ITALIA DA SCOPRIRE
 Novara di Sicilia
  a cura di Giovanni Carbone


L
'antica città del frumento

All'ombra della Rocca Salvatesta

La festa e la memoria

Alla ricerca di antiche radici tra storia e natura

Arte, cultura e tradizione a Novara di Sicilia


Un luogo dall'alto valore strategico e circondato da fertili terre, ricche di frumento che valsero all'antico centro il nome sicano di Noa, il cui significato è, per l'appunto, maggese

L’antica città del frumento

Una veduta di Novara di Sicilia come
appare dai ruderi del Castello che la domina
Forse la maggior legittimazione del suo essere, Novara dì Sicilia la deve alla sua posizione. Il paese è infatti strategica porta d'accesso a dominare i Peloritani e, quindi, un paesaggio molto più ampio, che si estende, a nord, verso il Tirreno, le isole Eolie e lo stretto di Messina giungendo sino alla Calabria; a sud, dalla sua alta rocca (la Rocca Malatesta, 1340 m. s.l.m.) è possibile prolungare lo sguardo verso le cime innevate dell'Etna e, ad est verso le coste dello jonio. Novara, quindi, come punto di osservazione per scorgere immediatamente chi, da nord, raggiungeva le coste siciliane, ma anche luogo felicemente favorito dall'ambiente naturale dei Peloritani di cui il paese rappresenta l'ingresso a sud‑ovest. Circondata da terre fertili, capaci di regalare ai suoi abitanti ricche messi di frumento, ricevette il suo primo nome proprio da questa prerogativa: Noa, il nome originale del paese, è un vocabolo di origine Sìcana che vuoI dire, appunto, maggese. Degli abbondanti raccolti di questi cereali poterono godere i primi colonizzatori greci che dovettero cedere successivamente il paese ai dominatori Romani che, a loro volta, ne fecero, dapprima città censoria, quindi stipendiaria. Prima di allora il sito era legato ad antropismi che risalgono alla preistoria, di cui evidenti tracce sono ancora presenti nelle contrade di Casalini e di Sperlinga.
Uno scorcio del centro storico
Proprio in contrada Casalini e nella vicina Cittadella sorgeva l'antico centro sicano di Noa. Le testimonianze della presenza di un centro abitato nella zona si perdono sino all'invasione araba. In effetti, è abbastanza probabile che il luogo subì la stessa disastrosa sorte di altri centri non lontani, come Tindari, distrutta dal terribile sisma che si verificò tra il 24 e il 79 d.C.. Tutto il territorio nei dintorni del paese, fu interessato dal vasto movimento monastico bizantino che riguardò, più in generale, gran parte della Sicilia facendo sorgere un po' ovunque ‑ i dintorni di Novara rappresentarono in quell'epoca uno dei centri nevralgici del culto greco ‑ edifici religiosi, le "grange" o "cube". Queste strutture venivano edificate, normalmente, in punti di alto valore strategico al riparo dalle incursioni nemiche e a controllo dei passi, divenendo, ben presto, luoghi di attrazione per numerose attività, non solo religiose ma anche lavorative, in particolare riguardanti la vita nei campi e tutte le attività artigianali a questa connesse. In epoche successive, sotto il dominio arabo‑normanno, il paese modificò il sito nome in Nouah, spostando il suo cuore verso il Castello, robusta costruzione nata per meglio presidiare il territorio. La dislocazione esatta del paese è, in questa complessa fase storica, piuttosto controversa. In realtà è abbastanza probabile che vi fosse una doppia entità urbana: una ancora controllata dai bizantini e posta più a valle, in cui l'evoluzione dell'antico sito di Noa continuava privilegiando, oltre al particolare culto religioso dei suoi abitanti, anche le attività agro‑pastorali; l'altra città, Nouah, era invece abitata dagli Arabi, più attenti proprio alle peculiarità strategico‑militari del sito, naturalmente fortificato e, più in là di un paio di secoli, reso ancor più efficace nell'impianto difensivo dall'edificazione della fortezza. L'avvento dei Normanni non modificò di molto il duplice volto della città. Nouah fu popolata dai coloni Lombardi, giunti in Sicilia richiamati da Re Ruggero.
Il centro di Novara di Sicilia si mostra in tutta la sua eleganza e con il suo carico di suggestioni antiche in ogni suo anfratto
Ai coloni Lombardi furono assegnate molte terre dai sovrani dell'epoca con il duplice obiettivo di porre un argine alla ritirata degli Arabi verso l'interno della Sicilia dopo la sconfitta inflitta loro dai dominatori Normanni, e di contrastare le spinte eversive della feudalità. La presenza di questi popoli provenienti dal nord‑Italia ha lasciato a Novara di Sicilia un interessante retaggio nel particolare idioma parlato dalla gente del luogo, quel gallo‑italico simile a quello di altre colonie lombardo‑siciliane come Mistretta, Piazza Armerina o San Fratello. I lombardi, nel periodo tra il 1061 e il 1071, contribuirono a creare i presupposti per l'unificazione della città costruendo il nucleo originario della moderna Novara. Contemporaneamente, la vecchia Noa, fedele al culto greco, e nel quale erano le chiese con i relativi cleri di San Basilio, San Giacomo e San Nicola, fu invece popolata dai Cistercensi. Nel 1195 la città e il territorio che la circondava furono dichiarate demaniali e quindi di diretta competenza dei sovrani. Sul finire del XIII secolo signore del posto fu Ruggero di Lauria, cui subentrò Matteo Polizzi, la cui famiglia detenne il controllo della zona pressoché senza soluzione di continuità sino al 1353, provvedendo, fra l'altro, alla edificazione del castello, i cui ruderi sono ancora evidenti. Con la definitiva edificazione della fortezza si definì anche l'asse di sviluppo urbanistico della città, che si prolungava in direzione Sud‑Ovest sulla direttrice che congiungeva la porta occidentale del castello con il piano sottostante, più o meno coincidente con l'attuale Piazza Duomo. Tale direttrice era rappresentata dal "passitto" (piccolo passo, stretto passaggio), attorno al quale si sarebbe delineato l'impianto urbanistico della città medievale, ampliato con il prolungamento dell'asse primitivo.
Una bella fontana in cui appare evidente l'abile lavoro di intarsio della pietra delle maestranze novaresi che hanno arricchito il già elegante aspetto con lo stemma della cittadina peloritana
L'impianto sarebbe durato, con poche modifiche, sino al XVI secolo, allorché l'ampliamento e la rotazione della pianta del Duomo e l'edificazione della chiesa dell'Annunziata, contribuirono a spostare il baricentro cittadino. Da questo momento in poi, Novara è interessata da un grande fermento sociale e culturale testimoniato inequivocabilmente, e sino al XIX secolo, da una frenetica attività di edificazione di edifici civili e religiosi cui si accompagnavano intelligenti interventi di riordino e razionalizzazione dell'impianto viario.


