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L'antica
città del frumento
All'ombra della Rocca
Salvatesta
La festa e la memoria
Alla ricerca di
antiche radici tra storia e natura
Arte, cultura e
tradizione a Novara di Sicilia
Un luogo dall'alto valore strategico e circondato da fertili terre, ricche
di frumento che valsero all'antico centro il nome sicano di Noa, il cui
significato è, per l'appunto, maggese
L’antica città del frumento
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Una veduta di
Novara di Sicilia come appare dai ruderi del Castello che la domina
Forse la maggior
legittimazione del suo essere, Novara dì Sicilia la deve alla sua
posizione. Il paese è infatti strategica porta d'accesso a dominare i
Peloritani e, quindi, un paesaggio molto più ampio, che si estende, a
nord, verso il Tirreno, le isole Eolie e lo stretto di Messina giungendo
sino alla Calabria; a sud, dalla sua alta rocca (la Rocca Malatesta, 1340
m. s.l.m.) è possibile prolungare lo sguardo verso le cime innevate
dell'Etna e, ad est verso le coste dello jonio. Novara, quindi, come punto
di osservazione per scorgere immediatamente chi, da nord, raggiungeva le
coste siciliane, ma anche luogo felicemente favorito dall'ambiente
naturale dei Peloritani di cui il paese rappresenta l'ingresso a
sud‑ovest. Circondata da terre fertili, capaci di regalare ai suoi
abitanti ricche messi di frumento, ricevette il suo primo nome proprio da
questa prerogativa: Noa, il nome originale del paese, è un vocabolo di
origine Sìcana che vuoI dire, appunto, maggese. Degli abbondanti raccolti
di questi cereali poterono godere i primi colonizzatori greci che
dovettero cedere successivamente il paese ai dominatori Romani che, a loro
volta, ne fecero, dapprima città censoria, quindi stipendiaria. Prima di
allora il sito era legato ad antropismi che risalgono alla preistoria, di
cui evidenti tracce sono ancora presenti nelle contrade di Casalini e di
Sperlinga.
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Uno
scorcio del centro storico
Proprio in contrada Casalini e nella vicina Cittadella sorgeva
l'antico centro sicano di Noa. Le testimonianze della presenza di un
centro abitato nella zona si perdono sino all'invasione araba. In effetti,
è abbastanza probabile che il luogo subì la stessa disastrosa sorte di
altri centri non lontani, come Tindari, distrutta dal terribile sisma che
si verificò tra il 24 e il 79 d.C.. Tutto il territorio nei dintorni del
paese, fu interessato dal vasto movimento monastico bizantino che
riguardò, più in generale, gran parte della Sicilia facendo sorgere un po'
ovunque ‑ i dintorni di Novara rappresentarono in quell'epoca uno dei
centri nevralgici del culto greco ‑ edifici religiosi, le "grange" o
"cube". Queste strutture venivano edificate, normalmente, in punti di alto
valore strategico al riparo dalle incursioni nemiche e a controllo dei
passi, divenendo, ben presto, luoghi di attrazione per numerose attività,
non solo religiose ma anche lavorative, in particolare riguardanti la vita
nei campi e tutte le attività artigianali a questa connesse. In epoche
successive, sotto il dominio arabo‑normanno, il paese modificò il sito
nome in Nouah, spostando il suo cuore verso il Castello, robusta
costruzione nata per meglio presidiare il territorio. La dislocazione
esatta del paese è, in questa complessa fase storica, piuttosto
controversa. In realtà è abbastanza probabile che vi fosse una doppia
entità urbana: una ancora controllata dai bizantini e posta più a valle,
in cui l'evoluzione dell'antico sito di Noa continuava privilegiando,
oltre al particolare culto religioso dei suoi abitanti, anche le attività
agro‑pastorali; l'altra città, Nouah, era invece abitata dagli Arabi, più
attenti proprio alle peculiarità strategico‑militari del sito,
naturalmente fortificato e, più in là di un paio di secoli, reso ancor più
efficace nell'impianto difensivo dall'edificazione della fortezza.
L'avvento dei Normanni non modificò di molto il duplice volto della città.
Nouah fu popolata dai coloni Lombardi, giunti in Sicilia richiamati da Re
Ruggero.
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Il
centro di Novara di Sicilia si mostra in tutta la sua eleganza e con
il suo carico di suggestioni antiche in ogni suo anfratto
Ai coloni Lombardi furono assegnate molte terre dai sovrani
dell'epoca con il duplice obiettivo di porre un argine alla ritirata degli
Arabi verso l'interno della Sicilia dopo la sconfitta inflitta loro dai
dominatori Normanni, e di contrastare le spinte eversive della feudalità.
