Belpasso
Da
Malpasso a Belpasso
Economìa
cultura spettacolo
Itinerario
per Belpasso e dintorni
Nícolosi
porta dell'Etna di Carlo Rapicavoli
Nícolosi
nella storia di Carlo Rapicavoli
Ragalna
"Terrazza dell'Etna"
Il
Paese di Martoglio
La
Patrona S. Lucia
Cosa
visitare
Belpasso
I
tre paesi di cui ci occupiamo in questo numero appartengono al versante
sud dell'Etna e la loro storia si interseca in maniera totale con la storia
del vulcano. Per secoli le eruzioni ed i terremoti ne hanno modificato
i siti, l'urbanistica, le attività produttive. Il rapporto con
la "Montagna" è stato sempre di tipo edipico: amore e
odio. Ma l'Etna ha costituito sempre un grande padre autoritario contro
il quale è possibile rivoltarsi, mai rinnegare. Egli infatti rappresenta
l'identità delle genti che vivono attorno alle sue pendici sempre
determinatissime a convivere con lui in una continua costruzione e ricostruzione
delle loro case e le loro chiese. Oggi
i territori di questi comuni sono in gran parte inseriti nel parco Regionale
dell'Etna istituito il 17 marzo 1987 e, sebbene con ritardo, ha avuto
inizio un'opera di salvaguardia e di tutela per quello che è il
più importante ambiente naturale dell'Isola. Anche il rapporto
con il parco è stato d'amore l'odio, per i vincoli e le limitazioni
che questo comportava sui territori comunali. Oggi il parco è una
realtà orinai accettata che ha cominciato ad attivare pur nella
farragine dei poteri e delle burocrazie, l'insieme delle sue funzioni
e rappresenta il futuro turistico di questi paesi. Il
processo si è avviato con lentezza e molto resta ancora da fare
rispetto alle potenzialità offerte da un Ente così importante.
Vogliamo soltanto ricordare tutte le opportunità
che un ambiente protetto e risanato può offrire ad iniziative imprenditoriali
di tipo nuovo compatibili con le finalità dell'area protetta, pensiamo
all'agricoltura biologica ed all'agroturismo come occasioni di sviluppo
e di occupazione non indifferenti e non più trascurabili nella
problematica situazione attuale. Attualmente
questi comuni godono già di una condizione turistica privilegiata
(in particolare Nicolosi che è al primo posto della graduatoria
dei comuni turistici della provincia di Catania) e solo attraverso politiche
intelligentemente mirate in questo settore possono garantirsi una prospettiva
di ulteriore sviluppo.
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Da
Malpasso a Belpasso
Un
paese ricostruito dopo il 1693 a forma di scacchiera le cui vie si chiamano
"retta levante" "retta ponente" , "prìma
traversa".
Situata sul
versante meridionale dell'Etna, a metri 551 sul livello del mare, 17 chilometri
da Catania, Belpasso si estende lungo un territorio di kmq 164,49 dal
cratere dell'Etna alla Piana di Catania. Gli abitanti (18.000) risiedono
in prevalenza nel centro urbano, mentre densità inferiore presentano
le frazioni di Piano Tavola, Valcorrente, Villaggio del Pino, Palazzolo
ecc. L'evoluzione storica di questa cittadina va di pari passo con quella
dell'Etna, vulcano d'incantevole visione e dagli umori incerti. E senz'altro
questi ultimi hanno storicamente condizionato lo sviluppo economico, politico
e sociale, oltre che, naturalmente, urbanistico e morfologico della città
di Belpasso. Il nucleo da cui sorgerà, dopo successive fasi di
espansione territoriale, l'odierna Belpasso, consisteva di una pletora
di piccole comunità agricole, prive di reti di collegamento viario
e per nulla coese sul piano sociale. Non esisteva, insomma, fra i vari
agglomerati una comune identità e ancor meno il senso di appartenenza
ad un determinato gruppo. A partire dal sec. XVI, i casali di a Paternò
invadevano il territorio in cui erano ubicati questi casali, cioè
i luoghi ad occidente e, in particolare, a nord del e Monte "Pileri"
(al confine tra le terre di Catania e quelle di Paternò). La dipendenza
assoluta dai signori del Feudo di Paternò fu pressoché
inevitabile per quei piccoli agglomerati rurali. Al punto che quella dipendenza
condusse, col tempo, a manifestazioni di prevaricazione e di strapotere
da parte di quella potestà giurisdizionale di Paternò. Al
disagio derivante dallo strapotere di Paternò se ne aggiunse ben
presto un altro per gli abitanti del bosco. Si trattò del disagio
derivante da un evento naturale calamitoso, al cui verificarsi è
pur sempre condizionata la vívibilità di quei luoghi, allora
come oggi: l'eruzione dell'Etna, a far data 12 Maggio 1537. La lava sotterrò
alcuni casali del bosco. Altri li mutilò irrimediabilmente e fra
questi: Li Billei, Li Nicolosi, S. Antonio e Mompilieri. All'indomani dell'eruzione,
il problema della ricostruzione cominciò ad incalzare. Dopo alterne
vicende segnate dalla resistenza dei signori di Paternò ad accettare
la richiesta di indipendenza dei propri vassalli, si dovette attendere
ancora un secolo prima che si potesse giungere alla creazione di un nuovo
centro. Il 26 aprile 1636 si giunse alla decisione di dividere ufficialmente
il territorio assegnando alla "Università di Malpasso"
una parte del territorio per una giurisdizione autonoma. Ma erano appena
trascorsi trent'anni dalla lotta per l'indipendenza dallo strapotere degli
ufficiali di Paternò, allorché gli abitanti di Malpasso
furono ancora provati da un'altra sciagura: il terremoto. Il 7 marzo 1669
il fuoco dell'Etna seminava il panico tra quella povera gente già
duramente provata, scuotendo le case fin dalle fondamenta. L'eruzione
dell'undici marzo fu fatale: ogni cosa si dissolse come neve al vento.
L'unica speranza per gli abitanti di Malpasso rimaneva il tentativo di
ricostruire altrove. E la ricostruzione fu avviata nello stesso anno nella
contrada "Carmena", vicino Valcorrente a 6 km a sud-ovest del
luogo sepolto dalla lava. Il nuovo centro fu denominato Fenicia Moncada,
in ossequio al principe di Paternò che tanto si era prodigato
per il benessere dei suoi vassalli. Ma un gruppo di famiglie della vecchia
Malpasso, derogando alle disposizione del decreto, preferì non
trasferirsi a Fenicia Moncada. Queste famiglie, provenienti dal quartiere
La Guardia, chiesero ed ottennero di rimanere nel feudo di Borrello. Così,
in accordo con le autorità di Fenicia Moncada, si insedìarono
a un chilometro ad ovest della Guardia e crearono il sito di Stella Aragona.
