Il paese e il suo blob

Notizie storiche d'Aragona

Il palazzo del principe, le chiese

La torre del Salto d'Angio'

"L'occhiu di Maccalubi" ovvero la terra rivoltata

"I panaredda e il taganu"

Chiuse senza rimpianto le miniere di zolfo quale sviluppo per Aragona?


Una relazione manoscritta del '700, dell'Arciprete Agatino Giacco (oggi pubblicato dalla Pro Loco di Aragona a cura del prof. Francesco Graceffa, autore di numerose ricerche sulla storia, il territorio e la cultura aragonese cui abbiamo attinto per questo servizio) così descrive il paese: "Nel Val di Mazzara, dentro la Diocesi, Comarchia, e territorio di Girgenti, nelle spalle di un monte mediocremente inclinato, e nell'estremità meridionale del Feudo delli Diesi, giace Aragona a dirimpetto del sole nascente, terra molto popolata ed amena.

Torre del Salto d'Angiò

Circondata da innumerevoli alberi d'ogni sorta, che le danno un vago e dilettevole aspetto. Dista dalla Marina ed Emporio di Girgenti duodeci miglia, otto dalla Città; e sessanta verso tramontana da Palermo. L'aria è ventilata, sottile e molto sana; il vento greco quando nell'inverno costantemente soffia reca gran molestia agli abitanti, ed i morbi acuti, e specialmente le pleuritidi facilmente si aggravano; i convalescenti presto si ristabiliscono: sempre si trovano parecchi, che avanzano i novant'anni dell'età loro, molti, che contano sopra sessanta. La popolazione si numera da circa 6000, a 600 persone in fochi 1936. La sobrietà del vitto e pasto si osserva dalla maggior parte.

Stemma dei Naselli

L'indole dei paesani è per lo più impaziente, contenziosa, svogliata alle serie e lunghe applicazioni, e però son pochi quelli, che riescono alle ardue imprese ed alle lunghe fatiche". Fondata ufficialmente, come molti centri siciliani, agli inizi del '600 quando molti nobili, ottenuta la Licentia populandi per il loro feudo, diedero inizio alla "fabbrica" dei borghi in genere intorno ad un nucleo costituito dalla residenza feudale. Aragona fu edificata con i criteri urbanistici tipici dell'epoca che comprendevano una geometria di maglie viarie regolari delimitanti ampi isolati, all'interno dei quali si sviluppavano un po' disordinatamente vicoli, abitazioni asimmetriche con cortili e scale.

Affresco del Borremans

Ma questa piccola confusione urbanistica era ancora a "misura d'uomo" se confrontata con le successive ondate edilizie che hanno riempito di case nuove intere zone del paese mutandone in parte il contesto storico-ambientale. Come in tutte le terre toccate in modo massiccio dal fenomeno dell'emigrazione, lo sviluppo edilizio disordinato è stato alimentato dall'esigenza/desiderio dell'emigrato di investire i suoi risparmi in una casa in "paese", luogo mitico del "ritorno" e del "possesso" come riappropriazione di identità. Quest'entroterra agrigentino, di solito escluso dai tradizionali itinerari turistici, offre un'ampia varietà di condizioni ambientali e storico-culturali che, anche se non eclatanti, costituiscono un insieme non indifferente da offrire ad un modello di turista meno distratto.
Nei dintorni di Aragona, gradevolmente accompagnati dal bibliotecario Nino Seviroli, attore ed egli stesso personaggio del teatro pirandelliano, abbiamo scoperto piccoli tesori d'arte abbandonati o ambienti naturali quali la Torre del Salto d'Angiò, le antiche miniere di zolfo, il grande "blob" del Maccalube, che ci hanno certamente affascinato. Oggi tra le colline e i valloni che costeggiano la montagna d'Aragona, non ci sono più i latifondi ma campi ben coltivati, e i giacimenti solforiferi che per secoli hanno determinato i ritmi della fatica e dello sfruttamento umano e la stessa qualità ambientale (la vallata è stata per secoli resa sterile dalle esalazioni prodotte per la fusione dello zolfo) sono solo un brutto e maleodorante ricordo. Ormai fanno parte della "memoria storica" di una Sicilia che per quanto appaia immobile, è sempre (come il Maccalube) in continuo movimento.

Fu fondata nel 1606 dal Baldassarre Naselli nel feudo Diesi dove già esisteva un piccolo insediamento urbano. La "Licentia populandi" per costruire il paese di Aragona era stata concessa inizialmente da Carlo V a Gaspare Naselli che fu barone del feudo Diesi dal 1549 al 1555, ma per la brevità della sua vita quest'ultimo non riuscì a portare a termine la costruzione del paese. Naselli, marito di Donna Beatrice Aragona Branciforte, cercò di completare la costruzione del paese senza riuscirvi.
Il nuovo centro abitato fu definitivamente costruito dal figlio Baldassarre Naselli che il 7 gennaio 1606 ottenne dal vicerè Lorenzo Suarez la licentia populandi, confermata poi dal re Filippo II il 31 dicembre 1606. Nacque così il nuovo centro abitato che prese il nome della madre del suo fondatore e si sviluppò in sintonia con la famiglia Naselli. Per le sue origini Aragona fu un paese baronale amministrato totalmente dai baroni Naselli che, oltre ad imporre gabelle, esercitarono anche il potere civile e penale avendo comprato il mero e misto impero nel giugno del 1606.
Le prime notizie del feudo Diesi in cui sorge Aragona si hanno alla fine del secolo XIV allorchè risultava iscritto nei registri dei Baroni di Federico II sotto il nome di Casale Diesi. Nei primi decenni del 1300 appartenne a Mariano Capace che lo vendette a Nicolò Abate. Questi a sua volta, nel settembre del 1372, lo vendette a Rinoldo Bonito che ne fu spodestato per la sua ribellione al re Martino e passò a Raimondo Montecatino.

