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La città Lombarda nel cuore della Sicilia
Un medioevo che non muore
Una città nella campagna
Una ruralità al femminile, tradizione che non muore
La città Lombarda nel cuore della Sicilia
E’ terra di conflitti, Nicosia, ma anche di
genti con una cura straordinaria della propria terra; genti le cui origini
sono da far risalire in larga parte alle migrazioni dalle regioni lombarde di
popoli che hanno conservato il caratteristico idioma gallo‑italico e caratteri
somatici “nordici”
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Chiesa di San Sebastiano
Nicosia rappresenta l'estrema sintesi tra due Sicilie, quella
dell'arte, della cultura, con la sua indiscutibile eleganza, e quella rurale
con il suo fascino e con il suo carico di tradizioni. Non esiste alcuna
contraddizione tra questi elementi che, in uno spazio apparentemente ridotto
ma capace di dilatarsi a dismisura per far posto ad innumerevoli suggestioni,
riescono, non soltanto a convivere, ma a completarsi vicendevolmente,
attribuendo ai luoghi una dimensione impossibile da focalizzare per intero e
difficilmente sintetizzabile senza correre il rischio di analisi superficiali
ed in larga parte insufficienti. Il modo migliore per conoscere questo
splendido luogo è, e rimane, il viverlo pienamente, assaporando l'atmosfera
che, sempre diversa, si coglie in ogni suo anfratto.
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Campanile della Chiesa di San Francesco
Le sue fortune
straordinarie sono completate dalla meravigliosa bellezza di una natura
incontaminata, dalle sue campagne, dai suoi boschi, dalle ardite formazioni
geologiche che sembrano vigilare attente ed irremovibili sul paese e sui suoi
magici dintorni. Quasi un angolo di Svizzera catapultato dopo un misterioso
incantesimo nel cuore della Sicilia. Ed in questo pezzo di Sicilia, nel cuore
di una regione spesso sede di contraddizioni forti, di conflitti talvolta
drammatici tra l'uomo, la sua storia e l'ambiente, è facile riconoscere la
diversità di Nicosia nell'amorevole cura con cui le sue genti si occupano del
proprio paese, delle terre, riuscendo a coniugare sapientemente le più moderne
tecnologie con l'arte empirica dei contadini di un tempo, tramandata da secoli
da padre in figlio. E' proprio l'essere altro, unico più che raro, l'aspetto
più eccitante, il primo che colpisce l'immaginario di chi raggiunge questi
luoghi, sia esso turista o semplice viandante, stupito dalla profondità del
paesaggio e dall'intensità dei suoi colori, ma anche da quel particolare
dialetto delle genti del posto, una strana e dolce mistura tra il siciliano ed
un idioma antico come il gallo‑italico. Diversa, quindi, Nicosia, ma anche
complessa, a cominciare dal centro abitato, capace di raccogliere gli stili
architettonici più svariati, ciascuno dei quali a sua volta in grado di
raccontarci un frammento della storia del paese. Una storia, appunto, complessa
fatta di periodi di assoggettamento a popoli molto diversi tra loro, la cui
presenza è testimoniata non soltanto nella
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Una veduta del paese. Nicosia sorge adagiata su quattro colli, con l'abitato che si
estende in direzione Est‑Ovest ai margini della catena inontuosa delle
Caronie. Anche da questa immagine è possibile verfficare come il paese abbia
mantenuta quasi del tutto intatta lantica pianta medievale.
sovrapposizione di influenze
architettoniche o in quel particolare dialetto, ma anche nei modi di dire che
consentono di individuare, ad esempio, come
saraceni,gli abitanti del quartiere di San Michele, la cui
ubicazione è presumibilmente la stessa dell'originario borgo fortificato in cui
si insediarono gli Arabi, così come indicato dallo storico El Idrisi E dopo gli
Arabi i Normanni, che, nel 1062, alla guida del Conte Ruggero, occuparono la
città intrecciando, con i precedenti reggenti musulmani rimasti, rapporti molto
forti che consentirono lo svilupparsi, in particolare sotto il regno di Guglielmo
II detto il Buono, anche a Nicosia, come nel resto della Sicilia, di quel
caratteristico stile architettonico arabo‑normanno che caratterizzò i secoli XII
e XIII. Questo rapporto
privilegiato tra la reggenza normanna e gli Arabi suscitò le gelosie di baroni
ed ecclesiasti, provocando la reazione dura di Guglielmo II che insieme a Piazzesi
e Randazzesi nel 1069 mosse guerra ai ribelli. Nel periodo in cui detennero il
controllo della città i Normanni provvidero a rendere più possenti le
fortificazioni dell'antico borgo, rinforzando mura, castello e porte d'accesso.
