Una
relazione manoscritta del '700, dell'Arciprete Agatino Giacco (oggi
pubblicato dalla Pro Loco di Aragona a cura del prof. Francesco Graceffa,
autore di numerose ricerche sulla storia, il territorio e la cultura
aragonese cui abbiamo attinto per questo servizio) così descrive il
paese: "Nel Val di Mazzara, dentro la Diocesi, Comarchia, e territorio
di Girgenti, nelle spalle di un monte mediocremente inclinato, e
nell'estremità meridionale del Feudo delli Diesi, giace Aragona a
dirimpetto del sole nascente, terra molto popolata ed amena.
Torre del Salto d'Angiò
Circondata da innumerevoli alberi d'ogni sorta, che le danno un vago e
dilettevole aspetto. Dista dalla Marina ed Emporio di Girgenti duodeci
miglia, otto dalla Città; e sessanta verso tramontana da Palermo. L'aria
è ventilata, sottile e molto sana; il vento greco quando nell'inverno
costantemente soffia reca gran molestia agli abitanti, ed i morbi acuti,
e specialmente le pleuritidi facilmente si aggravano; i convalescenti
presto si ristabiliscono: sempre si trovano parecchi, che avanzano i
novant'anni dell'età loro, molti, che contano sopra sessanta. La
popolazione si numera da circa 6000, a 600 persone in fochi 1936. La
sobrietà del vitto e pasto si osserva dalla maggior parte.
Stemma dei Naselli
L'indole dei paesani è per lo più impaziente, contenziosa, svogliata
alle serie e lunghe applicazioni, e però son pochi quelli, che riescono
alle ardue imprese ed alle lunghe fatiche". Fondata ufficialmente, come
molti centri siciliani, agli inizi del '600 quando molti nobili,
ottenuta la Licentia populandi per il loro feudo, diedero inizio alla
"fabbrica" dei borghi in genere intorno ad un nucleo costituito dalla
residenza feudale. Aragona fu edificata con i criteri urbanistici tipici
dell'epoca che comprendevano una geometria di maglie viarie regolari
delimitanti ampi isolati, all'interno dei quali si sviluppavano un po'
disordinatamente vicoli, abitazioni asimmetriche con cortili e scale.
Affresco del Borremans
Ma
questa piccola confusione urbanistica era ancora a "misura d'uomo" se
confrontata con le successive ondate edilizie che hanno riempito di case
nuove intere zone del paese mutandone in parte il contesto
storico-ambientale. Come in tutte le terre toccate in modo massiccio dal
fenomeno dell'emigrazione, lo sviluppo edilizio disordinato è stato
alimentato dall'esigenza/desiderio dell'emigrato di investire i suoi
risparmi in una casa in "paese", luogo mitico del "ritorno" e del
"possesso" come riappropriazione di identità. Quest'entroterra
agrigentino, di solito escluso dai tradizionali itinerari turistici,
offre un'ampia varietà di condizioni ambientali e storico-culturali che,
anche se non eclatanti, costituiscono un insieme non indifferente da
offrire ad un modello di turista meno distratto.
Nei
dintorni di Aragona, gradevolmente accompagnati dal bibliotecario Nino
Seviroli, attore ed egli stesso personaggio del teatro pirandelliano,
abbiamo scoperto piccoli tesori d'arte abbandonati o ambienti naturali
quali la Torre del Salto d'Angiò, le antiche miniere di zolfo, il grande
"blob" del Maccalube, che ci hanno certamente affascinato. Oggi tra le
colline e i valloni che costeggiano la montagna d'Aragona, non ci sono
più i latifondi ma campi ben coltivati, e i giacimenti solforiferi che
per secoli hanno determinato i ritmi della fatica e dello sfruttamento
umano e la stessa qualità ambientale (la vallata è stata per secoli resa
sterile dalle esalazioni prodotte per la fusione dello zolfo) sono solo
un brutto e maleodorante ricordo. Ormai fanno parte della "memoria
storica" di una Sicilia che per quanto appaia immobile, è sempre (come
il Maccalube) in continuo movimento.
Fu
fondata nel 1606 dal Baldassarre Naselli nel feudo Diesi dove già
esisteva un piccolo insediamento urbano. La "Licentia populandi" per
costruire il paese di Aragona era stata concessa inizialmente da Carlo V
a Gaspare Naselli che fu barone del feudo Diesi dal 1549 al 1555, ma per
la brevità della sua vita quest'ultimo non riuscì a portare a termine la
costruzione del paese. Naselli, marito di Donna Beatrice Aragona
Branciforte, cercò di completare la costruzione del paese senza
riuscirvi.
Il
nuovo centro abitato fu definitivamente costruito dal figlio Baldassarre
Naselli che il 7 gennaio 1606 ottenne dal vicerè Lorenzo Suarez la
licentia populandi, confermata poi dal re Filippo II il 31 dicembre
1606. Nacque così il nuovo centro abitato che prese il nome della madre
del suo fondatore e si sviluppò in sintonia con la famiglia Naselli. Per
le sue origini Aragona fu un paese baronale amministrato totalmente dai
baroni Naselli che, oltre ad imporre gabelle, esercitarono anche il
potere civile e penale avendo comprato il mero e misto impero nel giugno
del 1606.
Le
prime notizie del feudo Diesi in cui sorge Aragona si hanno alla fine
del secolo XIV allorchè risultava iscritto nei registri dei Baroni di Federico II
sotto il nome di Casale Diesi.