La presenza di questi popoli provenienti dal nord‑Italia ha lasciato a
Novara di Sicilia un interessante retaggio nel particolare idioma parlato
dalla gente del luogo, quel gallo‑italico simile a quello di altre colonie
lombardo‑siciliane come Mistretta, Piazza Armerina o San Fratello. I
lombardi, nel periodo tra il 1061 e il 1071, contribuirono a creare i
presupposti per l'unificazione della città costruendo il nucleo originario
della moderna Novara. Contemporaneamente, la vecchia Noa, fedele al culto
greco, e nel quale erano le chiese con i relativi cleri di San Basilio,
San Giacomo e San Nicola, fu invece popolata dai Cistercensi. Nel 1195 la
città e il territorio che la circondava furono dichiarate demaniali e
quindi di diretta competenza dei sovrani. Sul finire del XIII secolo
signore del posto fu Ruggero di Lauria, cui subentrò Matteo Polizzi, la
cui famiglia detenne il controllo della zona pressoché senza soluzione di
continuità sino al 1353, provvedendo, fra l'altro, alla edificazione del
castello, i cui ruderi sono ancora evidenti.
Con la definitiva
edificazione della fortezza si definì anche l'asse di sviluppo urbanistico
della città, che si prolungava in direzione Sud‑Ovest sulla direttrice che
congiungeva la porta occidentale del castello con il piano sottostante,
più o meno coincidente con l'attuale Piazza Duomo. Tale direttrice era
rappresentata dal "passitto" (piccolo passo, stretto passaggio), attorno
al quale si sarebbe delineato l'impianto urbanistico della città
medievale, ampliato con il prolungamento dell'asse primitivo.
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Una
bella fontana in cui appare evidente l'abile lavoro di intarsio della
pietra delle maestranze novaresi che hanno arricchito il già elegante
aspetto con lo stemma della cittadina peloritana
L'impianto
sarebbe durato, con poche modifiche, sino al XVI secolo, allorché
l'ampliamento e la rotazione della pianta del Duomo e l'edificazione della
chiesa dell'Annunziata, contribuirono a spostare il baricentro cittadino.
Da questo momento in poi, Novara è interessata da un grande fermento
sociale e culturale testimoniato inequivocabilmente, e sino al XIX secolo,
da una frenetica attività di edificazione di edifici civili e religiosi
cui si accompagnavano intelligenti interventi di riordino e
razionalizzazione dell'impianto viario.
Senza dubbio il simbolo di Novara di Sicilia,
la Rocca Salvatesta domina un paese in cui ogni angolo è capace di
catapultarci, come una macchina del tempo, in un passato fatto di leggende
e di storie emozionanti.
All'ombra della Rocca Salvatesta
Sorge
Novara, e nei secoli successivi alla dominazione araba si estende,
all'ombra della possente e rassicurante mole della Rocca Salvatesta. La
fortezza, nata in cima all'alto picco, straordinaria sintesi di natura ed
architettura, gioco forza ha finito per divenire il simbolo più importante
della cittadina peloritana, ed anche l'elemento di maggior attrazione, con
il suo contributo di storia e ricordi. La sua maestosa presenza,
avvertibile da ogni luogo, riesce a comunicare una suggestione antica e
talvolta mistica, sia al viaggiatore occasionale, sia al turista più
attento. Attraverso la Rocca è possibile lanciare uno sguardo attento in
un passato remoto e immaginare che sia una magica macchina del tempo,
opera dell'ingegno di abili artigiani e di alchimisti, il cui genio è
sopravvissuto alla degenerazione temporale. Poi, colti da un lucido
delirio adimensionale, potremmo stupirci nel vedere aggirarsi tra i ruderi
dell'antica fortezza, le figure agili ed esili dei suoi abitanti di un
tempo. Novara di Sicilia è questo, ma non solo.
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Elegante finestrella che
testimonia come i novaresi abbiano conservato intatto l'amore per la
propria terra riservando questa passione in una ricercatezza estetica
nella cura delle proprie case e contribuendo, quindi, ad ingentilire il
prezioso centro storico
Ogni angolo del paese ci
restituisce intatto il valore della storia, la ricomposizione della
memoria, e non è facile distogliere lo sguardo dalle abili mani di
artigiani che scolpiscono la pietra, attribuendo ad essa forme eleganti.
Sculture preziose che in un qualsiasi momento ci aspettiamo che si
animino, venendoci incontro e raccontandoci di leggende antiche, in una
lingua che non riusciamo a collocare negli idiomi tipici della Sicilia.