Ma soprattutto, i Normanni, consentirono il popolamento di tutto il territorio
da parte di coloni Lombardi, provenienti in particolare dal Monferrato, ed
attirati in Sicilia dalla concessione di terre ed immunità. La loro presenza
contribuì alla nascita proprio di quel particolare dialetto gallo‑italico che
caratterizza il parlare e le caratteristiche somatiche tipicamente nordiche
degli abitanti di Nicosia e delle altre città “lombarde" come Aidone,
Piazza Armerina, San Fratello, Novara e Fondachelli‑Fantina. Lo splendore in
questa fase storica del nicosiano, gratificato del feudo di Asgotto dal sovrano
svevo Federico II, è evidenziato anche dall'opportunità concessa alla città di
inviare, nel 1240, due suoi delegati alla Corte generale a Foggia. Il periodo
successivo, a partire dal 1270, è invece un momento difficile per la
popolazione di Nicosia sottoposta al pesante giogo angioino, che avrebbe
determinato l'esplosione in tutta la Sicilia, nel 1282, del Vespro.
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Disegno di fine secolo scorso del magnifico trono su cui sedette Carlo V, conservato nella Chiesa di Santa Maria Maggiore
Nicosia
diviene, nel 1337, sede di un'Assemblea dei baroni e dei Grandi del Regno con
cui Pietro II d'Aragona intendeva dichiarare la sua avversità nei confronti di
Federico Antiochia Conte di Capizzi, e del nicosiano Conte di Ventimiglia, rei
di avere congiurato contro di lui. Il contesto in cui aveva luogo questo
conflitto tra potenti era lo stesso che divideva la parte alta della città,
abitata dai Mariani (di origine normanna e rito religioso latino che facevano
riferimento alla chiesa di Santa Maria), e quella bassa, popolata invece dai
Nicoleti (di origine greca e rito religioso bizantino con riferimento nella
chiesa di San Nicolò), le cui diverse origini erano prese a pretesto per
contendersi il paese.
Le due fazioni finirono con l'affrontarsi in battaglia e
lo scontro, sempre più cruento, fu fermato soltanto dall'intervento del Mastro
Giustiziere del Val Demone, che nel 1340 fece sottoscrivere alle due parti
l'Atto di Concordia con cui le magistrature civiche venivano divise paritariamente
tra i due quartieri. Sopiti, per il momento, i conflitti religiosi, Nicosia poté
godere dei benefici della rinascita castigliana sotto Alfonso il Magnanimo
che, a partire dal 1416, rilanciò in Sicilia l'economia e le arti. E' a questo
periodo che risalgono gli splendidi dipinti del soffitto ligneo della
cattedrale. Ma nel 1514 riesplose violento lo scontro tra i due riti
confessionali sostenuti dai due cleri contrapposti, a difesa dei quali spesso
scendevano in campo anche i laici dei rispettivi quartieri. Quest'ennesima
esplosione di intolleranza causò l'intervento dell'arcivescovo messinese
monsignor Rettana che sancì la divisione del paese dichiarando le due chiese
"matrici" ma ciascuna nell'ambito del proprio quartiere. L'atto fu
successivamente modificato con l'attribuzione del
matriciato alle due chiese con rotazione annua.
