Tradizioni popolari La cubbàita di Carlo V imperatore di Nicola Schillaci
Il 22 agosto del 1535 inizia la breve visita in Sicilia dell’imperatore Carlo V, di ritorno da Tunisi; visita che si concluderà il 3 novembre dello stesso anno. In occasione di un così grande evento, il Parlamento siciliano si riunì in forma solenne ed, alla presenza del sovrano, i tre Bracci (l’Ecclesiastico, il Militare ed il Demaniale), offrirono un donativo di 250.000 ducati per la risoluzione della spedizione con cui lo stesso imperatore aveva conquistato Tunisi, attraverso anche la partecipazione di cavalieri e contingenti siciliani. Carlo V aveva poco più di 35 anni quando da Trapani fece tappa a Monreale e da qui a Palermo; dopo aver trascorso alcune settimane nella stessa Palermo, il 14 ottobre partì alla volta di Messina, utilizzando la via interna, la Regia Trazzera Grande che univa Termini a Taormina e che per quel periodo risultava la più sicura da scorrerie e briganti. Durante tale tragitto ebbe occasione di conoscere l’entroterra siciliano ed, in particolare, alcuni centri demaniali, quali la <<Splendida>> Termini, la <<Generosa>> Polizzi, la <<Costantissima>> Nicosia, la <<Vetustissima>> Troina, la <<Generosissima>> Randazzo, la <<Notabile>> Taormina ed, infine, la <<Nobile>> Messina. Il passaggio si svolse in un clima di grande entusiasmo e di festa da parte del popolo, mentre la nobiltà siciliana ebbe modo di consolidare quegli ideali cavallereschi e cristiano-imperiali; al suo passaggio, le città vennero addobbate con l’allestimento di apparati scenografici, assieme a cavalcate, feste e banchetti. L’imperatore, infatti, rappresentava in quel momento per i siciliani la personificazione della lotta contro i turchi, e la simpatia popolare nasceva anche da un evento che non si verificava da tre secoli, il soggiorno di un regnante per diversi mesi nell’Isola. La visita in Sicilia da parte di Carlo V non rimase priva di memoria, soprattutto nelle città demaniali, poiché alcuni avvenimenti si tramandano ancora oggi nella tradizione e nelle leggende. A Termini, per esempio, è presente una roccia che prende il nome di “Pizzo dell’Imperatore” nella quale lo stesso Carlo V, durante il suo passaggio volle salirvi; mentre a Nicosia si conserva una sedia finemente intarsiata che la tradizione vuole sia stata utilizzata dallo stesso sovrano. Gli abitanti della vicina Capizzi, mal sopportando la baronia del signore di Pardo, si recarono a Nicosia per conferire con l’imperatore e questo, accogliendoli, concesse alla cittadina l’appellativo di “Aurea”. A Randazzo si racconta che fu murata la finestra da dove si affacciò il monarca, poiché nessuno, dopo Carlo V, doveva avere l’onore di affacciarsi da quel posto. A Troina, infine, XIII città demaniale dell’Isola, con allora 929 fuochi, poco più di 4.500 abitanti, si tramanda la cosiddetta “Cavalcata” o “Cubbàita”, manifestazione che, rifacendosi alla tipologia ed ai costumi spagnoleggianti indossati dai protagonisti della sfilata, verrebbe ad essere collocata al periodo della venuta dello stesso imperatore. Le prime edizioni risalirebbero, pertanto, a più di quattro secoli or sono. Ed è proprio nel ‘500, sotto gli spagnoli, che a Palermo e a Messina, così come in altre città demaniali dell’Isola, prendono l'avvio cortei e cavalcate, fatti in onore di principi e viceré ed organizzati dalla nobiltà cittadina, dove le tre prerogative di quell’epoca, la “festa”, la “farina” e la “forca”, sono messe in evidenza. Carlo V, nel suo passaggio, fu ospitato a Troina nel convento dei Padri Francescani Conventuali, nei pressi dell’antico torrione che fungeva da Regio Castello. Da Troina, il 18 ottobre, partì alla volta di Randazzo e, settimane dopo, precisamente il primo novembre, emanò da Messina un privilegio in favore della stessa città di Troina in merito alla conferma dei capitoli e dei privilegi concessi dai precedenti regnanti. Da Messina, attraverso lo stretto, raggiunse Napoli, rimettendo mesi dopo, in primo piano, le esigenze militari, al fine di dare inizio per tutta la Sicilia ai lavori di fortificazione per spazzare via l’ormai fatiscente apparato medievale e passare ad una modernizzazione del sistema difensivo. Federico De Roberto, in un articolo pubblicato nell’agosto del 1909 sulla rivista “La Lettura”, fa rivivere la tradizionale “Cavalcata” di Troina come <<...l'episodio più impazientemente aspettato, più ammirato, più gustato - nello stretto senso della parola - dal popolo.