Nei primi decenni del 1300 appartenne a
Mariano Capace che lo vendette a Nicolò Abate. Questi a sua volta, nel
settembre del 1372, lo vendette a Rinoldo Bonito che ne fu spodestato
per la sua ribellione al re Martino e passò a Raimondo Montecatino.
Parte vecchia del Paese
Il
feudo passò quindi a Guglielmo Ventimiglia, il 2 luglio 1395, e dopo 22
anni pervenne ad Antonio Bonito. Alla sua morte il feudo passò alla
figlia Margaritella dalla quale nacquero Pietro Antonio, morto nel 1516
senza eredi, e Isabella che il 6 ottobre 1499 sposò Baldassarre Naselli
portandovi in dote il feudo Casale Diesi. Con questo matrimonio il
feudo, a cui è legata l'origine di Aragona, passò ai baroni Naselli che
lo conservarono fino all'estinzione del ramo maschile della loro fami
glia nel 1862.
Filippo IV elevò la baronia di Aragona e delle sue terre a Principato
nel 1625, mentre era signore di Aragona Luigi Naselli, vicerè degli
Abruzzi. L'ultimo erede diretto dei Naselli fu Baldassarre morto nel
1862 senza figli per cui il titolo e l'eredità passarono a suo nipote
Sac. Luigi Burgio Naselli che nel 1877, dopo il fallimento delle miniere
di zolfo, diede i beni ancora in possesso alle Suore di carità di S.
Vincenzo di Paola. Per più di due secoli e mezzo, dalle sue origini,
Aragona crebbe e si sviluppò legando le sue vicende a quelle dei baroni
Naselli divenuti Principi.
Durante il periodo risorgimentale il paese, però, ebbe un risveglio
sociale partecipando agli avvenimenti regionali e nazionali anche se in
modo limitato. Nel 1848 Giuseppe Guerrera portò ad Aragona da Palermo il
proclama redatto da Francesco Bagnasco e, scritto a mano in diverse
copie fu distribuito alla popolazione. Molti sacerdoti aragonesi
stimolati dall'atteggiamento favorevole del vescovo Mons. Loiacono
manifestarono nell'occasione le loro idee patriottiche incitando alla
rivoluzione. I fratelli Giulio e Salvatore Di Benedetto, animatori del
movimento, appresa la notizia dell'insurrezione di Palermo inalberarono
il vessillo tricolore nella Chiesa del Rosario, mentre una gran folla si
accalcava in piazza gridando viva Pio IX, viva la rivoluzione.
Fu
costituita la guardia nazionale alla quale aderirono, oltre ai fratelli
Di Benedetto, anche Giuseppe Guerrera, Don Antonio Magiordomo, il Dott.
Alfonso Calleja e il Barone Antonio Rotulo. A presiedere il Comune fu
nominato Antonio Magiordomo mentre Baldassarre Naselli veniva nominato
rappresentante del parlamento generale di Sicilia. Fallita la
rivoluzione, tornarono i Borboni ed ebbero inizio le persecuzioni. I
fratelli Di Benedetto furono messi in carcere per 11 mesi mentre la loro
famiglia fu sottoposta a continue vessazioni. Nel maggio del 1860, allorchè ad Aragona giunse l'eco dell'impresa di Garibaldi, si costituì
un nuovo magistrato municipale presieduto da Antonio Morreale. I
fratelli Giulio e Salvatore Di Benedetto assieme al fratello più piccolo
Settimo si arruolarono nell'esercito garibaldino e parteciparono alla
battaglia di Volturno. Si distinsero per il loro comportamento ottenendo
molti riconoscimenti. Il 29 maggio 1860 ad Aragona venne organizzata una
sfilata di tutti i cittadini che si concluse in piazza Madre nella cui
Chiesa venne cantato un Te Deum alla presenza del clero aragonese. Il 6
giugno il magistrato comunale aragonese inviò un messaggio a Garibaldi
con il quale il Comune aderiva a che egli assumesse la dittatura
dell'Isola in nome di Vittorio Emanuele II e venisse proclamata
l'annessione della Sicilia al Regno d'Italia. Ben
presto però, vennero le delusioni nel paese specialmente quando si
dovettero incominciare a pagare le tasse tanto che per intimorire la
popolazione fu inviata la milizia. Alla fine del secolo scorso, nel 1890
ad Aragona vi era una guarnigione di 25 soldati comandati da un tenente.
La loro presenza si inserisce nel quadro dei fasci dei lavoratori e
degli scioperi che c'erano stati ad Aragona. Il 20 novembre del 1890
c'era stata addirittura una sommossa con il tentativo di incendio del
Circolo dei civili e nel 1893 - 1894 continuarono gli scioperi. Il
fascio ad Aragona era sorto nel 1893 e nel luglio dello stesso anno si
ebbero le elezioni amministrative. Furono eletti 4 candidati del fascio.
Negli anni successivi la vita aragonese è segnata dalla partecipazione
agli eventi bellici e dai mutamenti sociali legati alle miniere di
zolfo, alle trasformazioni agricole e all'emigrazione. Il movimento
operaio, prima e dopo le due guerre, favorito dall'aggregazione
derivante dalla presenza delle miniere e spinto dalle condizioni
economiche e sociali alquanto insopportabili, fu molto attivo e con una
serie di scioperi e di rivendicazioni economiche ottenne sensibili
miglioramenti e svolse un ruolo attivo nella politica sociale.
Parte vecchia del Paese
La
tradizione cattolica e la religiosità di Aragona di contro hanno
contribuito alla nascita e alla formazione di una forte Democrazia
Cristiana che da sola detiene la maggioranza assoluta in seno al
Consiglio comunale, nonostante i suoi uomini guida non si siano sempre
mostrati oculati nella loro opera. Alla fine dell'800 ad opera del Sac.
