SICILIA DA SCOPRIRE
 Itinerari turistici siciliani
nei primi decenni del '900

  di Nicola Schillaci


Nei primi decenni del ‘900 raggiungere la Sicilia rappresentava un’impresa tutt’altro che agevole ed ancora più arduo diveniva, una volta attraversato lo Stretto di Messina, percorrerla in lungo ed in largo, impiegando una rete stradale che presentava continui dislivelli, innumerevoli curve e scarsità di rettilinei, oltre a rari o poco forniti depositi di benzina e di gomme.
Alle porte di Nicosia (foto di A. Paternò Castello)
Visitare la Sicilia, pertanto, dava questi inconvenienti assieme all’abitudine dei ragazzi al lancio dei sassi verso i vetri delle automobili o, ancora, l’agganciarsi a grappoli dietro alle carrozze. Degna di nota era, comunque, la notizia che dappertutto si potevano trovare ottimi gelati, anche nelle piccole località ed, in particolare, le gelaterie di Palermo erano presentate e descritte come le migliori d’Italia per bontà dei loro prodotti e ricchezza nella varietà degli stessi gelati e dolciumi. Per un turista, i mesi consigliati per visitare la Sicilia andavano dalla metà di marzo ai primi di giugno e dai primi d’ottobre a tutto novembre. Il “giro classico”, effettuato da secoli dai viaggiatori del “gran tour”, era strutturato nella seguente maniera: scalo a Palermo venendo da Napoli via mare, dal momento che la traversata dello stretto sul “ferry-boat” era sconsigliata perché poco comoda; dopo essersi ambientati ed aver visitato Palermo, ci si spostava verso Segesta e Selinunte, Girgenti, Caltanissetta, Catania con l’Etna, ed ancora Siracusa, per poi risalire a Taormina, proseguire per Messina con ritorno a Palermo.
Nicosia - Torre del castello (foto di A. Paternò Castello)
Giro che, per i più esperti viaggiatori, poteva essere effettuato in 10-15 giorni, poiché erano queste le tappe imposte dai mezzi di comunicazione e lungo tali itinerari standard erano presenti vecchi fondachi e locande. Mentre la visita completa alla città di Palermo e dintorni si svolgeva in 6-7 giorni, Messina, ultima tappa del giro, poteva essere visitata, in mancanza di tempo, anche in mezza giornata. Chi faceva il giro della Sicilia doveva, in alcuni tratti, saper combinare ferrovia, auto e, talora, piccole tratte di raccordo in diligenza. Tra i mezzi di trasporto sono da ricordare le cavalcature, poiché era molto diffuso viaggiare impiegando bestie da soma, chiamate genericamente in dialetto “vetture”, si tratti di cavalli, di muli o di asini. L’elemento paesistico e panoramico diveniva così potente da costituire da solo un motivo di richiamo per tutti quelli che lo apprezzavano; e la traversata dell’entroterra, nell’imminenza della mietitura, quando le immense estensioni si presentavano dorate dalle messi mature, rappresentava un’imponenza ed una solennità indimenticabili; ma dopo il taglio del grano, i campi ed i pascoli potevano paragonarsi a steppe desertiche.
Sperlinga - Ruderi del castello
(foto di A. Paternò Castello)
In questo contesto, diverse sono le pubblicazioni coeve e le guide che offrono al visitatore ed al turista una serie di informazioni e notizie attendibili sugli itinerari alternativi da intraprendere nell’ambito della Sicilia. Nel 1907, nella serie “Italia Artistica”, edita dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo, viene pubblicato il volume curato da Giovanni Paternò-Castello dal titolo “Nicosia, Sperlinga, Cerami, Troina, Adernò”, arricchito con 125 illustrazioni costituite in gran parte da foto scattate dal fratello dello stesso autore, Alberto. E’ questo un itinerario insolito, fuori dei canoni del tour classico, che descrive alcuni paesini dell’entroterra, “luoghi inaccessibili, romiti, nidi d’aquila”, raggiungibili solamente attraverso “vie erte, difficili, che rasentano profonde valli”, accomunati da un tratto di Strada Statale denominata “dell’Etna e delle Madonie”, realizzata ricalcando l’antica Regia Trazzera che da Termini conduceva a Taormina attraverso l’entroterra siciliano. In mezzo a tale paesaggio “poche case e pagliai sparsi qua e là sono le sole cose a dar certezza di viventi”. Dalle “lombarde” Nicosia e Sperlinga, si passa a due centri importanti sotto i normanni, Cerami e Troina, fino a raggiungere il territorio di Adernò, l’attuale Adrano, lambito dal fiume Simeto. In effetti, tale guida non è del tutto isolata; della stessa collana “Italia Artistica”, diretta da Corrado Ricci, erano state in precedenza pubblicate sulla Sicilia altre monografie illustrate quali “Girgenti”, di Serafino Rocco, e “Da Segesta a Selinunte” di Enrico Mauceri, con 101 illustrazioni; “Catania”, curata personalmente da Federico De Roberto, con 152 illustrazioni; infine “Taormina”, sempre di Enrico Mauceri, con 108 illustrazioni.