I rapporti tra Fenicia Moncada ed il sito di Stella Aragona furono regolamentati
con l'atto pubblico redatto il 24 aprile 1687. Ma l'indomita Montagna
ricomincia a sputare fuoco e fiamme: era la notte del 9 gennaio 1693
allorché
la terra tremò ancora una volta seminando panico soprattutto fra
gli abitanti di Fenicia Moncada. La fase di ricostruzione fu avviata in
località vicina al distrutto Malpasso, avvicinandosi agli abitanti
di Stella Aragona nel fùedo di Borrello. Il nuovo centro venne
così costituito in località " San Nicola" a nord
del Piano Garofalo, dando ad esso il nuovo nome di Belpasso, sempre terra
di pertinenza del Duca di Montalto. L'incarico di predisporre l'assetto
urbanistico di Belpasso venne dato a Mastro Michele Cazzetta. Nel 1693
iniziarono i lavori rispettando il famoso tracciato a scacchiera predisposto
dal Cazzetta, fino ad una certa altezza del territorio, ricollegandosi poi,
tramite la via Vittorio Emanuele III, con il quartiere Stella Aragona.
Da quell'anno l'espansione dei territorio di Belpasso ha seguito sempre
lo stesso tracciato sebbene diverse altre volte il paese sia stato costretto
a confrontarsi con la minaccia delle colate laviche: nel 1886, nel 1910,
nel 1983 e nel
1985.
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Economìa
cultura spettacolo
L'agricoltura
e più recentemente un artigianato díventato píccola
índustria (nella zona di Piano Tavola) le principali attività
produttive.
Belpasso
è uno fra i pochi paesi agricoli della provincia catanese in cui
il fenomeno dell'emigrazione ha avuto un carattere molto contenuto e,
in tempi recenti, di scarsa rilevanza. Le emigrazioni statisticamente
si ebbero, all'inizio del XX secolo, verso l'America latina, con prevalente
localizzazione in Argentina, nella quale, anche dopo il secondo conflitto
mondiale, i belpassesi andarono a cercare lavoro. L'esodo verso il nord
Italia, Germania, Francia, ecc. è stato alquanto irrilevante. Si
è invece, riscontrato, un processo di immigrazione nei confronti
di Belpasso. Tale processo, in forme più modeste, non è
estraneo ad altri centri che gravitano intorno Catania, nella quale la
crisi degli alloggi spiega il riflusso verso di essi. Tale riflusso viene
incrementato anche da coloro che, avendone la possibilità, possono
scegliersi un luogo di residenza più confacente alle loro esigenze.
Ma l'immigrazione a Belpasso si spiega in modo diverso, e, cioè,
in relazione alla creazione, negli anni '60, della zona industriale a
Piano Tavola cioè a pochi chilometri da Belpasso, la quale ha interessato
gente della Sicilia di varia provenienza, soprattutto dell'entroterra
etneo, della provincia di Palermo e di quella di Enna. Conseguente allo
sviluppo della suddetta zona industriale è subentrata una situazione
di saturazione delle abitazioni. La produzione di questo piccolo polo
industriale comprende settori come quello della trasformazione di materie
prime, dolciario, edile o meglio plastico inerente l'edilizia, lavorazione
del vetro e qualche altro settore. E' interessante rilevare che, nonostante
lo sviluppo industriale, tanto l'attività agricola quanto quella
artigianale sono, tuttora, piuttosto fiorenti. L'agricoltura di Belpasso
ha una grande tradizione, che trova i suoi antecedenti nell'antica Malpasso,
toponimo di Belpasso fino al 1669. Dal XVIII al XIX secolo essa gode di
una ricca varietà di colture su un territorio la cui altitudine
ve dai tremila a poche decine di metri sul livello dei mare. Le voci primarie
di questa grande economia agricola erano costituite, in buona misura,
da cereali, olio, vino; a cui si aggiungevano sia la specie secca, vale
a dire: castagna, nocciola, noci, mandorla e pistacchio; sia la specie
fresca come sorbo, ciliegia, prugna, mela, pera, susino, azzeruola, melograno
e nespola. Altra forza primaria era data dall'allevamento,
di bestiame bovino, ovino, equino e suino. Ancora oggi l'agricoltura è
una delle forze trainanti, assieme all'attività commerciale, di
questa laboriosa e tenace comunità. L'imprenditoria agricola belpassese
non avrebbe potuto impegnarsi in un'organizzazione complessa delle diverse
colture se non fosse stata sostenuta da un apparato tecnico artigianale
a cui era affidato il compito di produrre ogni genere di strumenti, di
arnesi e utensili necessari. In questa comunità l'artigianato è
una forza tuttora presente. Le sue origini andrebbero studiate nei secoli,
e il permanere di questa forza viva si manifesta durante tutta la celebrazione
della festa patronale
di S. Lucia.
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Itinerario
per Belpasso e dintorni
La
prima impressione che ha il visitatore arrivando a Belpasso dalla centrale
via Roma, è quella di una cittadina dalle spaziose vie che si intersecano
in Rette e Traverse formando il caratteristico tessuto viario "a scacchiera"
che fu disegnato all'indomani del terremoto del 1693. Quell'opera di ricostruzione
risentì dell'influsso del barocco vaccariano che ancora oggi è
possibile ammirare in alcuni dei monumenti principali che sorgono lungo
le vie dei centri urbani. Ugualmente piacevole sarà l'impressione
dei nostro ipotetico visitatore qualora egli decida di percorrere il vasto
territorio di Belpasso che si estende dal cratere centrale dell' Etna
fino alla piana di Catania. Chiesa Madre: Dedicata all'immacolata;
coi tipico campanile, il portale e la scalea in pietra lavica. E' senz'altro
il più importante monumento belpassese. Tra le opere artistiche
in essa conservate citiamo: un Crocifisso ligneo del sec.XV di autore
ignoto; le tele cinquecentesche della distrutta Matrice di Malpasso, gli
affreschi della volta eseguiti da F. Barone e la cameretta del tesoro di
S. Lucia, Patrona dei paese, dove si custodiscono le Reliquie della Santa
in un artistico scrigno in argento cesellato ed il Simulacro (sec.XVI).
Altre opere, esposte soltanto per le ricorrenze, sono: il Fercolo di S. Lucia,opera
dell'argenteria sicìliana del '700, il gruppo statuario della
Sacra Famiglia, il Telone della Crocifissione, detto "a tíla"
del pittore Zenone Lavagna (sec. XIX). Di grande interesse è la
campana grande o "campanone". Fusa nel 1815, pesa più
di 30 tonnellate. E' tra le più grandi d'Italia. Palazzo Scrofani
- (sec. XVIII). Di interesse architettonico con la balconata ed i portali
in pietra lavica e ferro battuto. Teatro Comunale: Dedicato
al belpassese Nino Martoglio, fondatore del teatro siciliano moderno,
recentemente restaurato, ha la capienza di circa 500 posti. (Le sue linee
architettoniche si rifanno allo stile Liberty, tipico dell'epoca di costruzione.)