Parte vecchia del Paese

Il feudo passò quindi a Guglielmo Ventimiglia, il 2 luglio 1395, e dopo 22 anni pervenne ad Antonio Bonito. Alla sua morte il feudo passò alla figlia Margaritella dalla quale nacquero Pietro Antonio, morto nel 1516 senza eredi, e Isabella che il 6 ottobre 1499 sposò Baldassarre Naselli portandovi in dote il feudo Casale Diesi. Con questo matrimonio il feudo, a cui è legata l'origine di Aragona, passò ai baroni Naselli che lo conservarono fino all'estinzione del ramo maschile della loro fami glia nel 1862.
Filippo IV elevò la baronia di Aragona e delle sue terre a Principato nel 1625, mentre era signore di Aragona Luigi Naselli, vicerè degli Abruzzi. L'ultimo erede diretto dei Naselli fu Baldassarre morto nel 1862 senza figli per cui il titolo e l'eredità passarono a suo nipote Sac. Luigi Burgio Naselli che nel 1877, dopo il fallimento delle miniere di zolfo, diede i beni ancora in possesso alle Suore di carità di S. Vincenzo di Paola. Per più di due secoli e mezzo, dalle sue origini, Aragona crebbe e si sviluppò legando le sue vicende a quelle dei baroni Naselli divenuti Principi.
Durante il periodo risorgimentale il paese, però, ebbe un risveglio sociale partecipando agli avvenimenti regionali e nazionali anche se in modo limitato. Nel 1848 Giuseppe Guerrera portò ad Aragona da Palermo il proclama redatto da Francesco Bagnasco e, scritto a mano in diverse copie fu distribuito alla popolazione. Molti sacerdoti aragonesi stimolati dall'atteggiamento favorevole del vescovo Mons. Loiacono manifestarono nell'occasione le loro idee patriottiche incitando alla rivoluzione. I fratelli Giulio e Salvatore Di Benedetto, animatori del movimento, appresa la notizia dell'insurrezione di Palermo inalberarono il vessillo tricolore nella Chiesa del Rosario, mentre una gran folla si accalcava in piazza gridando viva Pio IX, viva la rivoluzione.
Fu costituita la guardia nazionale alla quale aderirono, oltre ai fratelli Di Benedetto, anche Giuseppe Guerrera, Don Antonio Magiordomo, il Dott. Alfonso Calleja e il Barone Antonio Rotulo. A presiedere il Comune fu nominato Antonio Magiordomo mentre Baldassarre Naselli veniva nominato rappresentante del parlamento generale di Sicilia. Fallita la rivoluzione, tornarono i Borboni ed ebbero inizio le persecuzioni. I fratelli Di Benedetto furono messi in carcere per 11 mesi mentre la loro famiglia fu sottoposta a continue vessazioni. Nel maggio del 1860, allorchè ad Aragona giunse l'eco dell'impresa di Garibaldi, si costituì un nuovo magistrato municipale presieduto da Antonio Morreale.
I fratelli Giulio e Salvatore Di Benedetto assieme al fratello più piccolo Settimo si arruolarono nell'esercito garibaldino e parteciparono alla battaglia di Volturno. Si distinsero per il loro comportamento ottenendo molti riconoscimenti. Il 29 maggio 1860 ad Aragona venne organizzata una sfilata di tutti i cittadini che si concluse in piazza Madre nella cui Chiesa venne cantato un Te Deum alla presenza del clero aragonese. Il 6 giugno il magistrato comunale aragonese inviò un messaggio a Garibaldi con il quale il Comune aderiva a che egli assumesse la dittatura dell'Isola in nome di Vittorio Emanuele II e venisse proclamata l'annessione della Sicilia al Regno d'Italia.
Ben presto però, vennero le delusioni nel paese specialmente quando si dovettero incominciare a pagare le tasse tanto che per intimorire la popolazione fu inviata la milizia. Alla fine del secolo scorso, nel 1890 ad Aragona vi era una guarnigione di 25 soldati comandati da un tenente. La loro presenza si inserisce nel quadro dei fasci dei lavoratori e degli scioperi che c'erano stati ad Aragona. Il 20 novembre del 1890 c'era stata addirittura una sommossa con il tentativo di incendio del Circolo dei civili e nel 1893 - 1894 continuarono gli scioperi.
Il fascio ad Aragona era sorto nel 1893 e nel luglio dello stesso anno si ebbero le elezioni amministrative. Furono eletti 4 candidati del fascio. Negli anni successivi la vita aragonese è segnata dalla partecipazione agli eventi bellici e dai mutamenti sociali legati alle miniere di zolfo, alle trasformazioni agricole e all'emigrazione. Il movimento operaio, prima e dopo le due guerre, favorito dall'aggregazione derivante dalla presenza delle miniere e spinto dalle condizioni economiche e sociali alquanto insopportabili, fu molto attivo e con una serie di scioperi e di rivendicazioni economiche ottenne sensibili miglioramenti e svolse un ruolo attivo nella politica sociale.