Senza dubbio il simbolo di Novara di Sicilia, la Rocca Salvatesta domina un paese in cui ogni angolo è capace di catapultarci, come una macchina del tempo, in un passato fatto di leggende e di storie emozionanti.

All'ombra della Rocca Salvatesta

Sorge Novara, e nei secoli successivi alla dominazione araba si estende, all'ombra della possente e rassicurante mole della Rocca Salvatesta. La fortezza, nata in cima all'alto picco, straordinaria sintesi di natura ed architettura, gioco forza ha finito per divenire il simbolo più importante della cittadina peloritana, ed anche l'elemento di maggior attrazione, con il suo contributo di storia e ricordi. La sua maestosa presenza, avvertibile da ogni luogo, riesce a comunicare una suggestione antica e talvolta mistica, sia al viaggiatore occasionale, sia al turista più attento. Attraverso la Rocca è possibile lanciare uno sguardo attento in un passato remoto e immaginare che sia una magica macchina del tempo, opera dell'ingegno di abili artigiani e di alchimisti, il cui genio è sopravvissuto alla degenerazione temporale. Poi, colti da un lucido delirio adimensionale, potremmo stupirci nel vedere aggirarsi tra i ruderi dell'antica fortezza, le figure agili ed esili dei suoi abitanti di un tempo. Novara di Sicilia è questo, ma non solo.