Chiesa S. Antonio Abate: E' la prima chiesa ad essere stata ultimata
durante la ricostruzione di Belpasso dopo il Terremoto del 1693. Vi si
conservano due Símulacri provenienti dall'antica Malpasso (la Vergine
SS. delle Grazie e S. Antonio). Da segnalare in questa piazza delle costruzioni
in Liberty quali il palazzo Spampinato e la casa Marletta. Nelle immediate
vicinanze i palazzi Sava e Roccella. VIA ROMA: E' la
via principale di Belpasso. Un tempo denominata via Etnea, è detta
popolarmente " 'a strata ritta"; interamente coperta da basole
laviche lavorate a puntillo "puntiate" con gli ampi marciapiedi
realizzati sempre in pietra lavica e orlati con fascia lavica. In questa
via, che attraversa le due piazze principali - Umberto I e Duomo - si
affaccia il vetusto palazzo dei baroni Bufali, vassalli dei Moncada di
Paternò. E' il palazzo più interessante di Belpasso, col
balcone centrale, gli intagli e i mascheroni in pietra lavica. Sorge su
una "timpa" e fu realizzato agli inizi del sec.XVIII. Dirimpetto
si erge un'altra interessante costruzione - voluta dall'ultimo barone
Bufali - dove ha sede il piccolo teatro "La Fenice''. Altri importanti
costruzioni che vi sorgono sono i palazzi Magrì e Prezzavento e
le sedi centrali delle due banche belpassesi: la Banca Popolare di Belpasso
e la Cassa Rurale "SS: Immacolata". Chiesa di S. Antonio
di Padova: Era la chiesa del convento dei Padri Riformati di
S. Francesco. Da ammirare il portale in pietra lavica, finissimo esempio
di barocco settecentesco, l'altare ligneo, la sagrestia, gli affreschi
della volta eseguiti da Alessandro Vasta, i simulacri dell'Immacolata
e di S,Antonio di Padova, le tele di Comes e di Zacco. Del Chiostro è
rimasta parte del cortile e del colonnato. Palazzo Municipale:
Ristrutturato in questo secolo era in parte il convento dei francescani.
Da ammirare il salone recentemente restaurato e alcune tele del belpassese
Padre Stramondo e di altri artisti contemporanei realizzate in occasione
di estemporanee d'arte. Giardino Martoglio: Un tempo
era il "piano del convento" oggi è la villa comunale,
luogo delle passeggiate estive dei belpassesi e d'incontro dei giovani.
Vi sono collocati i Monumenti a Nino Martoglio ed Antonino Russo Giusti
opera dello scultore Zagarella. Chiesa Cristo Re Palazzo Lombardo:
Attigua a questa piazza vi è la casa natale di Nino Martoglio
e la sede del Museo Etnografico "G. Sambataro" che raccoglie
testimonianze di insediamenti preistorici nel territorio di Belpasso e
della "cultura contadina " dell'Ottocento. Chiesa S. Maria
della Guardia: Facciata monumentale in pietra bianca. All'intemo
si conserva il simulacro in argento, finemente cesellato, della Vergine
SS. della
Guardia. Da ammirare alcune tele di G. Carta e la statua di S. Biagio.
Nell'immediata periferia di questa zona, posta nella parte alta del paese,
si trova la "Cisterna della Regina" che prende nome da Eleonora
d'Angiò, moglie di Federico Il d'Aragona, che si ritirò
in questi luoghi nel tempo della sua vedovanza. Un poco più a sud
è la "Roccia di Belpasso" luogo delle presunte apparizioni
della Madonna
a Rosario Toscano.
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Nicolosi
porta dell'Etna
L'assenza
di coordinamento e di programmazione l'ostacolo princípale allo
sviluppo di un terrítorío dalle notevoli potenzialità
turistiche.
Tenace,
profumata la ginestra perfora con le sue radici la lava e così,
saldata al suolo, sfida ogni intemperie. Non è difficile tracciare
un paragone tra questa pianta che cresce rigogliosa a Nicolosi e la sua
gente, che porta alle spalle una storia segnata da una continua lotta
per la sopravvivenza contro la forza della natura ed i soprusi degli uomini.
La consapevolezza di un destino legato all'incessante alternarsi
degli umori dell' Etna ha segnato la vita e lo sviluppo di Nicolosi da
sempre definito "Porta dell' Etna". E non si tratta di una banale
esaltazione a scopo turistico, ma di una prerogativa più
che millenaria da quando, ancor prima del sorgere del paese, accoglieva
nei suoi "ospizi" passanti, visitatori e studiosi. Così
Nicolosi, la cui primitiva economia ha gravitato per secoli attorno alla
comunità benedettina di San Nicola all' Arena cui deve anche il
nome, a partire dal Settecento scopre le prime forme embrionali di escursionismo.
E, agli inizi del secolo scorso nascono i primi alberghi ed il primo corpo
di guide dell' Etna, affiancato dai mulattieri. Da allora è stato
un continuo sviluppo, che culmina con la costruzione della strada dell'
Etna e, dal dopoguerra, con il boom della villeggiatura che ha apportato
un indubbio benessere. Il tessuto urbano è stato arricchito dalla
vivacità dì molti operatori di commercio, di numerosi negozi
che insieme al turismo costituiscono l'asse portante dell' economia locale.
Non sempre però si è avuto uno sviluppo coerente, soprattutto
per la mancanza di una politica turistica seria. Siamo sempre a chiedere
agli Enti preposti una programmazione a lungo termine, coordinata, che
si prefigga una razionale crescita del territorio dal punto di vista sociale,
economico ed occupazionale. L'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo
può svolgere un ruolo fondamentale in questa direzione. L' Azienda,
nei primi anni di attività dal 1989 ad oggi, è già
intervenuta nella stesura del calendario di manifestazioni estive e soprattutto
assicurando il funzionamento di sportelli di informazione e di assistenza
turistica a Nicolosi Centro e Nicolosi Nord, che rappresentano i pochi
punti dì riferimento sicuri per i visitatori. Ma deve svolgere
un ruolo ben più importante di indirizzo e di coordinamento. La
stazione turistica di Nicolosi Nord ha immense potenzialità; gode
infatti del vantaggio non indifferente di essere la più vicina
alla città e di disporre di impianti che consentono di sciare anche
solo in quota, superando il disagio che deriva da scarsi innevamenti a
quota più bassa. Da ciò deriva l'interesse a disporre di
un adeguato numero di posti letto sia in centro che a Nicolosi Nord e
di una seria programmazione che indirizzi i potenziali investimenti verso
strutture di completamento e di supporto rispetto a quelle già
esistenti e stimoli l'intelligenza degli operatori verso iniziative promozionali
e competitive. Importanti scadenze, a questo proposito, sono la redazione
del Piano regolatore generale del Comune del Pian o territoriale e del
piano particolareggiato della zona altomontana del Parco dell'Etna. Sono
fondamentali strumenti di pianificazione degli interventi che dovranno
dettare le linee fondamentali del prossimo sviluppo del paese. Nelle scelte
di programma si dovrebbe tenere conto delle forme meno diffuse di sport
sulla neve quali lo sci escursionistico, lo sci di fondo, lo sci alpinistico.
Un discorso a parte andrebbe fatto per le migliaia di gitanti domenicali
che affollano l'Etna. Per costoro dovrebbero prevedersi punti di ristoro
e di ritrovo;si potrebbe pensare ad una pista di slittini con un modesto
impianto di risalita che assolva al duplice scopo di razionalizzare tale
attività ricreativa e di climinare il pericolo per gli sciatori.
Tutto ciò sempre che le amministrazioni preposte assicurino gli
interventi necessari che consentano all'utenza di arrivare in quota: spalatura
delle strade, servizi di viabilità e ordine pubblico, assistenza
sanitaria specialistica e traumatologica, parcheggi, servizi igienici,
telefoni pubblici, uffici informazione e assistenza turistica e quant'altro
può servire a qualificare una stazione di montagna. Anche le strutture
ricreative e turistiche del centro dovrebbero attrezzarsi per soddisfare
l'eccezionale richiesta di quanti transitano e soprattutto di coloro che
intendono soggiornare a Nicolosi. C'è molto da fare, soprattutto
per invertire quella tendenza negativa che si registra già dal
1983 da quando, cioè, l'eruzione dell'Etna tagliando la strada provinciale
92 diede un duro colpo all'economia locale. Solo adesso, dopo undici anni,
la vicenda del ripristino della provinciale sembra avviarsi a soluzione.
