I resti dell'edificio romano che suscitarono l'interesse dell'Houel

Tra gli innumerevoli monumenti che la Sicilia ancora conserva disseminati un pò dovunque, dai centri alle zone periferiche, degna di menzione è senz'altro una  significativa struttura che trova sede in una tra le cittadine più vetuste ed affascinanti della Sicilia centro orientale. Mi riferisco all'imponente edificio sito nel "vallone Bagni" presso Centuripe.

L'origine di Centuripe risale a tempi remoti, quando lo svettante promontorio venne occupato da genti sicule. Nemmeno la colonizzazione greca (V sec. a.C.) servì a cancellare il legame con la tradizione e con l'origine italica del centro. Così la città fu sempre a fianco di Roma e l'Urbe, in seguito ai numerosi interventi nell'Isola (a partire da quelli che seguirono il viaggio di Augusto nel 22-21 a.C.) non mancò di incrementare l'attività edilizia di Centuripe.

Ad epoca imperiale sono infatti riferibili gli "Augustales" edificio riservato al culto dell'imperatore; Gymnasia; terme pubbliche (rintracciate sotto l'abitato odierno nella zona Acquamara); la Dogana; il cosiddetto Castello di Corradino; la coreografica struttura che insiste su uno dei valloni che scavano il promontorio centuripino: l'edificio dei vallone Bagni.

Gli imponenti resti di cinque camere absidate, disposte in sequenza continua sul lato est del vallone, a circa 2 km dall'abitato, hanno suscitato, per la maestosità ed imponenza, già l'interesse del viaggiatore settecentesco J. Houel.
Houel, anche in questo caso, ci ha lasciato uno splendido acquerello che rappresenta la struttura con dovizia di particolari riproducendo ciò che si poteva ancora osservare dell'edificio, certamente in condizioni meno deteriorate rispetto alle attuali.

Nel sito, sul lato opposto del vallone, è presente anche una fonte di acque oligominerali, collegate alla struttura tramite un ponte in muratura. Ai giorni nostri, tra gli altri, il Libertini nel suo studio su Centuripe si è soffermato a trattare del monumento di cui fornisce planimetria ed alzato. L'edificio è stato identificato da alcuni studiosi come bagno termale; tale funzione pare suggerita dal toponimo del sito oltre che dalla tradizione.

Di questo avviso fu il Libertini che giustifica l'esistenza di un impianto tanto imponente nella contrada, periferica rispetto al nucleo urbano, per la ragione che l'area è copiosa di acque minerali, evidentemente incanalate e sfruttate negli impianti delle terme. Altri studiosi, invece, ritengono che l'edificio sia un monumentale ninfeo, cioè un'enorme fontana dai connotati scenografici come numerose sorsero in epoca rornano-imperiale dove la natura dei luoghi lo permetteva.

Al di là delle differenti ipotesi di identificazione, una cosa è certa: al visitatore che scenda lungo le fratture del vallone il monumento si mostra, improvvisamente, grandioso; l'effetto scenografico è innegabile. Ciò che oggi rimane, come accennavamo, sono cinque grandi nicchie apparecchiate in opera testacea (in mattoni, cioè) ed in opera cementizia, ed un piccolo vano angolare che conserva tracce di affresco.

I sei vani occupano un fronte di quasi 40 metri ed un'altezza di 9 metri e più. Dato rilevante dal punto di vista costruttivo è il fatto che mentre le pareti delle camere risultano costruite in mattoni, le volte sono realizzate in opus cementicium (un impasto di sabbia, malta, pietrischio che una volta asciugato diviene monolitico). Nel nostro edificio l'opus cementicium delle coperture a volta è stratificato, cioè presenta materiali più leggeri nell'impasto man mano che si sale al colmo; questo accorgimento, atto a rendere poco pesanti le volte, fornisce dati preziosi per l'inquadramento cronologico, infatti tale tecnica, che inizia a trovare diffusione nel periodo claudio (metà I sec. d. C.), è adottata con frequenza soprattutto in epoca flavia (fine I sec. d.C.).

Rilevante è poi la presenza, nel piccolo vano poligonale, affiancato ai nicchioni, purtroppo molto rovinato e letteralmente abbandonato alle intemperie, un affresco parietale. Si tratta di una pittura molto semplice, in riquadri costituiti da linee di colore rosso e verde, entro cui trovano posto lievi motivi floreali (ghirlande, rametti gigli) sul fondo bianco della parete. I confronti sembrano andare al medio-impero; in quel momento troviamo decorazioni caratterizzate da grande sobrietà, consistenti in puri elementi di partizione, con repertorio ridotto a motivi lineari.

L'edificio, se è corretta l'identificazione termale, date le rilevanti dimensioni, è probabile fosse una struttura di uso pubblico, anche se chiaramente non inserita in un contesto urbano proprio. L'ampiezza dell'impianto costituisce, inoltre, un indizio palese della prosperità del centro romano di Centuripe. In questi bagni confluiva un fatto pubblico allo scopo di sfruttare l'abbondante sorgiva naturale e per soddisfare esigenze edonistiche e trovare sollievo nelle cure offerte dalle terme.

Inoltre che si potessero associare ragioni foratiche a motivi culturali è molto probabile. Quindi, nell'area dell'edificio e in esso stesso, potevano trovare posto anche spazi dedicati a divinità delle fonti. Il nostro interessante edificio attesta, tra l'altro, come Centuripe in età imperiale fosse una cittadina fiorente, lambita anche dal passaggio di un'importante arteria viaria, la strada che, come attesta la Tabula Pentigeriana (itinerarium pictum del IV sec. d.C.) collegava Catania a Termini Imerese passando per Aethna, Centuripe, Agiriam, Enna.

Le strutture termali del centro ennese potevano così attrarre addirittura numerosi visitatori per motivi terapeutici, come accadeva ad esempio per le terme di Acireale e di Selinunte. Oggi Centuripe è del tutto marginale nell'economia dell'Isola e, purtroppo, non si riesce a sollevare le sorti di un paese tanto suggestivo, panoramico ricco di antichi monumenti, a causa del totale disinteresse nei confronti di una corretta politica di utilizzo del nostro straordinario patrimonio naturalistico, artistico, archeologico.