Píetraperzia
una storia millenaria
L'antica
Caulonia poi Agar al Matqub cioè pietra perciata
Ma
che Robin Hood d'Egitto, Testalonga era un mascalzone di Tino Vittorio
Chiese,monumenti
e luoghi storici
Pietraperzia
oggi, proble i e prospettive
In
giro per Pietraperzia
Numerose
le testimonianze archeologíche nel territorio
Le
leggi dei Carafa
Il
Castello Barresi
L'Habitat
medievale
Il signore delle fasce
Píetraperzia
una storia millenaria
La
storia millenaria di Pietraperzia costituisce una sorpresa sia per gli
studiosi, sia per coloro che occasionalmente si avvicinano a questa città.
Basta tuttavia considerare la posizione occupata dal Paese e dal suo territorio
nella geografia politica della Sicilia, per rendersi conto di quanto ambìto
sia stato il controllo di questi luoghi sin dai tempi più remoti.
Profondi conoscitori dei luoghi e della loro storia, alcuni scrittori
e ricercatori locali stanno svolgendo un lavoro di indagine e di analisi
storica finalizzata, oltre che alla conoscenza scientifica di ogni fatto
che riguarda la loro patria, alla divulgazione di tale conoscenza ed alla
salvaguardia dei patrimonio storico-culturale posseduto da Pietraperzia.
Numerose sono le pubblicazioni uscite in questi ultimi anni (di cui ci
siamo serviti per elaborare i nostri servizi) tra le quali possiamo citare
i recenti: L.GUARNACCIA-S.VIOLA. Guide ai monumenti ed
ai luoghi storici di Pietraperzia, 1993. L. GUARNACCIA,
vita e condizioni della popolazione a Pietraperzia alla caduta della feudalità
e dello stesso. Il Castello di Pietraperzia, la Chiesa Matrice. F.
MAROTTA, La Settimana Santa e la Pasqua a Pietraperzia, 1989
.M. CIULLA, Retrospettive, immagini del passato. R.
NICOLETTI-A.LALOMIA, Storia del territorio di Pietraperzia dalle
origini agli Aragonesi. La grave trascuratezza e l'abbandono in cui versano
a tutt'oggi grandiosi monumenti come il Castello medievale o la settecentesca
Chiesa Madre o la Chiesa del Rosario o talune zone archeologiche fra le
tante sparse sul territorio, trovano ora un crescente manipolo di persone
decise a difendere ogni segno di questo patrimonio storico culturale -
ambientale.
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L'antica
Caulonia poi Agar al Matqub cioè pietra perciata
Storia
di una terra di grano comune feudale della famiglia Barresi poi Branciforti
di Trabia ...
Fonti
antiche, non confermate dalla ricerca archeologica, indicano la zona a
nord-est dei paese in contrada Rocche, come sito dell'antica città
fortificata di Caulonia, i cui abitanti, secondo Strabone, erano originari
della Caulonia calabra distrutta dal tiranno di Siracusa Dionigi il vecchio.
Dopo la rifondazione, questa città si sarebbe molto accresciuta,
sia per la fertilità del terreno circostante; (valle della Noce,
Piana, Cava, Matteo, Olivia ecc.), sia per la pace che seppe instaurare
con i suoi vicini. Caulonia e le altre città attorno ad essa '
prosperarono fino al 186 a.C. fino a quando vennero distrutte per essersi
alleate con i Cartaginesi durante la prima guerra Punica, ad opera dei
Romani. L'antichità di Pietraperzia è testimoniata in modo
certo dai vari insediamenti (Siculi, Sicani, Greci, Romani) che si sono
trovati in vari luoghi dell'abitato. Tesi sull'antichità storica
di Pietraperzia ce ne sono tante, in particolare sul nome, ma nessuna
è avvalorata da documenti. La località viene citata per
la prima volta da Michele Amari col nome tradotto dall'arabo "Agaral
Matqub" cioè, pietra perciata. Il toponimo Pietraperzia risale
quindi all' 865, quando i Musulmani l'occuparono, ricostruirono il "forte"
e lo tennero fino all'arrivo dei Normanni nel 1087. Dopo la conquista
della Sicilia da parte dei Normanni, il Gran Conte Ruggero, per i servigi
resigli da Abbone Barrese, gli donò il castello e la terra di Pietraperzia,
cioè la "civitas", il territorio, su cui sorgeva il centro
abitato. Il centro della "terra" era il castello, che accoglieva
gli organi amministrativi ed il governo di vigilanza e di difesa del luogo.