Vincenzo Gandolfa venne fondata la Cassa Rurale per aiutare i contadini
con prestiti al tasso dell'8,5%. Nel 1901 un convegno interdiocesano
stabilì che la Cassa Rurale doveva esclusivamente servire ad agevolare
il piccolo credito agricolo.
L'ultimo conflitto bellico coinvolse direttamente il centro urbano;
anche se in modo marginale e per qualche episodio sporadico. Aragona,
infatti, fu sede di distaccamenti del decimo reggimento bersaglieri e
del cinquantottesimo fanteria per cui durante l'avanzata dell'esercito
anglo americano si ebbero dei combattimenti nella località di ''Passu
Funnutu" e alcuni bombardamenti nel centro urbano di limitata importanza
per la scarsa resistenza opposta all'avanzata nemica. I
soldati erano ospitati nella Chiesa sconsacrata del Purgatorio mentre il quartier generale si trovava nella palazzina Carruba, in periferia del
paese. La Chiesa del Purgatorio venne adibita a magazzino del genio
militare mentre la polveriera venne dislocata nei pressi del cimitero;
in contrada Quattro Strade venne istituito un altro deposito. Durante
l'avanzata dell'esercito anglo americano i depositi dell'esercito
italiano furono assaliti e saccheggiati da gruppi di persone spinti
dalla fame e dalla mancanza di generi di prima necessità. Gli
anni della ricostruzione e dello sviluppo industriale nazionale si
caratterizzano ad Aragona per le lotte e le rivendicazioni dei zolfatai
fino alla chiusura delle miniere e per l'emigrazione che ha ridotto la
crescita del paese e il suo sviluppo economico. L'agricoltura ha in
parte cambiato volto e si è modernizzata ma si è invecchiata nella sua
componente lavorativa, preferendo le nuove generazioni un lavoro
nell'industria, l'impiego o l'emigrazione all'attività agricola, che da
sempre è la principale attività del paese.
Il palazzo "del principe" di mole rettangolare, con
quattro loggette ai suoi angoli, si erge maestoso e domina tutto il
tessuto urbano che a vari dislivelli occupa i pendii orientali del monte
Belvedere. Venne costruito agli inizi del'700 e fu arricchito con
magnifici affreschi e una ricca pinacoteca che comprendeva due dipinti
di Guido Reni, "Il ratto di Proserpina" e "Il ratto d'Europa". Ma i
quadri e la maggior parte degli affreschi andarono perduti nel corso del
secolo scorso per ignavia ed incuria dei suoi proprietari, che nel 1875
restaurarono il palazzo distruggendo molte delle pitture. Già nel 1911 Gioacchino Di Marzo, venuto a visitare
Loggia Palazzo del Principe
Aragona, ammetteva amaramente la scomparsa di gran parte degli affreschi.
"Recatomi però io sul luogo, egli scrive, alla fine di gennaio del
corrente anno mi è toccato subirvi la più amara delusione non trovatovi
che una minima parte di si gran copia di dipinti, scomparsone tutto il
resto per ignoranza ed ignavia del tempo. Vi ho saputo, che, minacciando
crollare la volta dipinta del gran salone del passato secolo XIX, il
Principe Baldassarre Naselli Morso, anziché ripararlo, né affrettò il
crollo ed indi se ne servì del legname in sostegno di una solfara
pericolante". "L'incarico di affrescare le volte delle sale del palazzo
fu dato al Borremans da Baldassare Naselli Branciforti, che aveva
assunto il principato nel 1711. Fu capitano e pretore a Palermo dal 1724
al 1738 ove sperperava le ricchezze accumulate ad Aragona. Qui ebbe modo
di conoscere ed apprezzare il nostro autore. Non si hanno elementi per
poter stabilire con esattezza il periodo in cui furono ultimati i
lavori, però, è certo che furono i più importanti del Borremans e forse
anche gli ultimi visto che è morto a Palermo nel 1744. Furono affrescate
le volte di molte sale e specialmente del gran salone del palazzo, le
logge e la cappella con una grande varietà di soggetti sacri e profani e
con una grande profusione di ornati. Ancora agli inizi del secolo (1911)
si vedevano sopra due porte principali, due medaglioni dipinti con belle
mezze figure del Redentore e della Vergine, e alla sommità delle pareti
alcune storie del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Chiesa del Purgatorio
Esistevano ancora nel
1880 le storie del Giudizio di Salomone, di Rebecca al Pozzo, di Mosè
con le tavole e della Samaritana. Ma nessuno ricordava più il soggetto
della volta centrale. Tutto fu manomesso quando furono rifatti la volta
e il salone". Nei nostri giorni il palazzo è stato occupato per metà dal
Municipio, trasferito recentemente in un moderno edificio nella parte
nuova del paese, e per l'altra metà dalle Suore di carità e
dall'Orfanotrofio femminile. In questa seconda parte, non aperta al
pubblico, si conservano ancora solamente gli affreschi di una loggetta,
deteriorati dai fenomeni atmosferici, rappresentanti la Vittoria
trionfante su un carro, e quelli, in buono stato di conservazione, della
volta di un ampio salone raffiguranti, al centro, in un rosone, la
Gloria con al capo una corona turrita nell'atto di alzare con la mano
destra una corona d'alloro e con la sinistra un nastro con la scritta
del motto della famiglia Naselli "Non sine certamine". Sotto di essa due
putti sorreggono lo stemma dei fondatori di Aragona mentre ai quattro
lati, opposte tra di loro, ma rivolte tutte alla figura centrale, vi