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Disegno di fine secolo scorso del Pergamo corservato nel Duomo con statue di Gagini
Ogni quartiere
organizzava quindi le proprie festività religiose, e la contemporanea
celebrazione di eventi religiosi come il Venerdì santo, con le risse che
nascevano da eventuali sconfinamenti delle due processioni, valsero a Nicosia
l'appellativo di "città dei due Cristi”. I conflitti religiosi non furono
le uniche a causare problemi agli abitanti di Nicosia, ma ad essi si unirono
pestilenze e, nel 1757, una tremenda frana che distrusse parte dell'abitato e
la chiesa normanna di Santa Maria Maggiore, ricostruita più tardi a partire dal
1767. Ciononostante Nicosia vide aumentare di molto la sua popolazione e fu
sede fiorente di arti e cultura come testimoniano la presenza in paese del
medico‑filosofo Marcello Capra, fondatore di un'Accademia medico filosofica, di
una confraternita di artisti con sede in Sant'Antonio Abate, nel 1600, e dell'Accademia
Simetina. Tra il '700 e l'800 furono edificati alcuni edifici religiosi come
San Vincenzo, Santa Domenica e San Biagio. La presenza in città di numerosi
nobili determinò anche la costruzione di importanti palazzi nobiliari di un
certo interesse come il La Motta, La Motta San Silvestro, Falco, Testa ed
altri. La semplice proposta, nel 1778, d'istituire in Nicosia un vescovado,
produsse una nuova crisi tra i due quartieri per la scelta della sede contesa
tra le due chiese di San Nicolò e di Santa Maria. La sede vescovile venne
concessa al paese nel 1817 insieme allo status di sede di sottoprefettura e
capoluogo di circondario.
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Un medioevo che non muore
In giro per Nicosia è possibile godere appieno, dalle balconate che si aprono improvvise
sul fondo di ripide e strette stradine, di scorci paesaggistici di
straordinaria bellezza, esaltati da un contesto di rara eleganza architettonica
che rende magico ogni angolo del paese
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Costruzione rupestre
Avvicinandoci a Nicosia essa ci appare come
inerpicata su un alto sperone roccioso con il magico sfondo delle Caronie. La
sua essenza ci viene svelata lentamente percorrendo la strada che da Agira ci
conduce, in un continuo sali‑scendi di tornanti, verso la cittadina, che
conserva per buona parte del suo centro storico l'antica pianta medievale
derivata dall'originario borgo arabo fortificato. Circondata da verdi campagne,
il paese ci rivela scorci improvvisi di paesaggi mozzafiato anche al suo
interno, con ripide stradine che terminano improvvisamente in ampie balconate,
dopo averci mostrato, ai propri margini,
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Particolare della Chiesa San Nicolò
pregiati edifici religiosi ed eleganti
palazzi nobiliari. Percorrere le sue strade equivale a riscoprire la sua natura
di importante centro medievale. Una visita al paese può iniziare giungendo in
piazza Garibaldi attraverso la "salita Salomone" lungo la quale fa
bella mostra di sé, maestoso ed elegante, il settecentesco Palazzo Salomone. La
piazza, cuore della città, si apre creando uno scenario unico e grandioso, a
cui fanno da cornice i palazzi baronali Marocco, Nicosia, Di Falco, La Via ed
il Palazzo Comunale. Ma tutta la piazza sembra essere il grande teatro le cui
quinte sono rappresentate dalla Cattedrale di San Nicolò. Dell'originario stile
goticonormanno, la Cattedrale, intitolata al santo protettore del paese,
conserva l'ampio Portale Maggiore, il Campanile, ed i Portici. Queste
strutture, tutte risalenti ai secoli XIV-XV, presentano tipici motivi
riccamente intagliati (rosoni, archi, bifore, trifore, stemmi ... ).
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Particolare dell'elegante Palazzo Salamone
Una
gabbia, resa necessaria da interventi di restauro, non consente la completa
visione della chiesa. L'interno dell'edificio religioso custodisce opere
pregevoli come un crocifisso attribuibile a fra' Umile da Petralia, opere del
Gagini e di alcuni scultori locali, e, in un aula annessa, dipinti di Pietro
Novelli, Salvator Rosa e dello Spagnoletto. Ma il vero tesoro è senz'altro lo
straordinario soffitto ligneo a capriate, dipinto i primi del XV secolo con
straordinaria abilità e gusto rappresentanti una perfetta sintesi dell'arte
siculoarabo‑ispanica. Alle spalle della Cattedrale, la bella facciata barocca
del Palazzo Vescovile. Più in basso, rispetto alla Cattedrale, in via Randazzo,
vero gioiello è la chiesa di San Biagio con le decorazioni di stucchi rococò.