Parte vecchia del Paese

La tradizione cattolica e la religiosità di Aragona di contro hanno contribuito alla nascita e alla formazione di una forte Democrazia Cristiana che da sola detiene la maggioranza assoluta in seno al Consiglio comunale, nonostante i suoi uomini guida non si siano sempre mostrati oculati nella loro opera. Alla fine dell'800 ad opera del Sac. Vincenzo Gandolfa venne fondata la Cassa Rurale per aiutare i contadini con prestiti al tasso dell'8,5%. Nel 1901 un convegno interdiocesano stabilì che la Cassa Rurale doveva esclusivamente servire ad agevolare il piccolo credito agricolo.
L'ultimo conflitto bellico coinvolse direttamente il centro urbano; anche se in modo marginale e per qualche episodio sporadico. Aragona, infatti, fu sede di distaccamenti del decimo reggimento bersaglieri e del cinquantottesimo fanteria per cui durante l'avanzata dell'esercito anglo americano si ebbero dei combattimenti nella località di ''Passu Funnutu" e alcuni bombardamenti nel centro urbano di limitata importanza per la scarsa resistenza opposta all'avanzata nemica.
I soldati erano ospitati nella Chiesa sconsacrata del Purgatorio mentre il quartier generale si trovava nella palazzina Carruba, in periferia del paese. La Chiesa del Purgatorio venne adibita a magazzino del genio militare mentre la polveriera venne dislocata nei pressi del cimitero; in contrada Quattro Strade venne istituito un altro deposito. Durante l'avanzata dell'esercito anglo americano i depositi dell'esercito italiano furono assaliti e saccheggiati da gruppi di persone spinti dalla fame e dalla mancanza di generi di prima necessità.
Gli anni della ricostruzione e dello sviluppo industriale nazionale si caratterizzano ad Aragona per le lotte e le rivendicazioni dei zolfatai fino alla chiusura delle miniere e per l'emigrazione che ha ridotto la crescita del paese e il suo sviluppo economico. L'agricoltura ha in parte cambiato volto e si è modernizzata ma si è invecchiata nella sua componente lavorativa, preferendo le nuove generazioni un lavoro nell'industria, l'impiego o l'emigrazione all'attività agricola, che da sempre è la principale attività del paese.

Il palazzo "del principe" di mole rettangolare, con quattro loggette ai suoi angoli, si erge maestoso e domina tutto il tessuto urbano che a vari dislivelli occupa i pendii orientali del monte Belvedere. Venne costruito agli inizi del'700 e fu arricchito con magnifici affreschi e una ricca pinacoteca che comprendeva due dipinti di Guido Reni, "Il ratto di Proserpina" e "Il ratto d'Europa".
Ma i quadri e la maggior parte degli affreschi andarono perduti nel corso del secolo scorso per ignavia ed incuria dei suoi proprietari, che nel 1875 restaurarono il palazzo distruggendo molte delle pitture. Già nel 1911 Gioacchino Di Marzo, venuto a visitare

Loggia Palazzo del Principe

Aragona, ammetteva amaramente la scomparsa di gran parte degli affreschi. "Recatomi però io sul luogo, egli scrive, alla fine di gennaio del corrente anno mi è toccato subirvi la più amara delusione non trovatovi che una minima parte di si gran copia di dipinti, scomparsone tutto il resto per ignoranza ed ignavia del tempo. Vi ho saputo, che, minacciando crollare la volta dipinta del gran salone del passato secolo XIX, il Principe Baldassarre Naselli Morso, anziché ripararlo, né affrettò il crollo ed indi se ne servì del legname in sostegno di una solfara pericolante".
"L'incarico di affrescare le volte delle sale del palazzo fu dato al Borremans da Baldassare Naselli Branciforti, che aveva assunto il principato nel 1711. Fu capitano e pretore a Palermo dal 1724 al 1738 ove sperperava le ricchezze accumulate ad Aragona. Qui ebbe modo di conoscere ed apprezzare il nostro autore. Non si hanno elementi per poter stabilire con esattezza il periodo in cui furono ultimati i lavori, però, è certo che furono i più importanti del Borremans e forse anche gli ultimi visto che è morto a Palermo nel 1744.
Furono affrescate le volte di molte sale e specialmente del gran salone del palazzo, le logge e la cappella con una grande varietà di soggetti sacri e profani e con una grande profusione di ornati. Ancora agli inizi del secolo (1911) si vedevano sopra due porte principali, due medaglioni dipinti con belle mezze figure del Redentore e della Vergine, e alla sommità delle pareti alcune storie del Vecchio e del Nuovo Testamento.

