrienergia indica, dunque, la valorizzazione energetica (energia termica,
energia elettrica, combustibili, carburanti) delle biomasse prodotta
mediante coinvolgimento della filiera agricola.
Sostenere che la combustione della biomassa avvenga a “emissioni zero” è
però una grossa forzatura; quel che è certo è che le emissioni di inquinanti
sono al di sotto dei valori registrati nel caso delle tradizionali fonti
fossili, e inoltre sembrano avere un ruolo fondamentale nella riduzione in
atmosfera delle concentrazioni di zolfo e di anidride carbonica. È indubbio
corretto, invece, dire che la biomassa è una fonte energetica a bilancio
nullo di CO2
in quanto l’anidride carbonica rilasciata durante la
combustione è uguale a quella assorbita dalla stessa biomassa durante la sua
crescita.
L’importanza dell’agrienergia risiede in diversi motivi:
- è, senza dubbio, la più antica forma di approvvigionamento energetico
- rappresenta una delle più importanti fonti pulite
- risponde pienamente ai requisiti delle politiche energetiche imperniate in
un ottica di
decentramento e di bassissimo impatto ambientale.
Inoltre, nel caso delle biomasse legnose, la filiera legno-energia
rappresenta un ottima scelta per quelle realtà antropiche svantaggiate ma
che possono facilmente disporre di residui agricoli e forestali. Infatti,
negli ultimi anni si è assistito ad un aumento degli impianti a biomasse
legnose (sia termici che elettrici) prevalentemente in zone montane e/o
periferiche localizzate in contesti agro-forestali che ne facilitano il loro
impiego e che rafforzano nel contempo lo sviluppo socio-economico ed
ambientale.
Conversione energetica delle biomasse
Il processo di conversione in energia (sia elettrica che termica) dalla
biomassa è tecnicamente chiamato biopower, e può avvenire attraverso
processi biochimici o termochimici. I primi permettono di ottenere energia
per reazione chimica, dovuta al contributo di enzimi, funghi e
microrganismi, che si formano nella biomassa sotto particolari condizioni e
sono consigliati quando la biomassa raccolta presenta una umidità superiore
al 30%. I processi termochimici invece sono utilizzabili per i prodotti ed i
residui cellulosici e legnosi in cui il rapporto C/N (carbonio/azoto) abbia
valori superiori a 30 ed il contenuto d’umidità non superi il 30%. Ed ancora
i metodi biochimici, a differenza di quelli termochimici che sono
consigliabili per colture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali, reflui
zootecnici e anche per la biomassa eterogenea immagazzinata nelle discariche
controllate, sono adatti per la legna e suoi derivati, per i più comuni
sottoprodotti colturali di tipo lignocellulosico e per gli scarti agricoli.
Contesto regionale
In territorio siciliano, negli ultimi 50 anni, si è assistito ad una
crescita di circa tre volte la sua superficie forestale da 100.000 ha a
quasi 300.000 ha e ciò rappresenta l’enorme potenzialità dello sviluppo di
quel comparto energetico della biomassa legnosa di cui sopra.
Il Governo regionale ha pubblicato (marzo 2006) un documento col quale
annuncia di “dare forza e visibilità allo sfruttamento di tutte le fonti
rinnovabili” prevedendo l’istituzione di una Agenzia Speciale Energetica con
il compito di :
-coordinare una razionale dislocazione degli impianti
-effettuare la scelta dello sfruttamento delle diverse fonti
-finanziare la ricerca e l’innovazione
-veicolare i capitali privati nei diversi settori
-pianificare ed accelerare le procedure autorizzative e concessorie
-monitorare le condizioni per la realizzabilità di nuovi impianti
-gestire i progetti energetici interprovinciali.
Il documento prosegue ancora: “la produzione di energia termoelettrica dalla
biomassa può
realmente diventare lo strumento strategico ed innovativo della
programmazione economica del futuro della collina e della montagna di quest’isola…La
Sicilia, inoltre, dispone anche di almeno altri 200.000 ha di terreni nudi
meccanizzabili, da impiantare con colture a rapida crescita, da tagliare
ogni 3-5 anni, ed a cui è affidata la stabilizzazione antropica delle aree
montane ed il futuro della Sicilia. Un ulteriore ed altrettanto ricco
serbatoio di biomassa è quello specificamente agricolo, e riguarda le grandi
estensioni di uliveti, vigneti e frutteti (circa 300.000 ha), che si
aggiungono alle aree cerealicole (360.000 ha): al primo si ascrive il
prodotto legnoso della potatura ed, al secondo, quello delle paglie ecc.”
Questo nuovo settore (forse è meglio dire, riscoperto) può dunque portare
accrescimento in una terra pronta a rilanciare il proprio sviluppo locale.
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Secondo la dicitura della Direttiva 2003/30/CE, per biomassa si intende la
parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti
dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla
silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei
rifiuti industriali e urbani.
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