Intanto la Sicilia era stata sottomessa definitivamente dal Normanni a
partire dal 1091. La fede cristiana prese il sopravvento su quella musulmana
e si ritornò alle antiche consuetudini, precedenti l'invasione
saracena. Tradizione vuole che in quel periodo sia stata ritrovata da
un muto trapanese, nella contrada Ronze di Pietraperzia, l'immagine murale
della Madonna della Cava. Per tal motivo il muto ricevette il dono della
favella. La Madonna della Cava è la patrona principale di Pietraperzia
e si festeggia il 14 e 15 Agosto (una tradizione consimile si trova a
Boston dove l'hanno esportata gli immigrati). Il compatrono è San
Rocco, (festa del 16 Agosto) la cui devozione fu introdotta molto probabilmente
dai principi Brancifortin originari di Piacenza, dove il santo francese
visse un certo periodo di tempo per curare gli appestati. I Barresi tennero
il feudo e il paese per tutto il periodo feudale. Epoca aurea per Pietraperzia
si può considerare il secolo sedicesimo quando i Barresi da semplici
signori (baroni) di Pietraperzia (e Militello) assursero prima alla dignità
di marchesi con Matteo III Barresi, il fondatore di Barrafranca (1529),
e poi di principi con Pietro Barresi (1564). Il castello di Pietraperzia
diventò una piccola corte rinascimentale dove si coltivava l'arte,
la scienza e la politica. Pietro Barresi fu infatti un esperto di astronomia,
matematica e arti militari distinguendosi nella lotta contro i Turchi
culminata nella vittoria di Lepanto (1571). La sorella, Dorotea Barresi,
fu viceregina di Napoli avendo sposato in terze nozze il vicerè
di Napoli, Giovanni Zunica. Il papa del tempo, Gregorio XIII, ammirò
le sue considerevoli qualità intellettuali e morali e, su sua richiesta,
concesse un'indulgenza plenaria a favore delle anime per le quali si celebrava
una messa di suffragio nella Chiesa Madre di Pietraperzia. Essendo pervenuta
alla corte di Spagna la fama delle virtù di Dorotea, la principessa
fu scelta dal re Filippo II come aia del figlio, il futuro Filippo III.
Con Pietro e Dorotea si estinse la dinastia dei Barresi come signori di
Pietraperzia. Ad essa subentrò quella dei Branciforti.
Il primo marito di Dorotea era stato, infatti, Giovanni Branciforte, conte
di Mazzarino, da cui era nato Fabrizio. La nuova dinastia, nonostante
i legami col paese a partire dalla prima metà del diciassettesimo
secolo preferì affidare la gestione territoriale di Pietraperzia
ad un governatore che faceva le veci del principe assente. Il prestigio
fino ad allora goduto dal paese non potè mantenersi inalterato.
Ci fu un lento decadimento culturale che solo la presenza dei diversi
ordini religiosi (Domenicani, frati Minori Francescani, Agostiniani, Carmelitani,
Terz'Ordine Francescano), oltre che dei sacerdoti diocesani, riuscì
in qualche modo a tamponare e superare, Ne è prova il folto numero
di ecclesiastici di elevata cultura che sono citati da Fra'Dionigi e da
Michele Pezzangora. Grave fu, invece la crisi sociale che investì
Pietraperzia. Essa ebbe il suo tragico sbocco nella costituzione di una
banda armata da parte di Antonino Di Blasi, inteso Testalonga, il quale
creò, in poco più di due anni di banditismo (1765-1767),
un'esteso clima di terrore in tutta la Sicilia di cui tratteremo più
avanti L'abolizione della feudalità baronale, varata nel 1812 dal
parlamento siciliano, fece decadere il mero e misto imperio dei signori
feudali su persone e cose. Pietraperzia, che fino a quel momento, era
rimasta in balìa di governatori non sempre scrupolosi e retti,
divenne così libero municipio. Il castello rimase, però,
proprietà dei Branciforti. Intanto il re Ferdinando IV di Borbone
dopo il Congresso di Vienna del 1815, ritornato sul trono di Napoli e
dimèntico degli impegni assunti nei confronti dei siciliani, sciolse
il Parlamento di Sicilia, designò se stesso quale re delle Due
Sicilie col nome di Ferdinando I. Una voglia di ribellione serpeggiò
tra i patrioti isolanì con vaste adesioni al movimento della Carboneria
che divenne elemento essenziale di lotta contro la dominazione borbonica.
Lo storico Valentino Labate ("Un decennio di carboneria in Sicilia
1821-1831") scrive: "La cognizione della Carboneria si ebbe
la prima volta qui in Caltagirone ed in Pietraperzia per mezzo del sac.
don Luigi Oddo, allorchè nel 1815 da Calabria passò in Sicilia".
Questo prete di Pietraperzia, autore di quattro grossi volumi di matematica,
visse traumaticamente l'esperinza politica carbonara, che lo vide prima
promotore dei movimento e poi accusato dagli stessi compagni di lotta
come spia del movimento stesso a favore dei Borboni. Condannato dal governo
ed espulso dal regno si rifugiò in Francia. Durante il moto rivoluzionario
che investì la Sicilia nel 1848-49 anche Pietraperzia ebbe il suo
ruolo. L'attività insurrezionale venne appoggiata dai notabili
del paese anche con cospicue offerte di denaro come ci fa sapere lo scrittore
villalbese Mulè Bertolo. Nel 1860, durante la liberazione della
Sicilia da parte delle truppe garibaldine, il paese non restò indenne
dalle reazioni di violenza dell'esercito borbonico al comando del generale
Afan De Rivera. 1 soldati, passando per Pietraperzia e ritenendo grave
affronto contro di loro la bandiera tricolore inalberata sulla torre del
Castello, trucidarono cittadini inermi a colpi di fucile. Gli atti ufficiali
dicono che i morti ammazzati furono quattro, mentre altre fonti ritengono
che furono molti di più. Due anni dopo (1862) le forze progressiste
pietrine costituirono una sezione della "Società Unitaria"
di ispirazione garibaldina che aveva la sua sede centrale a Palermo e
che da lì a poco assunse il nome di "Associazione Emancipatrice".