All'interno, un gruppo marmoreo di Antonello Gagini. Ritornati in Piazza
Garibaldi è possibile risalire attraverso via Salomone per apprezzare altri
palazzi nobiliari alcuni dei quali, purtroppo, in parte deturpati. In
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Loggiato della Chiesa di San Nicolò
questo
tragitto che ci porta verso la parte più alta del paese è possibile godere di
scorci straordinari che si affacciano in un dedalo di viuzze intricatissime.
L'ascesa ci consente una visita all'ex monastero di San Vincenzo Ferreri
all'interno della quale vi sono dipinti degli inizi del XVIII secolo opera del pittore
fiammingo Guglielmo Borremans. Al termine della nostra risalita, sormontata dai ruderi
del Castello, la Basilica di Santa Maria Maggiore, centro del quartiere
popolato un tempo dai Mariani, gli
abitanti di Nicosia di origine greca e rito bizantino. La basilica è dotata di un ampio e luminoso portale
ornato da statue pagane (Venere,
Bacco, Cerere) e conserva, al suo interno il trono di Carlo V, che visitò nel 1535 la città di Nicosia.
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Particolare di Palazzo Salamone
Menzione
merita anche la "cona" in marmo
dorato opera di Antonello Gagini. Il Castello conserva ancora un imponente ponte normanno e
i resti di alcuni
torrioni. La fortezza venne descritta per la prima volta dal geografo arabo EI Idrisi che ne rimarcava
la sua funzione difensiva dell'antico borgo fortificato, mansione che conservò
anche in epoche successive sotto il dominio svevo e aragonese. Da queste postazioni è possibile
scorgere anche la chiesa di San Michele (secc. XI-XII)
con la maestosa torre quattrocentesca e le
absidi normanne, e la chiesa del SS. Salvatore, dotata di campanile e loggia di sapore normanno con cui domina
la città.
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Un altarino del centro storico
Nella parte più in basso del paese si erge maestoso Palazzo Cirino, con
la facciata suddivisa nei tre ordini "neoclassici" (ionico, dorico,
corinzio). Nelle sue vicinanze le chiese di
San Calogero, con tetto a cassettoni, e di S. Antonio Abate con facciata
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Rovine del Castello Saraceno
rinascimentale ed interno gotico. Ancora più
in basso, lungo via S. Benedetto, l'ex convento omonimo del trecento, la cui
facciata è arricchita dallo splendido portale e dal bel rosone. Il convento
sembra fondersi con la cupola della chiesa di San Calogero che lo sovrasta.
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Particolare della Chiesa di Santa Maria Maggiore
Un viale alberato, intitolato
allo scultore Giambattista Li Volsi, conduce al Santuario del
Carmine, il cui interno è arricchito da un dipinto raffigurante
l'Annunciazione, opera di Antonello Gagini. Antistante alla chiesa una "villetta" con alberi secolari ed
una fontana settecentesca, e poco
distante, si può ammirare la bella facciata tardo barocca di palazzo Speciale.
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Una città nella campagna
Le masserie
del nicosiano, come spesso accade nelle aree a forte popolamento rurale, sono divenute luogo di aggregazione
sociale e di interessi economici che si sposano con la cura delle terre nel
rispetto di una natura spesso selvaggia ed incontaminata
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scorcio di una chiesetta del centro storico
All'indiscutibile fascino del suo centro storico Nicosia
unisce le bellezze delle sue fertili campagne che continuano ad ospitare parte
consistente della popolazione del paese. Un tempo questa era abitudine
consolidata, e i contadini raggiungevano il paese solo ed esclusivamente in
occasione delle feste patronali. Il fiorire di una alta concentrazione della
popolazione nelle campagne ha in realtà origine antica e si realizza concretamente
con l'arrivo dei coloni “lombardi”, che stabiliscono dimora nelle campagne
curandosi della terra nelle forme più diverse: come piccoli proprietari di
terre attribuite loro dai Normanni o ricevendo i campi in mezzadria, enfiteusi
o gabella dai feudi comunali ed ecclesiastici.
