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Paternò e le sue origini
Dall'alto di una collina...
...sino al fondo di una valle
Il vivere contadino nel territorio di Paternò
Paternò ha origini
antichissime, essendo stato il sito su cui sorge, popolato sin da epoche
antecedenti la venuta dei Greci. Esso ha attraversato momenti di grande
splendore, in particolare sotto il dominio arabo, normanno e svevo
Paternò e le
sue origini
di Federico Oldini
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Il Castello Normanno affiancato dalla chiesa di S. Maria dell'Alto
L’origine dei primi
insediamenti nel territorio dell'attuale Paternò si fanno comunemente
risalire ad un'epoca antecedente la venuta dei Greci, nell'epoca di
Tapsos (1.050-850 a. C.), come sembrano testimoniare i numerosi
rinvenimenti archeologici che denunziano la presenza di una città il cui
nome era Ibla Gereatide. Le genti del sito si opposero con forza al
successivo processo di ellenizzazione, come altre città della Sicilia,
sotto la guida di Ducezio. Divenuta, in seguito, città stipendiaria
romana, il centro si distinse come importante crocevia commerciale e di
produzione di miele (la cui qualità viene esaltata da Virgilio nella I
Bucolica) e di grano. Sotto la dominazione romana l'area vive un periodo
di grande splendore con la costruzione di ponti e strade che
consentivano un rapido movimento delle merci dalle zone più interne
della Sicilia sino al porto di Catania. Con la fine della dominazione
romana e l'avvento dei Bizantini, la città attraversa un periodo di
decadenza e come tale si presentò agli Arabi che la occuparono nel
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Scorcio del quartiere Gancia
IX
sec. chiamandola Batarnù. Gli Arabi iniziarono un processo di rilancio
dell'economia della città, rivitalizzando l'agricoltura con appropriati
mezzi di canalizzazione delle acque, costruendo l'asse dei mulini e
potenziando il sistema viario. L'attuale città nasce tuttavia attorno al
castello, costruito, nel 1073 dal conte normanno Ruggero che fortificò
l'area creandosi un ponte, strategicamente rilevante, proteso verso la
vicina città di Catania. Le fortificazioni cingevano la cosiddetta
"collina storica di Paternò" racchiudendo il castello, e le chiese di S.
Maria in valle di Josaphat, di S. Francesco e della Matrice. La fase di
ascesa della città, iniziata con la dominazione araba, non accenna a
terminare sotto i Normanni che cederanno il suo controllo agli Svevi
dopo il matrimonio di Enrico IV con la loro ultima discendente, Costanza
d'Altavilla. In questa fase è tutta la Sicilia a divenire dominio svevo
sotto l'imperatore Federico II che scelse Paternò come meta per le sue
battute di caccia con il falcone. Sorte senz'altro diversa tocca a
Paternò
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Particolari affreschi della Cappella di San Giovanni all'interno del
Castello Normanno
nel periodo successivo al dominio svevo, rimpianto sotto i
francesi prima, e sotto gli aragonesi, successivamente. Sino al 1431,
quando fu venduta a Nicolò Speciale, Paternò divenne patrimonio della
"camera reginale" e costituì la dimora di numerose regine fra le quali
si ricorda Bianca di Navarra che abitò il castello per un periodo molto
lungo durante il quale approvò le Consuetudini di Paternò, una sorta di
codice in 87 tavole che riguardavano varie forme di diritto: quello
familiare, matrimoniale, commerciale e privato. L'epoca delle regine è
seguita da una fase di abbandono della collina i cui abitanti si
spinsero verso la valle, popolando le campagne limitrofe ed espandendo
la città. Nel 1453 avviene la rilevante acquisizione della città da
parte di Guglielmo Raimondo Moncada che la acquistò da Nicolò Speciale,