Ma gli sprechi, le lungaggini, gli interventi poco coerenti sono numerosissimi
e spesso hanno obbedito piuttosto a logiche di speculazioni o di interessi
particolari che non ad un effettivo rilancio dell'economia turistica.
Molto spesso ci si accontenta di avere delle piccole soluzioni oppure
ci si abitua a certi modi di gestione mortificando ogni iniziativa privata.
La scarsa maturità civica si riscontra in vari settori ed in primo
luogo nel dibattito politico che risulta appiattito in logiche personalistiche
piuttosto che in azioni di gruppo che sarebbero fondamentali per dare
una svolta al paese. Prevale così la logica di delegare le scelte
a chi può dare qualche garanzia anziché impegnarsi e rischiare
direttamente, sacrificando il proprio individualismo per l'interesse comune.
E tale scarsa maturità si riscontra nel poco rispetto dei beni
comuni, nella eccessiva
frammentazione delle associazioni, nelle difficoltà che incontra
la cooperazione in ogni settore. Sono questi gli ostacoli principali che
finora hanno impedito quel salto di qualità che è possibile
immaginare se si tiene conto delle immense potenzialità
che il teritorio offre.
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Nícolosi
nella storia
La
storia del paese denominato "porta dell'Etna" si intreccia inestricabilmente
con quella del vulcano. Da borgo intorno al convento di S. Nicolò
a comune con vocazione turistica.
Nicolosi
giace sul fianco meridionale della regione inferiore dell'Etna, ai piedi
dei Monti Rossi, a 702 metri sul livello del mare e offre ampi panorami
verso il golfo di Catania. Della presenza romana rimanevano, sino a qualche
secolo fa, resti di abitazioni e bagni e la Torre del Filosofo, presso
il cratere dell'Etna a 2911 metri di altitudine, una piccola costruzione
destinata a ricordare la visita dell'Imperatore Adriano (76-13 8 d.C.)
sull'Etna,c . Il nome deriva dalla leggenda secondo la quale questa edicola
sarebbe stata abitata dal filosofo Empedocle di Agrigento, vissuto fra
il 490 e il 430 a.C. e morto suicida dentro il cratere. Durante il periodo
arabo l'ambiente etneo fu arricchito dalle coltivazioni del limone, dell'arancio
amaro e del pistacchio; inoltre venne realizzata un'imponente rete stradale
campestre che rese più agevole l'ascesa al vulcano. Ruggero I,
nei quindici anni (1086-1101) del suo effettivo dominio, si preoccupò
di gettare le basi del nuovo stato. Tale operazione fu accompagnata, nella
zona etnea, da un'azione di risanamento e sfruttamento agricolo affidata
alla comunità benedettina, che, con il possesso della terra, assicurava
il controllo dell'economia regionale. E' dunque al XIV secolo che deve
farsi risalire la nascita di Nicolosi; infatti, anche se è facile
supporre che già nei secoli precedenti si fossero insediate famiglie
di pastori e contadini, è solo la trasformazione dei monastero
in sede abbaziale a richiedere una concentrazione stabile del personale
addetto alla regola ed alle terre che i monaci controllavano, tanto da
formare un vero e proprio casale. Perché Nicolosi si chiami così
non è possibile accettarlo in quanto non ci è stata tramandata
nessuna documentazione in proposito. L'abate Amico ritiene che il nome
sia dovuto alla vicinanza del paese con il monastero di S. Nicola l'Arena.
Il borgo si divideva in tre quartieri; il meridionale denominato la Guardia,
il settentrionale o del Piano e il centrale o della Chiesa. Nicolosi non
si formò dunque secondo un disegno urbanistico, ma spontaneamente,
sorse infatti vicino al monastero ed essendo un centro di montagna con
poche relazioni esterne, si sviluppò in seguito essenzialmente
intorno alle sue chiese. Fin dal suo nascere però il paese parve
destinato a mille sventure a causa della sua ubicazione sulle pendici
del vulcano, una posizione che non si presta al deflusso delle lave scaturenti
più a nord. Cresciuta l'importanza del borgo di Nicolosi, esso
fu nel 1447 infeudato dal principe di Paternò che lo amministrava
per mezzo dei suoi procuratori residenti a Malpasso; ma più tardi
gli abitanti ottennero dal principe di avere un'amministrazione propria,
pur restando dipendenti da Malpasso per gli affari di giustizia ed altro.
La dipendenza amministrativa da Malpasso fu però la sorgente di
una interminabile lite. Il comune di Malpasso godeva del privilegio di
pascolare le greggi nei boschi dell'Etna, di far legna, carbone, neve
e ghiande per ingrassare i suini; ma a queste ampie concessioni subentrarono
molte usurpazioni; abusi furono commessi nei boschi, non solo a disboscare,
ma a pascere, seminare ed usare della neve dell'Etna oltre il lecito.
Si spiegano così le limitazioni nei pascoli imposte dal vescovo
Podio nel 1489 a difesa delle colture come canone fondamentale di garanzia
nel sistema degli usi promiscui, sia nell'interesse dei baroni, sia degli
enfiteuti e dei singoli che godevano del diritto di semina. In realtà
però, volontà precisa dei vescovi era quella di sottrarre
al demanio i boschi mediante il loro disboscamento, al fine di aumentare
con l'estensione delle aree coltivabili il reddito degli affitti e dei canoni
enfiteutici. Da qui una serie di contrasti con l'autorità civile,
in quanto, essendo i boschi di regio demanio, il loro disboscamento costituiva
un danno per la corona e per i cittadini che ne avevano l'uso imprescrittibile.
Gravi danni all'economia dei luogo causò l'eruzione del 1536. A
quanto narrano le cronache dei ladri Cassinesi Filoteo, Selvaggio da Arezzo
ed il Fazelo, che ne fu spettatore, questa eruzione fu tra le più
violente e gli abitanti di Nicolosi furono così minacciati che
dovettero. Le eruzioni del 1536 e del 1537 ed il successivo terremoto
del 1542 spinsero i monaci di S. Nicola ad abbandonare il monastero e a
trasferirsi a Catania. I motivi di tale decisione furono diversi: vi era
la paura continua delle eruzioni e dei terremoti; il monastero era piuttosto
isolato anche se il piccolo paese di Nicolosi sorgeva a pochi chilometri;
il popolo catanese aveva espresso il desiderio di avere la reliquia del
Sacro Chiodo, donata al Monastero da re Martino; infine vi era la paura
dei malviventi che arrecavano al monastero danni e soprusi. I benedettini
nel 1545 si trasferirono a Catania, ma vi rimasero solo per un anno,
poiché
per ordine del nuovo abate, Angelo di Castel di Sagro, dovettero ritornare
al monastero di Nicolosi. Essi tuttavia non rinunciarono all'idea di trasferirsi
in città; nel 1558 ottennero dai loro superiori di Montecassino
il permesso di costruire un loro monastero a Catania e due anni dopo,
nel 1560, abbandonarono definitivamente il monastero di S. Nicola all'Arena,
che dopo il loro trasferimento si avviò ad una progressiva decadenza.