sono raffigurati quattro personaggi allegorici che rappresentano la
mansuetudine, la virtù, la munificenza e la cornucopia; accanto ad esse
altrettanti nastri sventolanti con le scritte "Mitis corda quiesco", "Virtus
ad Astra vehit", "Dat munus honores" e "Uti stercore Premo". Gli
affreschi di questa volta ancora esistenti, sicuramente dovevano essere
i principali e i più importanti di quelli fatti dal Borremans nel
palazzo come si può dedurre dai loro significati allegorici e simbolici,
celebrativi della virtù e delle doti della famiglia Naselli, committente
dell'opera. In alcune stanze, sempre nella parte del palazzo
occupata dall'Orfanotrofio e dalle Suore di Carità, si conservano ancora
parti di affreschi con figure decorative. Il sacerdote Luigi Burgio Naselli, tra
gli ultimi discendenti dei fondatori di Aragona, con atto del 18
dicembre 1887, stilato dal notaio Antonio Schiavo, fondò il Pio Istituto
Chiesa del Carmine
Orfanotrofio Femminile Principe Aragona e alla sua morte gli lasciò in
dote tutto il palazzo, con testamento fatto il 28 settembre 1889. La
direzione e la gestione della fondazione fin dal suo nascere venne
affidata alle Figlie di Carità di S. Vincenzo di Paola. Nello statuto
approvato il 5 ottobre 1909 e sottofirmato dal Ministro degli interni Luzzati si stabilì che l'orfanotrofio aveva per scopo "di ricoverare,
alimentare, vestire, educare e istruire le orfanelle povere della città
di Aragona" (art. 2), e che "le signore Isabella Sergeant fu Giacomo e
Maria Aurora e dopo di esse le due signore della stessa o da una di loro
nominata, rappresentano ed amministrano l'Orfanotrofio" (art.6). Qualche
anno dopo la fondazione dell'Opera Pia, le due amministratrici diedero
in affitto al comune di Aragona la metà del palazzo e il primo aprile
1933 glielo vendettero per 200.000 lire. L'atto di acquisto venne
firmato in presenza del segretario comunale Lorenzo Midulla, dalle due
amministratrici di allora suor Genoveffa Sergeant e suor Francesca
Falagerio, e dal podestà di Aragona, Cav. Gaetano Parisi. Ancora oggi il
palazzo è occupato per metà dall'orfanotrofio con le Suore di Carità,
ridotte a 6 e per metà dalla Biblioteca Comunale. La chiesa Matrice.
Fondata nel 1700 dal Principe Baldassare III Naselli e dedicata alla
Palazzo del Principe
Nostra
Signora de' Tre Re, è di modesta architettura ma contiene all'interno
alcune interessanti opere d'arte: un quadro rappresentante Maria che
tiene il Bambino Gesù con San Giuseppe e i Re Magi che per tradizione è
attribuito allo Zoppo di Gangi ma che richiama più apertamente la
pittura di Pietro D'Asaro, detto il Monocolo, di Racalmuto, vissuto tra
il 1579 e il 1647; una statua della Madonna delle Grazie attribuita al
Gagini e una statua di legno di Santa Rosalia Vergine. Interessante nel
primo altare a destra un presepe settecentesco in cartapesta. Tra le
curiosità possiamo estrarre notizie da una relazione della fine del '700
dell'esistenza di alcune "insigni" reliquie, in particolare "è quella di
due buone pezzette della Sindone fregiati della tintura del divino
sangue" che "in ogni venerdì di marzo quando si espone in
chiesa compare la tintura assai carica di vermiglio colore". La reliquia in
seguito venne custodita in altre chiese fino alla fine degli anni '60
prima di scomparire del tutto. Inoltre si conservano all'interno della
chiesa "insigne reliquia dei corpi intieri di S. Mario Martire e S.
Fortunato". La chiesa del Rosario. Eretta nel 1689 sopra le fondamenta
dell'antica Chiesa del Crocifisso, esistente prima della fondazione di
Aragona e da tanti anni diroccata. Venne costruita dagli appartenenti alla Confraternita del SS. Rosario, che abbandonarono
Chiesa Madre
la
vecchia Chiesa del Rosario, divenuta successivamente della Mercè, per
contrasti con i frati Mercedari che occupavano il Convento, costruito
accanto al tempio sacro. La chiesa per la venerazione che la Madonna
godeva nella popolazione si ingrandì sempre più tanto da diventare il
centro della vita religiosa aragonese. La chiesa di Nostra Signora del
Carmine. Di modesta fattura settecentesca con all'interno tele di un
certo interesse di S. Galluzzo, Vincenzo Manno (1813) e Domenico
Provenzani (1831). La chiesa del Purgatorio. Costruita nel 1667 con una
interessante facciata neoclassica che la fa apparire di età posteriore.
Nel corso della seconda guerra mondiale fu sconsacrata e utilizzata come
deposito, dopo un breve periodo di riapertura al culto, nel 1980 fu ceduta al comune che ha iniziato lavori di
ristrutturazione conservativa per trasformarla in biblioteca comunale.
Petra di Calathansuderj
Altre chiese di un certo interesse per la vita religiosa del paese sono
la chiesa di Nostra Signora delle Grazie soprannominata la Figurella,
recentemente ristrutturata contiene un dipinto del pittore agrigentino
Apelle Politi del 1877 raffigurante la Madonna di Pompei e soprattutto
una pregevole, statua di ebano nero rappresentante Cristo agonizzante di
autore anonimo che viene portato in processione durante la Settimana
Santa. La torre del "Salto d' Angiò " o più semplicemente "a turri"
come viene detta in gergo popolare, si trova a 5 Km da Aragona su un banco di
arenaria da cui si domina tutta la vallata del feudo Muxaro e del fiume
Platani.