garantendone il controllo per sé e per i suoi eredi; il loro
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Veduta del paese
dominio
durerà sino al 1847. Sotto i Moncada, numerosi furono gli edifici
religiosi eretti in Paternò ad opera delle molte confraternite che vi
operavano e, tra questi, la chiesa di S. Antonio, con l'annesso convento
dei Padri conventuali e quella di S. Domenico con il convento dei Padri
Domenicani. La collina perde sempre più il suo ruolo di cuore della
città in favore della parte bassa, in forte espansione demografica ed
economica. A partire dal 1816, allorquando Ferdinando I di Borbone
diveniva re di Sicilia, Paternò divenne centro di cospirazioni
antiborboniche (vi era attiva una "vendita" carbonara) che raggiunsero
l'acme con i moti del 1837, del 1848-49 ed infine nel 1860 con il
definitivo innalzarsi della bandiera tricolore. Due anni dopo, accolto
dalla folla esultante, attraversò la città Giuseppe Garibaldi. Lo
sviluppo dei nuovi modi di produzione indusse la nascita anche in
Paternò di numerose società operaie che aderirono alle sanguinose
rivolte sociali del 1896. Per tutto questo secolo, per Paternò, non si
arresta la fase di espansione urbana che avviene soprattutto verso sud
alla ricerca di ogni possibile spazio vitale in grado di sorreggere la
notevole crescita demografica derivante anche dal progressivo abbandono
delle campagne. Sul finire della II Guerra Mondiale il paese contò le
sue numerosissime vittime cadute sotto i bombardamenti aerei dell'agosto
del 1943.
su
E’ la collina il
cuore storico di Paternò. Essa conserva praticamente intatti tesori
architettonici che dimostrano la ricchezza e lo splendore delle origini
della città etnea. Da essa è possibile dominare un panorama unico che
dimostra il valore della scelta strategica di edificare sulla sua cima
il primo nucleo della città
Dall'alto di una collina...
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Campana della chiesa dei Bianchi
Il nucleo originale dell'attuale centro di Paternò
è tutto concentrato all'interno delle fortificazioni della collina
normanna e molti edifici furono voluti, a partire dal possente castello,
dal conte normanno Ruggero che fece edificare il maniero nel 1073.
Dell'epoca antecedente alla dominazione normanna poco o nulla rimane
sulla collina, in particolare rari resti del periodo greco-romano, di
tanto in tanto, riemergono da scavi non necessariamente finalizzati al
loro rinvenimento. Del periodo arabo non ci sono praticamente tracce se
si esclude un pozzo antistante il castello, così come non vi sono più
tracce della Giudecca, l'antico quartiere ebraico abitato sino alla fine
del XV secolo.
Numerosi sono, gli edifici religiosi collocati un
tempo all'interno delle possenti fortificazioni che cingevano la
collina, la parte più alta della quale è invece occupata dal castello.
La possente struttura dell'edificio ne denuncia l'antico utilizzo di
fortezza militare con cui il conte Ruggero si proponeva di porre in
stato d'assedio la città di Catania. In epoca sveva il castello venne
utilizzato anche come abitazione dai signori di Paternò per cui furono
necessarie alcune
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Scorcio campanile della chiesa di Santa Margherita
migliorie per riadattarlo al nuovo scopo, come
l'apertura delle quattro piccole bifore che illuminavano l'interno
dell'edificio. Il piano terra dell'edificio racchiude numerosi vani
dalle funzioni più disparate: un ampio locale all'ingresso era sede di
una cisterna che conteneva l'acqua ed il frumento; attigua a questa una
stanza accoglieva i prigionieri; un'altro vano dava alloggio alle
guardie del castello. Sempre al piano terra si trova la splendida
Cappella di San Giovanni con la volta rappresentante un cielo stellato.