Chiesa del Purgatorio

Esistevano ancora nel 1880 le storie del Giudizio di Salomone, di Rebecca al Pozzo, di Mosè con le tavole e della Samaritana. Ma nessuno ricordava più il soggetto della volta centrale.
Tutto fu manomesso quando furono rifatti la volta e il salone". Nei nostri giorni il palazzo è stato occupato per metà dal Municipio, trasferito recentemente in un moderno edificio nella parte nuova del paese, e per l'altra metà dalle Suore di carità e dall'Orfanotrofio femminile. In questa seconda parte, non aperta al pubblico, si conservano ancora solamente gli affreschi di una loggetta, deteriorati dai fenomeni atmosferici, rappresentanti la Vittoria trionfante su un carro, e quelli, in buono stato di conservazione, della volta di un ampio salone raffiguranti, al centro, in un rosone, la Gloria con al capo una corona turrita nell'atto di alzare con la mano destra una corona d'alloro e con la sinistra un nastro con la scritta del motto della famiglia Naselli "Non sine certamine".
Sotto di essa due putti sorreggono lo stemma dei fondatori di Aragona mentre ai quattro lati, opposte tra di loro, ma rivolte tutte alla figura centrale, vi sono raffigurati quattro personaggi allegorici che rappresentano la mansuetudine, la virtù, la munificenza e la cornucopia; accanto ad esse altrettanti nastri sventolanti con le scritte "Mitis corda quiesco", "Virtus ad Astra vehit", "Dat munus honores" e "Uti stercore Premo". Gli affreschi di questa volta ancora esistenti, sicuramente dovevano essere i principali e i più importanti di quelli fatti dal Borremans nel palazzo come si può dedurre dai loro significati allegorici e simbolici, celebrativi della virtù e delle doti della famiglia Naselli, committente dell'opera.
In alcune stanze, sempre nella parte del palazzo occupata dall'Orfanotrofio e dalle Suore di Carità, si conservano ancora parti di affreschi con figure decorative. Il sacerdote Luigi Burgio Naselli, tra gli ultimi discendenti dei fondatori di Aragona, con atto del 18 dicembre 1887, stilato dal notaio Antonio Schiavo, fondò il Pio Istituto

Chiesa del Carmine

Orfanotrofio Femminile Principe Aragona e alla sua morte gli lasciò in dote tutto il palazzo, con testamento fatto il 28 settembre 1889. La direzione e la gestione della fondazione fin dal suo nascere venne affidata alle Figlie di Carità di S. Vincenzo di Paola.
Nello statuto approvato il 5 ottobre 1909 e sottofirmato dal Ministro degli interni Luzzati si stabilì che l'orfanotrofio aveva per scopo "di ricoverare, alimentare, vestire, educare e istruire le orfanelle povere della città di Aragona" (art. 2), e che "le signore Isabella Sergeant fu Giacomo e Maria Aurora e dopo di esse le due signore della stessa o da una di loro nominata, rappresentano ed amministrano l'Orfanotrofio" (art.6).
Qualche anno dopo la fondazione dell'Opera Pia, le due amministratrici diedero in affitto al comune di Aragona la metà del palazzo e il primo aprile 1933 glielo vendettero per 200.000 lire. L'atto di acquisto venne firmato in presenza del segretario comunale Lorenzo Midulla, dalle due amministratrici di allora suor Genoveffa Sergeant e suor Francesca Falagerio, e dal podestà di Aragona, Cav. Gaetano Parisi. Ancora oggi il palazzo è occupato per metà dall'orfanotrofio con le Suore di Carità, ridotte a 6 e per metà dalla Biblioteca Comunale.
La chiesa Matrice. Fondata nel 1700 dal Principe Baldassare III Naselli e dedicata alla

Palazzo del Principe

Nostra Signora de' Tre Re, è di modesta architettura ma contiene all'interno alcune interessanti opere d'arte: un quadro rappresentante Maria che tiene il Bambino Gesù con San Giuseppe e i Re Magi che per tradizione è attribuito allo Zoppo di Gangi ma che richiama più apertamente la pittura di Pietro D'Asaro, detto il Monocolo, di Racalmuto, vissuto tra il 1579 e il 1647; una statua della Madonna delle Grazie attribuita al Gagini e una statua di legno di Santa Rosalia Vergine.
Interessante nel primo altare a destra un presepe settecentesco in cartapesta. Tra le curiosità possiamo estrarre notizie da una relazione della fine del '700 dell'esistenza di alcune "insigni" reliquie, in particolare "è quella di due buone pezzette della Sindone fregiati della tintura del divino sangue" che "in ogni venerdì di marzo quando si espone in chiesa compare la tintura assai carica di vermiglio colore". La reliquia in seguito venne custodita in altre chiese fino alla fine degli anni '60 prima di scomparire del tutto. Inoltre si conservano all'interno della chiesa "insigne reliquia dei corpi intieri di S. Mario Martire e S. Fortunato".
La chiesa del Rosario. Eretta nel 1689 sopra le fondamenta dell'antica Chiesa del Crocifisso, esistente prima della fondazione di Aragona e da tanti anni diroccata. Venne costruita dagli appartenenti alla Confraternita del SS. Rosario, che abbandonarono

Chiesa Madre

la vecchia Chiesa del Rosario, divenuta successivamente della Mercè, per contrasti con i frati Mercedari che occupavano il Convento, costruito accanto al tempio sacro. La chiesa per la venerazione che la Madonna godeva nella popolazione si ingrandì sempre più tanto da diventare il centro della vita religiosa aragonese.
La chiesa di Nostra Signora del Carmine. Di modesta fattura settecentesca con all'interno tele di un certo interesse di S. Galluzzo, Vincenzo Manno (1813) e Domenico Provenzani (1831).
La chiesa del Purgatorio. Costruita nel 1667 con una interessante facciata neoclassica che la fa apparire di età posteriore. Nel corso della seconda guerra mondiale fu sconsacrata e utilizzata come deposito, dopo un breve periodo di riapertura al culto, nel 1980 fu ceduta al comune che ha iniziato lavori di ristrutturazione conservativa per trasformarla in biblioteca comunale.

