In un zona come quella sud-orientale etnea, dove terremoti ed eruzioni l'hanno fatta sempre da padroni quasi assoluti, risulta estremamente difficile ritrovare testimonianze di opere del passato.

Tuttavia pur in mezzo a tale penuria, rimangono sempre resti di antiche strutture che meritano di essere conosciute e quindi tolte da quell'oblio a cui sono state condannate dagli effetti disastrosi della natura e dalla non meno perniciosa incuria umana. In tale ottica risulta importante conoscere gli ultimi resti di un complesso militare che si trovano lungo la strada provinciale che da Viagrande porta a Giarre e precisamente nel tratto compreso fra i centri di Fleri e Pisano.

Questo complesso, una volta formato da un fortino, da una muraglia e da una porta di cui si parlerà meglio in seguito, fu costruito a partire dal 1675, durante la guerra che mise di fronte francesi e spagnoli e che fu combattuta in molte località sia marine che terrestri della Sicilia. Tutto ebbe inizio quando una parte di cittadini messinesi (i "malvizzi") chiamarono in aiuto contro l'altra parte (i "merli") i francesi. Questi intervennero in forze e pian piano occuparono diversi importanti centri orientali dell'Isola, tra i quali la piazzaforte di Taormina, compiendo ovunque devastazioni e distruzioni.

L'occupazione della suddetta fortezza mise in allarme Senato e popolazione di Acireale, centro strategico e importante, prima di poter giungere a Catania, allora sede provvisoria del Vicerè spagnolo. Di fronte al pericolo imminente il Vicerè, all'epoca Don Aniello de Guzman, marchese di Castel Roderigo, ordinò al Senato acese di fortificare la città, il Capo dei Mulini e la parte settentrionale dei bosco, allora attraversata dall'antica Strada Regia.

Prontamente ad Acireale fu costruita, su disegno dell'ingegnere militare, allora al servizio degli spagnoli, Don Carlos de Grunembergh una porta fortificata nel lato nord di cui oggi per inspiegabili motivi si sa pochissimo, sia come struttura che come durata. Parallelamente il Capo dei Mulini fu fortificato con spesse muraglie per impedire eventuali sbarchi della temuta flotta francese.

Tuttavia il grosso delle fortificazioni fu costruito lungo la suddetta Strada Regia, che dal litorale orientale si inoltrava verso l'interno (cfr. Filoteo, vol. XXIV dell'Antologia del Di Marzo), attraverso il pericoloso Passo del Pomo, il villaggio del Pisano, le case sparse attorno alla chiesetta di S. Agata degli jepes al Fleri e poi i centri di Viagrande indi Catania e Trecastagni e l'interno della Sicilia. Il progettista, come già detto, il De Grunembergh, scelse un sito piuttosto elevato da cui si poteva controllare una gran parte della suddetta strada e del territorio circostante.

Su suoi disegni e con l'intervento economico del cavaliere gerosolimitano di Pedara Don Diego Pappalardo, sorsero, a circa 300 mt. dall'attuale bivio di Fleri una lunga Muraglia, una Torta" ed un contiguo Fortino. La Muraglia si snodava in direzione sud-est ed era stata realizzata soprattutto per bloccare la temuta cavalleria francese. Attaccata ad essa, proprio sulla strada, fu innalzata una Torta" quadrata, di pietra lavica e pietra bianca, in linea con i canoni artistici ed architettonici.

Con la sua postazione si poteva controllare agevolmente l'eventuale traffico civile e militare lungo la tortuosa e sconnessa Strada Regia. Contiguo alla "Porta" in una piccola altura, circondata da una recente colata lavica (cfr. G. La Rosa, L'eruzione dell'Etna del 1634-36, Atti Accademia Gioenia, 1915) sorse un piccolo Fortino, chiamato di Castel Roderigo in onore del Vicerè spagnolo. Cosa rimane oggi di queste secentesche strutture militari?

La Lunga Muraglia è scomparsa completamente. Rimase bene in vista per tanti decenni nella proprietà del fu sig. Bellofiore. Poi seguì il destino del fondo che non venne più coltivato e fu sommersa dalla vegetazione di erbe e rovisino a scomparire, sepolta completamente. Un suo ultimo tratto ancora visibile pochi anni fa, fu completamente demolito dalle ruspe in occasione della costruzione di un vicino campo di calcio.