La nuova situazione non dovette comunque intaccare lo sviluppo di Nicolosi,
che doveva essere dotato di un cospicuo numero di famiglie, se nel 1601
la sua Chiesa Madre veniva eretta al rango di Parrocchia e svincolata
dalla dipendenza da quella di Mompilieri. Questa situazione di incertezza
e di disagio spiega il mancato sviluppo di Nicolosi anche per l'esiguità
numerica dei suoi abitanti, che nel 1653 ammontavano a solo 515 unità.
L' 8 marzo 1669 iniziò l'attività del vulcano. Terremoti
continui, prima lievi poi via via sempre più forti, scuotevano la
terra. La zona sismica interessava il territorio di Nicolosi, Pedara,
Trecastagni, Malpasso. I nicolositi preferirono rimanere all'aperto nella
zona chiamata "Falliche" ad ovest del paese. L'eruzione cessò
l' 11luglio 1669; a nord ovest dei Monti Rossi si formò la "grottadelle
Palombe", scoperta da Mario Gemmellaro nel 1823. I nicolositi , dopo
esser stati per quattro mesi lontani dal loro paese distrutto, vi vollero
ritornare. Il legame che li univa alla loro terra era così profondo
e l'amore verso il luogo natio così forte che essi lottarono con
tutte le forze per poter ricostruire Nicolosi ed abitarvi nuovamente.
Il cardinale Aloisio Moncada, principe di Paternò e proprietario
del feudo, aveva l'intenzione di riunire tutti gli abitanti dei paesi
del suo feudo distrutti dalla lava, in una nuova struttura urbana che
doveva sorgere nei pressi di Misterbianco, denominata "Fenicia Moncada"
con riferimento alla leggenda dell'araba fenice che risorge dalle ceneri.
Ma i cittadini di Nicolosi così come quelli di Belpasso non accettarono
passivamente il trasferimento e si batterono per liberare le case dalla
cenere e ripristinare l'insediamento nonostante l'opposizione anche violenta
del principe. La loro caparbietà fu premiata con l'ottenimento
dal principe di Campofranco del permesso di ricostruire il paese. Con una
febbrile attività il paese fu ricostruito presso gli edifici che
a stento si erano salvati dal terremoto e cioè la chiesa di S.
Maria delle Grazie ed il campanile della Chiesa Madre. Nel 1676 il principe
di Campofranco concedette la possibilità di godere di un'amministrazione
propria, ma Nicolosi restò dipendente da Fenicia Moncada fino al
1693, quando fu distrutta da un violentissimo terremoto, che danneggiò
gravemente anche Catania. Nicolosi venne ricostruito tenendo conto dell'aspetto
che esso aveva prima del 1669. Tra il 1730 e il 1750 con il denaro versato
dal Comune e dai cittadini più facoltosi si ricostruirono la Chiesa
Madre su un progetto del Vaccarini e la chiesa delle anime del Purgatorio
che venne restaurata la chiesa S. Maria delle Grazie. Il paese continuò
ad accrescersi (nel 1789 la popolazione era di 3822 abitanti) e ad ingrandirsi
verso ovest, nella zona chiamata "asciara",oltreilPiano delle
Forche, così chiamato perchè vi si eseguivano le condanne
a morte. L'Etna intanto nel 1766 con un'altra eruzione minacciò
da vicino il paese, condanni ingenti al patrimonio boschivo. Cessato il
pericolo, gli abitanti eressero i Tre altarelli. Sotto le tre arcate erano
dipinte le immagini della Madonna delle Grazie, di S. Antonio di Padova
e di S. Antonio Abate protettori del paese. Ai primi anni del 1800 risale
la costruzione della chiesa di S. Francesco di Paola nel Piano delle Forche.
Nel 1818 fu costruita presso la piazza principale una cisterna pubblica,
che doveva servire per i poveri e nei periodi di siccità. Una lapide
in latino (tutt'ora esistente) ne regolava l'uso. La realizzazione della
strada Regia o Ferdinandea nel 1835 su progetto di don Alvaro Paternò,
principe di Manganelli, che collegava Barriera del Bosco con Nicolosi
segnò l'evento più importante per il paese del XIX secolo
in quanto ne fece tappa obbligata per l'ascesa al vulcano. Proseguiva
intanto lo sconsiderato disboscamento. Nel 1826 i Borboni avevano esteso
alla Sicilia le leggi forestali e venatorie che avevano come scopo la
salvaguardia dei boschi rimasti. Ma le guardie forestali erano pagate
estremamente poco ed erano solite incrementare il loro salario tagliando
abusivamente gli alberi e aiutando il traffico clandestino di legname
per costruzione e da ardere. Abolite nel 1840 le leggi degli usi promiscui,
i boschi dei municipi e quelli dei privati, ridotti in frazioni o concessi,
si mutarono in vigneti, in pometi e in boschi cedui dando modo agli agricoltori
di ottenere buoni guadagni con i prodotti della terra. Intanto anche Nicolosi
mandò i suoi giovani a combattere a Catania contro i Borboni nel
1848 e, in seguito all'impresa garibaldina, innalzò nel 1860 la
bandiera tricolore; quindi fu istituita una Guardia Civica ed il 21 ottobre
si votò per l'annessione della Sicilia al Piemonte. Il 17 marzo
del 1861 Nicolosi divenne Comune del Regno d'Italia. Il 19 marzo 1883
alle ore 4 del mattino un forte boato sveglia i nicolositi,: un'altra
minacciosa eruzione dell'Etna era iniziata. L'eruzione durò appena
un giorno e mezzo e ciò, come si disse, poteva essere il preavviso
di qualche altra più grave. Ed infatti tre anni dopo, nella notte
tra il 18 e il 19 maggio 1886 preceduta da un fortissimo terremoto ebbe
inizio una nuova eruzione da una fenditura apertasi a dodici chilometri
da Nicolosi nei pressi di Monte Grosso. Il giorno dopo, l'arcivescovo
Dusmet, constatato il progredire minaccioso della lava portò a
Nicolosi la Reliquia del Velo di S. Agata e in pellegrinaggio lo condusse
a poca distanza dal fronte lavico. Essendo la situazione ulteriormente
peggiorata, fu dunque resa dì pubblica ragione l'ordinanza del
Prefetto che fissava il termine allo sgombero di Nicolosi per le ore 12
del 31 maggio. Pubblicata l'ordinanza prefettizia, a Nicolosi, era tutto
squallore e tristezza. Poche case ancora abitate; le altre -completamente
vuote e abbandonate, prive di imposte, senza parapetti ai balconi e alcune
persino senza stipiti di pietra alle aperture. Un popolo derelitto e piangente,
lasciava dietro di sé ogni suo bene e si incamminava verso l'ignoto.
Nei giorni seguenti l'estremo fronte della lava che aveva messo in grave
pericolo Nicolosi si manteneva attivo e alle 12 del 2 giugno conservava
ancora la velocità di 5 metri l'ora. li 4 giugno la colata rimase
sospesa sul declino soprastante Nicolosi, a soli 327 metri dalle prime
abitazioni; e si fermò proprio nel luogo in cui erano pervenuti
la processione con il Velo di S. Agata e con la statua di S. Antonio Abate.