Sperlinga - Ambienti ipogei (foto di A. Paternò Castello)
A distanza di quasi cento anni le notizie che si possono apprendere dal prezioso volume sono ancora interessanti, poiché conducono il lettore a luoghi inconsueti e distanti dall’immaginario moderno. L’itinerario proposto, partendo da Catania, via ferrovia, conduceva alla stazione di Leonforte, nei pressi del Dittaino; da qui, sei ore di buoni cavalli bastavano appena per giungere a Nicosia, poiché la stazione non era nemmeno ubicata nei pressi del paese di Leonforte ma distava più di un’ora. La campagna di Leonforte, quella prossima all’abitato, viene descritta e fotografata con piante sparse di ulivi, di viti e di mandorli, popolata di casette, ed il centro abitato “tutto gaio e ridente, con le sue casette a proscenio, coi campanili delle sue chiese che emergono sui bassi tetti e col grandioso palazzo del principe”. Proseguendo nel tratto che conduce da Leonforte a Nicosia, gradevoli sono le immagini che inquadrano la vallata del Salso.
Cerami - Chiesa di Sant'Antonino
(foto di A. Paternò Castello)
Per Nicosia, antica colonia lombarda nel Medio Evo, patria di ventiquattro baroni in Età moderna, viene menzionato un “disagio economico, causato da mille circostanze, fra cui principalissime la fillossera e la mancanza assoluta di rapide comunicazioni”; l’esodo di migliaia di persone e l’abbandono anche di alcune ricche famiglie hanno impresso al paese un aspetto squallido e differente da quello che esso ebbe per tanti secoli. L’antico splendore di questa cittadina è documentato, comunque, dalle notizie storiche riportate nel predetto volume e dalle diverse foto riguardanti le preziose opere d’arte presenti nelle due chiese principali: il duomo, dedicato a San Nicolò, e la chiesa di Santa Maria Maggiore. La seconda tappa proposta è Sperlinga, piccolo centro abitato che dista appena un’ora da Nicosia. Il paese viene descritto per la sua principale caratteristica: le grotte e gli ambienti ipogei, abitati dai contadini, realizzati ai piedi del castello; in questi luoghi, durante il periodo medievale, alcune vicende fecero sì che Sperlinga passasse alla storia attraverso il famoso detto “quod siculis placuit sola Sperlinga negavit”. Il paese, agli occhi del Paternò-Castello, si presenta “gramo e misero, composto da casuccie basse e nere, con viuzze anguste e malagevoli”.