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Allevamento ovini
L'affermarsi di questo stile di
vita faceva nascere nelle contrade dei territori limitrofi a Nicosia veri e
propri borghi costituiti da più masserie, alcuni dei quali meritano una visita
per le suggestioni in grado di trasmettere e perché rappresentano un pezzo
importante di storia. Il vero cuore dell'attività svolta “fuori porta” è
proprio la masseria, centro nevralgico della vita nei campi, dimora del massaro
e della sua famiglia. Essa ospita contadini e lavoranti, e le principali
attività produttive della terra, ma anche le prime fasi della
commercializzazione dei prodotti derivanti da agricoltura e pastorizia ed
attività artigianali connesse con queste attività. E' ovvio che, essendo quella
agro‑pastorale la forma di economia più sviluppata del territorio, anche i
nobili nicosiani si posero il problema di una propria dimora in campagna, anche
solo per
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Nicosia e la campagna che la circonda
villeggiarvi. Sotto Carlo III e Bernardo Tanucci i ricchi possidenti
edificano le proprie ville, molte delle quali (La Via, La Motta Salinella, La
Motta San Silvestro) si concentrano sulla cosiddetta "collina dei
baroni" che sorge a San Giovanni, di fronte al paese, mentre altre,
prevalentemente liberty, sorgono in località San Giacomo. Il territorio è poi
costellato di insediamenti rupestri come case Salerno e Rossignolo e in
contrada Mercadante. Di fascino indiscutibile il piccolo borgo feudale di
Villadoro, oggi frazione di Nicosia, nel quale si celebra, nella Settimana
Santa, una suggestiva Passione di Cristo. Questo tradizionale rivolgersi alla
terra è oggi tutt'altro che sopito ed anzi più che mai colpisce la capacità dei
contadini nicosiani di coniugare le antiche tradizioni del lavoro nei campi con
le più moderne ed avanzate tecnologie il cui parsimonioso utilizzo non sembra
intaccare più di tanto la splendida realtà ambientale di questa propaggine dei
Monti Nebrodi. Ed anzi le bellezze naturali del territorio meritano una
particolare menzione per la straordinaria varietà geomorfica e
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Utilizzo di tecnologie moderne per il lavoro nei campi
vegetazionale
del paesaggio. Di recente istituzione sono tre riserve naturali orientate,
quella del monte Sambughetti, del bosco di Sperlinga ed alto Salso e quella del
monte Altesina. Di straordinario interesse naturalistico è la prima, nata per
preservare un relitto di faggeta e una particolare vegetazione igrofila legata
alla presenza dei piccoli laghetti Campanito. Di aspetto diverso, a causa
dell'altitudine meno elevata, sono le altre due riserve, in cui spicca una
vegetazione tipicamente mediterranea con querce, lecci, roverelle e numerose
altre specie arboree ed
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Allevamento bovini
arbustive, anch'esse capaci di ricreare suggestioni
paesaggistiche di notevole valore. Anche la fauna di questi luoghi appare
straordinaria ed i più fortunati potranno incontrare nelle loro escursioni,
peraltro per nulla faticose, rari esemplari di sparviero che sulle vette di
questi monti trovano condizioni ottimali per la nidificazione.
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Una ruralità
al femminile, tradizione che non muore
La “massara”, la donna che vive in campagna
con la sua famiglia, rappresenta forse l'elemento di maggior continuità nel
garantire il rispetto ed il tramandarsi delle tradizioni rurali del nicosiano.
