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- Periodo bizantino Periodo normanno Periodo svevo Periodo angioino Periodo aragonese Infeudazione dei Ruffo-Sculco-Grutther “Santa Severina è superba di un vecchio castello…sotto quelle mura, narra la storia, rintuzzo e infranse l’orgoglio di invitte schiere,che, gloriose erano passate attraverso l’Italia. Roberto il Guiscardo l’assediò invano…fu vinta, solo, dal tradimento di un Ruggiero, ma il castello ebbe fama di inespugnabile” (prof. Giovanni De Giacomo ne “Il popolo di Calabria. Trani 1889). Siberene per i greci e Severiana per i romani, Santa Severina, gemma incastonata fra il promontorio di Hera Lacinia e gli stupendi monti della Sila, racchiude nel suo castello le vicende di una storia millenaria, che ha origine nella misteriosa Enotria, civiltà preesistente alla colonizzazione magnogreca. Secondo la storiografia prevalente, il sito dove si sviluppò in seguito la struttura del castello, dovette costituire l’acropoli della vecchia Siberene. Elementi emersi dagli scavi rendono verosimile quella ipotesi. Citiamo ad esempio, la tomba scoperta nella necropoli bizantina del castello, posizionata in maniera diversa dalle altre e con un cadavere che custodiva sulla mandibola una moneta greca del III sec. a.C. D’altra parte il Lopetrone, architetto che ha curato uno studio sul castello per la Sovrintendenza ai beni culturali di Cosenza scrive: “Doveva esservi sul sito l’acropoli della città, circondata da muraglie di sbarramento, riservata agli eletti e, all’occorrenza, usata anche da altre genti che popolavano tutto l’acrocoro, dimorando in case di muratura (ceto agiato) ed in ampli grottini artificiali, capanne ed altri tuguri, scavati e/o parzialmente murati (plebe)”. Dopo la vittoriosa battaglia navale nelle acque di Taranto, distrutte le flotte alleate di Bisanzio e di Venezia, gli Arabi iniziarono la loro opera di conquista in Calabria e, resi vani i loro tentativi di espugnare Crotone, occuparono Santa Severina intorno all’840 dopo un duro assedio. Nel 885/886 Niceforo Foca il Vecchio, valoroso generale bizantino di Basilio I, espugna Santa Severina riconsegnando all’Impero di Bisanzio la cittàrimasta, nonostante l’occupazione araba durata quasi mezzo secolo, grecanica nei costumi, negli usi, nell’animo religioso. Gli scavi archeologici hanno restituito strutture molto differenti tra loro, quali un vano cisterna di grandi dimensioni coperta da volte a botte e un complesso ecclesiale molto articolato: probabilmente trattasi di una commistione tra strutture militari ed edifici monastici che prendevano corpo all’interno dello stesso edificio fortificato (kastron). Santa Severina rimase città bizantina per quasi due secoli, fino a quando i Normanni di Roberto il Guiscardo non espugnarono la fortezza dopo tre anni di assedio (1075-1076). Essendo la popolazione totalmente greca, si cambiarono gradatamente gli ordinamenti civili e militari e solo piu’ tardi quelli ecclesiastici che conservarono il rito greco per molto altro tempo. L’impronta spiccatamente greca della città è evidenziata da un suo dotto figlio, Enrico Aristippo, futuro Arcidiacono di Catania ma “Graecus interpres natione severinatus” (giovanni di Salisbury: Metalogicus, III, 5). Nato agli inizi del secolo XII, Aristippo illuminò il suo periodo, pur sotto la dominazione normanna, con vigoroso impulso, teso alla diffusione e valorizzazione del mondo greco. I dati materiali relativi al castello confermano che in tale epoca vi fu sull’acrocoro un’imponente azione devastatrice attuata attraverso incendi e saccheggi, determinanti dapprima la distruzione del castro bizantino e poi la costruzione di nuovi edifici eretti nel XI secolo. Quando il regno fu definitivamente conquistato, i Normanni costruirono anche a Santa Severina, il loro fortilizio impiantandolo sullo stesso sito fortificato dall’antico castro bizantino. Nei tratti fondali del mastio ed in altre zone del castello si osserva che le strutture normanne si impiantano direttamente sulle preesistenti murature bizantine. Le fonti storiche ci offrono poche notizie certe, pur essendo tale periodo uno dei i piu’ fulgidi della storia della città. Le reliquie della torre tonda antica del castello, quelle della torre tagliata,quelle della torre tonda dell’antica chiocciola e quelle relative alle merlature quadrangolari, con molta probabilità risalgono a questo periodo. Dopo la battaglia di Benevento del 1266 Carlo I d’Angiò dispose che la città, assieme ai suoi casali, venisse incorporata nelle terre del demanio, arrivando addirittura a precluderne ogni futura possibilità di infeudazione. Lo stesso re, dimentico di quelle promesse, concesse successivamente in feudo la città a tal Pessino di Villery, che non ne venne mai in possesso per la resistenza dei cittadini di Santa Severina,fino al punto da costringerlo a cedere ogni privilegio a Pietro Ruffo,conte di Catanzaro per 1200 once d’oro. Neanche costui riuscì mai ad ottenere il possesso del feudo. Agli Angioini va ascritta la costruzione dei torrioni cilindrici e le quattro cortine murarie che delimitano l’impianto planimetrico del mastio. Dall’ammodernamento operato dagli Angioini ne scaturì, dal vecchio castello, una roccaforte di rara bellezza