Sicilia da scoprire

Il tonno e le tonnare

di Giovanni Carbone

La mattanza è un incredibile incrocio tra tecniche di pesca empiriche ed elementi di contaminazione mistica, religiosa e folkloristica

Il tonno, nel Mediterraneo, viene pescato essenzialmente in tre modi: con lenze o sistemi di lenze, con reti mobili o con reti fisse. Il sistema di lenze comprende dei grossi ami innescati con sgombri o tambarelli, assicurati con un filo d'acciaio a lenze lunghe circa 50 metri trascinate in superficie. Questo sistema di pesca, utilizzato soprattutto nei mesi estivi, è in grado di dare risultati soddisfacenti ma non è in grado di competere con sistemi più moderni che utilizzano reti mobili e strumenti sofisticati per l'individuazione del banco.

Lo studio dei flussi migratori è attenzionato spesso dalle grandi compagnie di pesca del tonno perchè è possibile, conoscendo a priori i possibili spostamenti dei banchi di pesce, soprattutto quelli di maggiori dimensioni di provenienza atlantica, ottimizzare la cattura. Tra le reti mobili utilizzate per la pesca del tonno, introdotte a partire dal 1950, vi è il tipo "canciolo o saccaleva", reti molto simili a quelle utilizzate per la cattura di clupeidi ma molto più robuste. L'avvistamento dei tonni, che un tempo veniva fatto a vista, oggi è garantito da apparecchiature elettroacustiche collocate a bordo dei pescherecci.

Queste reti sono lunghe dai 600 ai 1.200 metri e alte dai 30 ai 120 a seconda della profondità del mare. Il bordo superiore è provvisto di galleggianti che le sorreggono, mentre in basso sono provviste di piombi che le mantengono in posizione verticale. Il peschereccio viaggiando ad una velocità di 10/12 miglia riesce a circondare il banco con la rete che viene poi salpata grazie ad un cavo che scorre all'interno di anelli di acciaio posti ad una distanza di circa quattro metri l'uno dall'altro sul suo margine inferiore. Le operazioni di recupero della rete sono effettuate con straordinaria rapidità per evitare che anche uno solo dei tonni catturati trovi una possibile via di fuga venendo immediatamente seguito da tutti gli altri.

Questo tipo di pesca è estremamente remunerativo tanto che i nostri mari vengono battuti, anche appena fuori dalle nostre acque territoriali, da pescherecci provenienti persino dal Giappone. Un serio problema è quello di un controllo più solerte sulla pezzatura dei tonni pescati, spesso troppo piccoli e quindi lontani dall'età riproduttiva. Sempre meno individui arrivano alla deposizione ed è facile prevedere una caduta quantitativa, già peraltro sensibile, del numero di tonni nel Mediterraneo.

Esistono leggi che determinano le dimensioni minime degli esemplari che possono essere catturati, ma queste vengono sistematicamente violate non esistendo tra l'altro una rete efficiente e rigorosa di controlli sul pescato anche per la diversa provenienza dei pescherecci. E' difficile che i tonni possano sottrarsi ai sofisticatissimi strumenti di individuazione dei banchi di cui sono dotati i moderni pescherecci, così come è estremamente facile che con questi strumenti vengano catturate notevoli quantità di delfini o altre prede di nessun valore commerciale ma indispensabili per l'ecosistema e che vengono uccise indiscriminatamente per evitare che in seguito alla loro cattura accidentale possano danneggiare le reti.

Tra i sistemi di pesca del tonno, in passato, in particolare nell'alto Adriatico, si utilizzavano delle reti che venivano fissate con una estremità a terra, mentre l'altra estremità veniva portata al largo da una barca che consentiva di circondare il banco che si dirigeva verso la costa. Il fondale marino in cui si svolgeva questo tipo di pesca veniva accuratamente ripulito per consentire il miglior scivolamento possibile alla rete. Quando il banco di tonni veniva avvistato, la barca, su cui la rete era ammucchiata prima delle operazioni, prendeva il largo mollando la rete.

Una volta che il banco veniva circondato, la rete veniva salpata da terra dove man mano che si avvicinavano, i tonni venivano arpionati e deposti sulla spiaggia per poi essere squartati. Anche questo tipo di pesca è ormai in disuso perchè non in grado di competere con i sistemi più moderni di cattura del tonno, e perchè i banchi ormai decimati sempre più di rado si avventurano in vicinanza delle coste presso cui un tempo si recavano per la deposizione.

Nell'immaginario collettivo la pesca del tonno viene immediatamente ricondotta all'uso della "tonnara", nonostante questo "mestiere" stia ormai scomparendo per la sua improduttività dovuta essenzialmente agli alti costi di gestione a fronte di un pescato sempre meno abbondante. La tonnara ha origini antichissime ed è stata perfezionata dall'esperienza millenaria dei pescatori del Mediterraneo. L'unica modifica importante apportata in secoli di utilizzo della tonnara riguarda il materiale delle reti divenuto sintetico. Già i Fenici utilizzavano sistemi di pesca del tonno simili a quelli dell'attuale tonnara, così come i Greci e i Romani.

