Una
domenica della primavera dei 1990, in un ristorante di Villagrazia di
Carini, ebbi la gradita sorpresa di trovare, seduto a capo tavola, Padre
Vincenzo Fici. A dire il vero, non mi accorsi subito della sua presenza,
viceversa, l'occhialuto sacerdote, in perfetto e piacevolissimo dialetto
chiusalino mi gridò:" Maríu, iu sugnu, Patri Fici".
Mi sentii puntare addosso gli occhi di tutti i presenti, e rosso in viso
ed incredulo, lo andai ad abbracciare festosamente. Dopo avermi presentato
i commensali che, da un lato e dall'altro coronavano una lunga tavolata,
mi spiegò che i signori erano suoi ex parrocchiani, che dopo quarant'anni
lo avevano voluto una giornata con loro , in ricordo dell'affettuosità
e della riconoscenza che dal 23.3.1945 al 27.11.1952
aveva trascorso nella comunità di Villagrazia di Carini. Padre
Fici, sacerdote amato ed apprezzato da tutti i suoi compaesani, è
nato a Chiusa Sclafani il 2.12.1914. Entrato nel Seminario Arcivescovile
di Monreale a quindici anni, è stato ordinato sacerdote il 7.6.19,41,
dopo otto giorni celebrò la prima messa nel suo . paese natale,
accolto da tutta la popolazione chiusese come un gran dono di Dio. la
prima esperienza sacerdotale la svolse come vicario cooperatore a Torretta,
quindi fu nominato rettore della chiesa di s. Sebastiano di Corleone ed
in seguito parroco di Villagrazia di Carini. Caratteristiche principali
dei suo carattere sono l'ottimismo e il buonumore, doti che ad un prete
di campagna non devono mancare, anzi, sono indispensabili per intrattenere
un rapporto aperto e cordiale con i suoi parrocchiani, specie nei piccoli
paesi, dove a pensarci bene, non è facile vivere. Le sue, più
che battute sono delle freddure, però molto incisive e genuine
che arricchiscono il suo
intrattenimento rendendolo simpatico e nel frattempo sereno. Leonardo
Gendusa, segretario per anni della locale Camera dei lavoro, uomo sensibile
di fede marxista, dotato di bontà e di intelligenza, di Don Vincenzo
diceva: `Si tutti l'omini Fussiru come Patri Fici, 'n'io munnu ci lussi
bisognu di essici comunisti`. L'aforisma del Gendusa, nel tentativo di
portare acqua al suo partito, rende evidente la simpatia nei confronti
del nostro sacerdote. la sua bocca non ha mai pronunciato una parola di
rassegnazione, anzi, le sue esortazioni sono sempre auspici rivolti alla
Divina Provvidenza, affinché elargisca grazie per tutti. le sue
celebrazioni sono sempre affollate, perché qualcuno dice: ''non
'né lungarusu", io ritengo, viceversa, che inconsapevolmente
piacciono perché le rende umane e comprensibili. le omelie sono
sempre concise (non più di dieci minuti), ma molto incisive con
esempi che rasentano la comicità, e che servono ci rendere, quell'unica
riflessione, una per settimana, semplice e chiara a grandi e bambini,
sermoni che puntualmente conclude con l'esortazione: Insomma, cerchiamo
allora",... ecc. Al contrario della sua forte tempra, di vista è
stato sempre cagionevole. Nonostante sia fornito da uno spesso occhiaie,
per leggere, ha dovuto fare sempre sacrifici enormi. Piegato sui messali
o con il foglietto ad un palmo dei naso, riesce, ancora, prossimo al novantanni,
a leggere la parola di Dio. Faceva tenerezza, ancor prima d'operarsi di
cataratta, vederlo leggere le sacre scritture con la lente di ingrandimento.