>>. Le cronache descrivono tre cavalieri con costumi cinquecenteschi, montati su scelti cavalli sellati con ricchissime gualdrappe, che percorrevano numerose volte, avanti e indietro, l’angusta via gremita di popolo posta lungo il crinale della montagna, l’attuale via Conte Ruggero. Le gualdrappe, in velluto di seta antico, erano una di colore granato, una blu scuro e un’altra verde, tutte e tre adorne di ricchissimi ricami in oro ed argento a grande rilievo e di squisita fattura. Ogni cavaliere reggeva in mano dei fiori, mentre sulla spalla teneva una bisaccia colma del tradizionale torrone, la cosiddetta “cubbàita”, che lanciava galantemente alle signore affacciate ai balconi e sulla folla che si accalcava per afferrare i doni. Un valletto che precedeva il cavaliere portava altre provviste dentro le bisacce, mentre una seconda comparsa, il palafreniere, reggeva le redini del cavallo. Si usava anche lanciare colombi e galletti con la testa ripiegata sotto l’ala per impedirne il volo. A conclusione della festa i tre cavalieri attraversavano un palco costituito da un arco sormontato da un’aquila dorata. Il termine “cubbàita”, dall’arabo “qubbiat” = “mandorlato”, sta ad indicare ancora oggi, una sorta di torrone introdotto in Sicilia dagli arabi, preparato con mandorle o semi di sesamo (giuggiolena) e miele, solitamente tagliato a rombi di piccola pezzatura ed involtato con la carta. Quest’ultima caratteristica faceva sì che tale dolce si presentasse adatto per essere impiagato nella predetta manifestazione; da qui il proverbio dialettale <<scrusciu di catta senza cubbàita>>, come per dire molta apparenza e poca sostanza. Fino a poco tempo addietro era la classe dei possidenti a fare da “comparsa” nella “Cavalcata”, offrendo a loro spese dolciumi e volatili. Con gli anni, però, la sfarzosa manifestazione si è innestata nel cosiddetto “Festino di San Silvestro”, ciclo di feste a carattere folkloristico-religiose che si svolgono ogni anno tra fine maggio e gli inizi di giugno in onore del patrono San Silvestro Monaco. Dopo il folto numero di contadini e “iurnatara” che da pellegrini si recavano a piedi nelle “Foreste di Troina” a tagliare rami e fronde di alloro per portarli in voto sulla tomba del santo, e dopo i “massara”, ceto più abbiente che attraverso lo stesso tragitto ritornavano su cavalli e muli addobbati e carichi di alloro, era la volta dei possidenti che, attraverso la “Cavalcata”, si inserivano nel contesto delle feste patronali. Non sappiamo con quale cadenza e modalità tale manifestazione si sia svolta e tramandata nei secoli scorsi; sappiamo invece che iniziò a declinare circa cinquant’anni or sono, a metà del ‘900, con un’ultima edizione curata dalla commissione per i festeggiamenti del Patrono. Di recente, allo scopo di valorizzare le antiche tradizioni storico-folkloristiche e facendosi portavoce del desiderio espresso da molti troinesi, la Pro-Loco di Troina, a partire dal 1989 ha riproposto tale evento ribattezzandolo con la denominazione di “Cavalcata Storica” o “Kubbàita”. Le nuove edizioni si svolgono, pertanto, attraverso un lungo corteo costituito da tre cavalieri e dai rispettivi palafrenieri, preceduto da tamburini e suonatori di chiarine, che si snoda per le principali e moderne vie cittadine per raggiungere, nella parte finale, “Porta di Baglio”, antico accesso alla città medievale e, quindi, piazza Conte Ruggero, centro storico del paese. E qui, in una cornice pittoresca, in quello che era l’antico camminamento delle mura del castello di Troina, alla presenza delle autorità cittadine e tra l’entusiasmo della folla, viene rievocato, con il lancio della “cubbàita”, il passaggio di quell’imperatore sui cui domini non tramontava mai il sole.
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