Una lingua fatta di accenti nordici, priva di spigolature e più simile a
quella di un cantastorie medievale che ha composto i suoi versi in un
luogo lontano nel tempo e nello spazio. Alla ricerca di queste sensazioni
rechiamoci in paese ed iniziamo a scoprirlo percorrendo la principale
arteria della cittadina, via Nazionale, dal lato della S.S. 185. Sulla
destra di questa via è subito via Santa Maria che ci conduce al Palazzo
Comunale, un tempo oratorio di San Filippo Neri. Dinnanzi all'ingresso
dell'edificio, fondato nel 1610, una preziosa fontana del XVII secolo. Più
avanti si giunge alla Chiesa di San Giorgio, risalente al XVII
secolo e recentemente restaurata e, per questo, fruibile in tutto il suo
splendore. L'edificio religioso, posto in fondo alla valle ai piedi della
rupe su cui sorgono i resti dell'antico castello normanno, è a tre navate
con un elegante colonnato composto da 12 colonne in stile corinzio,
sormontate da archi a tutto sesto. Vi si accede attraverso i tre portali
della facciata principale impreziositi da colonne che sorreggono
l'architrave, sormontato da un timpano ed una finestra. Il soffitto ligneo
della navata centrale è stato rifatto da un'abile artigiano locale,
Carmelo Alula, sul modello dell'originale. All'interno, l'abside è
arricchita da quattro nicchie contenenti statue in stucco raffiguranti i
Santi Giovanni da Facondo, Tommaso da Villanova, Gelasio e Guglielmo. In
stile tardo barocco due ricchissimi altari posti nelle navate laterali nel
secolo scorso.
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Cofanetto in avorio,
rinvenuto nella Chiesa di santa Maria La Noara e che, secondo la
tradizione, è stato portato in paese da Sant'Ugo intorno al 1140. Il
suo pregevole intarsio lo rende particolarmente prezioso. Insieme ad
esso, si trovano anche uno scrigno cilindrico in legno ed un
cofanetto ovale anch'essi doni del santo. I contenitori provengono da
botteghe artigianali islamiche che operavano a quel tempo in Sicilia.
Questi oggetti sono oggi conservati presso la Chiesa di Sant'Ugo.
Nei pressi della chiesa ha inizio via Bellini che conduce a
Piazza Pirandello e quindi in via Scandurra. Da qui una scalinata ci porta
in Piazza Duomo dove sorge la Chiesa Madre, costruita a partire dal
XV secolo. La facciata tardo rinascimentale si presenta imponente ed
impreziosita da cappellette e capitelli marmorei. Nella chiesa, il grande
colonnato rappresenta una summa della perizia tecnica nella lavorazione
della pietra degli artigiani locali. L'interno è caratterizzato da un
insieme notevole di opere d'arte tra cui i dodici altari marmorei, il
Battistero, costituito da una grande acquasantiera in marmo. Pregiato è
anche l'arredo della sagrestia, in citi spiccano un lavabo in marmo, un
mobilio in legno del XVIII secolo ed una Tavola dell'Annunciazione
databile intorno al XVI sec.. Nell' abside, a far bella mostra di sé, un
coro ligneo del XVIII sec. riccamente intarsiato e le tele raffiguranti
Santa Venera, la Vergine del Rosario, San Michele, e una Tela dell'Assunta
di Giuseppe Russo (1805). Altrettanto ricche di preziosi dipinti le
Cappelle di Sant'Anna, del Crocifisso e della Madonna in cui domina la
statua della Vergine Assunta opera del 1764, eseguita dallo scultore
napoletano Colicci. Nella Cappella del Sacramento opere in marmo e
sculture si accompagnano a tre altari in marmo rosso cipollino. Sotto la
Cappella, una cripta, purtroppo inaccessibile, conserva mummie di alcuni
prelati locali. Proseguendo per via Duomo sì giunge nuovamente in via
Nazionale dove, sulla destra, si incontra la Chiesa dell'Annunziata,
edificata nel XVI secolo ed inaccessibile a causa di un recente crollo
del soffitto.
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Il centro storico è
secondo un impianto urbanistico medievale ancora praticamente intatto
con la classica disposizione del paese a presepe. Caratteristica di
questo disegno urbano è l'alternarsi e l'incrociarsi di stradine,
saliscendi, e ripide scalinate, a creare un vero e proprio dedalo di
grande impatto visivo.