le celebrazioni Eucaristiche sono sempre precedute dalle confessioni,
ministero svolto con semplicità e serenità, mostrando il
volto
misericordioso di Gesù. lui è un prete semplice ed umile
e io è fino infondo, ed è anche innamorato della missione
affidatagli da Dio. la sua vita giovanile è stata stravolta dalla
morte dei fratello nella guerra d'Abíssinía, cui era legato
fortemente. Per questo lutto e per placare il dolore della mamma non ha
voluto vivere un solo
istante lontano da lei; in tutti i modi ha cercato di lenire il più
possibile il male causato da una guerra stupida e assurda; nel dolore
e nel silenzio sono vissuti nella loro abitazione di Piazza san Domenica,
accanto l'amata chiesa di santa Maria. Negli anni è rimasto semplicione;
l'unica volta che avrebbe avuto l'opportunità di diventare Arciprete
dei suo paese, non ha alzato un dito per proporre la sua candidatura,
è rimasto
in silenzio accettando mestamente la volontà del Vescovo. Cosa
analoga è successo quando gli è stato ordinato di non insegnare
più nelle scuole di Chiusa Sclafani. Chissà quanto amarezza
e dolore, ma In silenzio, con qualche piccolo sfogo umano, ha dovuto dire:
"obbedisco"! L'insegnamento della religione cristiana per Don
Fici differiva dalla sua attività pastorale. Intelligentemente
aveva capito la laicità della scuola, luogo comune di cristiani
e miscredenti, e pertanto, manteneva un contegno bonario e comprensivo,
sorpassando spesso a qualche fatto increscioso, spesso combinato dai soliti,
"ragazzacci vivaci". Lui, Gesù Cristo non l'ha mai imposto,
ma lo porta e lo presenta con tutta la carica di umanità che solo
gli umili sanno porgere. Per anni, fin quanto le forze glielo consentivano,
andava a trovare gli emigrati chiusesi in Germania ed in Svizzera, con
loro intratteneva un rapporto cordiale e confidenziale; amici e parrocchiani
che conosceva da sempre, e con i quali aveva condiviso gioie e momenti
tristi. Padre Fici è uno dei pochi sacerdoti che non possiede e
non ha mai posseduto un'autovettura; l'unico ausilio alla sua difficile
deambulazione, da qualche anno, compagno inseparabile, è il bastone.
Uno dei suoi svaghi preferiti era l'agricoltura. Nei momenti liberi, fino
a qualche decennio addietro, si recava in un piccolo orto posto all'interno
dei castello che appartenne a Matteo Scalafani; a metà mattinata
lo si vedeva tornare a casa con un saccoccio di tela dove gelosamente
conservava, fiero, qualche ortaggio. Padre Fici è grecista e latinista,
ed è usuale dialogare con lui nelle due lingue, ma dove è
imbattibile è nel cruciverba. Un grande campione, in grado di sfidare
chiunque. Unico vizio dei Reverendo, se così si può chiamare,
è stata la sigarettina, così come era solito annoverata,
naturalmente, fin quando la salute gliel'ha consentito. Orgogliosamente
sostiene, che non andò mai oltre le tre quattro sigarette al giorno.
Sigarette che affettuosamente fumava con I suoi amici di sempre, nella
sala attigua la sacrestia della chiesa di s. Sebastiano durante le proverbiali
giocate a carte. Turiddu Masseria, Ciccu Masseria, Peppino Liberto, Vicenzo
Noto ed il capo cantoniere dell'ANAS D'Antoni, insieme, avevano costituito
una sorta di circolo dove trascorrevano lunghi pomeriggi giocando a scopone
o a stop. Loro di certo non avevano segreti, infatti, chi passava da Via
Pace aveva la sensazione che si stessero spartendo chissà quale
li roba", non sapendo che le grida erano dovute alla vincita o alla
perdita di qualche lira. La sua squadra preferita è la Juventus,
solo quando vince. Il circolo Trinacria, dove è socio e frequentatore,
luogo a lui caro poiché concilia il sonno, è il posto ideale
per scambiare, quando non sonnecchia, qualche battuta sullo sport più
amato dagli italiani. i giorni festivi celebra la santa Messa nelle chiese
dei Carmine, il Collegio e S. Sebastiano, e per un certo periodo anche
nella chiesa di S. Maria, ed occasionalmente anche nella piccola chiesetta
rurale di santa Lucia, ubicata ad un tiro di schioppo dal paese. In quest'ultima
chiesa celebrava di mattina presto. Da piccolino, per anni ho avuto il
piacere di fargli da chierichetto, ricordo che alle sei e mezzo eravamo
in viaggio verso l'amena località. Portava con sé una borsa
di cuoio nera, dentro la quale custodiva pane, olive, formaggio ed una
bottiglia di vino. Alle sette,
puntuale, attraverso la piccola campana chiamavamo a raccolta i fedeli,
che mezz'ora dopo, gremivano la piccola chiesetta. Dopo la celebrazione
apparecchiavamo sulla iuttena posta sulla destra dell'ingresso dei piccolo
eremo e festosamente consumavamo la piacevole ed originale colazione.