Troina - Chiesa Madre e torre campanaria
(foto di A. Paternò Castello)
Per raggiungere Troina, penultima meta dell’itinerario proposto, bisogna passare per Cerami; da Nicosia vi sono quattro ore di carrozza attraverso un paesaggio brullo e solitario: “monti e monti a perdita d’occhio, senza fine, quale acuminato e sassoso, quale piatto coi fianchi coltivati, quale di composizione calcarea…alberi pochi, abitazioni ancora meno”. L’abitato di Cerami si presenta come un “agglomerato di poche case, piccole e scure” con “viuzze erte e malagevoli” che si arrampicano fino in cima alla piazza dove sorge la chiesa madre. Il paese è abitato da contadini e pastori che escono all’alba per ritornare al tramonto, anche se la domenica rimangono in paese e, dopo aver ascoltato la messa, vestiti dei loro abiti migliori, si radunano in piazza, a gruppi di cinque o sei, scambiando poche chiacchiere sull’annata ed il raccolto: “del resto lì tutto è pace e tranquillità”. Finalmente si giunge a Troina “lanciata, quasi nido d’aquila, su un altissimo picco, non lungi dalle estreme radici dell’Etna” le cui vie, che ad essa fan capo, “non l’attaccan di fronte, chè sarebbe vano, ma tentan di giungervi a via di lunghi zig-zag o di gomiti e giravolte che allungano il cammino per lo meno del doppio”. Suggestive ed interessanti le ipotesi riportate sulle origini del nome di questa cittadina divenuta famosa in età medievale sotto il Gran Conte Ruggero, mentre fanno da cornice le immagini sui due monasteri basiliani intitolati a San Michele Arcangelo, dei quali rimangono al giorno d’oggi solo dei ruderi. Da Troina per far ritorno verso Catania, allora come oggi,
Troina - Cenobio S. Michele Arcangelo (foto di A. Paternò Castello)
vi sono solamente due percorsi, uno più lungo che rasenta Cesarò e continua per Randazzo; l’altro, più breve, per Grotta Fumata, fino a Adernò. In questo tragitto il paesaggio è costituito da “montagne e montagne all’infinito, a perdita d’occhio. Picchi sassosi e brulli”. Ai piedi dell’abitato di Adernò, parte finale dell’itinerario, viene menzionata una zona denominata “Conca d’Adernò”, descritta dall’autore come una vera terra promessa: “se v’è luogo in Sicilia dove maggiormente fiorisce l’arancio, dove il verde delle piante si conserva perenne e dove l’Etna nevoso si mostri in tutto il suo vetusto splendore è appunto questo”. Nella piana sottostante, il Simeto scorre placido in alcuni periodi dell’anno, tumultuoso in altri; il corso d’acqua viene paragonato ad una striscia d’argento, la quale “ora lambisce luminose arene, ora si restringe in sassose sponde, ora tortuosa, gira una costa, ora rasenta, increspata, i muri d’una casa colonica, ma sempre il suo corso è apportatore di bene e di ricchezza”. Il capitolo su Adernò è arricchito da alcune immagini sul Ponte dei Saraceni e sul Ponte-acquedotto Biscari.
Adrano - Ponte dei Saraceni (foto di A. Paternò Castello)
Qualche anno dopo, nel 1919, ad opera del Touring Club Italiano, viene pubblicata, tra le diverse guide d’Italia, quella relativa alla Sicilia, curata dal Bertarelli. In precedenza erano state date alle stampe, in due volumi, “Piemonte - Lombardia - Canton Ticino” (1914-15); sempre in due volumi, “Liguria - Toscana Settentrionale - Emilia” (1916); “Sardegna” (1917-18); ed, infine, “Sicilia”, volume unico distribuito gratuitamente ai soci touring del 1919. La prima edizione raggiunge le 200.000 copie e, pur essendo priva di immagini, risulta arricchita da 35 dettagliate carte geografiche, 13 piante di città e 10 piante di edifici. Bisogna attendere tale opuscolo per avere un quadro completo degli aspetti monumentali e paesaggistici presenti in ogni città, paesi ed ambiti isolani, in una visione d’insieme di una Sicilia potenzialmente ricca ma praticamente povera. Alla Sicilia, Luigi Vittorio Bertarelli, il più fervente animatore dei primi lustri del Touring Club Italiano, dedica un avvincente resoconto di viaggio, una delle testimonianze più vive della tarda letteratura romantica sull’Isola. Egli promuove con passione la conoscenza della Sicilia, illustrandone aspetti naturali e costumi; ed oltre alle caratteristiche fisiche (orografia, acque, flora, clima, ecc.), alla storia, al dialetto, alla demografia, all’emigrazione, alle industrie, al traffico commerciale e marittimo, vengono forniti dati interessanti sull’agricoltura, sul paesaggio e sull’organizzazione turistica. Importante documento, pertanto, che attesta alcune forme di paesaggio scomparse o trasformatesi; quel paesaggio il cui studio ha assunto negli ultimi anni importanza considerevole negli indirizzi e nelle politiche di gestione e pianificazione ambientale. Attraverso l’uso di tale guida il visitatore poteva scoprire una Sicilia suddivisa in due grandi zone:
