BENI CULTURALI
 Le zone archeologiche
di Paternò

 di Pippo Virgillito

 

I beni archeologici sono per un territorio l'occasione per riscoprire la propria storia, le proprie origini; ma possono rappresentare anche un importante elemento di traino per un economia che punta al rilancio delle attività turistiche.

Il territorio di Paternò è ricco di testimonianze di antichi insediamenti di epoche differenti: da quelli più antichi sino alle notevoli tracce della presenza della civiltà ellenica e romana.

Quasi tutte le contrade, intorno alla città di Paternò, sono ricche di resti archeologici, una vera testimonianza della intensa vitalità dei popoli che vi hanno abitato in tutta l'età antica fin dai tempi preistorici. Un tempo non lontano parte del materiale rinvenuto era esposto al Castello Normanno di Paternò, Antiquarium della città. Successivamente, a causa dei vari restauri eseguiti al Castello, i reperti archeologici ivi custoditi furono trasportati in vari musei (Siracusa, Catania, Adrano...) in attesa di essere restituiti.

Tracce di villaggi di età preistorica si trovano in località Trefontane, Poggio Rosso, Fontana di Pepe, Orto del Conte, Marmo, Cafaro, ecc. Sulla sommità del monte Castellaccio (m. 214) e sulle pendici, verso il fiume Simeto, vi sono resti di cisterne antiche. In contrada Bella Cortina, nella Valle del Simeto, esistono i ruderi di terme di età romana. Sulle colline di Pietralunga sono stati scoperti oggetti ceramici di età neolitica, del bronzo ed oltre. Al confine del territorio tra Paternò e Centuripe vi sono resti di una civiltà millenaria (contrada Poira). Al confine del territorio di Paternò con quello di Santa Maria di Licodia esistono i resti di una città siculo-greca (Civitas) ritenuta comunemente Inessa. Recenti scavi hanno messo in luce abitazioni, forni, impianti per lo smaltimento delle acque ecc. Sono state rinvenute numerose suppellettili fittili e, nella zona attorno alle mura, è stato scoperto uno scarico di terrecotte votive. Esistono i resti di un acquedotto romano che portava l'acqua a Catania attraversando pure il territorio di Paternò. Preziosissimi reperti, sottratti nel tempo da tombaroli clandestini, impreziosiscono "raccolte" di privati o musei esteri. In Australia, a Sidney, un reperto ceramico di Paternò è esposto al museo con la targhetta "Sicily-Paternò! Un vaso con anse a cartoccio (2000/4000 a.C.), con una fascia di argilla pieghettata e ravvolta, fa bella mostra al Museo archeologico di Siracusa (cfr. Luigi Bernabò Brea, La Sicilia prima dei Greci, figuran. 20).

Una statua fittile proveniente da Inessa è conservata al Museo civico di Catania (cfr. Biagio Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica, vol II pag. 50). In quasi tutte le contrade di Paternò e nei palazzi dei colonizzatori e conquistatori romani, nelle capanne e nelle tombe degli indigeni siculi, costante è la presenza di reperti ceramici fin dal V millennio a.C.. E' del 1996 la valenza culturale della mostra allestita a Venezia nel Palazzo Grassi "I Greci in occidente"; tra le pregiate collezioni ivi esposte vi erano pure quattro pezzi di argenteria, catalogati come "Tesoro Paternò", reperti databili dal 375 a 3265 a.C., pervenuti al Museo statale di Berlino da Paternò nel 1909. Sul catalogo, messo a disposizione dei visitatori, risultano catalogati i quattro reperti di varia epoca:

a) una Kylix (cioè una coppa per libagioni) del diametro di cm. 13,5, replicata da due esemplari analoghi dello stesso tesoro, che è del tipo senza piede e con anse sopraelevate e ricurve; all'interno è incisa una fine decorazione floreale;
b) un Olpe (cioè un vaso dell'Antica Grecia) alto cm. 7,6 a breve colloconcavo, orlo svasato, corpo rigonfio decorato da strette baccellature;
c) una Fisside, una teca-portagioie, con anello a chiusura, foggiata a conchiglie secondo un motivo elaborato dalla toreutica tarantina; all'esterno decorata da un polipo a rilievo;
d) una Phiale Mesomphalos (recipiente di metallo) del diametro di cm. 24,3 in argento dorato, decorato all'interno con cavità ovoidali sotto l'orlo, inframezzate da palmette e tralci incisi e teste femminili con copricapo a rilievo (eseguite a sbalzo); attorno al suddetto recipiente di metallo c'è una fascetta centrale con kymation lesbio e fine decorazione di palmette e convolvoli. Detto "Tesoro di Paternò" è di proprietà del Museo statale di Berlino, che lo conserva come pervenuto da un ritrovamento del 1909 sulla collina storica di Paternò. Paolo Orsi, nel 1913, a proposito di tale "tesoro", si interessò dei reperti in argomento su Scavi e scoperte archeologiche nella Sicilia Orientale, col titolo Tesoro di argenterie greco-romane scoperto a Paternò nel 1909. L'archeologo parlò della eccezionale scoperta da parte di una povera donna, di vasellame d'argento che poi antiquari catanesi vendettero per i mercati di Parigi e forse di Monaco. Si seppe dopo che alcuni "pezzi" finirono al Museo di Berlino. A scoprire il tesoro sulla collina di Paternò è stata la signora Marianna Parisi sposata Sambasile: la donna credeva che il tesoro con i suoi preziosi appartenesse alla Regina Bianca di Navarra; si scoprì dopo che i preziosi erano di epoca greco-romana. Il tesoro fu consegnato, per la relativa valutazione, a soggetti che risultarono dei veri sciacalli; un orefice comprò il tesoro in denaro contante ma il marito della contadina fu derubato prima di arrivare a casa (cfr. Angelino Cunsolo da "La Gazzetta dell'Etna", 31 maggio 1996).