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Personaggio pittoresco nei costumi tipici dei pastori di un tempo
La realtà contadina nicosiana è forse unica tra le civiltà
agresti; infatti il contadino con tutta la sua famiglia risiede nella "Masseria"
l'intero anno pur avendo anche la casa in paese. Quando la “fantina” (la
ragazza da marito) si fidanza con un contadino, sa già che l'attende la
condivisione del lavoro della masseria. Di essa, veramente, diventa la padrona
perché, mentre il marito pone tutte le sue energie nella coltivazione dei
campi e nel raccolto, lei, la "massara", è sempre a sfaccendare
dentro e fuori. Sono suoi compiti: cucinare, fare il pane e la pasta, governare
la casa, allevare i figli, ma è anche consapevole del fatto che le annate non
sono sempre favorevoli e, quindi, non potrà avere molto denaro da spendere per
gli indumenti, per le comodità della casa, per l'igiene e per il corredo (a
fighja tá fascia e a dota tá cascia ‑ la figlia in fasce e la dote nella
cassapanca). Glielo ha insegnato sua madre e, prima sua nonna a sua madre, che
“la donna fa la casa".
E la nostra massara ha compreso appieno il
significato della collaborazione. Non può chiedere i soldi sempre al marito,
non può fargli conoscere tutti i piccoli segreti che la vedono protagonista nel
mandare avanti la casa, come, d'altronde, capita in tutti gli ambienti
familiari. E se volesse fare, per esempio, un servizio in più per il corredo
della figlia? Ed ecco il suo ruolo. Essa, rubando tempo al suo riposo,
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Disegno fine 800: contadine nicosiane nel loro tipico costume
anche
nei momenti più pesanti delle fredde giornate d'inverno, o di quelle calde
d'estate, è sempre là, a governare il maiale (così si farà più grosso e
gustoso); a mettere uova sotto le chiocce, ad allevare con amorevole cura
pulcini, oche, tacchini, conigli, agnelli; a pulire molto spesso, per renderlo
più accogliente, il pollaio, così le galline faranno più uova che lei venderà
e, insieme a ciò che realizzerà dalla vendita dei polli, conigli, ecc., avrà
abbondante “manio” (maneggio di denaro) per arricchire la sua casa per riempire
le cassapanche, gli armadi della sua cucina e anche il suo guardaroba e quello
degli altri Quando i lavori dei campi si fanno più pesanti ecco lei, con le sue
ricette a spronare l'appetito del marito. Spesso sulla sua mensa sono presenti
dolci squisiti e piatti succulenti che sa dosare con maestria utilizzando sino
all'ultimo grammo la carne salata del maiale. Per lei tutto è utile; ricicla
tutto. Il brodo di cottura della pasta serve per impastare la crusca da dare ai
suoi galletti e al maiale insieme con le briciole della mensa, il latte avanzato
e le impurità dei legumi:
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Donne che vendono uova al mercato cittadino
raccoglie ogni sorta di frutti che da in pasto ai
suoi animaletti; rammenda a più riprese le calze; mette una pezza in un buco
della camicia o dei pantaloni di marito e figli (ma c'è sempre un vestito lindo
e profumato nell'armadio quando i suoi si devono vestire per la festa); toglie
le erbacce dall'orto così le verdure crescono meglio; usa nel giusto modo la
legna ed ha cura di spegnere la brace in modo da avere la carbonella necessaria
per cuocere i suoi cibi delicati. La sua casa è sempre in ordine e pulita e non
vi sono i cattivi odori delle stalle perché ha cura di governare gli animali
con un altro paio di scarpe, cosa che obbliga fare anche gli altri. Una massaia
deve sempre tener presente il reale valore del denaro; a lei costa tanta fatica
guadagnarselo. La stanchezza però scompare nel momento in cui spende per la
casa e per la famiglia, ed è molto contenta se può contribuire all'acquisto di
un pezzo di terra, di una macchina agricola ‑ aspirazioni queste di ogni
contadino che ama risparmiare per ingrandire la sua proprietà. "A rroba,
si, a rroba" (la proprietà) ti
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Momento di socializzazione durante il lavoro nei campi
fa massaro, e ti procura una vita di duro
lavoro, ma di grande unione familiare, di prospettive per l'avvenire. Il
massaro è sereno nei rapporti con i vicini, non si arrabbia quasi mai anche per
una sorta di fatalismo che gli fa ripetere spesso "se vuole Dio".