Nella cappella di particolare interesse la raffigurazione di un
cavaliere, probabilmente San Giorgio protettore dei Normanni e ovunque i
vivaci colori delle figure di santi opera quasi certamente di artisti di
scuola bizantina. Risalendo per un'angusta scaletta si può accedere al
piano superiore dove aveva sede la sala del Parlamento in cui i sovrani
tenevano le loro riunioni. Il vano è ampio e luminosissimo per la
presenza delle bifore da cui si gode un panorama straordinario e nella
parete a fianco della seconda bifora si può notare un elegante
bassorilievo. Sullo stesso piano i piccolissimi servizi igienici e due
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Torre dei Falconieri
stanze adibite ad uffici. All'ultimo piano vi è la Sala delle Armi, un
vano le cui finestre erano prive di vetrate e da cui si accede alle
stanze del re e della regina. Dinnanzi alle stanze dei sovrani, i vani
destinati al ricovero degli ospiti. Le due ampie bifore dell'ultimo
piano svelano anch'esse una fantastica vista l'una verso la Piana di
Catania, l'altra verso il paese con lo sfondo maestoso dell'Etna. Sul
soffitto si può godere ancora di quel paesaggio mozzafiato che consente
la posizione elevata della collinetta su cui sorge l'edificio. Un tempo
la torre era provvista di merli abbattuti durante lavori di restauro
avviati agli inizi del secolo. Una visita all'interno del vecchio cuore
di Paternò può iniziare dalla Porta del Borgo, alla cui destra ha inizio
l'imponente scalinata costruita nel XVIII e che serviva da via di
comunicazione tra la collina e la zona di espansione urbana più a valle.
La scalinata, ricoperta in alcuni tratti da alcune arcate, viene
percorsa in discesa dai fedeli con in spalla il
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Santuario Santa Maria della Consolazione
Cristo morto seguito
dall'Addolorata, per il Venerdì Santo. Sottoposta a numerosi
rimaneggiamenti, che non ne hanno però stravolto le evidenti origini
normanne, è la chiesa a tre navate di S. Maria dell'Alto. Tra le
modificazioni più importanti vi è senz'altro il riadattamento del XVI
allo stile barocco. La facciata della chiesa è presumibilmente da far
risalire al XIV secolo ad opera di Caropepe, Prevosto della Collegiata.
Da far risalire al 1092, per volontà della regina Adelasia, che la volle
per ringraziare la Madonna per la vittoria dei normanni sugli arabi, è
la chiesa di S. Maria di Josaphat. La chiesetta è attigua ad un
Monastero, di cui rimangono solo le mura perimetrali, ed è stata
anch'essa oggetto di numerosi rifacimenti successivi, tra cui l'elegante
portale aragonese del '300 sulla facciata. Ma nel complesso la struttura
denuncia la sua origine normanna con le merlature all'esterno e
l'interno sobrio con il soffitto ligneo a cassettoni ricostruito dopo i
bombardamenti della II Guerra Mondiale. Altro pregevole edificio
religioso è la
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Frammento degli affreschi della Cappella di San Giovanni all'interno
del Castello Normanno
chiesa cinquecentesca di Cristo al Monte. Essa presenta
degli elementi barocchi derivanti da un'aggiunta di stucchi effettuata
nel '700. Proprietaria della chiesa era la Confraternita dei Bianchi che
si occupava dei condannati a morte che venivano rinchiusi nelle segrete
annesse all'edificio. All'interno le pareti presentano delle pale
d'altare raffiguranti episodi religiosi, mentre particolare attenzione
merita l'altare con quattro colonne e quattro statue rappresentanti le
quattro virtù cardinali. Più antica la chiesa di San Giorgio, edificata
dalla regina Adelasia nel 1086. A struttura rettangolare presenta, a
creare discontinuità sulle facciate esterne, alcune finestre con arco a
sesto acuto; all'interno, con le pareti ricoperte da stucchi risalenti
al '700, si può osservare il tetto che conserva l'antica struttura
lignea pur essendo stato ricostruito di recente. Annesso alla chiesa, il
Convento di San Francesco alla Collina, nel quale si conserva una
cisterna di recente restauro. Di stile gotico, la chiesa S. Maria delle
Grazie, la cui facciata ha due campanili e al cui interno una cripta
conservava le mummie di monaci morti in odore di santità.
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Settecentesca scalinata d'accesso alla chiesa di Santa Maria
dell'Alto
Attiguo alla chiesa il Monastero francescano il cui
interno conserva ancora pregiate pitture settecentesche. Sorto nel sito
in cui era precedentemente edificato un antico oratorio del XVI secolo,
il Santuario della Consolazione, è stato consacrato nel 1954,
presentando una struttura moderna ma ricca di indovinati spunti estetici
tra cui la sua edificazione secondo lo schema strutturale della basilica
latina a tre navate. Semplice ma elegante la chiesa di San Giacomo
costruita nel XVI secolo e sede ancor oggi della confraternita omonima.