L'edificio, a tre navate contiene, nella nicchia sovrastante
l'altare maggiore, il gruppo gaginesco dedicato all'Annunciazione
realizzato nel XVI sec. In prossimità della chiesa vi è una fontana della
fine del secolo scorso arricchita dallo stemma marmoreo della città dì
Novara. Risalendo da via La Marmora si raggiunge l'ex Convento dei
Cistercensi, oggi Orfanotrofio Antoniano, accanto a cui vi è una
chiesa ad unica navata. La struttura odierna è quanto resta della vecchia
Abbazia Cistercense. All'interno dell'edificio, ormai estremamente
degradata, restano il corpo di Sant'Ugo ed alcuni oggetti di sua
proprietà, un paio di guanti, un fazzoletto di seta ed un'anfora. Queste
reliquie vengono portate in processione insieme al corpo del santo sulla
'Vara" in legno, conservata nella stessa chiesa, il giorno della festa
dell'Assunta, il 16 agosto. Sempre all'interno, la chiesa conserva il
reliquiario, un insieme di piccole nicchie elegantemente arricchite da
rilievi artistici. Altri interessanti edifici religiosi del paese sono,
San Nicolò, chiesa secentesca ad unica navata con una torre campanaria
del 1656 cui si accede attraverso una bella scalinata di 33 gradini e
San Giovanni piccolo edificio posto dinanzi al Duomo, di cui resta
solo la facciata ed oggi adibito a Ufficio Turistico. Di grande interesse
la Chiesa dì sant'Antonio Abate, la cui costruzione, lunghissima,
fu iniziata intorno alla metà del XVI sec. e terminata nel 1766.
Caratterizzata da un bel portale in stile normanno, la chiesa è a tre
navate che racchiudono opere di buona fattura come, nella navata destra
due bei dipinti raffiguranti la Madonna di Tindari e il martirio di San
Bartolomeo. A sinistra, un quadro raffigura la discesa dello Spirito
Santo, mentre, in Sagrestia, si trova un piccolo fonte del XVI sec.
Pregevolissimo è l'organo a canne opera di Antonio Rizzo Messinese,
fabbricato nel 1848.
La festa dell’Assunta, a Novara di Sicília, è
un'occasione in cui si evidenzia il legame profondo tra le genti del luogo
con le proprie tradizioni. Il Pitrè ce ne propone una straordinaria
descrizione così come la manifestazione si svolgeva nel secolo scorso
La festa e la memoria
I
festeggiamenti e la devozione dei Novaresi per l'Assunta sono
Particolarmente sentiti anche perché trovano radici profonde nella storia
dei secoli passati. Questa forte tradizione pare infatti sia stata
introdotta dai Normanni che elessero l’Assunta a loro protettrice insieme
a San Giorgio.
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Scorcio di Novara che mostra come in paese siano
sopravvissuti alla forza disgregatrice del tempo le ricche
testimonianze della perizia architettonica con cui il paese prese a
fiorire in epoca medievale.
La ricorrenza cade il 15 di agosto rendendo il “Mezz'agosto novarese” particolarmente singolare per le manifestazioni che si svolgono
senza sosta dal giorno 14 al 16. Soprattutto in passato, come ci racconta
il Pitrè, questo era un atteso periodo di divertimento, di balli,
occasione di incontri, momento di spensieratezza ma anche di preghiere, di
insolite processioni, durante le quali alcuni "segni" erano importanti
presagi di sventure o prosperità per l'anno seguente. “IL festino di
mezz’agosto”, nella sua versione originale, con la processione con sedici
statue, con danze dappertutto, è stata abolito da un decreto canonico
degli anni '40. Tuttavia resta ancora un importante momento per i devoti
novaresi tanto che anche gli emigrati approfittano per far rientro in
paese. La processione si è ridimensionata ma, al pranzo di mezzagosto, si
può gustare ancora, secondo l'antica tradizione, la “pasta n’casciada”
condita con sugo, polpette, melanzane fritte e formaggio. Ma lasciamo
spazio alla narrazione del Pitrè. “Il festino di Novara principia il 14 e
finisce il 16 Agosto, ed è, dicono i Novaresi, il più pomposo tra quelli
della provincia di Messina. E dicono bene: perchè una festa nella quale si
mettano fuori quindici statue per fare onore a quella della Madonna
Assunta, protettrice della città, non è comune, e nel Messinese è unica.
La sera del 14 eccole quelle statue, una dopo l'altra, venire dalle
rispettive loro chiese al Duomo, sede dell'Assunta, per prendere il posto
già designato dalle consuetudini e dal grado. Le accompagnano i devoti e
quelle congreghe nei loro sacchi da babbaluci o, come in dialetto comune
si chiamano, babbuini, con lumi accesi, ed a suoni di tamburi o di bande.