La "Porta", detta poi "Messina" poichè sorta sulla strada che conduceva alla città dello Stretto, era simile, come scrissero il Vigo e M. Calì, alla coeva porta acese detta "Cusmana". Di essa oggi purtroppo non rimane vestigia alcuna. Sino al 1855, secondo documenti dell'Archivio di Stato di Catania (Fondo Intendenza Borbonica, vol. 4019), era ancora all'impiedi ma abbisognava di necessari restauri, poichè erano cadute alcune pietre degli intagli.

Tuttavia rimase completamente trascurata, sia dall'allora Comune di 'Zaffarana' che dall'Intendenza di Catania e fu poi gravemente danneggiata dal terremoto detto di "Bongiardo" dei 1879 e soprattutto da quelli del 7/8 agosto 1894 che la distrussero completamente. Le sue pietre ben squadrate servirono per le riparazioni delle case gravemente danneggiate dei dintorni.

Poco rimane oggi del Fortino. Sono visibili, per fortuna, ancora i resti di un lungo muraglione del lato sud di mt. 25,70 di lunghezza per mt. 4,5 di altezza, ormai depauperati dall-osceno" allargamento di una antica stradella di basso flusso veicolare, perpetrato soprattutto a danno dell'antica struttura. Si vedono sul muraglione numerose buche puntate utilizzate per innalzare la costruzione e mai chiuse.

Un piccolo muraglione sottostante fu distrutto da una ruspa durante il tentativo di costruire i fossati di una casa abusiva. Nel lato orientale rimangono ancora alcuni corposi resti del relativo muraglione, quasi completamente coperti da ginestre, fichidindia e terebinti. Grazie alla sua posizione il Fortino risultava tetragono ed in grado di sostenere attacchi nemici.

Come materiali furono utilizzate pietre laviche tratte dalla sottostante colata e impasto di calcina trasportata in loco con "redini" di muli ed asini attraverso i difficili sentieri all'interno del "Bosco di Aci". Confrontando i disegni con ciò che oggi resta, si rileva che lo scempio compiuto dagli uomini su tutto il complesso è stato enorme. D'altro canto la stessa Natura, per mezzo soprattutto di terremoti, ha completato l'opera distruttiva, per cui oggi non rimangono che poche rovine anch'esse maltrattate ed oltrag giate dall'opera e dall'incuria, sopratutto dei molti insensibili amministratori.

Nel contesto dell'apparato del Fortino di cui sopra, è più che mai interessante parlare oggi dell'esistenza di una grande edicola votiva di notevole interesse storico-artistico che sorge poco distante. Si tratta di un grande altare, molto probabilmente del '700 ed opera di sconosciuti artisti acesi (o di C. Battaglia?) forse iví comandati dal vescovo Don Andrea Riggio, che poco distante, aveva fondato l'Abbazia con cura d'anime di S. Giuseppe al Pisano nel 1695.

L'edicola è formata da un solido basamento di pietra Iavica, ornato con Pregevoli motivi floreali, sempre di lava ed opera di artisti e non di semplici artigiani. Su questo basamento di pietra dell'altezza di circa un metro, si sviluppa, su tre sezioni, l'altare in pietra bianca. Nella parte centrale si apre una nicchia che conserva un'immagine di una Madonna (delle Grazie o dell'Indirizzo? il quesito è aperto), il tutto sormontato da due colonne laterali. Sulla parte centrale esiste una scultura con le iniziali di Maria SS., sormonta ta fino a poco tempo fa da una artistica croce di ferro battuto, oggi non più esistente, perchè trafugata da ignoti, dopo essere stata abbattuta da fortissime raffiche di vento.

Questo artistico altare, come non si ritrova altro simile nei dintorni per grandezza e per abbellimento architettonico, ha oggi una caratteristica non invidiabile di certo: è in completa rovina ed ha bisogno di urgenti restauri, specie nelle parti superiori in pietra bianca ormai tutte cadenti, prima della sua probabile e completa distruzione, fatto certamente non auspicabile. Infatti tale manufatto artistico è stato testimone di tutti gli eventi di quel comprensorio che abbraccia i piccoli centri di Fleri, Pisano e dell'antica contrada del Malopasso, oggi Poggiofelice. Si spera che la Sovrintendenza o altri enti simili possano raccogliere quest'appello e salvare dalla distruzione l'antica edicola prima che sia veramente troppo tardi.