Elegante finestrella che testimonia come i novaresi abbiano conservato intatto l'amore per la propria terra riservando questa passione in una ricercatezza estetica nella cura delle proprie case e contribuendo, quindi, ad ingentilire il prezioso centro storico
Ogni angolo del paese ci restituisce intatto il valore della storia, la ricomposizione della memoria, e non è facile distogliere lo sguardo dalle abili mani di artigiani che scolpiscono la pietra, attribuendo ad essa forme eleganti. Sculture preziose che in un qualsiasi momento ci aspettiamo che si animino, venendoci incontro e raccontandoci di leggende antiche, in una lingua che non riusciamo a collocare negli idiomi tipici della Sicilia. Una lingua fatta di accenti nordici, priva di spigolature e più simile a quella di un cantastorie medievale che ha composto i suoi versi in un luogo lontano nel tempo e nello spazio. Alla ricerca di queste sensazioni rechiamoci in paese ed iniziamo a scoprirlo percorrendo la principale arteria della cittadina, via Nazionale, dal lato della S.S. 185. Sulla destra di questa via è subito via Santa Maria che ci conduce al Palazzo Comunale, un tempo oratorio di San Filippo Neri. Dinnanzi all'ingresso dell'edificio, fondato nel 1610, una preziosa fontana del XVII secolo. Più avanti si giunge alla Chiesa di San Giorgio, risalente al XVII secolo e recentemente restaurata e, per questo, fruibile in tutto il suo splendore. L'edificio religioso, posto in fondo alla valle ai piedi della rupe su cui sorgono i resti dell'antico castello normanno, è a tre navate con un elegante colonnato composto da 12 colonne in stile corinzio, sormontate da archi a tutto sesto. Vi si accede attraverso i tre portali della facciata principale impreziositi da colonne che sorreggono l'architrave, sormontato da un timpano ed una finestra. Il soffitto ligneo della navata centrale è stato rifatto da un'abile artigiano locale, Carmelo Alula, sul modello dell'originale. All'interno, l'abside è arricchita da quattro nicchie contenenti statue in stucco raffiguranti i Santi Giovanni da Facondo, Tommaso da Villanova, Gelasio e Guglielmo. In stile tardo barocco due ricchissimi altari posti nelle navate laterali nel secolo scorso.
Cofanetto in avorio, rinvenuto nella Chiesa di santa Maria La Noara e che, secondo la tradizione, è stato portato in paese da Sant'Ugo intorno al 1140. Il suo pregevole intarsio lo rende particolarmente prezioso. Insieme ad esso,  si trovano anche uno scrigno cilindrico in legno ed un cofanetto ovale anch'essi doni del santo. I contenitori provengono da botteghe artigianali islamiche che operavano a quel tempo in Sicilia. Questi oggetti sono oggi conservati presso la Chiesa di Sant'Ugo.   
Nei pressi della chiesa ha inizio via Bellini che conduce a Piazza Pirandello e quindi in via Scandurra. Da qui una scalinata ci porta in Piazza Duomo dove sorge la Chiesa Madre, costruita a partire dal XV secolo. La facciata tardo rinascimentale si presenta imponente ed impreziosita da cappellette e capitelli marmorei. Nella chiesa, il grande colonnato rappresenta una summa della perizia tecnica nella lavorazione della pietra degli artigiani locali. L'interno è caratterizzato da un insieme notevole di opere d'arte tra cui i dodici altari marmorei, il