"Se vuole Dio che piove seminiamo. Se vuole Dio che il grano matura bene
avremo un buon raccolto. Domani cominciamo la raccolta delle olive, se vuole Dio".
Ed è in questo ambiente, sereno e pregno di amore, nei legami e nella serietà
dei rapporti, che affondano radici le più vive tradizioni, le ricette, i
comportamenti che poi sono la vera cultura di un popolo. Il popolo dei
contadini è il vero depositario del sapere, dalle cui radici nascono e crescono
quei germogli sani che spanderanno in maniera integra il profumo della loro
civiltà. E' serietà di comportamenti oppure ostentazione del proprio ruolo? Non
hanno una cultura tale da ostentare il loro modo di vivere; per loro ogni
atteggiamento è un fatto naturale.
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Usanza dell'agorà cioè della discussione in piazza sui temi più svariati
Se ogni contadino ha ereditato il gusto del
sano, dei gustosi piatti, dei dolci fatti in casa, ogni contadina sa come
soddisfare il palato del suo compagno e della sua famiglia, e, giorno dopo giorno,
rubando spesso ore al suo riposo, mentre gli altri dormono lei veglia e
prepara, prepara come un angelo che tesse la soave trama dove avviluppare con
contorni d'amore la pace della sua famiglia. Qui non è retorica la figura della
massaia "angelo della casa" perché lei sa, ne ha ereditato
consapevolmente il ruolo, che molti dei nodi di cui è intessuta la vita li
dovrà sciogliere lei, lei con la sua abilità e con il suo amore. E i giorni
scorrono sereni, quasi fatali, nel ciclo annuale dei lavori. Non è monotono
accudire ogni giorno, ogni momento tutti gli animali che alleva; non è facile
pulire le stalle, portare fieno e biada. Nutre gli
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Le greggi, le mandrie, sono una costante dell'ambiente rurale
animali con la stessa cura
con cui nutre i figli. 1 figli frutti d'amore e gli animali valido aiuto per
mantenere in famiglia quel clima di benessere che consolida i rapporti. Lei sa,
e in questi lavori mette tutta la sua esperienza. Come si sa la vita dei campi
è dura e, spesso, non dà i frutti sperati e i figli, crescendo, vanno alla
ricerca di quel "pezzo di carta", che, chissà, darà loro forse un
posto e, quindi, studiano con un certo impegno ma con un occhio sempre rivolto
ai campi. L'istruzione li arricchisce, forti dell'esperienza che con saggezza
viene loro trasmessa dagli anziani della famiglia, presenti in ogni masseria,
con i loro detti e i loro proverbi (alcune volte sembrano dare fastidio,
"i proverbi") che consentono di apprezzare meglio la vita di tutti i
giorni. Il fatalismo dei contadini non deve farli apparire succubi di chissà
quali forze e volontà esterne. E' nel loro essere buoni e pazienti, nella
schiettezza del loro animo, nella certezza che tutto si risolverà, il loro
vivere sereni. E aspettano i cicli stagionali con l'ansia di chi vuole vivere
col massimo impegno e, in questi cicli ha ancora un grande ruolo la
"massara". Ad essa non sfugge nessun particolare: sa quando è tempo
di preparare questo o quel dolce, questa o quella pietanza adattandoli alla
stagione, alla temperatura, alle particolari predilezioni dei suoi cari. E
porta in tavola "bracialete e mestazole, canole e tortonedde, boscote e
zzucarine, pastesecche, colombedde, torron e pozziddate". D'inverno:
"supa e piciotta, tagghiarine co cesgere e dentichie, menestre de verdure,
taccoe e macarroe, sughe che nen se pono ddivè de mbocca, na gaddina a brodo, n
conighjo asugo, soozziza restuda, fave chi gede, balottine calae tá sarsa o na
frogia”, il tutto reso molto gustoso dalla sapiente dosatura con pancetta o
lardo delizia della sua cucina. Il contadino non è conservativo per cultura, ma
per fatto naturale. Le sue tradizioni non sono scritte da nessuna parte,
eppure, lui e la sua famiglia le seguono tutte: è cultura orale che si
trasmette di padre in figlio giorno dopo giorno, anno dopo anno, ciclo dopo
ciclo. I lavori, le ricette sono parte integrante della loro vita. Detto questo si potrebbe pensare che il contadino nicosiano
sia praticamente "isolato" dal resto del mondo, se il suo mondo è
quello ristretto della sua campagna e della sua masseria. Nulla di più
sbagliato. Egli, infatti, partecipa alla vita associativa tramite le
confraternite, cura personalmente i rapporti che ha con banche e uffici, con
commercianti di tutti i generi, partecipa alle fiere, ai convegni di categoria,
sbriga da se le faccende in provincia; e la moglie vende e acquista nel mercato
del giovedì e si rifornisce di ciò di cui ha bisogno nei ben forniti magazzini
del centro (biancheria, indumenti, corredi, utensili, elettrodomestici) che
arricchiscono la masseria rendendola calda e accogliente.