Petra di Calathansuderj

Altre chiese di un certo interesse per la vita religiosa del paese sono la chiesa di Nostra Signora delle Grazie soprannominata la Figurella, recentemente ristrutturata contiene un dipinto del pittore agrigentino Apelle Politi del 1877 raffigurante la Madonna di Pompei e soprattutto una pregevole, statua di ebano nero rappresentante Cristo agonizzante di autore anonimo che viene portato in processione durante la Settimana Santa.
La torre del "Salto d' Angiò " o più semplicemente "a turri" come viene detta in gergo popolare, si trova a 5 Km da Aragona su un banco di arenaria da cui si domina tutta la vallata del feudo Muxaro e del fiume Platani.

Torre del Salto d'Angiò

E' inglobata in un casale costruito alla fine del XVIII sec. ed ha una forma rettangolare; si presenta con tre ordini finestrati: il primo e il terzo con finestre bifore a tutto sesto ed il secondo con monofore a sesto acuto. La sua maestosa mole si erge al centro di tre cortili ove si affacciano le case basse ed uniformi della masseria. La torre è di origine chiaramontana, anche se i pareri degli studiosi non sono del tutto concordi. Venne edificata dai Chiaramonte nel XIV sec. e, fino al 1500, servì da baluardo difensivo dell'intero feudo, al centro del quale sorgeva.
Originariamente era a tre livelli: il primo adibito a magazzino, il secondo, costituito dal primo piano, era adibito a zona notte e il terzo livello, dato dal secondo piano, era composto da un ampio salone con il tetto a botte. Dal salone attraverso una scala di legno si arrivava al terrazzo merlato.

Mulino di Cocaroduli

Nei secoli successivi la torre ha subito delle modificazioni che hanno mutato la sua struttura originaria. Nel 1799 vennero abbattuti i due piani superiori di essa e vennero realizzati quattro livelli con l'aggiunta di un ordine di monofore ad arco acuto tra le bifore dei piani superiori ed inferiori.
La torre, nonostante le trasformazioni, presenta un fascino particolare per il paesaggio incantevole e solitario in cui si trova, che proietta il visitatore in un lontano passato feudale. Suggestivo è anche ciò che resta dell'antico mulino di Cacarodduli, adagiato su una costruzione più antica visitabile nell'omonima contrada. Vicino ad Aragona, ma appartenente al Comune di Comitini sorge un complesso archeologico denominato

"La Petra di Calathansuderj", nella cui area oggi di proprietà comunale si trova un insediamento primigenio che ha al suo centro appunto " La Petra ".

Ruderi di fabbricati annessi alla Torre d'Angiò

Come scrive in un suo articolo Angelo Cutaia "Si tratta di un protocastello, rara testimonianza di civiltà contadina, unica nel suo genere, ancora esistente in Sicilia, di probabile periodo tardo antico.
Il tutto è ricavato in un olistolite di notevoli dimensioni le cui pareti esterne si presentano fortemente tormentate da numerose grotticelle artificiali e da fessurazioni morfologiche, nonché dalla presenza di tombe a forno, che per una trentina di metri di altezza si erge solitaria e biancheggiante ... Le ampie grotte facilmente accessibili, racchiudono capaci ed interessanti granai a base strombata scavati in profondità alla loro base. Più in alto, "La Petra" è intersecata da camminamenti transitabili che l'attraversano da parte a parte dando così la certezza che in antico il complesso potè servire anche da fortilizio.

Ruderi di fabbricati
annessi alla Torre d'Angiò

La parte terminale della collinetta è costituita da un grande vano (la cui volta è in parte crollata) ricavato interamente nella massa rocciosa, dal quale oltre ad ammirare l'immensa distesa che dal fondovalle del colle Cumatino porta fino al mare, si poteva facilmente difendere l'intero complesso". Altre interessanti escursioni nel territorio sono possibili alle zone archeologiche di S. Vincenzo e della Fontanazza, nelle omonime contrade; alle zone delle miniere di zolfo in contrada Montagna Principe, alla masseria Muxarello del XVIII sec. ed infine alla villa Fontes Episcopi.