Battistero, costituito da una grande acquasantiera in marmo. Pregiato è anche l'arredo della sagrestia, in citi spiccano un lavabo in marmo, un mobilio in legno del XVIII secolo ed una Tavola dell'Annunciazione databile intorno al XVI sec.. Nell' abside, a far bella mostra di sé, un coro ligneo del XVIII sec. riccamente intarsiato e le tele raffiguranti Santa Venera, la Vergine del Rosario, San Michele, e una Tela dell'Assunta di Giuseppe Russo (1805). Altrettanto ricche di preziosi dipinti le Cappelle di Sant'Anna, del Crocifisso e della Madonna in cui domina la statua della Vergine Assunta opera del 1764, eseguita dallo scultore napoletano Colicci. Nella Cappella del Sacramento opere in marmo e sculture si accompagnano a tre altari in marmo rosso cipollino. Sotto la Cappella, una cripta, purtroppo inaccessibile, conserva mummie di alcuni prelati locali. Proseguendo per via Duomo sì giunge nuovamente in via Nazionale dove, sulla destra, si incontra la Chiesa dell'Annunziata, edificata nel XVI secolo ed inaccessibile a causa di un recente crollo del soffitto.
Il centro storico è secondo un impianto urbanistico medievale ancora praticamente intatto con la classica disposizione del paese a presepe. Caratteristica di questo disegno urbano è l'alternarsi e l'incrociarsi di stradine, saliscendi, e ripide scalinate, a creare un vero e proprio dedalo di grande impatto visivo.  
L'edificio, a tre navate contiene, nella nicchia sovrastante l'altare maggiore, il gruppo gaginesco dedicato all'Annunciazione realizzato nel XVI sec. In prossimità della chiesa vi è una fontana della fine del secolo scorso arricchita dallo stemma marmoreo della città dì Novara. Risalendo da via La Marmora si raggiunge l'ex Convento dei Cistercensi, oggi Orfanotrofio Antoniano, accanto a cui vi è una chiesa ad unica navata. La struttura odierna è quanto resta della vecchia Abbazia Cistercense. All'interno dell'edificio, ormai estremamente degradata, restano il corpo di Sant'Ugo ed alcuni oggetti di sua proprietà, un paio di guanti, un fazzoletto di seta ed un'anfora. Queste reliquie vengono portate in processione insieme al corpo del santo sulla 'Vara" in legno, conservata nella stessa chiesa, il giorno della festa dell'Assunta, il 16 agosto. Sempre all'interno, la chiesa conserva il reliquiario, un insieme di piccole nicchie elegantemente arricchite da rilievi artistici. Altri interessanti edifici religiosi del paese sono, San Nicolò, chiesa secentesca ad unica navata con una torre campanaria del 1656 cui si accede attraverso una bella scalinata di 33 gradini e San Giovanni piccolo edificio posto dinanzi al Duomo, di cui resta solo la facciata ed oggi adibito a Ufficio Turistico. Di grande interesse la Chiesa dì sant'Antonio Abate, la cui costruzione, lunghissima, fu iniziata intorno alla metà del XVI sec. e terminata nel 1766. Caratterizzata da un bel portale in stile normanno, la chiesa è a tre navate che racchiudono opere di buona fattura come, nella navata destra due bei dipinti raffiguranti la Madonna di Tindari e il martirio di San Bartolomeo. A sinistra, un quadro raffigura la discesa dello Spirito Santo, mentre, in Sagrestia, si trova un piccolo fonte del XVI sec. Pregevolissimo è l'organo a canne opera di Antonio Rizzo Messinese, fabbricato nel 1848.