Essa aveva come scopo di appoggiare economicamente e con l'invìo
di volontari le iniziative garibaldine di liberare i territori di Roma
e Venezia, che ancora non facevano parte dell'Italia. A tal proposito
promossero la venuta di Garibaldi a Pietraperzia; cosa che avvenne nell'agosto
del '62. L'Unità d'Italia non costituì la sperata soluzione
dei problemi economici e sociali del popolo siciliano. Allarmante campanello
dall'allarme fu l'esproprio forzato dei beni ecclesiastici di tutti gli
ordini religiosi che, per tal motivo, dovettero allontanarsi dalle loro
sedi. Le proprietà ecclesiali, invece di venir divise tra le classi
meno abbienti, furono comprate dai possidenti locali sottendendo così
il fine per cui era avvenuto l'esproprio. La rivolta palermitana del 1866,
repressa con mano dura, dimostrò quanto vana fosse stata l'illusione
di miglioramenti sociali. Lo Stato Italiano appariva agli occhi del popolo
siciliano come un potere coloniale. La mancanza di quadri dirigenti locali
preparati e l'immissione di personale del Nord in posti di responsabilità,
usati spesso come mezzo di arricchimento, agevolavano tale convinzione.
Intanto leggi esose e amministratori poco avveduti prepararono la rivolta
dei Fasci dei Lavoratori di ispirazione socialista. Un notevole contributo
di morti diede Pietraperzia nel periodo in cui avvennero le sollevazioni
più gravi. Il 1° Gennaio 1894 il popolo, non sopportando più
i dazi cui erano sottoposti i prodotti dei campi, dopo le parole infuocate
di un sacerdote nella Chiesa Madre, si diresse con veemenza verso la Piazza
Centrale. Qui il nucleo di polizia sparò sulla folla uccidendo
otto persone. La repressione statale successiva alienò completamente
l'animo dei poveri verso la visione di un'Italia unita e libera. I
bisogni spinsero molti ad abbandonare i loro paesi di origine e ad emigrare
verso le Americhe, in particolare verso gli Stati Uniti. Il rientro di
alcuni emigrati dagli Stati Uniti con idee nuove di gangsterismo americano
e il malcontento degli ex combattenti della guerra del 1915-1918 (parecchie
furono le vittime pietrine della prima guerra mondiale), rimasti disoccupati,
gonfiarono i rischi di uno sviluppo mafioso che
di fatto avvenne, anche per l'assenza colpevole dello Stato in questi
territori di nessuno, dove l'unica legge era quella della mafia al servizio
del signorotto, del quale essa difendeva persone e cose. La guerra di
mafia, scoppiata a Pietraperzia tra criccherivali ("li chènchi
di li malantrìni") agli inizi degli anni 1920, provocò
la morte di decine di persone. Con
l'avvento del fascismo e l'intervento del prefetto Mori, la mafia venne
ridimensionata.
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Ma
che Robin Hood d'Egitto, Testalonga era un mascalzone
Ne
"Il bandito Testalonga storia e leggenda", Giuseppe Di Natale
ripropone all'attenzíone la centralità della questione criminale
nello studio della Sicilia .
Nel
1882 più di cento anni dopo la fine di Testalonga, Filippo Turati
in uno scritto dal titolo, "Il delitto e la questione sociale",
sosteneva la tesi che il vero primato, la vera supremazia internazionale,
scaturiva dall'unità e dall'indipendenza nazionale, si reggeva
sul tasso di criminalità, il più alto di quello europeo
e concentrato nel Mezzogiorno. Nello stesso anno da parte conservatrice
si conveniva nell'affermare che "l'Italia è corrotta dalla
terribile infermità del delitto in genere" (Pasquale Turiello,
Governo e governati). Ma già dieci anni prima era stato pubblicato
un libro, "L'uomo delinquente", di Cesare Lombroso che dopo
la prima edizione andò letteralmente a ruba. I delinquenti di Lombroso
erano diffusi in tutta Italia, ma particolarmente al Sud, e particolarissimamente
in Sicilia. Le statistiche davano un delinquente, per reati contro le
persone, su 5.179 abitanti del Nord, 1 su 2.129 al Centro, 1su 849 al
Mezzogiorno, 1 su 839 nelle isole. La causa di queste sproporzioni: "la
temperatura calda che eccita il genio, il delitto le rivoluzioni le rivolte".
Al clima faceva buona compagnia la razza: "Agli elementi africani
ed orientali si deve fondamentalmente la maggiore frequenza di omicidi
in Calabria, in Sicilia, in Sardegna". Indipendentemente delle teorie
organicistiche e razziste della scuola positiva di fine ottocento, l'intuizione
di Turati secondo cui la questione sociale in Italia e nel Mezzogiorno
si configurava come questione criminale, ha dalla sua la forza delle statistiche
a supporto della intelligenza del "genio" della storia dell'Italia.