La facciata, classicamente a capanna con torre campanaria, è interrotta
da una nicchia contenente una statua del santo di ottima fattura.
su
La crescita demografica ed economica di Paternò,
spinse la popolazione residente sulla collina storica ad abbandonarla
progressivamente determinando quindi lo spostamento degli interessi dei
signori del luogo che dovettero adeguarsi al flusso della cittadinanza
verso la valle, edificando qui le proprie nuove dimore
...sino al fondo di una valle
E’ stata la necessità di trovare nuovi spazi vitali a spingere i
paternesi ad
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Chiesa della SS. Annunziata
abbandonare progressivamente la cima della collina storica
ed a spingersi verso la valle producendo quello sviluppo del tessuto
urbano che continua ancora oggi. I primi a "cambiar casa" furono i
titolari delle confraternite che nel corso del XIV, XV, e XVI secolo
costruirono più a valle i propri edifici religiosi attorno a cui sorsero
le prime nuove abitazioni. A nulla valsero gli incentivi economici
proposti dai signori del tempo perché la popolazione non abbandonasse le
proprie dimore sulla collina all'interno delle fortificazioni. Alla fine
il suo graduale abbandono determinò lo spostamento degli interessi
economici e sociali più in basso, tanto da costringere i signori della
città a stabilire qui le proprie residenze. Questo determinò che edifici
storici di una certa rilevanza sorsero anche in siti diversi dalla cima
della collina normanna.Il cuore della città a valle
è rappresentato da Piazza Indipendenza in fondo alla quale sorge la
chiesa del Monastero edificio religioso del 1662 al cui interno sono
conservate alcune pregiate opere pittoriche tra cui il Martirio di Santa
Barbara (1799), il Transito di S. Benedetto (1653) e la Madonna
dell'Itria, di scuola messinese del '500. Oltre a queste una statua
lignea raffigurante Cristo alla colonna (XVII sec.).
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Artigiani paternesi
Poco distante, imboccando via Monastero, si giunge
in P.zza S. Barbara nella quale sorge la chiesa omonima la cui facciata
si fa risalire al 1781. Dinnanzi a questa la chiesa del Carmine che
conserva una statua gaginesca raffigurante la Madonna della Catena.
Ci si può rendere conto delle tradizioni di Paternò
proprio soffermandosi un po' più a lungo in Piazza Indipendenza e nei
suoi dintorni, in quanto essa, non soltanto rappresenta il luogo di
incontro naturale per i cittadini della città, ma la sua posizione
centrale ci consente anche di visitare le numerose botteghe artigiane
che sorgono in zona. L'artigianato locale è per Paternò elemento di
traino economico e motivo di vanto per l'unicità di alcune attività che
vi si svolgono con rara perizia. Centralità su tutte le attività
artigianali e turistiche del paese assume il grande vulcano che lo
domina. L'Etna, protagonista di eventi luttuosi è anche grande madre per
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Festa di Santa Barbara
le popolazioni che hanno deciso di vivere alle sue falde sfruttando la
fertilità della terra vulcanica ed estraendo dai suoi fianchi il
materiale per costruire case e suppellettili di rara eleganza. E' su
questo che i maestri di un tempo hanno costruito la propria perizia
utilizzando la resistentissima pietra lavica estratta dalle cave e
donando a questo particolare materiale i colori della Sicilia suggeriti
dal proprio estro creativo.
L'impiego dei materiali viene filtrato dalla
tradizione dando vita ad impasti d'argilla frammista a polvere di pietra
lavica ed ancora ai complessi processi di ceramizzazione (unici al
mondo) con cui le lastre di materiale proveniente dalle cave venivano
trattate.