Venne così ordinata la soppressione del cordone militare e permesso
il rientro della popolazione. Ben presto si riprese a vivere normalmente
e a riparare i danni sofferti dall'eruzione. La situazione economica di
Nicolosi migliorò presto. L'agricoltura rimase l'attività
fondamentale: si coltivano vigneti, fichi, gelsi, pomi, peri, ciliegi.
L'allevamento invece non ebbe grosso sviluppo per l'insufficienza di stabili
risorse alimentari; la pastorizia era primitiva e condotta col sistema
della transumanza. Era parecchio diffuso il piccolo artigianato;
vi erano calzolai, fabbri, una fabbrica di cera, ed inoltre cordari, botteghe
di falegnami, muratori, diverse sartorie. Esisteva una "carcara",
dove si fabbricavano mattoni e "canali" di terracotta, una particolare
importanza aveva il commercio della neve. Furono costruiti tre alberghi.
Le strade, in
genere erano marciapiedi e con le "basole" di pietra lavica,
che rendevano possibile così lo spostarsi delle persone, delle
cavalcature, dei carretti e delle carrozze. Gli
ultimi decenni hanno visto una radicale trasformazione del paese che a
poco a poco ha cambiato fisionomia, a ciò ha contribuito la realizzazione
di opere nuove e l'operazione di sostituzione edilizia dei vecchi con
i nuovi fabbricati ed il processo di riempimento degli spazi non ancora
edificati. Dall'immediato
dopoguerra, inoltre, i pendii sud-orìentali dell'Etna sono diventati
meta di villeggiatura estiva della popolazione catanese che vi ha costruito
case secondarie dalle linee architettoniche moderne e dai colori vivaci
che male si inseriscono nel paesaggio naturale ed agrario della montagna.
Il boom dell'edilizia
ha arrecato indubbiamente
benessere, ma un paese come Nicolosi, posto a poca distanza dalla città
e da cui dipende per la sua economia prevalentemente terziaria, dove mancano
sia l'industria sia un'agricoltura efficiente e produttiva, specialmente
dopo il graduale e costante abbandono delle campagne, non poteva fondare
la sua economia su un'edilizia che non presentava un carattere di continuità
e prospettiva illimitate, essendo indissolubilmente legata alla congiuntura
economica. Negli
anni Settanta si realizzano così impianti turistici e sportivi,
concretizzando quell'apparato di strutture indispensabili per determinare
il decollo di un nuovo assetto economico legato
a più moderne esigenze turistico-sportive. E sebbene ancora l'Etna
abbia fatto sentire la sua voce, più recentemente nel 1983 e nel
1985, arrecando danni notevoli all'economia del paese, non è riuscita
a affiancare la tenacia sempre desta dei nicolositi, consapevoli che la
fortuna e la crescita del paese sono legate nel bene e nel male alla spettacolare
vivacità del grande vulcano.
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Ragalna
"Terrazza dell'Etna"
Una volta rigoglioso
ambiente naturale detto "Terrazza dell'Etna" oggi il paese si
è riempito del cemento delle seconde case per la 'Villeggiatura".
A
12 km da Paternò a 7 da Nicolosi, a 30 da Catania, a circa mille
metri di altitudine, incastonata tra il verde smeraldo dei pini, delle
querce e dei castagni, sorge Ragalna, detta anche "Terrazza dell'Etna"
o "perla dell'Etna". Il suo territorio adagiato sulle falde
del- l'Etna, presenta interessanti scenari paesaggistici compreso com'è
dai 500 ai 2815 m s.l.m. Questa posizione panoramica, la salubrità
dell'aria intrisa d'un frizzante profumo di fiori campestri, una lussureggiante
vegetazione, fa si che sia meta nella stagione estiva di numerosi villeggianti
provenienti dai centri viciniorí. Sull'etimologia di Ragalna i
pareri sono contrastanti. Si suppone che questo nome derivi da "Rahanna",
che si potrebbe far derivare da "Ragos-logos" che deriverebbe
a sua volta da "Raslego" che significa letteralmente Il raccoglitori
di uva o meglio, di granelli di uva". Questa etimologia potrebbe
essere accettata perchè la produzione vinicola è stata sempre
presente nella zona. Altre ipotesi attribuiscono al nome Ragaina un'origine
araba che risulterebbe dalla composizione della parola "Rahal"
e "Etna" con la sincope di "et". In questo caso significherebbe
"Borgata dell'Etna". Una terza ipotesi si lega alla composizione
delle due parole "Rahal" e "Anna- con la sincope di "An",
che significherebbe "Borgata di Anna". La ricostruzione della
storia di Ragalna si fa partire da epoca normanna, perchè solo
in quest'epoca si hanno documenti nei quali si riporta un'antica denominazione
di "Rachalea", citata nella donazione fatta nel 1136 al monastero
di San Leone da Enrico, conte di Policastro e Signore di Paternò,
genero del conte Ruggero I, per averne sposata la figlia Flandrina, la
quale dopo la morte della contessa Adelaide, ebbe in appannaggio la terra
di Paternò in cui era compresa l'antica "Rachalea". 1
fatti salienti dell'epoca e quelli successivi sono legati alla vita dei
monasteri, che si trovavano nel territorio di Paternò. Gli abitanti
per la scarsità demografica non dovettero ricoprire speciali ruoli,
tranne quelli di collaboratori delle strutture ecclesiatico-conventuali.
Nel periodo post medievale, Ragalna, appartenne alla famiglia Moncada,
principi di Paternò. Il grande evento che riportò Ragalna
alla cronaca, fu quello dell'eruzione dell'Etna del 1780. Il braccio più
esteso di questo si fermò a Ragalna in via Eredità, dove
erano state portate in processione le sacre reliquie di Santa Barbara,
alle quali venne attribuito il miracolo prodigioso dell'arresto della
lava. Nel 1870, si iniziò la costruzione della Chiesa Madonna del
Carmine (e la campana fu donata dal Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet,
arcivescovo di Catania). D'allora la vita dei ragalnesi continuò
tranquilla fino al 1943, quando migliaia di profughi, per gli eventi bellici,
provenienti da Paternò da Catania e da altri centri, trovarono
asilo e ospitalità. Tale esodo costituì in incentivo per
la valorizzazione della zona, nota fino allora solo come località
pedernontana. Nell'immediato dopoguerra, il numero dei villeggianti è
progressivamente aumentato e si è inserito nel tessuto abitativo
comunale fino a raddoppiare e a triplicare la popolazione residente (i
circa tremila abitanti diventano quasi ventimila nel periodo estivo).
Dall'ultimo dopoguerra, fino al 29 aprile del 1985, data in cui conquisterà
l'autonomia, divenendo così il 58 Comune della provincia, le vicende
storiche di Ragalna saranno strettamente legate a quelle del vicino comune
di Paternò Il 70% della popolazione attiva si dedica all'agricoltura.
Data la sua caratteristica ubicazione ed il suo clima è possibile
praticare una agricoltura polivalente. Nelle zone di collina di bassa
montagna si ha una estesa coltivazione di alberi da frutta e di bosco;
a seconda dell'altitudine e dell'esposizione si coltivano: la vite, l'ulivo,
il fico, il ficodindia, il pistacchio, il pero, il melo e il ciliegio.