La festa dell’Assunta, a Novara di Sicília, è un'occasione in cui si evidenzia il legame profondo tra le genti del luogo con le proprie tradizioni. Il Pitrè ce ne propone una straordinaria descrizione così come la manifestazione si svolgeva nel secolo scorso
La festa e la memoria

I festeggiamenti e la devozione dei Novaresi per l'Assunta sono Particolarmente sentiti anche perché trovano radici profonde nella storia dei secoli passati. Questa forte tradizione pare infatti sia stata introdotta dai Normanni che elessero l’Assunta a loro protettrice insieme a San Giorgio.

Scorcio di Novara che mostra come in paese siano sopravvissuti alla forza disgregatrice del tempo le ricche testimonianze della perizia architettonica con cui il paese prese a fiorire in epoca medievale.
La ricorrenza cade il 15 di agosto rendendo il “Mezz'agosto novarese” particolarmente singolare per le manifestazioni che si svolgono senza sosta dal giorno 14 al 16. Soprattutto in passato, come ci racconta il Pitrè, questo era un atteso periodo di divertimento, di balli, occasione di incontri, momento di spensieratezza ma anche di preghiere, di insolite processioni, durante le quali alcuni "segni" erano importanti presagi di sventure o prosperità per l'anno seguente. “IL festino di mezz’agosto”, nella sua versione originale, con la processione con sedici statue, con danze dappertutto, è stata abolito da un decreto canonico degli anni '40. Tuttavia resta ancora un importante momento per i devoti novaresi tanto che anche gli emigrati approfittano per far rientro in paese. La processione si è ridimensionata ma, al pranzo di mezzagosto, si può gustare ancora, secondo l'antica tradizione, la “pasta n’casciada” condita con sugo, polpette, melanzane fritte e formaggio. Ma lasciamo spazio alla narrazione del Pitrè. “Il festino di Novara principia il 14 e finisce il 16 Agosto, ed è, dicono i Novaresi, il più pomposo tra quelli della provincia di Messina. E dicono bene: perchè una festa nella quale si mettano fuori quindici statue per fare onore a quella della Madonna Assunta, protettrice della città, non è comune, e nel Messinese è unica. La sera del 14 eccole quelle statue, una dopo l'altra, venire dalle rispettive loro chiese al Duomo, sede dell'Assun­ta, per prendere il posto già designato dalle consuetudini e dal grado. Le accompagnano i devoti e quelle congreghe nei loro sacchi da babbaluci o, come in dialetto comune si chiamano, babbuini, con lumi accesi, ed a suoni di tamburi o di bande. Lì i santi non ci vanno per nulla. Dovendosi cantare i vespri solenni, bisogna che rendano omaggio alla Madre di Dio con la loro presenza e crescano lo splendore della illuminazione essendo illuminate anch'esse. Il domani sera, secondo la loro gerarchia ed anche la antichità della chiesa, prendon parte alla processione, andando tutte innanzi la Madonna.
Una delle tradizioni più forti e meglio conservate di Novara di Sicilia è quella della lavorazione della pietra ad opera degli abili scalpellini locali. La perizia di queste maestranze affonda le sue radici nel passato divenendo talmente raffinata da rendere celebri in tutto il mondo gli scalpellini novaresi, grazie soprattutto alla scuola dei Buemi, che fece raggiun­gere il massimo della perfezione a questa arte tra l'800 e i primi del '900.
Ed ecco, come vengono, S. Rocco, S. Gregorio, S. Sebastiano, S. Francesco d'Assisi, S. ta Rosalia, S. Antonio (forse S. Antonio Abate), S. ta Caterina, S. Francesco di Paola, S. Antonio di Padova, S. Marco, S. Giorgio, S. Filippo, S. Michele Arcangelo, S. Giuseppe. Tutti hanno qualche distintivo sia della loro vita, sia della loro morte. Ecco l'Assunta, una commovente figura, che richiama, dicono, alla “Fidu­cia in Dio” del Bartolini. Dita, braccia, cariche, sovraccariche di anelli e di braccialetti; dal collo le pendono collane di corallo, di perle, di granatina, e sospeso ad una catenella d'oro un cuore di grandezza naturale, tutto in oro massiccio. Tante gioie sono ex‑voto dei fedeli. Così ordinate percorrono la città e si fermano a semicerchio innanzi la chiesa di S. Ugo, patrono anche lui di Novara, la cui statua, dopo una fermata nella quale sono state cantate le litanie, si unisce alle altre, pi­gliando il posto d'onore tra S. Giuseppe, che deve cedergli quello immediatamente prima della Madonna, e la Madonna stessa. Nè c'è da accampar diritti di gerarchia, perchè in faccia al santo o alla santa patrona ogni diritto cede. Difatti, nella processione del 16, la statua di Maria s'è ritirata; ma quella di S. Ugo ha il diritto del primato, che, trattandosi appunto di processione, si traduce nel privilegio di venire