L'origine dell'attuale tipo di tonnara sembra tuttavia essere araba così come testimonia il termine rais con cui si indica colui che dirige le operazioni di pesca. Il possesso della tonnara era un tempo fonte di altissimi privilegi feudali ed era paragonabile al possesso di un latifondo o di un castello e garantiva un enorme potere economico e sociale a chi lo deteneva. La tonnara consiste di una lunga rete (il pedale o coda) che parte dalla costa e si dirige al largo, raggiungendo in alcuni casi la lunghezza di 4 Km. Alla sua estremità vi è l'isola, un sistema di camere (normalmente 4 ma anche 8 nelle tonnare più grandi), con le pareti marginali e quelle divisorie fatte da reti verticali.

Le camere sono aperte sul fondo ad eccezione dell'ultima, la camera della morte, che è invece chiusa in basso. In corrispondenza del pedale, l'isola ha un'apertura (bocca o foratico) rivolta verso il luogo da cui si presume arrivino i tonni. Dalla stessa parte del foratico l'isola può avere altre due camere aggiuntive che servono a fare stazionare un certo numero di tonni qualora il banco fosse tanto grosso da non poter essere contenuto nella camera della morte.

La mattanza è un incredibile incrocio tra tecniche di pesca empiriche ed elementi di contaminazione mistica, religiosa e folkloristica. All'inizio dell'operazione di pesca, le decine di pescatori che vi partecipano, parlano della signorina, la tonnara, vergine, prima di essere fecondata dall'ingresso in mare e dei tonni nel suo ventre che la renderanno madre. Ed alla sua calata in mare è tutto un susseguirsi di riti coordinati dal rais, alcuni dei quali, apparentemente senza una logica che non sia riconducibile ad un misticismo antico, hanno da secoli il preciso scopo di sincronizzare, con la loro rigorosa cronologia, i ritmi della pesca.

La mattanza ha il suo inizio con il saluto alla tonnara: "Buongiorno tonnara" dice il rais a cui fanno eco gli altri pescatori appena giunti nei pressi dell'isola. L'attesa del pesce può anche essere molto lunga ed in tal caso il rais lancia nella camera della morte una statua di S. Antonio da Padova, protettore della tonnara. "Sei tu il protettore della tonnara!" o dentro tu, nella rete... o dentro i tonni! Ti rimetteremo al tuo posto in chiesa quando la rete si sarà riempita!! E' in questo gesto ed in queste parole
che si gioca l'atto estremo, la sfida finale al sovrannaturale.

Quando i tonni cominciano a penetrare dal foratico dentro l'isola, non è più possibile compiere nessun errore, pena la perdita di tutto il pescato. Se anche un solo tonno trovasse una via d'uscita, prima di essere arrivato nella camera della morte, tutti gli altri sentendosi braccati lo seguirebbero e le prede andrebbero perdute. Ed è una canzone che scandisce il ritmo della pesca, una canzone antichissima: la scialoma, che denuncia ancora una volta l'antica origine araba della mattanza in tonnara (scialoma, dall'arabo scialom, salam, vuol dire benvenuto, un benevenuto rivolto ai tonni).

E' un infallibile lavorio di reti che si chiudono come trappole dietro i pesci, attratti verso la morte da pezze colorate che si muovono innanzi a loro, talvolta persino da sommozzatori che si immergono a rischio della propria vita (i tonni pesano anche 500 chili ed è facile immaginare le conseguenze di un colpo di coda) obbedendo ad un ordine impartito dal rais. Alla fine del loro ultimo viaggio i pesci si trovano chiusi nella camera della morte ed è a questo punto che questa viene issata.

I tonni, nel tentativo disperato di raggiungere la salvezza, spiccano balzi altissimi e approfittando di questi incredibili lanci i pescatori che circondano la camera della morte, li arpionano facendoli piombare sul fondo delle loro barche. E' la trappola finale, l'ecatombe che tinge il mare di rosso. E' la crudeltà di un rito antico, la sfida dell'uomo al mare lanciata, un tempo, come unica possibilità di sopravvivenza per intere popolazioni rivierasche. Ma quanto poco è crudele la crudele mattanza che odora di sangue, rispetto ai moderni sistemi di pesca che non danno scampo alla preda ovunque questa si trovi.

Il Mediterraneo è un mare povero, perchè è un mare abissale; la zona maggiormente produttiva, che coincide con la piattaforma continentale si spinge sino ad un massimo di 16 Km, mentre negli altri mari giunge ad oltre 100. Questo mare è sopravvissuto per secoli alle sciabiche, alle nasse e persino all'apparente orribile crudeltà delle tonnare; quanto potrà resistere agli ecoscandagli, agli strumenti acustici, alle spadare, alle reti a strascico che pur senza infiammare negativamente la nostra immaginazione stanno distruggendo in modo forse irreversibile la fauna mediterranea?