Ragalna conserva, in gran parte le caratteristiche dei paesi montani etnei,
con case in pietra lavica, inframmezzate da antiche ville di
pregevole fattura. Notevoli sono le cisterne, la più celebre delle
quali denominata "Della Regina", secondo la tradizione fu fatta
costruire dalla regina Eleonora d'Aragona, vedova di Federico III. Legate
alla fede popolare, sono le numerose chiese ed edicole votive alcune delle
quali sistemate in grotte naturali Simbolo del paese è la chiesa
della Madonna del Carmelo; degne di menzione sono anche le Chiesa di Santa
Barbara e di San Giovanni Bosco. Nel territorio di Ragalna si trovano
ubicati il Grande Albergo dell'Etna e l'Osservatorio Astrofisico. Numerose
le grotte laviche tra cui quella di S. Barbara, Rocca Tallarita, dello
Stizzere (dove si raccolgono saporiti funghi).
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Il
Paese di Martoglio
Tutto
ebbe inizio nelle aristocratiche dimore dei notai di Malpasso, mentre
nel resto d'Italia imperava il teatro nelle corti. Nell'antico borgo etnèo,
infatti, i ricchi professionisti, legati profondamente a questa forma d'arte,
allestivano "La Sacra rappresentazione" peri frequentatoti più
assidui delle loro abitazioni. Con l'eruzione del 1669 e la conseguente
distruzione di Malpasso, usi, costumi, ed abitudini (compreso il teatro)
furono trasferiti nel nuovo insediamento di Fenicìa Moncada, dove
i Malpassoti risiedettero per una trentina d'anni, ma non ebbero neppure
il tempo di acclimatarsi che altri due malefici eventi naturali, il terremoto
e la malaria, indussero i cittadini ad una nuova diaspora in un luogo
considerato più sicuro epiù salubre. Con l'edificazione
di Belpasso (1693), il teatro rifiori nella suggestiva dimora settecentesca
dei notai Scrofani. Rifiorì con la "Sacre rappresentazioni"
che si collegarono idealmente a quelle di malpassota memoria. Fu sufficiente
non più di un secolo affinché nella nuova e ridente cittadina
si verificassero alcuni fatti che rivoluzionarono il modo di far teatro.
Con il trasferimento delle "Sacre rappresentazioni" dalle case
alle chiese, il teatro non fu più fenomeno "elitario"
bensì fenomeno aperto alla massa. Frattanto, proprio sul finire
dell' Ottocento, successero due cose importanti a Belpasso: una famiglia
originaria di Adrano, quella dei Crocellà, realizzò nella propria
abitazione un teatrino dove venivano rappresentati l'opera dei pupi ed
alcune opere teatrali cui partecipava un pubblico numerosissimo, mentre
nella Dodicesima Traversa, l'Amministrazione Municipale, finalmente ultimava
il Teatro Comunale che era stato richiesto a furor di popolo per tanti
anni dai cittadini. Da allora, il teatro, non venne più considerato fenomeno
esclusivamente religioso, ma anche laico. Intanto, un manipolo di sensibili
contadini, riposta la zappa da lavoro, dopo il duro lavoro dei campi,
comincio ad intingere dapprima timidamente, poi sempre più decisamente,
la penna nel calamaio per elaborare dei versi in vernacolo di fine fattura
che successivamente essi stessi declamavano in piazza sottoforma di "cuntrasti"
e di "mascarate". Questi memorabili fermenti artistici movimentarono
la cittadina etnèa per una ventina d'anni (i primi vent'anni del
Novecento). Ma l'appassionante storia del teatro belpassese non finisce
qui, anzi, saranno proprio quegli anni e gli anni a venire i più
ticchi di tensioni emotive ed artistiche. Prima di raccontarli è
doveroso fare un piccolo passo indìetro: nel 1870 in una modesta
dimora della via Terza Retta Levante nasceva Nino Martoglio, il più
grande commediografo dialettale che la scuola siciliana abbia prodotto.
Dopo gli anni della giovinezza trascorsi nel suo paese natio, Martoglio
si trasferì a Catania e proprio nel capoluogo etnèo spiccò
il volo-grazie anche alla mirabile capacità espressiva di Angelo
Musco-per i teatri di tutto il mondo. Tuttavia non dimenticò mai
di fare qualche capatina a Belpasso suscitando l'entusiasmo incontenibile
del pubblico che al cospetto del grande commediografo andava letteralmente
in delirio. Secondo una analisi approfondita di Giuseppe Sambataro, studioso
dell'opera del belpassese, Nino Martoglio trovò forte ispirazione
nel suo paese natio per scrivere "L'Aria del Continente " e
"Annata ricca massaru cuntentu ". Diverse le analogie-secondo
Sambataro fra le opere e i luoghi di ambientazione reali (''l'Acqua Rossa"),
una contrada in territorio belpassese; "il casino di civile adunanza
", molto simile secondo la descrizione martogliana al "Club
Progressista ", e infine la campagna belpassese riccadiviti, di ulivi,
di fichidindia, e di aranci, odorosa di mosto e di zagara). Con l'improvìsa
di partita del grande commediografo, avvenuta per cause accidentali nel
1921 (Martoglio cadde nella tromba dell'ascensore) il movimento artistico
innescatosi in quegli anni a Catania (e di conseguenza a Belpasso) parve
sopirsi. Invece un altro commediografo di talento, Antonio Russo Giusti,
diede impulsi importanti al teatro belpassese, dopo i trionfi conseguiti
grazie alle sue rinomate ed apprezzate commedie (ricordiamo, fra le altre,"l'eredità
dello zio canonico ","Gatta ci cova ", "Cittadino
Nofrio ", "La scodella del cane " ), rappresentate da Angelo
Musco e portate nei teatri di tutto il mondo("L 'eredità"
e "Gatta ci cova" furono ridotte in versione cinematografica
e rimangono degli importanti reperti di cinema italiano degli "anni
'30"). Russo Giusti-residente a Catania ma belpassese di origine
da parte di padre - nel 1943 abbandonò il capoluogo etnèo
a causa dei bombardamenti e si trasferì a Belpasso dove, assieme ad un
folto gruppo di giovani e vecchi talenti delpalcoscenico (Rosario Magrì,
Giuseppe e Santo Caserta, Antonino Mario Leonardi, Turi Costantino ed
altri) fondò la "Brigata d'Arte Nino Martoglio ", una
gloriosa Compagnia che, da allora, - continua brillantemente la sua ultraquarantennale
attività.