Lì i santi non ci vanno per nulla. Dovendosi cantare i vespri solenni,
bisogna che rendano omaggio alla Madre di Dio con la loro presenza e
crescano lo splendore della illuminazione essendo illuminate anch'esse. Il
domani sera, secondo la loro gerarchia ed anche la antichità della chiesa,
prendon parte alla processione, andando tutte innanzi la Madonna.
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Una delle tradizioni più forti e meglio conservate di
Novara di Sicilia è quella della lavorazione della pietra ad opera
degli abili scalpellini locali. La perizia di queste maestranze affonda
le sue radici nel passato divenendo talmente raffinata da rendere
celebri in tutto il mondo gli scalpellini novaresi, grazie soprattutto
alla scuola dei Buemi, che fece raggiungere il massimo della
perfezione a questa arte tra l'800 e i primi del '900.
Ed ecco,
come vengono, S. Rocco, S. Gregorio, S. Sebastiano, S. Francesco d'Assisi,
S. ta Rosalia, S. Antonio (forse S. Antonio Abate), S. ta Caterina, S.
Francesco di Paola, S. Antonio di Padova, S. Marco, S. Giorgio, S.
Filippo, S. Michele Arcangelo, S. Giuseppe. Tutti hanno qualche distintivo
sia della loro vita, sia della loro morte. Ecco l'Assunta, una commovente
figura, che richiama, dicono, alla “Fiducia in Dio” del Bartolini. Dita,
braccia, cariche, sovraccariche di anelli e di braccialetti; dal collo le
pendono collane di corallo, di perle, di granatina, e sospeso ad una
catenella d'oro un cuore di grandezza naturale, tutto in oro massiccio.
Tante gioie sono ex‑voto dei fedeli. Così ordinate percorrono la città e
si fermano a semicerchio innanzi la chiesa di S. Ugo, patrono anche lui di
Novara, la cui statua, dopo una fermata nella quale sono state cantate le
litanie, si unisce alle altre, pigliando il posto d'onore tra S.
Giuseppe, che deve cedergli quello immediatamente prima della Madonna, e
la Madonna stessa. Nè c'è da accampar diritti di gerarchia, perchè in
faccia al santo o alla santa patrona ogni diritto cede. Difatti, nella
processione del 16, la statua di Maria s'è ritirata; ma quella di S. Ugo
ha il diritto del primato, che, trattandosi appunto di processione, si
traduce nel privilegio di venire ultima tra tutte le statue. L'assenza di
Maria è subito avvertita, perchè i trasportatori delle immagini non
conservano più l'ordine e la dignità della sera precedente, ed è gran che
se accompagnano fino alla chiesa maggiore S. Ugo, che, non buono a farsi
tenere nel debito conto dai devoti degli altri santi, si rassegna agli
otto giorni di villeggiatura che gli regalano in quella chiesa per tornare
poi alla sua. Ma prima dì lasciare l'Assunta fermiamoci un poco a
guardare la macchina nel momento in cui la sua presenza deve benedire
popolo e città. Guardiamo bene tutte le torcie sulle quali essa torreggia.
Guardiamo bene che esse siano accese tutte fino a una; perchè, se esse,
Dio non voglia, giungono spente, non v'è malanno pubblico che non possa
cogliere la città: come se una metà soltanto giungono accese, mediocre
sarà il raccolto e lievi le sventure. Non si è dimenticato ancora che la
rivoluzione del 1848 fu preceduta da impetuoso vento il 15 Agosto 1847, il
quale spense tutti i lumi della Madonna; non si è dimenticato che il buio
al quale si ridusse la bara nel 1853 precedette il colera dell'anno
seguente; nè si dimentica che quando nel 1879 la Madonna rientrò senza una
sola torcia accesa, ai primi di Gennaio del 1880 incominciarono quelle
dirotte piogge che per un mese devastarono il territorio, anzi la
provincia tutta. Ma per buona ventura, mentre l'ansia è crudele, ed il
fervore della preghiera raggiunge il parossismo, la Madonna splende
innanzi a tutti i suoi lumi accesi, e mentre con moto celerissimo vien
messa dentro, una voce tuona; Viva!... Viva la nostra Santa Prutittrici!