Pur avendo avuto sicuramente un'origine più antica, forse fenicia, è attribuì i Arabi la complessa tecnica di impianto della tonnara. La valenza economica del settore non ~ ai Normanni ed alle successive classi regio-nobiliari, che vollero un diritto di sfruttamento direttamente regio delle tonnare, lasciando ai privati soltanto le strutture di minore importanza. Questo però certamente costituisce una spiegazione del moltiplicarsi delle tonnare tra il '400 e il '500, i privati che volevano ancora impegnarsi nel settore erano di fatto obbligati ad investire i la costruzione di nuove strutture.

Un viaggio nella memoria delle tonnare siciliane si trova nell'inserto dedicato alle tonnare del n. 6 della rivista Kalòs. In particolare, nell'articolo di M Mazzarella (I luoghi e la memoria) da cui abbiamo tratto queste notizie e a cui rimandiamo per un'informazione più completa. Da Palermo verso Trapani, lungo la costa tirrenica numerose erano le tonno e di cui sia ha notizia o di cui restano testimonianze dei fabbricati: il malfaraggio dell'Arenella (appartenuta anche ai Florio); la tonnara di Nostra Donna del RO lo detta anche di Maria Vergine, che era considerata la migliore del palermitano, il cui opificio è ancora esistente; quella di Mondello, difesa da una torre cilindrica che tuttora si vede dal lido, d'antichissimo impianto; quella di Carini di cui sono ancora visibili sostanziosi resti.

Seguiva la tonnare dell'Orsa di cui sempre modesto è stato il prodotto. . Poco più avanti si vede, ben conservato, il malfaraggio della tonnara di Scopello; nel 1860 essa era nelle mani dei Gesuiti e del monastero trapanese del SS. Rosario che aveva come "dependance" la tonnarella dell'Uzzo oggi inserita nella riserva dello Zingaro. Proseguendo verso Trapani, nel golfo di Cofano, si trovava un'altra tonnara - proprietà degli Stella duchi di Castel di Mirto che pare fosse piuttosto pescosa ma tenuta inattiva per non turbare altra tonnara che apparteneva agli stessi.

Questa si calava a Bonagia ed era molto pescosa. Dopo Bonagia seguivano la tonnara di S. Cusumano e quella di S. Giuliano, già in periferia di Trapani. Al largo di Trapani si trova l'isola di Favignana ove permane in attività l'ultima ' delle tonnare siciliane, un tempo pescosissima. Possiede uno splendido e grande malfaraggio, costruito per volere del proprietario Ignazio Florio, che volle p fosse costruita una palazzina residenziale lì accanto. Un'altra tonnara si trovava a circa sei miglia da Favignana, sull'isotetta del Formiche. Questa ora è gestita da un'organizzazione di assistenza sociale che ha riattato il malfaraggio. Fra Trapani e Mazzara si trovavano numerose tonnare che, però, da tempo sono abbandonate.

La costa verso Siracusa era ricca di tonnare, alcune delle quali sono rimasti in esercizio fino ad anni recenti fra queste una delle più fruttuose era quella di
Capo Passero che oggi si trova in progressivo decadimento. Poco avanti, la tonnara di Fano seguita da quella di Marzamemi che dava abbondante pesca; la fortuna
di questa tonnara dipendeva anche dal fatto che il suo padrone aveva l'uso di dere in affitto le più vicine fra le tonnare che seguivano sulla costa, per escluderne
la concorrenza, fra queste quella di Vindicari, di Bujuto, di Stampace e di Fontane Bianche.

Subito dopo Siracusa veniva la tonnara di Santa Panagia, mantenuta attiva S' agli anni '50, e più avanti quella di Magnisi. Un'altra tonnara superata Augusta era quella di Santa Croce, Delle tonnare del resto della costa ionica resta solo la memoria di quella Ognina e di Acireale. Ricca di insediamenti era invece la costa che va dal Faro (cioè da Messina Ino a Palermo: nella zona di Milazzo (le "tonnarelle " di S Antonio, del Tuono); o di seguito la tonnara di Calderà, di Salica, di Olivieri (che nel 1900 pescò 3500 tonni) e quella molto antica di San Giorgio (oggi trasformata in residence); quella di Capo d'Orlando, di Caronia.

Passalo Finale, una tonnara si trovava accanto a Cefalù (suggestivi i ruderi  attorno a Termini Imerese (una vicino alla rocca di San Giovanni, altra alla foce del S. Leonardo, una terza detta "la Lupa "). E ancora la tonnara di Trabia  comprendeva uno stabilimento per la salagione del tonno, cui seguiva non distante, la tonnara di San Nicolò ed infine quella di Solanto (dove pare che alla mattanzo assisteva lo stesso re) e quella, ormai prossima a Palermo, ad "acqua dei cercano'' .