E ben a ragione John Davis vi ha scritto sopra un libro, "Legge e
ordine" (Franco Angeli, Milano 1989) che purtroppo non ha avuto un'accoglienza
ben adeguata. Il saggio, "Il bandito Testalonga, Storia e leggenda",
Editrice Il Lunario Enna 1993, che l'archivista ennese Giuseppe Di Natale,
nativo di Pietraperzia, ha consacrato al bandito pietrino Testalonga (Antonino
di Blasi, 1728-1767) riveste una duplice importanza: l)riproporre all'attenzione
la centralità della questione criminale nello studio della Sicilia,
2) sfatare l'irresponsabile leggenda attorno al banditismo siciliano come
fenomeno di insubordinazione di classe e, poi, antistatuale, secondo quanto
proposto dallo storiografo inglese Eric J. Hobsbawm in un vecchio saggio
del 1969,"I banditi". Dal libro di Di Natale che ha effettuato
ricerche negli archivi di Stato di Palermo e di Enna, che ha utilizzato
le carte della famiglia Trabia, che ha spulciato registri parrocchiali
e notarili, viene fuori - dal caso dei singolo brigante settecentesco
- una persistenza strutturale del banditismo siciliano, un uso istituzionale
della delinquenza a fini di potere che lungi dal collocarsi all'interno
di opzioni giustizialiste è esso stesso struttura di ingiustizia
e perno dei comando signorile. Quanto sia centrale, anzi strutturale il
banditismo nell' Europa mediterranea fu convinzione di uno degli storici
più geniali di questo secolo, Fernand Braudel: "Il banditismo
è un vecchio aspetto dei costumi mediterranei. Le sue origini si
perdono nella notte dei tempi. Il banditismo è una rivincita contro
gli stati costituiti, difensori dell'ordine politico e anche dell'ordine
sociale. Marca speciale, inondazione secondo uno storico del secolo XVIII,
convoglia in sé le acque più diverse... E' jacquerie latente, figlio
della miseria (in Sicilia il banditismo aumenta dopo la peste del 1578)
e della sovrappopolazione; è la ripresa di vecchie tradizioni,
e molto spesso anche, brigantaggio vero e proprio, feroce avventura dell'uomo
contro l'uomo". Quella di Testalonga fu un'avventura feroce contro
altri uomini. Avvolgere e mistificare di una spessa nuvola di simpatia
il bandito nella leggenda dei romanzi orali o scritti, è un vezzo
arcaico diffuso in tutte le latitudini, forse in tutte le culture. Testalonga
viene ricordato come Robin Hood siciliano. Nel libro di Di Natale sono
riportati tutti i passi di quegli autori che ne fecero un mito giustiziere.
Quali contingenze trasformarono un contadino povero in brigante che mozzava
le orecchie e il naso alle sue vittime, che si diede alla macchia vivendo
di estorsioni; di furti di mandrie, coperto dai notabili del luogo? Antonio
Di Blasi nacque nel 1728 e fu giustiziato nel 1767. Branciforti di Trabia
(un Trabia sarà il comandante che scoverà e farà
uccidere il bandito) raddoppiò la sua popolazione agli albori dei
Settecento passando dai 2.250 del 1653 ai 5.3 10 abitanti nel 1714, 5.500
nel 1737, 6.903 1747 nonostante l'infezione epidemica del 1743 che fa
molti morti nel Vai di Noto, e 8.298 nel 1798. Tra la nascita e la morte
di Di Blasi si registrò un grande aumento del tasso demografico
in una comunità povera, il cui terreno era granicolo, e la cui
produzione si portava innanzitutto ai caricatori, per l'esportazione.
Per tutta la metà del 1700 la Sicilia subisce il trend europeo
della recessione economica, con fortissimi aumenti del prezzo dei grano,
il cui raccolto in diverse annate fu scarso. Il contrabbando delle derrate
era pratica diffusa e tollerata, anzi, alimentata dallo stesso vicerè
Fogliani, che, esso stesso esportatore di grani, accondiscendeva eccessivamente
nel concedere le tratte e producendo il rincaro del prezzo del grano,
cardine della dieta alimentare povera della società d'ancien regime.
In questi anni Cinquanta ha inizio il mestiere di bandito per Testalonga
che trovava nel territorio una vocazione collaudata per chi non riusciva
a tenere testa alla depressione economica che falcidiava le remunerazioni
del lavoro nei campi di chi andava a giornata. Il frumento pietraperzese
era di ottima qualità: frumento di collina, duro, di qualità
asciutta. Poteva essere nascosto senza tante precauzioni e si prestava
ai lunghi viaggi di esportazione dal caricatoio di Santa Lucia del Mela.
I prezzi del grano a Pietraperzia nel Settecento furono mediamente più
alti di quelli dei caricatori, crebbero più rapidamente, subirono
rapidamente e con forti sbalzi gli effetti della crisi di produzione.