Torre del Salto d'Angiò
E' inglobata in un casale costruito alla fine del XVIII sec. ed
ha una forma rettangolare; si presenta con tre ordini finestrati: il
primo e il terzo con finestre bifore a tutto sesto ed il secondo con
monofore a sesto acuto. La sua maestosa mole si erge al centro di tre
cortili ove si affacciano le case basse ed uniformi della masseria. La
torre è di origine chiaramontana, anche se i pareri degli studiosi non
sono del tutto concordi. Venne edificata dai Chiaramonte nel XIV sec. e,
fino al 1500, servì da baluardo difensivo dell'intero feudo, al centro
del quale sorgeva. Originariamente era a tre livelli: il primo adibito a
magazzino, il secondo, costituito dal primo piano, era adibito a zona
notte e il terzo livello, dato dal secondo piano, era composto da un
ampio salone con il tetto a botte. Dal salone attraverso una scala di
legno si arrivava al terrazzo merlato.
Mulino di Cocaroduli
Nei secoli successivi la torre ha
subito delle modificazioni che hanno mutato la sua struttura originaria.
Nel 1799 vennero abbattuti i due piani superiori di essa e vennero
realizzati quattro livelli con l'aggiunta di un ordine di monofore ad
arco acuto tra le bifore dei piani superiori ed inferiori. La torre,
nonostante le trasformazioni, presenta un fascino particolare per il
paesaggio incantevole e solitario in cui si trova, che proietta il
visitatore in un lontano passato feudale. Suggestivo è anche ciò che
resta dell'antico mulino di Cacarodduli, adagiato su una costruzione più
antica visitabile nell'omonima contrada. Vicino ad Aragona, ma
appartenente al Comune di Comitini sorge un complesso archeologico
denominato
"La Petra di Calathansuderj",
nella cui area oggi di proprietà comunale si trova un insediamento primigenio
che ha al suo centro appunto " La Petra ".
Ruderi di fabbricati annessi alla Torre d'Angiò
Come scrive in un suo
articolo Angelo Cutaia "Si tratta di un protocastello, rara testimonianza di
civiltà contadina, unica nel suo genere, ancora esistente in Sicilia, di probabile
periodo tardo antico. Il tutto è ricavato in un olistolite di notevoli dimensioni le cui pareti esterne si presentano fortemente
tormentate da numerose grotticelle artificiali e da fessurazioni morfologiche,
nonché dalla presenza di tombe a forno, che per una trentina di metri di altezza
si erge solitaria e biancheggiante ... Le ampie grotte facilmente accessibili,
racchiudono capaci ed interessanti granai a base strombata scavati in profondità
alla loro base. Più in alto, "La Petra" è intersecata da camminamenti
transitabili che l'attraversano da parte a parte dando così la certezza che in
antico il complesso potè servire anche da fortilizio.
Ruderi di fabbricati annessi alla Torre d'Angiò
La parte terminale della
collinetta è costituita da un grande vano (la cui volta è in parte crollata)
ricavato interamente nella massa rocciosa, dal quale oltre ad ammirare l'immensa
distesa che dal fondovalle del colle Cumatino porta fino al mare, si poteva
facilmente difendere l'intero complesso". Altre interessanti escursioni nel
territorio sono possibili alle zone archeologiche di S. Vincenzo e della
Fontanazza, nelle omonime contrade; alle zone delle miniere di zolfo in contrada
Montagna Principe, alla masseria Muxarello del XVIII sec. ed infine alla villa
Fontes Episcopi.
Le maccalube di Aragona sono delle suggestive e
caratteristiche sorgenti idroargillose
che
da molti secoli suscitano la curiosità e alimentano la fantasia
popolare, facendo nascere intorno a sè alcune credenze e leggende. La
spettacolarità delle loro manifestazioni, infatti, ha contribuito ad
attribuirvi un valore magico - soprannaturale. Si trovano a circa quattro
chilometri dal centro urbano di Aragona, in un piccolo altipiano,
formatosi sicuramente nel corso degli anni per la continua fuoriuscita
d'argilla dal sottosuolo. L'altopiano domina ad ovest il "vallone di maccalube" in cui i rigagnoli che affiorano dalla sua superficie si
riversano e determinano la formazione di molti calanchi, con la loro
azione erosiva, nel terreno argilloso. I monti Businè di Raffadali e di
San Marco a Nord-Ovest, la collina di Belvedere a Nord, sulle cui
pendici orientali sorge Aragona, e il monte San Vincenzo a oriente, dove
la presenza di una necropoli testimonia l'esistenza di un antichissimo
insediamento sicano, fanno da cornice alle maccalube. Una strada di
campagna, resa rotabile da qualche anno, che si diparte dal centro
urbano di Aragona, costeggiando il cimitero e il campo sportivo, conduce
alla collinetta delle maccalube.
L'altopiano, che prende il nome dai
fenomeni eruttivi delle maccalube, appare come una landa brulla,
circolare, estesa per circa un ettaro, ricoperta da una coltre di marne
cineree e crepe più o meno profonde. Nel suolo qua e là, senza un ordine
preciso, fuoriescono diversi rivoli di fanghiglia argillosa che, a poco
a poco, si depositano intorno formando piccoli coni di fango che si
ingrandiscono lentamente fino a quando la forza eruttiva non riesce più
a mandar fuori il materiale liquido dal sottosuolo e allora il processo
eruttivo ricomincia in un altro punto per poi estinguersi quando arriva
al suo culmine.
