Sambuca di Sicilia, meno nota con l’antico nome di Zabut, impostole dall’emiro musulmano che conquistò l’antico casale di Sambucina, è conosciuta per un tradizionale dolce arrivato fino ai giorni nostri, con l’arcaico appellativo di “Minni di virgini”, seni di vergini. Questa ghiottoneria è la massima espressione della fantasia dolciaria di queste terre del sud, i cui retaggi culturali ed una morale cattolica non hanno mai varcato determinati steccati dell’impudicizia.
L’invenzione di questo mirabile dolce si deve ad una spiritosa suora, alla quale va dato il giusto riconoscimento attraverso l’iscrizione dell’ accattivante pasta nel “registro dei brevetti”.


Ma veniamo alla storia. Questo dolce é legato indissolubilmente alla Sambuca-Zabut del XVIII secolo, ed in particolare alla nobile famiglia Beccadelli. Donna Francesca Reggio, divenuta Marchesa di Sambuca per aver sposato Don Giuseppe, in occasione delle nozze dell'unico figlio Pietro, la nobil donna, chiese a Suor Virginia Casale di Rocca Menna del collegio di Maria “di mettercela tutta per escogitare le novità assolute nei campi di loro competenza e, tra questi, nel campo della dolciaria."

Nell’anno 1725, la suora creava una delle più soave paste della pasticceria siciliana e di cui lo storico locale Di Giovanni riporta l’espressione della religiosa riguardo la sua creatura: “Guardavo questa mattina dalla finestra della mia stanzetta le colline che si susseguono dalla Valle dell' Anguillara sino alla collina del Castellaccio e alla costa della Minnulazza. La forma delle colline mi ha suggerito che noi dovremmo presentare ai marchesi un dolce che abbia la forma e, in quanto al contenuto porti la dolcezza di questa terra. Insomma un dolce paesano, ma prelibato, fine che susciti nel momento del degusto l'istinto del sentimento, ed elevi al tempo stesso lo spirito."

Giuseppe Tommasi di Lampedusa, attraverso l’impareggiabile principe Salina, nel suo famosissimo romanzo “il Gattopardo”, farà così commentare quel soave dolce frutto delle magiche “Terre del Gattopardo”, di cui Sambuca, dista pochi chilometri da Palazzo Cutò di Santa Margherita Belice, dove è stato ambientato l’omonimo romanzo: “parfaits rosei, parfaits sciampagna, parfaifs bigi che si sfaldavano scricchiolando quando la spatola li divideva, sviolinature in maggiore delle amarene candite, timbri aciduli degli ananas gialli, e "trionfi della Gola" col verde opaco dei loro pistacchi macinati, impudiche "paste delle Vergini." Di queste, Don Fabrizio si chiedeva "Come mai il Santo Uffizio, quando lo poteva, non pensò a proibire questi dolci? .
Immaginate cosa avrebbe detto il simpatico Principe al cospetto delle siliconate, più o meno note signore o delle super maggiorate soubrettes che ai giorni nostri esibiscono orgogliosamente i loro prosperosi seni.

Suor Virginia descrisse gli ingredienti ed il metodo di ottenimento del dolce: "Farina, uova, latte, lievito. Si compone una pinna di pasta tonda come una luna piena; al centro si accumula un po' di tutto: cose, comunque, che debbo studiare con attenzione: non dovrebbero mancare la zuccata, la crema, l'essenza di garofano e di cannella, qualche pezzo di cioccolato e... quant'altro mi ispirerà il Signore... Vedrà che ci riusciremo a fare un dolce sensitivo."

Se qualcuno volesse accostare i Minni di virgini ai Minnuzzi di Sant’Ajta (dolce tipico catanese) farebbe un errore grossolano, poiché, quest’ultimi dolci, sono ripieni interamente di zuccata frammiste a mandorle finemente tritate, ricoperti da <<glassa>> di zucchero a velo e sormontati da una ciliegina rossa sciroppata, a mo’ di capezzolo, lontani dalle caratteristiche Minni di virgini. Enrico Pendola è uno dei pochi pasticceri sambucesi che con sacralità e dovizia preparata questi soavi dolci. Con una meticolosità predispone gli ingredienti, ma soprattutto ne cura la forma e le dimensioni.