e sontuosità, con toni architettonici elevati alla pari delle piu’ importanti roccaforti europee costruite in tale periodo. Nel 1444 si registra l’avvento della dominazione aragonese. Santa Severina si consegnò ad Alfonso I con tanta sollecitudine da meritare la concessione di molti privilegi con diploma reale. Ad Alfonso detto il magnanimo succedette Ferdinando I che, nel febbraio del 1466, suggellò con un diploma l’autonomia della città, riconoscendole un’ organizzazione basata su un effettivo potere delle varie magistrature. Il rigoglio della città si incrociò in seguito con il destino di un giovane e valoroso rampollo della potente famiglia Carafa che, discendendo dai Caracciolo, aveva assunto nel regno di Napoli un ruolo di assoluta preminenza. Andrea, per i servigi resi a Ferrante II, ad Alfonso II ed a Federico d’Aragona, fu chiamato da Carlo V alla luogotenenza del Regno nel 1525. Non poteva certo il buon Federico negare ad un siffatto personaggio il feudo di Santa Severina, tanto appetito dal Carafa datargli versare all’erario, per garantirsi meglio il possesso, la somma di 9000 ducati, nonostante un regio decreto del 1496 gli concedesse in feudo la città. I cittadini di S. Severina non riconobbero l’investitura di Federico, facendosi forti dei vari diplomi di autonomia angioini e aragonese. Constatata l’ostinazione di S. Severina nel difendere la sua demanialità, il Carafa cinse d’assedio la città con un corpo di spedizione. L’assedio si protrasse per diversi mesi e difficilmente il Carafa avrebbe avuto la meglio senza la complicità del Mastrogiurato che “attraverso un recondito vicolo” fece entrare nel castello, cuore della difesa, il Carafa e i suoi armati. E’ l’ottobre 1506; Santa Severina piomba nella servitù feudale. Preso possesso della città, Carafa dimostrò subito di che pasta era fatto. Confiscò i beni delle persone piu’ in vista con l’accusa di fellonia e non esitò ad uccidere e a far sparire i suoi oppositori precipitandoli nei numerosi trabocchetti del castello. Fu una tirannia opprimente. Ad Andrea, morto nel 1526 senza discendenti, successe il figlio primogenito del fratello, Galeotto. Durante il suo governo si ebbe, nel rinnovato clima politico, un risveglio delle energie culturali, che tanta luce avevano irradiata nei secoli precedenti. Con la morte di Galeoto, avvenuta nell’Aprile del 1556, il figlio Andrea, dopo essersi insidiato dovette subire il sequestro e la successiva vendita all’asta del Contado a causa della situazione debitoria ereditata da padre. La moglie, contessa Geronima, contraendo nuovi prestiti, riuscì a farselo aggiudicare per 54.800 ducati in moda da permettere al figlio Vespasiano, morendo Andrea nel 1569,di ereditare il feudo. Nel 1559 Vespasiano muore senza lasciare eredi: il Contado dei Carafa si estingue. Per quanto concerne il castello, ad Andrea senior va ascritta le costruzione delle cinte fortificate intorno alla roccaforte angioine; il baluardo del belvedere col “traforo” a Galeotto; il completamento di dette opere e la costruzione dei “merli tribolati” coronati visibili sul fronte della muraglia delle marlature, sul bastione dell’ospedale e su quello dello stendardo ad Andrea junior; piccoli lavori di completamento della muraglia delle marlature nel tratto prossimo alla porta nuova a Vespasiano. Estinguendosi il Contado dei Carafa, il feudo di S. Severina passò alla regia Corte che, il 1608 lo cedette a Vincenzo Ruffo, principe di Scilla. Ai Ruffo subentrò il patrizio crotonese Carlo Sculco nel 1650. Con la morte del nipote Domenico nel 1687, si estinse anche il diritto alla successione dei Sculco. Nel 1691, ad istanza di numerosi creditori, il feudo, posto all’asta, venne aggiudicato alla nobile Cecilia Carrara che lo intestò al figlio Antonio Grutther. Ultimo feudatario è Gennaro Grutther che, abolita la feudalità con la legge del 2 Aprile 1806, rimase possessore del solo titolo di principe. Con la fine della feudalità, gran parte del territorio di S. Severina fu amministrato dalla Chiesa (nel 1843 possedeva un’estensione di terra pari a 4.500 ettari) fino al 1860, anno di nascita del Regno d’Italia. Ognuna delle importanti famiglie di cui sopra, ha introdotto nella fortezza qualche piccolo aggiustamento, senza però produrre opere meritevoli come quelle realizzate dai Carafa. E’ comunque utile accennare, venendo meno nel secolo XVIII le necessità belliche, la trasformazione e la fusione effettuate dai Grutther dei vani del primo piano con volte a schifo,la reazione del grande salone a ridosso della scala lumaca e la decorazione di tutte le stanze ad opera del pittore Francesco Jordano (1750). Il castello ospita in alcune delle sue sale un museo civico, che espone reperti archeologici rinvenuti nei bassifondi e nel territorio circostante. Meritevoli di attenzione i bronzi risalenti al periodo protostorico (XV-VIII sec. a. C.). Per approfondire la conoscenza di S. Severina e della sua storia millenaria sono imperdibili due gioielli dell’architettura bizantina: il Battistero, unico in Italia per la sua pianta circolare con quattro appendici, e la chiesa di Santa Filomena. Si consiglia inoltre una visita alla Cattedrale di S. Anastasia, eretta dall’arcivescovo Ruggiero di Stefanuzia fra il 1274 e 1295. |