Le maccalube di Aragona sono delle suggestive e caratteristiche sorgenti idroargillose che da molti secoli suscitano la curiosità e alimentano la fantasia popolare, facendo nascere intorno a sè alcune credenze e leggende. La spettacolarità delle loro manifestazioni, infatti, ha contribuito ad attribuirvi un valore magico - soprannaturale. Si trovano a circa quattro chilometri dal centro urbano di Aragona, in un piccolo altipiano, formatosi sicuramente nel corso degli anni per la continua fuoriuscita d'argilla dal sottosuolo.
L'altopiano domina ad ovest il "vallone di maccalube" in cui i rigagnoli che affiorano dalla sua superficie si riversano e determinano la formazione di molti calanchi, con la loro azione erosiva, nel terreno argilloso. I monti Businè di Raffadali e di San Marco a Nord-Ovest, la collina di Belvedere a Nord, sulle cui pendici orientali sorge Aragona, e il monte San Vincenzo a oriente, dove la presenza di una necropoli testimonia l'esistenza di un antichissimo insediamento sicano, fanno da cornice alle maccalube.
Una strada di campagna, resa rotabile da qualche anno, che si diparte dal centro urbano di Aragona, costeggiando il cimitero e il campo sportivo, conduce alla collinetta delle maccalube. L'altopiano, che prende il nome dai fenomeni eruttivi delle maccalube, appare come una landa brulla, circolare, estesa per circa un ettaro, ricoperta da una coltre di marne cineree e crepe più o meno profonde.
Nel suolo qua e là, senza un ordine preciso, fuoriescono diversi rivoli di fanghiglia argillosa che, a poco a poco, si depositano intorno formando piccoli coni di fango che si ingrandiscono lentamente fino a quando la forza eruttiva non riesce più a mandar fuori il materiale liquido dal sottosuolo e allora il processo eruttivo ricomincia in un altro punto per poi estinguersi quando arriva al suo culmine. La fanghiglia che esce dalla bocca dei coni e si riversa sulle falde somiglia alla lava di un vulcano, ma la sua fuoriuscita avviene dolcemente e debolmente. I coni si formano e svaniscono in continuazione. Durante le manifestazioni eruttive masse di terra vengono scagliate violentemente a trenta, quaranta metri di altezza e una grande quantità di argilla fuoriesce dalle maccalube come se si trattasse del cratere di un vulcano. La periodicità di questi fenomeni non è costante. Nel complesso il paesaggio, mutevole, tetro e misterioso, conserva un forte fascino. Le maccalube di Aragona sono in attività da quasi duemila e cinquecento anni, come ci attestano alcune testimonianze, ma non è esclusa la loro presenza anche in epoche più remote.
Molti scrittori greci, latini e arabi, ne hanno parlato illustrando le proprietà del liquido fangoso e descrivendo il luogo senza indicarlo con un nome preciso. "Lacus agrigentinus" (lago agrigentino) o "ager agrigentinus" (campo agrigentino) sono gli appellativi con cui si fa riferimento alla località. Sicuramente la denominazione "lacus" fu data in quanto l'attuale collina in tempi remoti, doveva presentarsi come un enorme specchio d'acqua torbida che si riversava nell'attuale vallone.
A partire dall'età rinascimentale il "lacus" e il campo vengono indicati con il toponimo "Machaluba" derivante dall'arabo "maqlùb" che significa rivoltato, ribaltamento o capovolgimento del terreno. Attualmente il nome maccalube non è soltanto il toponimo con cui si indica la località, ma anche il nome delle manifestazioni eruttive di Aragona e non solo di esse, ma anche di tutte quelle, sparse nei vari continenti, che hanno le stesse proprietà e caratteristiche. Maccaluba o anche macaluba e macalupe, sta infatti a significare una "sorgente idrofangosa caratterizzata dall'emissione di metano e, in minore quantità, di anidride carbonica".
Nei giorni nostri, la collina viene detta anche "occhiu di maccalubi", appellativo che deriva dalla sua forma circolare e dal colore biancastro che ha per gran parte dell'anno, dovuto alla enorme quantità di polvere di cristalli di calcite che affiora assieme alla fanghiglia argillosa e si deposita sulla superficie. Le maccalube vengono anche impropriamente dette "vulcanelli" per i coni di argilla che si formano sulla sua superficie.
Il fenomeno delle maccalube di Aragona è riconducibile alla presenza nel sottosuolo di un vastissimo bacino argilloso e di sostanze organiche, localizzabili a km 12 di profondità, dalle cui trasformazioni si formano i gas che emergono in superficie, trascinando con sè la fanghiglia argillosa che, depositandosi lentamente, forma i coni di fango.
La causa principale delle manifestazioni eruttive è quindi il processo chimico che con la sua azione genera masse di gas in profondità: una parte di essi riesce a incunearsi in piccolissimi interstizi dell'argilla e ad uscire in superficie trascinando con sè la fanghiglia argillosa, un'altra parte rimane bloccata e si accumula lentamente fino a raggiungere una cospicua consistenza, allorché la massa di gas accumulato diventa eccessiva e la sua forza dirompente molto elevata, avvengono le eruzioni, sollevando in alto l'argilla con enorme fragore.
La presenza di acque nel sottosuolo con molta probabilità deve essere elevata, forse derivante da sorgenti sotterranee; le acque partecipano al processo chimico e ai fenomeni eruttivi gonfiando e rendendo plastica l'argilla che in tal modo forma come un tappo che impedisce l'uscita dei gas. Questi ultimi, quindi, si accumulano finchè la loro pressione non provoca le esplosioni e le eruzioni. La popolazione di Aragona, nutre un timore inconscio per le maccalube, però, nello stesso tempo, si sente protetta dalla loro presenza e crede che preservino tutto il territorio da qualsiasi manifestazione sismica fungendo da "valvola di sfogo".
Il rapporto affettivo della popolazione con le maccalube è molto simile al rapporto esistente tra un essere soprannaturale e gli uomini. Da un canto questi ultimi hanno paura della divinità e vi si sottomettono, dall'altro canto però sottomettendosi e obbedendo alla sua volontà, si sentono sicuri perché credono di essersi accattivati la sua benevolenza e la sua protezione. E'ancora viva, nella popolazione aragonese la credenza che nel luogo ove si trovano le maccalube un tempo lontanissimo vi era una città di nome Cartagine, seppellita in seguito ad un capovolgimento della terra. La città sommersa di cui si parla nella leggenda è forse quella stessa a cui alludeva Vitruvio, vissuto nell'età di Augusto, allorché parlava di una ''fons Carthaginis". La credenza è sicuramente nata dalla presenza nella zona di un qualche insediamento urbano scomparso in seguito ad una eruzione della collinetta delle maccalube.
Cartagine, la città sommersa, era un centro opulento e operoso dove la vita scorreva tranquilla e serena finché un giorno, durante una festa religiosa, scoppiò una violenta