ultima tra tutte le statue. L'assenza di Maria è subito avvertita, perchè i trasportatori delle immagini non conservano più l'ordine e la dignità della sera precedente, ed è gran che se accompagnano fino alla chiesa maggiore S. Ugo, che, non buono a farsi tenere nel debito conto dai devoti degli altri santi, si rassegna agli otto giorni di villeggiatura che gli regalano in quella chiesa per tornare poi alla sua. Ma prima dì lasciare l'Assunta fermiamoci un poco a guardare la macchina nel momento in cui la sua presenza deve benedire popolo e città. Guardiamo bene tutte le torcie sulle quali essa torreggia. Guardiamo bene che esse siano accese tutte fino a una; perchè, se esse, Dio non voglia, giungono spente, non v'è malanno pubblico che non possa cogliere la città: come se una metà soltanto giungono accese, mediocre sarà il raccolto e lievi le sventure. Non si è dimenticato ancora che la rivoluzione del 1848 fu preceduta da impetuoso vento il 15 Agosto 1847, il quale spense tutti i lumi della Madonna; non si è dimenticato che il buio al quale si ridusse la bara nel 1853 precedette il colera dell'anno seguente; nè si dimentica che quando nel 1879 la Madonna rientrò senza una sola torcia accesa, ai primi di Gennaio del 1880 incominciarono quelle dirotte piogge che per un mese devastarono il territorio, anzi la provincia tutta. Ma per buona ventura, mentre l'ansia è crudele, ed il fervore della preghiera raggiunge il parossismo, la Madonna splende innanzi a tutti i suoi lumi accesi, e mentre con moto celerissimo vien messa dentro, una voce tuona; Viva!... Viva la nostra Santa Prutittrici! E' la voce dei devoti, sicuri del raccolto dell'anno venturo. E tornando a Sant'Ugo, giova sapere chi sia questo santo che associa il suo protettorato a quello della Madonna. Mi soccorre anche qui il benevolo corrispondente che mi ha apprestate le precedenti note. Storia e tradizione dicono che nel sec. XII, dopo che S. Bernardo da Chiaravalle riuscì a pacificare Papa Innocenzo III con Ruggero il Normanno, re di Sicilia, al primo fondarsi del monastero di S. ta Maria di Novara Vallebona (1137‑1166), oggi Badia vecchia, ne fu primo abate un discepolo di esso S. Bernardo, Ugo, cistercense, uomo di vita illibata, la cui morte (17 Nov. 1230) fu pianta come quella di un santo, e la cui intercessione, presso Dio, di grazie a favore dei devoti novaresi non parve per un solo istante dubbia. Beatificato nel 1664, divenne compatrono di Novara, dove, reliquie venerate, si serbano il corpo, una pezzuola di filo con la iscrizione a punti d'ago: Non cesso, non cessavi, nec cessabo orare pro te, mandato, mandato, secondo la tradizione, al Santo dalla sorella, dalla Francia, ed un paio di guanti di lana finissima, dei quali servivasi come abate nelle solenni funzioni sacre. Come protettore egli fa o impetra tutti i beni possibili alla sua patria di affetto; e se per poco la siccità minaccia il prodotto dei campi, il trasporto del corpo di lui dalla chiesa attuale a quella di Vallebona, suo antico monastero, basta ad affrettare la pioggia.
Un momento della processione in occasione della festa dell'Assunta. La festa si svolge dal 14 al 16 agosto con la processione a seguito della preziosa Vara dell'Assunta accom­pagnata da una folla festante di fedeli, molti dei quali, emigrati in terre lontane, fanno rientro alla propria città natale approfittando del periodo favorevole delle ferie estive per partecipare a questo tradizionale appuntamento religioso.
In mezzo agli inevitabili costumi di fiere, mercati, musiche, fuochi, non può sfuggire quello singolare del ballo pubblico. Non v'è strada, non piazza, non casa dove non si balli. In quei giorni i sonatori di violini, di flauti, di organetti della provincia e delle province vicine tutti convengon lì d'ogni paese. E contadini, operai, ballano di giorno, di sera, uomini con uomini, donne con donne, donne con uomini. Un dilettante di rettorica o un arcade di facili trasporti potrebbe rimanere preso dalla vista di quelle contadinotte dai costumi pittoreschi, dalle guance rubiconde, dai capelli folti e nerissimi, che non si stancano dal prender parte all'insolito e lungamente atteso divertimento col promesso, col cugino, con l'amico; e dalla mimica ond'esse accompagnano il giuoco lieto e gradito. Non gli togliamo la poetica illusione e limitiamoci a percorrere le vie principali guardando sempre, senza fermarci mai, centinaia di gruppi di ballerini, che pur di ballare e ballare spendono di cinque in cinque minuti i due soldi che sono l'ordinario prezzo di ciascuna sonata. La mezzanotte del 16 è sonata; è già l'alba del 17 e i Novaresi ballano ancora!"