In tale contesto, la ferocia sembrò al Di Blasi la scorciatoia
per l'ascesa sociale, per il paese di Cuccagna. Fu impiccato, dopo essere
stato tradito. Gli fu poi spiccata la testa. Non gli diedero il tempo
di confessare in un pubblico giudizio i nomi dei suoi protettori. Il Trabia
comunque li conosceva tuttì Buttò
via l'acqua sporca e salvò il bambino. Quel
bambino che cresciuto si è fatta mafia, potere criminale di Stato.
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Chiese,monumenti
e luoghi storici
Anche
se in non perfette condizioni di conservazione Pietraperzia offre numerosi
beni monumentali.
LA
MATRICE
E'
una delle più vaste chiese della diocesi di Piazza Armerina; essa
sorge sulla stessa arca dove sorgeva la chiesa normanna e che Matteo Baresì,
marchese di Pietraperzia fece abbattere nel 1530, per riedificarne un'altra;
quella attuale incorporò la costruzione esistente e venne iniziata
nel 1712 e la decorazione fu compiuta nel 1842, ma la costruzione non
fu mai portata a termine, infatti mancano due campanili ed il porticato.
La matrice di Pietraperzia è concepita secondo lo stile tradizionale
della basilica cristiana: navata centrale. E levata con propria fonte
di luce, accompagnata da due navate laterali, più basse e più
oscure e cupola nel transetto di stile bizantino. La chiesa è a
croce latina non sporgente e le sue tre navate sono a botte, poggianti
su pilastri con cappelle laterali. Progettista della Matrice fu don Pietro
Trombetta, architetto provinciale di Caltanissetta, che ne eseguì
il modello in legno. La navata centrale della Matrice è di bello
e grandioso effetto per il colonnato, gli ornati in stucco della volta,
le finestre ed i suoi cornicioni. li soffitto è a botte ed è
arricchito di cassettoni in stucco con rosoni e fogliami, opera degli
stuccatori Giuseppe Gianforme di Catania ed Antonio Dell'Orto di Palermo,
che li eseguirono su disegno dell'architetto Lo Piano di Caltanissetta.
Bellissime sono le tele che si possono ammirare, e troneggia dietro l'altare
maggiore la pala dell'incoronazione della Madonna, opera del Paladino.
In questa pala la Madonna è collocata al centro della tela ed è
attorniata da angeli ed altri santi; ella sta in delicato atteggiamento
con il Bambino posato sulle ginocchia, mentre due paffuti angioletti le
sorreggono una corona sul capo; più in alto sta il Padreterno che
accoglie la Madonna ed il Divin Figliolo; ai due lati della Madonna stanno
a fare corona, gruppi di angeli che suonano delicati strumenti in suo
onore; più in basso sul lato destro si notano le figure di Sant'Agata
e Santa Lucia, di intense bellezze ed espressività;a sinistra stanno
San Pietro e San Paolo come in estasi a contemplare la divina maestà
di Gesù e della Madonna. Nella navata di sinistra vi è collocato
un elegantissimo sarcofago in marino egizio, di forma ovale posto sul
dorso di leoni. Il sarcofago racchiude le spoglie mortali di Dorotea Barresi,
che fu vice regina di Napoli. Tra la porta centrale e quelle laterali
sono situati altri due sarcofaghi: uno raccoglie le spoglie di Pietro
Barresi di Pietraperzia, l'altro le spoglie della moglie Laura Barresi.
Nella sacrestia si possono ammirare alcuni resti architettonici della
precedente parrocchia, costruita in stile romanico del XII secolo. Sotto
la Matrice nella parte destra vi è la Caterva, che in origine era
la cripta della vecchia parrocchia: il nome, lo stile richiamano il periodo
greco-bizantino. Vi si ammira un prezioso Crocifisso di stile greco, oggetto
di venerazione di tutto il paese. Le pareti sono adornati di pregevoli
stucchi con tocchi. d'oro zecchino. Attualmente la Matrice si conserva
in uno stato fatiscente. Monumenti
e luoghi storici: SANTUARIO
M. DELLA CAVA: L'origine storica del
Santuario Maria Santissima della Cava è collegata alla Santa Immagine,
che ivi è venerata. L'immagine fu ritrovata prima del 1223 da un
muto trapanese,che, recatosi nelle vicinanze di Pietraperzia, scavò
e trovò la Santa Effigie, ed immediatamente ottenne la parola;
la contrada "Runzi", da allora fu chiamata "Maria Santissima
della Cava". La sacra immagine fu collocata dentro la chiesa e fu
incorporata nel muro frontale; la chiesa con l'immagine miracolosa è
divenuta meta di continui pellegrinaggi; in modo particolare nel mese
di maggio ogni giorno la gente a piedi fa i viaggi alla Madonna, per la
dovizia di grazie ottenute. La chiesa nella situazione attuale, fu costruita
alla fine del 1600 ad opera di persone facoltose e con le offerte dei
fedeli è stata rimessa a nuovo. Sull'altare troneggia l'immagine
della Madonna, consistente in un muro di pietre in cui è dipinta
Maria Santissima della Cava, nell'atto di allattare il Bambino Gesù,
che mostra di essere sazio e di rimirare qualcuno per ascoltare le suppliche:
la madre ed il figlio sono nell'atto di benedire. La Madonna è
collocata su un trono artisticamente intagliato, in legno cipresso e dorato
con oro zecchino, opera di antichi artisti. Di rilievo artistico si ha
un piedistallo in alabastro con sculture del Gagini, mentre gli stucchi
appartengono al Fantauzzo. Fin dall'epoca dei ritrovamento, grande è
stata la devozione del popolo pietrino che la scelse come Patrona. La
festa principale è celebrata la sera del 14 agosto; a mezzanotte
il vescovo della diocesi celebra una messa solenne e subito dopo impartisce
la benedizione alle macchine. Di notevole importanza e fascino sono i
"Sabati" del mese di maggio, che sono dei pellegrinaggi che
vengono organizzati in maniera sfarzosa da camionisti, trattoristi e da
carrettieri, che vengono da varie parti della Sicilia e che ostentano
i loro carri, veri capolavori di arte siciliana. CHIESA DI S.