Edificio rurale a Maccalube

lite tra due opposte fazioni della popolazione e si offese una divinità, che adirata fece sprofondare nelle viscere della terra tutto il paese. Ogni sette anni, sempre secondo la leggenda, a mezzanotte in punto, al centro della collinetta compare un gallo che si mette a cantare e improvvisamente riaffiora la piazza con il mercato proprio come era quando sprofondò nelle viscere della terra. Chi si trova nelle vicinanze e senza timore riesce ad avventurarsi nel mercato, vedrà tramutato in oro tutto quello che comprerà e potrà arricchirsi in un batter d'occhio.
Non deve, però, farsi prendere dalla paura e nell'attraversare la piazza non deve mai voltarsi indietro altrimenti tutto scomparirà improvvisamente come è apparso. Secondo un'altra credenza ancora molto diffusa tra la popolazione locale, ogni anno, tra luglio e agosto, all'improvviso, dalle maccalube affiora una canna accompagnata da una fiamma e tutta la terra intorno si capovolge, inghiottendo i coni di fango, i rigoli e gli specchi d'acqua.

La festività natalizia ad Aragona è una ricorrenza molto attesa e ricca di suggestività che conserva ancora il suo fascino sebbene le antiche tradizioni e lo spirito originario

Statua del Cristo Nero

che l'animavano siano diventati sempre più sfumati e meno sentiti. La rappresentanzione della Pastorale e le novene o "nanareddi", secondo la parlata dialettale locale, sono sempre appuntamenti attesi e seguiti con interesse da tutti gli abitanti del paese. Questi ultimi vengono ripetuti puntualmente ogni anno a partire dal nono giorno che precede la notte di Natale e fino al momento della nascita di Gesù e poi nel pomeriggio del 6 gennaio, a simboleggiare la venuta dei Re Magi.
La Pastorale, al contrario, viene messa in scena periodicamente e senza una precisa regolarità da improvvisate compagnie locali, formate da attori dilettanti. Va invece scomparendo la tradizione di preparare il presepe, un tempo molto viva e carica di significato, testimoniata dal caratteristico presepe che si trova nella chiesa Madre: veniva preparato in ogni chiesa e in moltissime case di Aragona con "pastura" di gesso che alimentavano la fantasia dei fanciulli e la creatività di chi li sistemava.
I "pastura" e le casette di legno o di cartone, venivano gelosamente conservati per l'anno successivo. Sicuramente le novene e la Pastorale sono le principali tradizioni popolari di Aragona legate alla ricorrenza di Natale e si tramandano ormai da diverse generazioni. Le numerose chiese costruite ad Aragona e nelle sue campagne (San Vincenzo, Santa Rosalia, San Giovanni Bosco, Gesù, Maria e Giuseppe) e le molte edicole sacre sparse nel suo territorio sono la testimonianza di questa religiosità così come i molti canti presenti nella tradizione popolare locale, legati principalmente alla