Alla ricerca di antiche radici tra storia e natura

Novara di Sicilia è collocata in un'area di grandi suggestioni ambientali, caratterizzata dalla presenza di numerose testimonianze di insediamenti umani, che vanno dalle “mandre”, “grange” o “cube”, edifici religiosi di età bizantina, sino alle chiese più recenti e ad importan­ti resti di antropismi di epoche molto antiche. Nelle immediate vicinanze del paese, a circa 2 km, dal centro cittadino, sorge la Chiesa di Santa Maria di Noara, edificio religioso risalente al XII sec. e recentemente restaurato. La chiesa era un tempo dedicata all’Annunziata e costituiva parte integrante dell'antico Monastero Cistercense, la cui edificazione fu iniziata a partire dal 1137. Chiesa dai due volti perché nella stessa struttura convivono l'originaria forma di antico cenobio estremamente sobrio con strette finestrelle ad arco che ricordano le feritoie tipiche di alcuni edifici medievali, e la più recente estetica del rifacimento risalente al secolo scorso.

La Giara, uno dei cimeli che la tradizione vuole essere appartenuto a Sant'Ugo. La Giara era un tempo conservata presso il Monastero di Badia Vecchia e fu trasferita nel 1659, insieme ad altri importanti reperti, nella Chiesa di Sant'Ugo.
Intorno alla chiesetta un piccolo villaggio nel quale è ancora possibile ritrovare i segni dell'antico monastero. Chiusa al culto e abbandonata da tempo, anch’essa nei pressi di Novara, sorge la piccola Chiesa di Santa Barbara, ad unica navata. Dall'aspetto semplice, tipico delle strutture religiose rurali, la chiesa mostra al suo interno un quadro ed una statuetta dedicati alla Titolare ed una statua di Sant’Antonio da Padova. Oggetto di pellegrinaggi frequenti è invece la Cappelletta del SS. Salvatore, che si trova in direzione della piccola frazione di San Basilio. La costruzione ha una facciata particolarmente elegante arricchita da fregi in Pietra arenaria e costituiva una delle soste della Via Crucis, il cui percorso era tracciato da altre 14 cappellette in gran parte scomparse. Importanti insediamenti preistorici sono stati rinvenuti nella zona, in particolare in contrada Sperlinga, presso San Basilio, dove sono i resti di una Stazione mesolitica, unici in Sicilia, insieme a quelli della Grotta di Corrugi di Pachino. Tracce di un insediamento bizantino e dell'antico abitato arabo sono invece visibili ai piedi della Rocca Salvatesta. Da queste parti si mostrano anche le vestigia di quel particolare stile architettonico, caratterizzante l'area ed un intero periodo storico, che fu delle grange basiliane. Queste particolari costruzioni religiose, spesso abbarbicate su vette scoscese, si aprono sui panorami mozzafiato del Tirreno, delle sue isole e della Calabria, a nord, e dello Jonio, ad est. La presenza di questi insediamenti basiliani risale al periodo compreso tra i secoli VI e IX, allorquando ebbe inizio il processo di evangelizzazione del Valdemone ad opera dei monaci che venivano da oriente. Nel periodo successivo ai loro primi insediamenti i monaci furono cacciati dagli invasori Arabi e poi reintegrati dai Normanni intorno all'XI sec. Essi svolsero un'attività intensa che si protrasse sino al 1500. Le vestigia di questi insediamenti ci mostrano un impianto architettonico unico ed irripetibile, perfetta sintesi degli stili bizantino, arabo e normanno. Le posizioni strategiche in cui molli edifici religiosi erano collocati, suggerirono ai Normanni la loro fortificazione e la nascita di vere e proprie chiese‑fortezze. A molti di questi piccoli impianti rurali si univano complessi edifici composti di unità abitative e lavorative formando delle unità giuridico ­religiose in cui si svolgevano attività artigianali ed agro‑pastorali e dove si studiava e pregava intensamente. Il territorio di Novara è inserito nel complesso montuoso dei Peloritani. Dal punto di vista geografico questi monti nascono sopra Capo Peloro, nel messinese, in prossimità dell'estrema punta nord‑orientale della Sicilia, dirigendosi in direzione sud‑ovest verso la Rocca di Novara, il cosiddetto “Cervino della Sicilia”, con i suoi 1340 m, s.l.m., che ne segna il confine più basso. L'intero massiccio montuoso può essere considerato la continuazione naturale degli Appennini, avendo in comune con questi numerose caratteristiche orogeneticbe, tra cui la presenza di gneiss, scisti varie e i grigi ciottoli delle ampie e profonde “fiumare”. La conformazione delle creste montuose è però diversa essendo quelle peloritane più taglienti e meno elevate. Percorrendo le vecchie strade militari che attraversano tutta la catena montuosa sì possono osservare gli angoli più incantevoli di questi monti. La grande panoramicità dì questi tracciati, lungo i quali si aprono alcuni tra gli scorci più straordinari di Sicilia, consente di riscoprire gli angoli più nascosti ed interessanti della zona.
Vara di Sant'Ugo, oggi conservata presso l'edificio religioso dedicato al Santo.
Non è diffíci1e raggiungere le vette più alte di questi monti per lasciarsi incantare dai paesaggi che dominano: provate ad esempio ad affacciarvi dalla vetta di Monte Scuderi (1253 m.), sul versante jonico, o dal Monte Poverello (1279 m.), cuore del sistema montuoso, o, ancora dalla Rocca di Novara. La catena montuosa offre, nel suo complesso, un'immagine inedita della Sicilia, fatta di paesaggi alpini, tra boschi, torrenti e laghetti, ricchi di una particolarissima flora e di una fauna residua. Da queste parti cresce spontaneo il Pino domestico, indigeno soltanto in alcune zone della Sardegna, della Spagna e in poche altre del bacino del Mediterraneo. Nel paesaggio montano si alternano vette ardite e boschi lussureggianti. Tra questi vi è la Pineta di Mandrazzí, nella quale sgorga una fresca sorgente tra pini e ginestre. Da Portella Mandrazzi si gode una fantastica veduta dell'Etna. In generale l'ambiente peloritano è caratterizzato da una ricchissima vegetazione che assume connotazioni diverse in relazione alla varietà dei suoli e all'altitudine. Sono quindi identificabili tre diverse facies vegetazionali: quella dei boschi misti, della vegetazione a macchia e i pascoli montani. Alle quote più alte predominano pinete e faggete, più in basso cerrete e quercete. Nel sottobosco, ottimi ed abbondanti, i funghi. In questi luoghi trova un'am­biente adatto un'interessante fauna composta, tra l'altro, dal Gatto selvatico, la Martora, l’Aquila reale, la Poiana, il Nibbio, lo Sparviero e, dai più comuni, Volpe, lepri, conigli e testuggini.