La fanghiglia che esce dalla bocca dei coni e si riversa
sulle falde somiglia alla lava di un vulcano, ma la sua fuoriuscita
avviene dolcemente e debolmente. I coni si formano e svaniscono in
continuazione. Durante le manifestazioni eruttive masse di terra vengono
scagliate violentemente a trenta, quaranta metri di altezza e una grande
quantità di argilla fuoriesce dalle maccalube come se si trattasse del
cratere di un vulcano. La periodicità di questi fenomeni non è costante.
Nel complesso il paesaggio, mutevole, tetro e misterioso, conserva un
forte fascino. Le maccalube di Aragona sono in attività da quasi duemila
e cinquecento anni, come ci attestano alcune testimonianze, ma non è
esclusa la loro presenza anche in epoche più remote. Molti scrittori
greci, latini e arabi, ne hanno parlato illustrando le proprietà del
liquido fangoso e descrivendo il luogo senza indicarlo con un nome
preciso. "Lacus agrigentinus" (lago agrigentino) o "ager agrigentinus"
(campo agrigentino) sono gli appellativi con cui si fa riferimento alla
località. Sicuramente la denominazione "lacus" fu data in quanto
l'attuale collina in tempi remoti, doveva presentarsi come un enorme
specchio d'acqua torbida che si riversava nell'attuale vallone. A
partire dall'età rinascimentale il "lacus" e il campo vengono indicati
con il toponimo "Machaluba" derivante dall'arabo "maqlùb" che significa
rivoltato, ribaltamento o capovolgimento del terreno. Attualmente il
nome maccalube non è soltanto il toponimo con cui si indica la località,
ma anche il nome delle manifestazioni eruttive di Aragona e non solo di
esse, ma anche di tutte quelle, sparse nei vari continenti, che hanno le
stesse proprietà e caratteristiche. Maccaluba o anche macaluba e
macalupe, sta infatti a significare una "sorgente idrofangosa
caratterizzata dall'emissione di metano e, in minore quantità, di
anidride carbonica". Nei giorni nostri,
la collina viene detta anche "occhiu
di maccalubi", appellativo che deriva dalla sua forma circolare e dal
colore biancastro che ha per gran parte dell'anno, dovuto alla enorme
quantità di polvere di cristalli di calcite che affiora assieme alla
fanghiglia argillosa e si deposita sulla superficie. Le maccalube
vengono anche impropriamente dette "vulcanelli" per i coni di argilla
che si formano sulla sua superficie. Il fenomeno delle maccalube di
Aragona è riconducibile alla presenza nel sottosuolo di un vastissimo
bacino argilloso e di sostanze organiche, localizzabili a km 12 di
profondità, dalle cui trasformazioni si formano i gas che emergono in
superficie, trascinando con sè la fanghiglia argillosa che,
depositandosi lentamente, forma i coni di fango. La causa principale
delle manifestazioni eruttive è quindi il processo chimico che con la
sua azione genera masse di gas in profondità: una parte di essi riesce a
incunearsi in piccolissimi interstizi dell'argilla e ad uscire in
superficie trascinando con sè la
fanghiglia argillosa, un'altra parte rimane bloccata e si accumula
lentamente fino a raggiungere una cospicua consistenza, allorché la massa di gas accumulato diventa eccessiva e la
sua forza dirompente molto elevata, avvengono le eruzioni, sollevando in
alto l'argilla con enorme fragore. La presenza di acque nel sottosuolo
con molta probabilità deve essere elevata, forse derivante da sorgenti
sotterranee; le acque partecipano al processo chimico e ai fenomeni
eruttivi gonfiando e rendendo plastica l'argilla che in tal modo forma
come un tappo che impedisce l'uscita dei gas. Questi ultimi, quindi, si
accumulano finchè la loro pressione non provoca le esplosioni e le
eruzioni. La popolazione di Aragona, nutre un timore inconscio per le
maccalube, però, nello stesso tempo, si sente protetta dalla loro
presenza e crede che preservino tutto il territorio da qualsiasi
manifestazione sismica fungendo da "valvola di sfogo". Il rapporto
affettivo della popolazione con le maccalube è molto simile al rapporto
esistente tra un essere soprannaturale e gli uomini. Da un canto questi
ultimi hanno paura della divinità e vi si sottomettono, dall'altro canto
però sottomettendosi e obbedendo alla sua volontà, si sentono sicuri
perché credono di essersi accattivati la sua benevolenza e la sua
protezione. E'ancora viva, nella popolazione aragonese la credenza che
nel luogo ove si trovano le maccalube un tempo lontanissimo vi era una
città di nome Cartagine, seppellita in seguito ad un capovolgimento
della terra. La città sommersa di cui si parla nella leggenda è forse
quella stessa a cui alludeva Vitruvio, vissuto nell'età di Augusto,
allorché parlava di una ''fons Carthaginis". La credenza è sicuramente
nata dalla presenza nella zona di un qualche insediamento urbano
scomparso in seguito ad una eruzione della collinetta delle maccalube.