Ogni chiesa aveva il suo affezionato sacrista. A san Sebastiano, despota
assoluto era 'u zu Giuvanninu, un impiegato comunale dal carattere freddo
e schivo; questi, era un tipo particolare che incuteva rispetto e timore
a noi chierichetti. Alla chiesa dei Carmine imperava Mastru Fraciscu Puccio
inteso dibulizza, perché aveva l'abitudine, a metà mattinata,
di lamentarsi che aveva un po' di fame. Il brav'uomo era un tipo simpatico,
in paese si ricorda per le sue straordinarie stravaganze. Nella storia
di Chiusa è rimasta memorabile 'a constata fatta in suo onore,
cioè, l'uso di suonare delle corna di bue da diverse parti dei
paese, quando due vedovi si univano in matrimonio. Dopo la morte di Giuseppe
Di Chiara dettò Peppi Cutiddazzu, uomo piccolo e minuto somigliante
ad un fraticello, è stato sostituito da Ignazio Zito, il quale,
oltre ad espletare il ruolo di sacrista, con grande abnegazione, accompagna
instancabilmente Don Vincenzo per le strade dei paese. Padre Fici teneva
un quaderno, con la copertina nera, dove segnava la presenza dei chierichetti;
ogni funzione aveva un corrispettivo che andava, come dice il benemerito,
dalle dieci lirette per servire la messa, alle venti lirette per accompagnare
il morto al cimitero. Le somme venivano accantonate e per le feste di
Natale e Pasqua divideva i proventi ai chericchetti. In questi lunghi
anni di sacerdozio Padre Fici ha rivolto la sua attenzione agli ammalati
e ai poveri, che ha curato spiritualmente con dedizione ed amore. "Una
volta dovendosi recare a portare la santa Comunione ad un ammalato ed
essendo la strada sdrucciolevole per la neve caduta, ad un certo punto
dovette raggiungerlo a carponi ed aiutandosi con le mani pur di adempiere
la sua missione". (Di Giorgio) Don Vincenzo è ben stimato
dalla popolazione di Chiusa per la sua bontà e per lo spirito di
sacrificio verso il prossimo. Ha uno spiccato senso dell'humour che lo
rende gradevole a tutti. Pur essendo avanzato negli anni, egli continua
a prodigarsi per il bene spirituale dei paese. Ha celebrato il 50' anno
di sacerdozio il 7/6/1991 nella Chiesa di san Leonardo, assistito amorevolmente
dalle suore Eucaristiche, cui è fortemente legato. In quella occasione
è stato nominato dall"Arcivescovo "Canonico Onorario"
della Cattedrale di Manreale. Ha vissuto i suoi sessant'anni di sacerdozio
in silenzio presente nella comunità chiusese senza che nessuno
se ne accorgesse. E se qualcuno si chiede cosa ha fatto in questi suoi
lunghi anni, qualcuno meno attento, potrebbe affermare categoricamente:
niente! Ma se proviamo per un momento a riflettere su chi sia Vincenzo
Fici come sacerdote, quel minuto tassello, diventa "testata d'angolo"
che emerge impetuoso in silenzio, nell'attività pastorale della
chiesa, diventando testimone privilegiato e di riferimento della figura
sacerdotale tanto cara al Santo Padre Giovanni Paolo li. Padre Fici, nel
suo mesto raccoglimento ha gridato violentemente contro lo sfarzo, le
manie esasperate di protagonismo a tutti i costi, il successo, i guadagni,
l'esibizionismo, ecc. lui ha preferito praticare l'umiltà, il silenzio,
il senso della
fratellanza, in breve, un grande rivoluzionarlo silenzioso. Non ha avuto
bisogno di proclami, di giornali, di pulpiti, di amicizie altolocate;
don Vincenzo
parla con le sue azioni umili e semplici che restano esempi vivi più
pesanti delle parole, dei proclami, impersonando quel vero cristiano che
Gesù ricerca per le sue grandi opere, quell'uomo che si mette a
sua completa disposizione per costruire il Suo grande Progetto: l'evangelizzazione
dell'intera umanità. Nonostante gli anni ed una salute che non
gli consente di camminare, di leggere, non c'è giorno che non celebra
la santa Messa. Speriamo
che Dio lo tenga in vita il più a lungo possibile, perché
non sarebbe facile, per la Comunità chiusese, colmare il dolore
per la scomparsa di un amico, di un prete e di un fratello maggiore.
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