Adrano - Conca d'Adernò (foto di A. Paternò Castello)
quella del “latifondo”, che occupava la parte interna ed una sezione della costa meridionale, e quella “costiera” relativa alla rimanente parte del territorio. La prima, contraddistinta da colture cerealicole e da pascoli, assieme ai boschi nelle zone più elevate; la seconda dominata, invece, dalle colture arboree: agrumi, ulivo, viti e carrubo. In tale periodo la superficie adibita alle produzioni agrarie risulta immensa, pari a più di due milioni e quattrocentomila ettari, cioè più del 94% della superficie totale, aliquota molto elevata se rapportata alla restante parte delle regioni d’Italia. Tralasciando la descrizione dei seminativi, quali le colture cerealicole, specialmente frumento ed orzo, fra le colture arboree primeggia il vigneto, seguito dall’uliveto e dall’agrumeto, mentre è in fase di diffusione il mandorlo, sia in consociazione ai seminativi, sia in coltura specializzata. Le altre svariatissime colture legnose occupano una superficie molto esigua, rivestendo importanza locale o, addirittura, caratteristiche dell’Isola (sommacco, frassino da manna, pistacchio, carrubo, fico d’india). L’ulivo, diffuso specialmente nella costa tirrenica, con piante secolari e di grande sviluppo, cresce a scapito del vigneto a causa della fillossera; la ricostruzione, sia pure parziale, dei vigneti fillosserati diviene un’opera lunga, paziente e costosa, che segnerà una pagina eroica nella storia della Sicilia agricola. L’altra fondamentale coltura, quella degli agrumi, viene descritta come la meglio curata ed in continua espansione; una specialità, frutto di un progresso tecnico ed agronomico, è rappresentata dai “verdelli”, limoni ottenuti fuori stagione attraverso speciali pratiche irrigue, venduti nei mesi estivi ad un prezzo superiore alla media. Il contrasto tra la zona costiera e quella interna viene evidenziato non solo dalla descrizione delle differenti colture, ma anche nella costituzione sociale.
Adrano - Ponte acquedotto Biscari (foto di A. Paternò Castello)
Nella zona costiera la proprietà si presenta più frammentata, i patti agrari sono più adeguati, le condizioni di vita dei contadini si rivelano migliori; la viabilità più sviluppata e meno frequente l’analfabetismo nelle campagne. Il latifondo, invece, è caratterizzato da grandissime estensioni, poiché circa 780 possidenti detengono in quegli anni quasi 1/3 della superficie isolana, su una popolazione di oltre tre milioni e cinquecentomila abitanti. Il latifondo si presenta come una grossa superficie unita nel mezzo della quale sorge la “masseria”, circondata talora da una zona ad ortive, dal vigneto e dal mandorleto; alla “masseria” sono aggregate delle misere capanne di paglia, i cosiddetti pagliai o, raramente, casette in muratura bicellulari, dove in un ambiente vive la famiglia coltivatrice e nell’altro l’animale da soma. Il proprietario, comunque, risiede raramente in campagna; di solito vive in massima parte in città, talvolta anche fuori dalla Sicilia, e la gestione dei beni fondiari viene affidata nel complesso agli affittuari ed ai gabelloti, col solo scopo di elevare la rendita, senza pensare ad intraprendere opere di miglioramento su tali fondi agricoli. Chi visita in questo periodo la Sicilia può ammirare distese pascolative dove sono presenti allevamenti consistenti: il più numeroso rimane quello ovino, seguito dal caprino, dagli equini (asini, muli, bardotti e cavalli), dai bovini di razza “modicana”. Gli animali da trasporto sono ancora numerosi in relazione alla carenza di viabilità, mentre la pastorizia è gestita quasi esclusivamente con un sistema brado, ed anche l’industria casearia è assai arretrata, basata su metodi e strumenti primitivi. Attraverso tali testi, chi sceglieva di visitare la Sicilia riusciva ad avere finalmente una visione d’insieme non più avventurosa e bucolica, ma legata alla realtà. Da ostacolo rimarrà, comunque, anche per gli anni a venire, la viabilità poco sviluppata, come pure la carenza di alberghi e strutture ricettive, soprattutto nei centri minori.