E' la voce dei devoti, sicuri del raccolto dell'anno venturo. E tornando a Sant'Ugo, giova sapere chi sia questo santo che associa il suo
protettorato a quello della Madonna. Mi soccorre anche qui il benevolo
corrispondente che mi ha apprestate le precedenti note. Storia e
tradizione dicono che nel sec. XII, dopo che S. Bernardo da Chiaravalle
riuscì a pacificare Papa Innocenzo III con Ruggero il Normanno, re di
Sicilia, al primo fondarsi del monastero di S. ta Maria di Novara
Vallebona (1137‑1166), oggi Badia vecchia, ne fu primo abate un discepolo
di esso S. Bernardo, Ugo, cistercense, uomo di vita illibata, la cui morte
(17 Nov. 1230) fu pianta come quella di un santo, e la cui intercessione,
presso Dio, di grazie a favore dei devoti novaresi non parve per un solo
istante dubbia. Beatificato nel 1664, divenne compatrono di Novara, dove,
reliquie venerate, si serbano il corpo, una pezzuola di filo con la
iscrizione a punti d'ago: Non cesso, non cessavi, nec cessabo orare pro
te, mandato, mandato, secondo la tradizione, al Santo dalla sorella,
dalla Francia, ed un paio di guanti di lana finissima, dei quali servivasi
come abate nelle solenni funzioni sacre. Come protettore egli fa o impetra
tutti i beni possibili alla sua patria di affetto; e se per poco la
siccità minaccia il prodotto dei campi, il trasporto del corpo di lui
dalla chiesa attuale a quella di Vallebona, suo antico monastero, basta ad
affrettare la pioggia.
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Un momento della processione in occasione della festa
dell'Assunta. La festa si svolge dal 14 al 16 agosto con la processione
a seguito della preziosa Vara dell'Assunta accompagnata da una folla
festante di fedeli, molti dei quali, emigrati in terre lontane, fanno
rientro alla propria città natale approfittando del periodo favorevole
delle ferie estive per partecipare a questo tradizionale appuntamento
religioso.
In mezzo agli inevitabili costumi di fiere,
mercati, musiche, fuochi, non può sfuggire quello singolare del ballo
pubblico. Non v'è strada, non piazza, non casa dove non si balli. In quei
giorni i sonatori di violini, di flauti, di organetti della provincia e
delle province vicine tutti convengon lì d'ogni paese. E contadini,
operai, ballano di giorno, di sera, uomini con uomini, donne con donne,
donne con uomini. Un dilettante di rettorica o un arcade di facili
trasporti potrebbe rimanere preso dalla vista di quelle contadinotte dai
costumi pittoreschi, dalle guance rubiconde, dai capelli folti e
nerissimi, che non si stancano dal prender parte all'insolito e lungamente
atteso divertimento col promesso, col cugino, con l'amico; e dalla mimica
ond'esse accompagnano il giuoco lieto e gradito. Non gli togliamo la
poetica illusione e limitiamoci a percorrere le vie principali guardando
sempre, senza fermarci mai, centinaia di gruppi di ballerini, che pur di
ballare e ballare spendono di cinque in cinque minuti i due soldi che sono
l'ordinario prezzo di ciascuna sonata. La mezzanotte del 16 è sonata; è
già l'alba del 17 e i Novaresi ballano ancora!"
Alla ricerca di antiche radici tra storia e natura
Novara di
Sicilia è collocata in un'area di grandi suggestioni ambientali,
caratterizzata dalla presenza di numerose testimonianze di insediamenti
umani, che vanno dalle “mandre”, “grange” o “cube”, edifici religiosi di
età bizantina, sino alle chiese più recenti e ad importanti resti di
antropismi di epoche molto antiche. Nelle immediate vicinanze del paese, a
circa 2 km, dal centro cittadino, sorge la Chiesa di Santa Maria di
Noara, edificio religioso risalente al XII sec. e recentemente
restaurato. La chiesa era un tempo dedicata all’Annunziata e costituiva
parte integrante dell'antico Monastero Cistercense, la cui edificazione fu
iniziata a partire dal 1137. Chiesa dai due volti perché nella stessa
struttura convivono l'originaria forma di antico cenobio estremamente
sobrio con strette finestrelle ad arco che ricordano le feritoie tipiche
di alcuni edifici medievali, e la più recente estetica del rifacimento
risalente al secolo scorso.
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La Giara, uno dei cimeli che la tradizione vuole essere
appartenuto a Sant'Ugo. La Giara era un tempo conservata presso il
Monastero di Badia Vecchia e fu trasferita nel 1659, insieme ad altri
importanti reperti, nella Chiesa di Sant'Ugo.
Intorno alla chiesetta un piccolo villaggio
nel quale è ancora possibile ritrovare i segni dell'antico monastero.
Chiusa al culto e abbandonata da tempo, anch’essa nei pressi di Novara,
sorge la piccola Chiesa di Santa Barbara, ad unica navata.