ROCCO: Inizialmente dedicata all'Immacolata Concezione cambiò
nome quando, nel 1635, non è certo se dal Principe Fabrizio o da
Francesco Branciforti, venne onorata ed arricchita delle Sacre Reliquie
di S. Rocco che divenne Patrono della città, La chiesa segnava
il limite del territorio posseduto dai Padri Fracescani che, allora, ne
avevano la cura essendo rettori della Chiesa. All'interno di essa troviamo
delle splendide sculture lignee quali, quelle di S. Sebastíano
e dell'Immacolata, di fattura tardo medievale. Recentemente la chiesa
è stata ristrutturata cambiando completamente quello che era l'aspetto
iniziale. La facciata è stata eseguita da uno scalpellino locale
di nome Matteo Di Natale, lo stile è neoclassico, un pò
eclettico. CHIESA DEL ROSARIO: E' a croce greca; la costruzione
risale ad un periodo anteriore il 1500. Fu dapprima dedicata alla Madonna
Annunziata ed è tra le più antiche chiese di Pietraperzia.
Nel 1500 Matteo Barresi fece costruire accanto ad essa il Convento di
S. Domenico ed invitò i Padri Domenicani a trasferirvisi. Quest'ultimi
durante la loro permanenza, fecero eseguire una bella statua alla Madonna
del Rosario e la collocarono dietro l'altare maggiore, dentro ad una nicchia.
La devozione per questa chiesa fu particolare per alcune famiglie tant'è
vero che vi è sepolta una nobil donna, Leandra Santangelo, sposa
del Barone Don Girolamo Miccichè. CHIESA DI S. GIUSEPPE:
Probabilmente è stata eretta intorno al 1245 e parecchie
volte è stata ristrutturata. Un primo altare è dedicato
alla Madonna della Mercede, di cui ancora ne esiste ed è in buone
condizioni, il quadro. Il secondo altare è dedicato a S. Isidoro,
protettore degli animali e fu donato dal Barone Giarrizzo (esiste ancora
la statua di bella fattura). Il 19 marzo di ogni anno si svolge la tradizionale
festa di S. Giuseppe. E' una festa locale piena di folklore religioso
pieno di grande effetto. Figure umane dietro un voto religioso rappresentano
S. Giuseppe, la Madonna, il Bambino e l'Angelo; a questi personaggi si
aggiungono altri tre personaggi fissi, che rappresentano tre guardie di
Erode. Nello spiazzo della Matrice viene imbandita una tavola con pietanze
tipiche, del giorno che vengono portate dal popolo per voto religioso.
Dalla Chiesa S. Maria di Gesù vengono in processione S. Giuseppe,
la Madonna sopra l'asinello con il bambino e l'Angelo, accompagnati dalla
musica e dal popolo; arrivati nello spiazzo della Matrice vengono fermati
dalla guardia di Erode e qui segue una disputa fra i soldati e l'Angelo
che difende la Sacra Famiglia; la disputa si conclude con la conversione
delle guardie che onorano la Sacra Famiglia
e la lasciano passare. Subito dopo segue la benedizione da parte del Bambino
alla tavola; momento particolare della festa sia come folklore che come
significato mistico "perché in questo viene simboleggiata la benedizione
da parte di Dio per il cibo che dà al popolo fedele". La sera
vengono portati in processione la statua di S. Giuseppe e il Bambino.
La festa è interamente organizzata dalla commissione dei falegnami.
CHIESA DEL CARMINE: Una chiesa Mariana di antichissima origine
nel paese di Pietraperzia è la Chiesa del Carmine; tale nome è
stato imposto dal popolo pietrino perché essa era stata affidata ai religiosi
carmelitani e anche perchè vi si celebra, il mercoledì di
ogni settimana, con grande solennità un culto speciale alla Vergine
Maria del Carmelo. La vera denominazione della chiesa era, però,"di
Maria SS. del Soccorso(o dell'Aggiunto, che significa aiuto). La processione
con la statua di Maria SS. dei Soccorsosi faceva a Pietraperzia l' 8 di
settembre. L'altare a Lei dedicato, sovrastato da un grande quadro raffigurante
la Madonna del Soccorso, è il più sontuoso tra quelli trovantesi
in chiesa. In grande considerazione è pure tenuto l'altare del
SS. Crocefisso, la cui devozione presso il popolo pietrino è antichissima
e viene portata in processione nei giorni di Paresceve (Settimana Santa).