Arte, cultura e tradizione a Novara di Sicilia

Per quanto riguarda le tradizioni di carattere religioso, è da ricordare, oltre alla festa dell'Assunta, quella di Sant’Antonio Abate che risale ai primi anni del '600 e si celebra il 17 gennaio preceduta da un periodo di preparazione, la `Settena', introdotta nel 1844. Anche in questa occasione i Novaresi offrono inni, preghiere e i ceri accesi. Alla vigilia della festa è antica usanza portare in omaggio al Santo un pezzo di tronco che servirà, insieme agli altri, ad alimentare un grande fuoco ai piedi della torre campanaria dell'omonima chiesa. A parte le festività religiose è da ricordare la Sagra del Maiorchino. Il tutto si ritiene ebbe Inizio nel primo trentennio del '600, quando già veniva praticato il gioco della "maiorchina". Tale gioco consiste nel lanciare lungo il percorso che va dalla Matrice al Piano Don Micbele, una forma di cacio mediante un laccio ad essa attorcigliato.

Elegante incensiere in legno di Sant'Ugo, oggi conservato presso l'edificio religioso dedicato al Santo.
Il peso del maiorchino (pecorino stagionato) oscilla tra i dieci e i 12 kg, ha uno spessore di circa 12 cm. ed un diametro di 35. Il giocatore che con meno lanci supera il traguardo è il vincitore e potrà portarsi a casa il cacio. Questo gioco popolare si svolge nei pomeriggi della settimana di Carnevale e nell'ultimo giorno si svolge anche la 'Maccherronata", la preparazione della ricotta secondo l'antico metodo usato dai pastori. Tra le attività artigianali più tipiche del paese vi è senz’altro la lavorazione della pietra. Talmente centrale nella vita sociale di Novara era quest’attività, da far assurgere i “mastri” ad una classe sociale tra le più rispettate del luogo. Abili maestranze si occupavano della lavorazione del legno. Venivano così, sfruttate al meglio le prerogative del posto, ricco di cave di pietra pregiata e di boschi. Di particolare rilievo anche le pratiche di filatura del lino e della seta di stretta prerogativa femminile. A sorreggere tutte le attività artigianali vi era una sorta di florido indotto per la produzione degli utensili necessari alle maestranze per il proprio lavoro. La gran parte di questi antichi mestieri è ormai sparita, ma resiste il lavoro degli “scalpellini” che ancor oggi lavorano la pietra con rara maestria. La gastronomia novarese è caratterizzata dall'esercizio di una panificazione in cui veniva esaltata la capacità di economizzare delle donne del luogo, che riuscivano ad utilizzare anche gli avanzi dell’impasto con i quali preparavano squisite pietanze: i "mulligò", conditi con sugo di maiali; i “turtò”, frittelle condite con sale o zuccbero; la “gostella”,.farcita con carne di maiale etc. Numerosi e gustosissimi i piatti con alla base la carne di maiale. Squisiti gli insaccati ed i formaggi (il caratteristico “maiorchino”). Con la farina di mais si fa la polenta frammista a finocchi selvatici e salsiccia, e, caratteristico del giorno di Santa Lucia, i “lempi e troni” (lampi e tuoni) a base di granoturco fagioli, lenticchie e grano, bolliti e conditi. Ottimi i dolci tra quali il “risu niru” di nocciole tostate, cacao e caffè e vari aromi. (tipico deI Natale); i cassatelli con fichi secchi, miele, cannella nocciole,‑ i “paummi”, tipici della Pasqua fatti con pasta frolla sulle quali vengano sistemate le uova colorate; "i ijditi d'aposturu" (dita d'apostolo), cannoli con la pasta ricoperta di glassa e ripieni di ricotta.