I figli, da piccoli,
accompagnano i genitori alle feste, alle cerimonie tra amici e parenti; da
grandi assumono autonomia (l'occhio rivolto ai consigli degli anziani); hanno la macchina e si recano in
paese come ogni altro giovane, a trascorrere qualche ora con gli amici o alle feste.
Al ritorno una mamma apprensiva si piega al sonno solo dopo aver sentito che la
porta è chiusa per la notte. Grandi meriti, dunque, alle famiglie contadine per
tutto ciò che è la loro fatica e per la conservazione di usi e costumi. Ma non
si può parlare di contadini senza ascrivere a loro merito un altro
interessantissimo fatto: la conservazione della lingua nicosiana. Si, perché
Nicosia ha una parlata tutta particolare: Il gallo‑italico. Questo dialetto se
resiste bene, se non subisce corruzione lo si deve proprio ai contadini che in
famiglia e nei rapporti con gli amici lo parlano come lo hanno ereditato. Se
vengono a contatto però, con gente non nicosiana, il loro linguaggio diventa
più aulico perché consci che non sarebbe comprensibile. A questo proposito è
bene ricordare che il vastissimo repertorio di canzoni nicosiane, soprattutto
quelle che si cantavano alla Bella o per amore o per sdegno erano e sono in
lingua più comprensibile che è formata più di parole siciliane che nicosiane:
Quanto see bedda
fighja do massaro che vae
vestuta de scolinghje d'oro. Sa che voe
bene a mia dome n retratto ma spoghjio
e me te corco la lo letto.
Quanto sei
bella figlia di massaro che vai
vestita con pendagli d'oro. Se mi vuoi
bene dammi una fotografia mi svesto e
me la corico nel letto.
In questi ultimi anni, grazie a ricercatori universitari, vi
sono state, e vi sono ancora, tante iniziative tendenti a riscoprire,
raccogliere, studiare, mettere insieme ‑ per consegnare ai posteri ‑ tutto il
materiale culturale che le parlate gallo‑italiche contengono come grandi
tesori. Nicosia è un centro dove questo tipo di ricerca assume primaria importanza.
La parlata incontaminata dei contadini, i loro usi e costumi, le loro ricette e
le loro feste, l'uso dei vocaboli non più attuali in città, l'arguzia
nell'esprimersi a seconda dei casi, con modi di dire e proverbi, fa di ogni
famiglia contadina un vero archivio da cui attingere quel sapere genuino che
affonda le sue radici in tanti secoli di storia. I molti non nicosiani
residenti, che per motivi di studio o di lavoro sono venuti a contatto con
questo dialetto ‑ pur non comprendendolo a pieno ‑ lo apprezzano per la
mancanza di qualsiasi inflessione e per la immediatezza che ha nel rendere i
concetti. Se a questo si unisce un fiorire di iniziative volte a valorizzare il nicosiano ‑ lingua viva ‑ è facile arguire che l'interesse degli studiosi trova
il suo massimo riscontro nel contatto diretto con i veri depositari di questa
somma di culture che sono i contadini. Non voglio con ciò dire che essi soli
sono al centro dell'attenzione ma, rappresentano sicuramente le fonti
privilegiate‑basi per l'inizio di qualsiasi ricerca culturale.
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