L'altare maggiore è consacrato alla Vergine del Carmine da quando
la chiesa fu affidata ai Padri Carmelitani che dimorarono nell'attiguo
convento probabilmente fino al 1667, anno in cui vennero aboliti diversi
conventini. Si sa che nel 1701 Sua Santità Clemente M concesse
alla Chiesa del Carmine di Pietraperzia l'altare privilegiato. Nello stesso
anno Papa Clemente XI ad ogni fedele che avesse visitato la Chiesa del
Carmine dai primi Vespri fino ai secondi Vespri del 16 luglio concesse
l'indulgenza plenaria. Nel 1705 la chiesa passò al Terz'ordine
di S. Francesco. Nella Chiesa del Carmine sono sepolte due terziarie francescane:
Suor Filippa Peri, morta il 18 Maggio 1763 e posta in una fossa alla sinistra
dell'altare di S. Silvestro Papa e Suor Caterina Blandini morta il 15
Aprile del 1775. EDIFICI CIVILI: Interessanti anche gli
edifici civili, tra i quali il Palazzo della Principessa Deliella il cui
progetto pare da attribuire
al maggiore architetto del liberty palermitano Ernesto Basile. In stile
neoclassico con rilievi in pietra arenaria rossa con balconi retti da
mensoloni scolpiti con motivi antropornorfi. Il Palazzo del Governatore
che nonostante i rimaneggiamenti ed il degrado in cui si trova, conserva
una bella balconata in stile tardo Rinascimentale. Il Palazzo Barone Tortorici,
in stile falso gotico, anch'esso progettato dal Basile, presenta forme
archittetoniche di grande interesse scenografico. Una armoniosa architettura
ottocentesca offre anche il Palazzo Bonaffini noto anche come "La
caserma vecchia". L'ex convento dei Domenicani, oggi sede del Municipio,
di origine seicento, dopo l'esproprio dei beni ecclesiastici divenne il
Casinò dei Galantuomini luogo strettamente riservato ai rappresentanti
della nobiltà terriera locale e come tale dato alle fiamme durante
la Rivolta dei Fasci.
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Pietraperzia
oggi, problemi e prospettive
Agricoltura
marginale e occupazione le principali emergenze
I comune
di Pietraperzia si estende per 117 chilometri quadrati, nel nucleo centrale
dell'Isola. Di natura collinare - 643 metri altitudine massima, 169 metri
altitudine minima - il territorio comunale è attraversato da alcuni
corsi d'acqua, fra cui il fiume Salso; esso risulta utilizzato per il
40% a colture estensive, per il 30% a colture intensive, per il 20% a
pascolo e per il 5% a bosco. Il comune è classificato zona agricola
svantaggiata dalla CEE La popolazione è praticamente rimasta su
valori stazionari nel decennio 1971 - '81 (-0,9%), mentre ha subito un
discreto aumento nel triennio 1981 '84 (4,6%), e un decremento nel decennio
successivo 1981-'91 (8.015 abitanti). La situazione produttiva e occupazionale,
nonostante i progressi degli ultimi decenni (nel periodo 1947 - 60 il
fenomeno rnigratorio ha interessato circa il 40% della popolazione) è
ancora grave con circa 1900 disoccupati su poco più di 8000 abitanti.
L'emigrazione, soprattutto quella del secondo dopoguerra, diede un certo
avvio alla rinascita sociale attraverso le rimesse di denaro e i piccoli
investimenti in campo edilizio. Quasi inesistente la piccola industria,
poche le attività artigianali, la struttura produttiva è
quasi interamente agricola, caratterizzata da aziende con bassi gradi
di intensità fondiaria e di esercizio, tipica delle zone interne.