Cartagine, la città sommersa, era un centro opulento e operoso dove la
vita scorreva tranquilla e serena finché un giorno, durante una festa
religiosa, scoppiò una violenta
Edificio rurale a Maccalube
lite tra due opposte fazioni della
popolazione e si offese una divinità, che adirata fece sprofondare nelle
viscere della terra tutto il paese. Ogni sette anni, sempre secondo la
leggenda, a mezzanotte in punto, al centro della collinetta compare un
gallo che si mette a cantare e improvvisamente riaffiora la piazza con
il mercato proprio come era quando sprofondò nelle viscere della terra.
Chi si trova nelle vicinanze e senza timore riesce ad avventurarsi nel
mercato, vedrà tramutato in oro tutto quello che comprerà e potrà
arricchirsi in un batter d'occhio. Non deve, però, farsi prendere dalla
paura e nell'attraversare la piazza non deve mai voltarsi indietro
altrimenti tutto scomparirà improvvisamente come è apparso. Secondo
un'altra credenza ancora molto diffusa tra la popolazione locale, ogni
anno, tra luglio e agosto, all'improvviso, dalle maccalube affiora una
canna accompagnata da una fiamma e tutta la terra intorno si capovolge,
inghiottendo i coni di fango, i rigoli e gli specchi d'acqua.
La festività natalizia ad Aragona è una ricorrenza molto
attesa e ricca di suggestività che conserva ancora il suo fascino
sebbene le antiche tradizioni e lo spirito originario
Statua del Cristo Nero
che l'animavano siano diventati sempre più sfumati e
meno sentiti. La rappresentanzione della Pastorale e le novene o "nanareddi",
secondo la parlata dialettale locale, sono sempre appuntamenti attesi e
seguiti con interesse da tutti gli abitanti del paese. Questi ultimi
vengono ripetuti puntualmente ogni anno a partire dal nono giorno che
precede la notte di Natale e fino al momento della nascita di Gesù e poi
nel pomeriggio del 6 gennaio, a simboleggiare la venuta dei Re Magi. La
Pastorale, al contrario, viene messa in scena periodicamente e senza una
precisa regolarità da improvvisate compagnie locali, formate da attori
dilettanti. Va invece scomparendo la tradizione di preparare il presepe,
un tempo molto viva e carica di significato, testimoniata dal
caratteristico presepe che si trova nella chiesa Madre: veniva preparato
in ogni chiesa e in moltissime case di Aragona con "pastura" di gesso
che alimentavano la fantasia dei fanciulli e la creatività di chi li
sistemava. I "pastura" e le casette di legno o di cartone, venivano
gelosamente conservati per l'anno successivo. Sicuramente le novene e la
Pastorale sono le principali tradizioni popolari di Aragona legate alla
ricorrenza di Natale e si tramandano ormai da diverse generazioni. Le
numerose chiese costruite ad Aragona e nelle sue campagne (San Vincenzo,
Santa Rosalia, San Giovanni Bosco, Gesù, Maria e Giuseppe) e le molte
edicole sacre sparse nel suo territorio sono la testimonianza di questa
religiosità così come i molti canti presenti nella tradizione popolare
locale, legati principalmente alla
Arco Medievale
vita contadina, in cui si fa ricorso
ai santi e a Dio. Nelle Novene e nella Pastorale gli aragonesi rivivono
gli avvenimenti evangelici immedesimandosi nel susseguirsi della
rievocazione fatta attraverso il canto e la finzione scenica. Anche la
Pasqua aragonese ha una ricca tradizione folklorica che ha il suo punto
cruciale nella processione e nel famoso Incontro" che avviene la
domenica di Pasqua, nella piazza Umberto, con i fercoli del Cristo
Risorto e della Madonna. Partecipano a detto incontro due colossali
statue, San Pietro e San Paolo, che fanno da ambasciatori alla Madonna
dell'avvenuta resurrezione di Cristo. Seguono la sagra "du Taganu" che
si celebra la seconda domenica dopo Pasqua e la sagra "della salsiccia"
che si celebra la seconda domenica di settembre. Esse sono manifestazioni folkloristiche che richiamano numerose persone provenienti dai centri
vicini. Ogni ricorrenza festiva ovunque come anche ad Aragona ha la sua
pietanza e il suo cibo che a volte assume un significato allegorico e
simbolico, celebrativo dell'evento o semplicemente rappresenta un
momentaneo e fugace benessere appagatore delle sofferenze quotidiane di
natura materiale e spirituale. La realtà popolare è una continua
privazione che nella festività viene temporaneamente liberata e tradotta
in una fuggevole quanto sontuosa abbondanza propiziatrice di un domani
migliore. La ricorrenza pasquale per l'alto significato religioso che
riveste e per il particolare periodo della ciclicità stagionale in cui
si colloca trova ad Aragona nell'uovo e nei cibi tipici dell'agricoltura
locale i suoi simboli celebrativi così come avveniva nelle più antiche
civiltà. L'uso dell'uovo come elemento celebrativo della ricorrenza
pasquale pertanto ad Aragona si può spiegare con la derivazione
contadina del paese, con il suo attaccamento alla terra e al mondo
arcaico, ma non gli si attribuiscono quei significati simbolici e
allegorici che gli si davano presso i popoli antichi. La sua presenza
nei "panaredda" e nel "taganu", i due cibi celebrativi della festività
di pasqua, si deve alla elavata produzione che se ne ha in questo
periodo e alla facile reperibilità che permette ai contadini di disporne
a piacimento. Venivano preparati durante la Settimana Santa allorché si
faceva il pane; gli ingredienti erano la stessa pasta usata per il pane
e una quantità variabile di uova a seconda dei "panaredda" che si
volevano preparare. L'uovo crudo veniva avvolto nella pasta, modellando
tutto a forma di cesta con manici. Se la massaia era brava, faceva anche
dei fiori con la pasta e li inseriva nella cesta. Il "panareddu" così
preparato veniva poi cotto assieme al pane nel forno, e dopo una ventina
di minuti, croccante e dorato, era pronto per essere mangiato; l'uovo
divenuto sodo assumeva un particolare sapore datogli anche dal profumo
del pane caldo: per tutti quanti rappresentava una ghiottoneria. Il cibo
per eccellenza tipico di Aragona che simboleggia la Pasqua ed è
divenuto con il passare degli anni celebrativo della ricorrenza è il "taganu",
a base di uova e "tuma", che non trova riscontro in nessun'altra parte.