L'artigianato acquista a Paternò una triplice
valenza, culturale, artistica ed economica, contribuendo all'occupazione
ed a garantire flussi di turisti che sono ben felici di portare con sé
pezzi unici di un'arte antica che trova la sua forza nella tradizione
tramandata per generazioni di padre in figlio.
su
Nel territorio di
Paternò, posto a cavallo tra le verdi vallate della Piana di Catania e
le fertili terre dell'Etna, la realtà contadina ha rappresentato un raro
esempio di cultura popolare sviluppatasi attorno alla "masseria";
l'unità fondamentale degli insediamenti umani in un ambiente rurale
Il vivere
contadino nel territorio di Paternò
Uno dei fenomeni meglio evidenti nelle zone rurali più caratteristiche
della Sicilia è sicuramente il progressivo abbandono delle campagne. Non
è esente da questa tendenza il territorio di Paternò che si estende a
cavallo tra le verdi terre della Piana di Catania, solcate dal fiume
Simeto, e le zone pedemontane dell'Etna, ricche dei benefici dei
fertilissimi terreni di origine vulcanica contenenti molte sostanze
essenziali per la crescita delle piante. Tutto ciò giustifica la
frequentazione costante dei siti attorno la città di Paternò, da parte
dei contadini che in queste campagne trovavano pascoli verdi e terreni
produttivi. Purtroppo la crisi del settore agricolo ha fortemente
ridimensionato le proiezioni antropiche in queste zone. Nucleo centrale
di questi insediamenti rurali era un tempo la "masseria" un blocco di
costruzioni rustiche comprendenti la casa padronale, le abitazioni dei
coloni e quelle dei lavoranti, e spaziose stalle per il bestiame. Vi
erano inoltre una serie di fabbricati che fungevano da depositi per gli
attrezzi e per i prodotti delle attività agricole. La "masseria"
catalizzava attorno a sè, non soltanto le attività connesse
all'agricoltura, ma anche tutte quelle altre, rappresentanti un vero e
proprio indotto, a queste correlate, come l'artigianato ed il commercio.
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Arance: produzioni più tipiche delle campagne di Paternò
L'attività della masseria era talmente intensa, durante gran parte
dell'anno, che alcune delle più grandi tra queste strutture, si
rendevano autonome anche per quanto riguardava le funzioni religiose,
edificando delle piccole chiesette rurali di cui ancor oggi vi è
testimonianza. L'organizzazione sociale della struttura era di tipo
patriarcale con gli anziani che tramandavano ai propri figli la saggezza
popolare dell'arte della lavorazione della terra e del vivere
quotidiano, spesso sotto forma di illuminati proverbi, canti e
filastrocche. Le condizioni di vita in campagna erano spesso
condizionate dagli eventi climatici non sempre addomesticabili o
perfettamente prevedibili. Ogni qualvolta condizioni sfavorevoli
rendevano complessa la vita dei campi ecco saltar fuori riti magici,
religiosi e superstizioni mai del tutto sopite. Ad esempio se un
temporale con lampi e tuoni rischiava di danneggiare il raccolto, i
contadini si riunivano in preghiera per invocare Santa Barbara affinché
questa si riunisse all'Angelo per recitare l'Ave Maria e scongiurare il
pericolo per i campi. Dicevano gli abitanti della masseria:
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Arnesi da lavoro del contadino.
Santa Barbara era fora si scantava di lampi e trona, l’Angileddu ci
dicia: "Ripitemu l 'Avi Maria ".
Altre volte in presenza di una siccità prolungata i
contadini paternesi usavano recitare questa formula:
Signuruzzu chiuviti chiuviti! li siminateddi su'
morti di siti e si Vui nun chiuviti nui ristamu morti di fami e di siti
Oh Signore fa' che piova! i seminati sono aridi e assetati e se Voi non mandate la pioggia noi resteremo senza pane e senza acqua
(AA-VV, Paternò e la sua civiltà contadina. edito
dal Comune di Paternò nel 1996).
Riscoprire le antiche tradizioni del vivere
contadino è un'esperienza imperdibile che consente nello stesso tempo di
gettare un ponte col passato conservando la memoria storica delle nostre
origini e di costruire, sulla base di esperienze fondamentali, le
condizioni per un miglioramento delle condizioni di vita generali
ripensando gli spazi sociali più a misura d'uomo.
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