Scherzosamente, cosa che può permettersi, per il suo carattere estroso ed intelligente, dice che è capace di creare minni di taglie diverse, e che le sue creature hanno tutte una fonte di ispirazione. Prima, seconda, terza, quarta…, insomma, taglie di tutte le misure, e comunque, paste di una bontà unica, capace di inebriare anche i più reclini ai sapori delle luccumarie (lucumonie) siciliane. La sua pasticceria rispecchia interamente le sue “sublime creature”, tanto da sembrare non un comune laboratorio, bensì, una sorta di sala operatoria. La parte più difficile del lavoro è la modellatura della “Minna”. Con abilità e senso artistico, la pasta, viene rigirata tra le mani cercando di farle assumere la forma del seno, operazione non certo facile; alla fine si definisce il capezzolo che è la parte più complicata del dolce, che deve essere proporzionato e marcatamente ben evidenziato.

L’ultima “palpeggiata” e “ i Minni di virgini” sono pronte, non resta altro che farle rassodare attraverso l’infornatura. Quando avrete voglia di gustare i Minni di virgini, non dimenticate di visitare il territorio di Sambuca di Sicilia: dalla Riserva naturale di Monte Genuardo, oltre ad una flora e fauna singolare, offre la possibilità d’apprezzare il prezioso monastero di S. Maria del Bosco, non a torto, definito “il Montecasino del sud” e la città punica di Adranone. Caratteristici sono i vicoli arabi, che insieme alla chiesa madre e quel che resta del castello, occupano la sommità della cittadina, nonché, i palazzi settecenteschi ed uno scrigno di bellezza costituito dal teatro comunale.

Troverete, inoltre, la mostra permanente dedicata al maestro Giambecchina, il muse etnografico e diverse chiese che custodiscono immane ricchezze artistiche.
Se poi preferite un angolo di paradiso potete costeggiare il lago Arancio e l’intera valle del fiume Carboi. Non dimenticate, naturalmente di pasteggiare gli inebrianti vini DOC- Sambuca di Sicilia, con ‘a Vastedda del Belice, formaggio tipico locale, o una suadente indimenticabile “Minna di virgini”.

Tempo di esecuzione: 2 ore e 30 minuti
Ingredienti:
Per la pasta: Farina 400 g di farina doppio zero, in passato si usava la farina di grano di Maiorca, zucchero150 gr. di zucchero, 150 gr. di strutto, latte, uovo, vaniglia.
Per il ripieno: crema di latte, zuccata, scaglie di cioccolato fondente; essenza di fiori di garofano e cannella.
Per la glassa: zucchero a velo, succo di limone, acqua.
Decorazione: “diavolina”.
Preparazione della pasta
Setacciate la farina ed amalgamatela con lo strutto, quindi, disponetela a conca e aggiungete lo zucchero, l’uovo, la vaniglia ed il latte necessario.
Create un impasto omogeneo e consistente e avvolgetelo in una pellicola lasciandolo riposare per circa due ore.
Successivamente, stendete la pasta a sfoglie di circa 5 mm di spessore e ricavate dei dischetti di circa 10 cm di diametro; ponete la pasta negli stampini a coppetta e riempite la cavità con la crema di latte, mentre nella parte superiore porrete la zuccata mista alle scaglie di cioccolato. Sovrapponete i dischetti, precedentemente preparati, e sigillate bene i bordi, quindi, poneteli in una teglia da forno.
Spennellate la superficie con albume, leggermente battuto, e infornate a 200 °C per circa 20 minuti.
Sciogliete lo zucchero a velo con succo di limone e un po’ d’ acqua; con una frusta miscelate il composto fino ad ottenere una crema liscia e abbastanza densa. Spennellate le paste, già fredde, con la glassa e decorate con una pioggia di diavolina. Prima di servire fateli asciugare.