Arco Medievale

vita contadina, in cui si fa ricorso ai santi e a Dio.
Nelle Novene e nella Pastorale gli aragonesi rivivono gli avvenimenti evangelici immedesimandosi nel susseguirsi della rievocazione fatta attraverso il canto e la finzione scenica. Anche la Pasqua aragonese ha una ricca tradizione folklorica che ha il suo punto cruciale nella processione e nel famoso Incontro" che avviene la domenica di Pasqua, nella piazza Umberto, con i fercoli del Cristo Risorto e della Madonna. Partecipano a detto incontro due colossali statue, San Pietro e San Paolo, che fanno da ambasciatori alla Madonna dell'avvenuta resurrezione di Cristo. Seguono la sagra  "du Taganu" che si celebra la seconda domenica dopo Pasqua e la sagra "della salsiccia" che si celebra la seconda domenica di settembre.
Esse sono manifestazioni folkloristiche che richiamano numerose persone provenienti dai centri vicini. Ogni ricorrenza festiva ovunque come anche ad Aragona ha la sua pietanza e il suo cibo che a volte assume un significato allegorico e simbolico, celebrativo dell'evento o semplicemente rappresenta un momentaneo e fugace benessere appagatore delle sofferenze quotidiane di natura materiale e spirituale.
La realtà popolare è una continua privazione che nella festività viene temporaneamente liberata e tradotta in una fuggevole quanto sontuosa abbondanza propiziatrice di un domani migliore. La ricorrenza pasquale per l'alto significato religioso che riveste e per il particolare periodo della ciclicità stagionale in cui si colloca trova ad Aragona nell'uovo e nei cibi tipici dell'agricoltura locale i suoi simboli celebrativi così come avveniva nelle più antiche civiltà.
L'uso dell'uovo come elemento celebrativo della ricorrenza pasquale pertanto ad Aragona si può spiegare con la derivazione contadina del paese, con il suo attaccamento alla terra e al mondo arcaico, ma non gli si attribuiscono quei significati simbolici e allegorici che gli si davano presso i popoli antichi.
La sua presenza nei "panaredda" e nel "taganu", i due cibi celebrativi della festività di pasqua, si deve alla elavata produzione che se ne ha in questo periodo e alla facile reperibilità che permette ai contadini di disporne a piacimento. Venivano preparati durante la Settimana Santa allorché si faceva il pane; gli ingredienti erano la stessa pasta usata per il pane e una quantità variabile di uova a seconda dei "panaredda" che si volevano preparare. L'uovo crudo veniva avvolto nella pasta, modellando tutto a forma di cesta con manici.
Se la massaia era brava, faceva anche dei fiori con la pasta e li inseriva nella cesta. Il "panareddu" così preparato veniva poi cotto assieme al pane nel forno, e dopo una ventina di minuti, croccante e dorato, era pronto per essere mangiato; l'uovo divenuto sodo assumeva un particolare sapore datogli anche dal profumo del pane caldo: per tutti quanti rappresentava una ghiottoneria. Il cibo per eccellenza tipico di Aragona che simboleggia la Pasqua ed è divenuto con il passare degli anni celebrativo della ricorrenza è il "taganu", a base di uova e "tuma", che non trova riscontro in nessun'altra parte. E' infatti, originario del paese e la sua tradizione si perde nei tempi e nella leggenda.
Secondo uno dei racconti popolari, infatti, l'origine si deve all'iniziativa di una povera contadina che, avendo venduto tutto ed essendo desiderosa di rendere felici i suoi figli nel giorno di Pasqua, pensò di preparare un piatto unendo assieme tutto ciò che aveva in casa. Le massaie anticamente cominciavano a raccogliere le uova alcune settimane prima di Pasqua per averne in gran quantità quando dovevano prepararlo.
Il nome deriva dal tegame in cui viene cucinato nel pomeriggio del Sabato Santo per poi essere consumato il Lunedì dell'Angelo in mezzo ai campi dove è tradizione trascorrere la giornata, ma c'è chi non resiste fino a tale giorno e lo assaggia ancora caldo e profumato. Gli ingredienti per un "taganu" bastevole ad una famiglia di sette o otto persone sono: 1 Kg di rigatoni o tortiglioni, 60 uova, 1 Kg di tuma, 1/2 di carne di vitello o maiale tritata, 1/4 litro di brodo di pollo, un pizzico di erbe aromatiche (menta, prezzemolo, zafferano), e 20 gr. di cannella.
Si procede alla sua preparazione frullando per prime le uova con il brodo di pollo e con un pizzico di zafferano e cannella. Successivamente si fa cuocere la pasta al dente e la si dispone nel tegame fino a formare uno strato compatto su cui prima si stende un po' di carne tritata e poi si versano le uova frullate. La "tuma" ridotta in sottili fettine ricoprirà poi il tutto. Si procede formando di nuovo un altro strato di pasta e continuando le operazioni di prima, fino ad esaurire tutti gli ingredienti. L'ultimo strato di "tuma" va ricoperto abbondantemente di uova frullate che dovranno colare negli strati inferiori a colmare tutti i vuoti esistenti. A questo punto il "taganu" è pronto per essere messo al forno e dopo un'ora un delizioso profumo si diffonderà per tutta la casa annunciando la sua avvenuta cottura.

Il comune di Aragona, con una superficie di 73 chilometri quadrati, si estende nella zona centro-meridionale dell'Isola al confine con i comuni di Casteltermini, Campofranco (CL), Comitini, Grotte, Favara, Joppolo Giancaxio, Sant'Elisabetta e Sant'Angelo Muxaro. Il territorio è inserito in una regione collinare con una altitudine minima di 117 metri ed una massima di 600. Circa il 40% di esso viene destinato al

L'ascensore per le miniere

pascolo, il 7% alle colture intensive ed il 13% a quelle estensive.
Il Comune fruisce di una collocazione favorevole nel sistema dei trasporti. Tale collocazione ha contribuito alla scelta di Aragona come sede di un nuovo agglomerato industriale (Favara-Aragona) del Consorzio per l'area di sviluppo industriale della provincia di Agrigento. La popolazione, costituita da più di 10.500 abitanti con una prevalenza femminile, ha subito un notevole decremento nel decennio '71/81, mentre nel decennio successivo ha ricominciato un processo di lenta ma progressiva crescita. L'economia locale, un tempo incentrata sulle miniere di zolfo, si basa essenzialmente sull'agricoltura; l'attività agricola si svolge nei comparti tradizionali del mandorlo in particolare, dell'ulivo, del frumento, dei legumi e del pistacchio. Accanto all'agricoltura di tipo tradizionale si registra una limitata presenza della viticoltura.
Il settore agricolo è, tuttavia, condizioni di degrado poiché risente della carenza d'acqua e di un consistente fenomeno migratorio. Altre fonti di reddito sono costituite dall'attività edilizia, da quella commerciale e dalle rimesse degli emigrati che, dato l'alto tasso di emigrazione registrato nel Comune (tra i più alti della Sicilia), rappresentano una componente strutturale del reddito.
La vicinanza con Agrigento e con Sciacca, polo d'attrazione turistica internazionale, una sufficiente ed articolata rete di strade di comunicazione unite ad una campagna abbastanza rigogliosa, costituiscono per Aragona delle precondizioni su cui è possibile intraprendere un discorso di sviluppo nel settore dell'Agriturismo e Turismo rurale.
Probabilmente non si tratta di un obiettivo operativo a breve termine, in quanto è necessaria la messa in opera di una condizione che è anche culturale: un processo di ritorno attivo alla campagna (adesso non esiste quasi più la residenzialità contadina). Secondo una nuova logica di piccola imprenditorialità che deve coinvolgere soprattutto i giovani in cerca di occupazione. L'agriturismo ed il turismo rurale costituiscono infatti una forte potenzialità che se messa in essere con attenzione alla qualità dell'offerta, possono contribuire a risolvere il problema sempre più drammatico dell'occupazione giovanile.