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La
Patrona S. Lucia
L'elezione
di questa Santa a Patrona celeste di Belpasso risale al 1600, o più
esattamente al 12 dicembre 1636, anno in cui il paese di Malpasso assume
la piena autonomia amministrativa dal comune di Paternò. Malpasso
fu seppellita dall'eruzione dell'Etna del 1669 e nel 1693 il terremoto
distrugge Fenicia Moncada, il centro abitato che i malpassoti avevano
costruito dopo l'eruzione. Ventiquattro anni di sconvolgenti vicende
non scoraggiano questa gente che neI XVIII secolo costruisce Belpasso,
in cui fondono usi, tradizioni e costumi della originaria comunità
di Malpasso. La festa di S. Lucia va assumendo negli anni contenuti sempre
più ricchi e densi di significato e di fede Un rapido sguardo al
suo definirsi dopo il XVIII secolo permette di comprendere meglio il significato
delle attuali celebrazioni. Le sacre rappresentazioni e le torce dei ceti
popolari risalgono al Settecento esse si erano aggiunte ai festeggiamenti
tradizionali. Le sacre rappresentazioni sono costituite da spettacoli
teatrali della vita e del martirio di S. Lucia, con scene e costumi propri
a quell'epoca. Le torce, ornate di sculture e fiori, precedono il fercolo,
ed entrambi, sono portati a spalla e rappresentano
le diverse categorie sociali. Si hanno notizie scritte delle torce dei
I "massari" ", dei "maestri " dei "giornatari
", degli "ortolani" e dei "bottegai". Altra manifestazione
di grande rilievo sono le " cantate " a S. Lucia. Nella seconda
metà dell'Ottocento si inseriscono nei festeggiamenti alcune forme
musicali: le "cantate ". Belpasso nel 1860 conta tre corpi bandistici
la qual cosa sia a significare che si era venuta a creare una cultura
musicale. Ancora oggi queste "cantate " hanno un carattere che
le contraddistingue in quanto ogni quartiere della cittadina ha una sua
"cantata ". La
sera della vigilia, detta "sera dei cantani ", ciascuna di esse
viene eseguita e cantata da orchestra e coro. Viene eseguito per primo
l'Inno, a cui fa seguito la Preghiera e, per ultimo, la Cabaletta. Di
ognuna di esse si posseggono gli originali. Ad attestare la vivacità
e il campanilismo dei "quartieri" vi sono anche i cosiddetti
"carri allegorici ". Essi fanno la prima apparizione verso l'inizio
del Novecento, allorché in seguito a talune trasformazioni sociali,
accanto al ceto contadino emerge quello artigianale, costituito da falegnami,
intagliatoti di pietra, fabbri, carradori, la cui indole estrosa e creativa
dà vita ai "carri allegorici "che, assieme alle "cantate"
danno luogo
a momenti fra i più suggestivi della festività. La combinazione
di queste due forme carro allegorico-cantata può avere delle alternanze
a seconda della disponibilità delle maestranze del quartiere; infatti
quest'anno il quartiere S. Antonio presenterà entrambi, mentre il
quartiere Matrice sarà presente con la "cantata", il
quartiere "Purgatorio" con il carro allegorico, il quartiere
San Rocco non parteciperà e il quartiere di Borrello, che non ha
mai avuto la "cantata", sarà presente con il carro allegorico.
I "quartieri" rappresentano delle antiche comunità molto
piccole che facevano parte dello stato di Malpasso e Paternò fino
al 5 luglio del 1636, infatti ognuno di essi ha il proprio santo protettore,
anche se la Patrona di Belpasso, la santa Patrona, verso la quale viene
espresso un acceso sentimento di fede , è soltanto S. Lucia. Le
maestranze dell'artigianato locale fornivano all'agricoltura tutto quanto
abbisognava, a partire dalle carrette per buoi, ai carri, ai calessi,
ai birocci; conte pure agli arati! ed altre attrezzature ed utensili per
la fattoria, per la casa, per il paese tutto, e anche per le comunità
vicine. In occasione della festività della Patrona possiamo vederle,
in piccola èquipe, lavorare con fantasia ed estrosità intorno
ad un tema per il carro allegorico del proprio quartiere. Il progetto
viene tenuto segreto per accrescere l'effetto finale.
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Cosa
visitare
Monastero
di S. Nicola: Il Monastero di S. Nicola, anche se ormai in gran
parte distrutto dal tempo, resta una delle più antiche ed importanti
costruzioni esistenti nella zona etnea. Opera dei Benedettini, risale
alla metà circa del sec.XII ed intorno ad esso venne crescendo
un villaggio che, da San Nicola, si chiamò Nicolosi. Divenuto Abbazia,
ospitò la regina Eleonora D'Angiò e, successivamente, la
regina Bianca, vicaria di Navarra. L 'ente Parco dell'Etna ne ha acquisito
il possesso e iniziato l'opera di restauro per adibirlo a propria sede.
Chiesa Madre: La "Matrice", come la definiscono
i nicolositi, sorge sulla piazza principale e costituisce il cuore autentico
del paese. Essa è unica nel suo genere. Di stile barocco, proprio
del migliore Settecento catanese, attribuita all'architetto G.B. Vaccarini,
presenta un caratteristico campanile costruito su basamento dì pietra
lavica, risalente al XVI secolo, unica opera salvatasi dalla eruzione
del 1669. All'interno della Chiesa si possono ammirare: un magnifico crocifisso
ligneo, di autore ignoto del 1700; il Palietto dell'altare maggiore, mentre
in alto, sull'ingresso, è situato un antico e pregevole organo,
la cui paternità è attribuita al Cinque mani. Cippo
a Goethe ed ai visitatori illustri: Dedicato a Goethe ed ai visitatoti
illustrì, è stato eretto, nel 1987, in occasione del secondo
centenario della venuta di Goethe a Nicolosi, ai piedi dei Monti Rossi.
In esso, verranno, inoltre, riportati i nomi di altri illustri visitatoti
dell'Etna (Brydone, Spallanzani, Verne, Maupassant, Verga e numerosi altri).
Monti Rossi: Conetti vulcanici generatisi in seguito all'eruzione
del 1669 che distrusse Nicolosi, i paesi limitrofi ed una gran parte della
città di Catania. Si elevano a circa 200 metti dalla base e costituiscono
uno dei crateri avventizi dell'Etna. Impareggiabile prodotto della natura,
dalle caratteristiche due cime, formato dall'abbondante materiale eruttivo
espulso dal centro esplosivo, è ricoperto oggi da una densa vegetazione
di pini e di meta preferita di turisti e villeggianti. Alla sua cima
(m. 949 s.l.m.), dalla quale si può osservare uno stupendo panorama,
si accede attraverso un sentiero che si diparte dal Cippo a Goethe.
Grotta del "Palummì"(delle Colombe): Posta a
qualche centinaio di metti a
nord ovest dei Monti Rossi, si formò inseguito all'eruzione del
1669. E'costituita da una voragine che raggiunge una profondità
di circa 70 metti, di cui si può visitare solo la caldera di accesso.
E' pericolosa l'escursione del cunicolo in profondità senza guida
e senza idonea attrezzatura. Infondo alla grotta si trova una lapide dedicata
all'insigne vulcanologo e naturalista nicolosita, Mario Gemmellaro, che
per primo la esplorò. Recentemente, a cura dei C.N.R., vi sono
state allocate particolari strumentazioni per il rilevamento sismico.
Parco Calvario: E'una collinetta sita nella parte occidentale
di Nicolosi. Coperta da alberi secolari presenta una scalinata (n. 114
scalini) ai cui lati sono state erette le 14 stazioni della Via Crucis.
La cappellina
terminale sormontata da una grande croce reca una Deposizione in maiolica,
opera di Carlo La Licata. Grotte
di scorrimento lavico: Nei
dintorni di Nicolosi si trovano numerose grotte di scorrimento lavico.
Le più conosciute sono quelle di Piano d'Erasmo già utilizzata
come deposito per attrezzi agricoli Grotta lunga, con la caratteristica
volta a sesto acuto e con stalattiti di lava e, a Nicolosi Nord sull'Etna,
la grotta dei Carcarazzi e la famosa grotta dei Tre livelli.
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