E' infatti, originario del paese e la sua tradizione si perde nei tempi
e nella leggenda. Secondo uno dei racconti popolari, infatti, l'origine
si deve all'iniziativa di una povera contadina che, avendo venduto tutto
ed essendo desiderosa di rendere felici i suoi figli nel giorno di
Pasqua, pensò di preparare un piatto unendo assieme tutto ciò che aveva
in casa. Le massaie anticamente cominciavano a raccogliere le uova
alcune settimane prima di Pasqua per averne in gran quantità quando
dovevano prepararlo. Il nome deriva dal tegame in cui viene cucinato nel
pomeriggio del Sabato Santo per poi essere consumato il Lunedì
dell'Angelo in mezzo ai campi dove è tradizione trascorrere la giornata,
ma c'è chi non resiste fino a tale giorno e lo assaggia ancora caldo e
profumato. Gli ingredienti per un "taganu" bastevole ad una famiglia di
sette o otto persone sono: 1 Kg di rigatoni
o tortiglioni, 60 uova, 1 Kg
di tuma, 1/2 di carne di vitello o maiale tritata, 1/4 litro di brodo di
pollo, un pizzico di erbe aromatiche (menta, prezzemolo, zafferano), e
20 gr. di cannella. Si procede alla sua preparazione frullando per prime
le uova con il brodo di pollo e con un pizzico di zafferano e cannella.
Successivamente si fa cuocere la pasta al dente e la si dispone nel
tegame fino a formare uno strato compatto su cui prima si stende un po'
di carne tritata e poi si versano le uova frullate. La "tuma" ridotta in
sottili fettine ricoprirà poi il tutto. Si procede formando di nuovo un
altro strato di pasta e continuando le operazioni di prima, fino ad
esaurire tutti gli ingredienti. L'ultimo strato di "tuma" va ricoperto
abbondantemente di uova frullate che dovranno colare negli strati
inferiori a colmare tutti i vuoti esistenti. A questo punto il "taganu"
è pronto per essere messo al forno e dopo un'ora un delizioso profumo si
diffonderà per tutta la casa annunciando la sua avvenuta cottura.
Il comune di Aragona, con una superficie di 73
chilometri quadrati, si estende nella zona centro-meridionale dell'Isola
al confine con i comuni di Casteltermini, Campofranco (CL), Comitini,
Grotte, Favara, Joppolo Giancaxio, Sant'Elisabetta e Sant'Angelo Muxaro.
Il territorio è inserito in una regione collinare con una altitudine
minima di 117 metri ed una massima di 600. Circa il 40% di esso viene
destinato al
L'ascensore per le miniere
pascolo, il 7% alle colture intensive ed il 13% a
quelle estensive. Il Comune fruisce di una collocazione favorevole nel
sistema dei trasporti. Tale collocazione ha contribuito alla scelta di
Aragona come sede di un nuovo agglomerato industriale (Favara-Aragona)
del Consorzio per l'area di sviluppo industriale della provincia di
Agrigento. La popolazione, costituita da più di 10.500 abitanti con una
prevalenza femminile, ha subito un notevole decremento nel decennio
'71/81, mentre nel decennio successivo ha ricominciato un processo di
lenta ma progressiva crescita. L'economia locale, un tempo incentrata
sulle miniere di zolfo, si basa essenzialmente sull'agricoltura;
l'attività agricola si svolge nei comparti tradizionali del mandorlo in
particolare, dell'ulivo, del frumento, dei legumi e del pistacchio.
Accanto all'agricoltura di tipo tradizionale si registra una limitata
presenza della viticoltura. Il settore agricolo è, tuttavia, condizioni
di degrado poiché risente della carenza d'acqua e di un consistente
fenomeno migratorio. Altre fonti di reddito sono costituite
dall'attività edilizia, da quella commerciale e dalle rimesse degli
emigrati che, dato l'alto tasso di emigrazione registrato nel Comune
(tra i più alti della Sicilia), rappresentano una componente strutturale
del reddito. La vicinanza con
Agrigento e con Sciacca, polo d'attrazione
turistica internazionale, una sufficiente ed articolata rete di strade
di comunicazione unite ad una campagna abbastanza rigogliosa,
costituiscono per Aragona delle precondizioni su cui è possibile
intraprendere un discorso di sviluppo nel settore dell'Agriturismo e
Turismo rurale. Probabilmente non si tratta di un obiettivo operativo a
breve termine, in quanto è necessaria la messa in opera di una
condizione che è anche culturale: un processo di ritorno attivo alla
campagna (adesso non esiste quasi più la residenzialità contadina).
Secondo una nuova logica di piccola imprenditorialità che deve
coinvolgere soprattutto i giovani in cerca di occupazione. L'agriturismo
ed il turismo rurale costituiscono infatti una forte potenzialità che se
messa in essere con attenzione alla qualità dell'offerta, possono
contribuire a risolvere il problema sempre più drammatico
dell'occupazione giovanile.