Dall'aspetto semplice, tipico delle strutture religiose rurali, la
chiesa mostra al suo interno un quadro ed una statuetta dedicati alla
Titolare ed una statua di Sant’Antonio da Padova. Oggetto di pellegrinaggi
frequenti è invece la Cappelletta del SS. Salvatore, che
si trova in direzione della piccola frazione di San Basilio. La
costruzione ha una facciata particolarmente elegante arricchita da fregi
in Pietra arenaria e costituiva una delle soste della Via Crucis, il cui
percorso era tracciato da altre 14 cappellette in gran parte scomparse.
Importanti insediamenti preistorici sono stati rinvenuti nella
zona, in particolare in contrada Sperlinga, presso San
Basilio, dove sono i resti di una Stazione mesolitica, unici in Sicilia,
insieme a quelli della Grotta di Corrugi di Pachino. Tracce di un
insediamento bizantino e dell'antico abitato arabo sono invece visibili ai
piedi della Rocca Salvatesta. Da queste parti si mostrano anche le
vestigia di quel particolare stile architettonico, caratterizzante l'area
ed un intero periodo storico, che fu delle grange basiliane. Queste
particolari costruzioni religiose, spesso abbarbicate su vette scoscese,
si aprono sui panorami mozzafiato del Tirreno, delle sue isole e della
Calabria, a nord, e dello Jonio, ad est. La presenza di questi
insediamenti basiliani risale al periodo compreso tra i secoli VI e IX,
allorquando ebbe inizio il processo di evangelizzazione del Valdemone ad
opera dei monaci che venivano da oriente. Nel periodo successivo ai loro
primi insediamenti i monaci furono cacciati dagli invasori Arabi e poi
reintegrati dai Normanni intorno all'XI sec. Essi svolsero un'attività
intensa che si protrasse sino al 1500. Le vestigia di questi insediamenti
ci mostrano un impianto architettonico unico ed irripetibile, perfetta
sintesi degli stili bizantino, arabo e normanno. Le posizioni strategiche
in cui molli edifici religiosi erano collocati, suggerirono ai Normanni la
loro fortificazione e la nascita di vere e proprie chiese‑fortezze. A
molti di questi piccoli impianti rurali si univano complessi edifici
composti di unità abitative e lavorative formando delle unità giuridico
religiose in cui si svolgevano attività artigianali ed agro‑pastorali e
dove si studiava e pregava intensamente. Il territorio di Novara è
inserito nel complesso montuoso dei Peloritani. Dal punto di vista
geografico questi monti nascono sopra Capo Peloro, nel messinese, in
prossimità dell'estrema punta nord‑orientale della Sicilia, dirigendosi in
direzione sud‑ovest verso la Rocca di Novara, il cosiddetto “Cervino della
Sicilia”, con i suoi 1340 m, s.l.m., che ne segna il confine più basso.
L'intero massiccio montuoso può essere considerato la continuazione
naturale degli Appennini, avendo in comune con questi numerose
caratteristiche orogeneticbe, tra cui la presenza di gneiss, scisti varie
e i grigi ciottoli delle ampie e profonde “fiumare”. La conformazione
delle creste montuose è però diversa essendo quelle peloritane più
taglienti e meno elevate. Percorrendo le vecchie strade militari che
attraversano tutta la catena montuosa sì possono osservare gli angoli più
incantevoli di questi monti. La grande panoramicità dì questi tracciati,
lungo i quali si aprono alcuni tra gli scorci più straordinari di Sicilia,
consente di riscoprire gli angoli più nascosti ed interessanti della zona.
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Vara di Sant'Ugo, oggi
conservata presso l'edificio religioso dedicato al Santo.
Non è diffíci1e raggiungere le vette più alte di questi monti per
lasciarsi incantare dai paesaggi che dominano: provate ad esempio ad
affacciarvi dalla vetta di Monte Scuderi (1253 m.), sul versante jonico,
o dal Monte Poverello (1279 m.), cuore del sistema montuoso, o, ancora
dalla Rocca di Novara. La catena montuosa offre, nel suo complesso,
un'immagine inedita della Sicilia, fatta di paesaggi alpini, tra boschi,
torrenti e laghetti, ricchi di una particolarissima flora e di una fauna
residua. Da queste parti cresce spontaneo il Pino domestico, indigeno
soltanto in alcune zone della Sardegna, della Spagna e in poche altre del
bacino del Mediterraneo. Nel paesaggio montano si alternano vette ardite
e boschi lussureggianti. Tra questi vi è la Pineta di Mandrazzí,
nella quale sgorga una fresca sorgente tra pini e ginestre. Da Portella
Mandrazzi si gode una fantastica veduta dell'Etna. In generale l'ambiente
peloritano è caratterizzato da una ricchissima vegetazione che assume
connotazioni diverse in relazione alla varietà dei suoli e all'altitudine.
Sono quindi identificabili tre diverse facies vegetazionali: quella dei
boschi misti, della vegetazione a macchia e i pascoli montani. Alle quote
più alte predominano pinete e faggete, più in basso cerrete e quercete.
Nel sottobosco, ottimi ed abbondanti, i funghi. In questi luoghi trova
un'ambiente adatto un'interessante fauna composta, tra l'altro, dal Gatto
selvatico, la Martora, l’Aquila reale, la Poiana, il Nibbio, lo Sparviero
e, dai più comuni, Volpe, lepri, conigli e testuggini.
Arte, cultura e tradizione a Novara di Sicilia
Per quanto
riguarda le tradizioni di carattere religioso, è da ricordare, oltre alla
festa dell'Assunta, quella di Sant’Antonio Abate che risale ai primi anni
del '600 e si celebra il 17 gennaio preceduta da un periodo di
preparazione, la `Settena', introdotta nel 1844. Anche in questa occasione
i Novaresi offrono inni, preghiere e i ceri accesi. Alla vigilia della
festa è antica usanza portare in omaggio al Santo un pezzo di tronco che
servirà, insieme agli altri, ad alimentare un grande fuoco ai piedi della
torre campanaria dell'omonima chiesa. A parte le festività religiose è da
ricordare la Sagra del Maiorchino. Il tutto si ritiene ebbe Inizio nel
primo trentennio del '600, quando già veniva praticato il gioco della "maiorchina".
Tale gioco consiste nel lanciare lungo il percorso che va dalla Matrice al
Piano Don Micbele, una forma di cacio mediante un laccio ad essa
attorcigliato.
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Elegante incensiere in legno di Sant'Ugo, oggi
conservato presso l'edificio religioso dedicato al Santo.
Il peso del maiorchino (pecorino stagionato) oscilla tra
i dieci e i 12 kg, ha uno spessore di circa 12 cm. ed un diametro di 35.
Il giocatore che con meno lanci supera il traguardo è il vincitore e potrà
portarsi a casa il cacio. Questo gioco popolare si svolge nei pomeriggi
della settimana di Carnevale e nell'ultimo giorno si svolge anche la 'Maccherronata",
la preparazione della ricotta secondo l'antico metodo usato dai pastori.
Tra le attività artigianali più tipiche del paese vi è senz’altro la
lavorazione della pietra. Talmente centrale nella vita sociale di Novara
era quest’attività, da far assurgere i “mastri” ad una classe sociale tra
le più rispettate del luogo. Abili maestranze si occupavano della
lavorazione del legno. Venivano così, sfruttate al meglio le prerogative
del posto, ricco di cave di pietra pregiata e di boschi. Di particolare
rilievo anche le pratiche di filatura del lino e della seta di stretta
prerogativa femminile. A sorreggere tutte le attività artigianali vi era
una sorta di florido indotto per la produzione degli utensili necessari
alle maestranze per il proprio lavoro. La gran parte di questi antichi
mestieri è ormai sparita, ma resiste il lavoro degli “scalpellini” che
ancor oggi lavorano la pietra con rara maestria. La gastronomia novarese è
caratterizzata dall'esercizio di una panificazione in cui veniva esaltata
la capacità di economizzare delle donne del luogo, che riuscivano ad
utilizzare anche gli avanzi dell’impasto con i quali preparavano squisite
pietanze: i "mulligò", conditi con sugo di maiali; i “turtò”, frittelle
condite con sale o zuccbero; la “gostella”,.farcita con carne di maiale
etc. Numerosi e gustosissimi i piatti con alla base la carne di maiale.
Squisiti gli insaccati ed i formaggi (il caratteristico “maiorchino”). Con
la farina di mais si fa la polenta frammista a finocchi selvatici e
salsiccia, e, caratteristico del giorno di Santa Lucia, i “lempi e troni”
(lampi e tuoni) a base di granoturco fagioli, lenticchie e grano, bolliti
e conditi. Ottimi i dolci tra quali il “risu niru” di nocciole tostate,
cacao e caffè e vari aromi. (tipico deI Natale); i cassatelli con fichi
secchi, miele, cannella nocciole,‑ i “paummi”, tipici della Pasqua fatti
con pasta frolla sulle quali vengano sistemate le uova colorate; "i ijditi
d'aposturu" (dita d'apostolo), cannoli con la pasta ricoperta di glassa e
ripieni di ricotta.
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