L'indirizzo prevalente è costituito dal seminativo, mentre l'arboricoltura
(mandorlo e olivo) interessa solo il 16% del territorio. Poco rappresentata
la vite la cui coltura non ha rilevanza economica coprendo solo il fabbisogno
dell'auto consumo dei produttori. L'allevamento bovino è poco sviluppato,
mentre ha una certa rilevanza l'allevamento ovino associato con quello
caprino con un indirizzo produttivo prevalente di tipo latteo, con la
lavorazione, in azienda di formaggio e ricotta. (di buona qualità
artigianale). Il principale prodotto è rappresentato dal grano
duro per il quale nell'ultimo decennio è cambiata radicalmente
la forma di cormercializzazione. Attualmente la commercializzazione avviene
attraverso consorzi a seguito di alcuni provvedimenti legislativi regionali
che hanno istituito l'ammasso volontario del prodotto con contributo agli
agricoltori per quintali di prodotto ammassato e con contribuzione nelle
spese di gestione per gli enti ammassatori. La
commercializzazione degli altri prodotti agricoli del Comprensorio, olio,
mandorle e ortaggi avviene attraverso la vendita diretta da parte del
produttore. Per quanto riguarda i prodotti dell'allevamento, i canali
si differenziano per prodotti: la carne viene venduta direttamente ai
macellai; il latte trasformato in formaggio e ricotta in azienda è
venduto a dettaglio e ai commercianti. Sono
quasi scomparse quelle forme artigianali ricche di cultura e tradizione,
mentre sono in espansione quelle di servizio. L'industria estrattiva specie
quella solfifera che in passato era in grado
di fornire occupazione è oggi notevolmente ridimensionata (gli
addetti infatti rappresentano circa il 2% della popolazione attiva). La
ricchezza paesaggistica e monumentale, l'archeologia, il clima, la presenza
di un certo numero di strutture e servizi rendono possibile programmare
una politica di sviluppo rivolta a quella non trascurabile corrente turistica
di scoperta di luoghi e cultura rurali. Tutto ciò passa ovviamente
attraverso l'organizzazione di adeguate forme ricettive e dalla pubblicizzazione
di una possibile offerta. Facendo
leva sulla necessità del recupero del suo patrimonio culturale,
si può progettare un possibile coordinamento di interventi globali
sul territorio che offrano la possibilità di costruire un'offerta
turistica qualificata in grado di dare un reddito agli operatori.
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In
giro per Pietraperzia
La
Pasqua con la ricchezza delle sue manifestazioni è un'importante
occasione per una visíta al paese.
Una
cittadina dall'apparenza quieta, con strade in gran parte regolari, ben
tenute; case talvolta modeste ma dignitose fra le quali si notano emergenze
architettoniche notevoli e di vario stile costituite da manufatti sia
civili che religiosi; qualche piazza e qualche slargo particolarmente
rappresentativi. L'assetto generale è nell'insieme piuttosto gradevole
e non mancano spunti di interesse vario. Pietraperzia non ha una vera
e propria suddivisione in quartieri, per quanto sia ancora sentito un
certo campanilismo fra parrocchie. La parte più antica è
costituita dal quartiere sotto al Castello che ancora risente, nell'impianto
urbanistico, dei modi arabi e medievali mentre, per il resto, le direttrici
che informano l'attuale impianto si sono sviluppate fra il '300 ed il
'500. La "giacitura" del Paese ha imposto l'uso di scale e strade
ripide caratteristiche, ora pavimentate con basole di lava. Qua e la si
possono osservare però vecchi acciottolati, specie verso Piazza
Terruccia o nei pressi del vecchio Municipio. L'ampio C.so Vittorio Emanuele
svolge la funzione di piazza centrale nella quale si svolgono buona parte
dei rapporti sociali. Qui si trovano numerosissimi bar dove sin dal primo
mattino si riuniscono a discutere o a giocare a carte gli
amici, soprattutto anziani ma anche giovani in attesa di lavoro. I
visitatori a Pietraperzia hanno la possibilità di gustare ottimi
piatti tipici presso le trattorie locali. Nel periodo pasquale abbonda
l'offerta dei tradizionali dolci siciliani alla ricotta, Alcune pasticcerie
locali preparano li "cassateddi" il ''Pan di Spagna" la
"Palummedda" (colomba pasquale casereccia), la "Pignuccata"
e "L'armisanti" (le anime sante).
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Numerose le
testimonianze archeologíche nel territorio
Sorprendentemente
notevoli i resti archeologici, soprattutto pre-ellenici, che si riscontrano
nel territorio e sui quali è stato pubblicato un attento saggio
da parte del Nicoletti e del Lalomia. La posizione strategica di Pietraperzia
e di talune sue contrade (Rocche Tornabè, Arciera, etc.) dalle
qualì si controlla la più antica via di penetrazione verso
la Sicilia centrale: la Valle del Salso (fondamentali a tal proposito gli
studi dell'Orlandini), ha fatto sì che la zona fosse contesa ed
ambìta da tutte le popolazioni che si sono avvicendate in Sicilia
nel corso dei millenni. Questo fiume è sempre stato di confine:fra
Sicani e Siculi, fra Greci Calcidesi e Rodio-Cratesì, ha diviso la
Val di Mazara della Val di Noto, ha separato le baronie medievali e fino
al 1553 lo si poteva solo guardare (Ponte Capodarso); perfino in lunghi
periodi di stabilità politica (Impero Romano, Regno delle due Sicilie,
Repubblica) non ha perso la sua funzione di limite amministrativo. I ritrovamenti
ed i reperti parlano di frequentazione molto antiche e di stabili
aggregati umaní fin dal Neolitico. Oggetti e frammenti appartenenti
alle fascie culturali dì Stentinello, Serraferricchio e Castelluccio,
materiale greco
o di imitazione greca e cocci romani sono stati raccolti su buona parte
del territorio e meriterebbero una opportuna sistemazione in un antiquarium
locale. I siti degli abitanti antichi erano quasi tutti in collegamento
ottico fra di loro e potevano comunicarsi ogni movimento come pure controllarsi
a vicenda. Potremmo costruire sulla carta un reticolo con nodi in ogni
località archeologica e fili costituiti da assi ottici, che le
collegavano. Il
Castello di Pietraperzia è visibile da siti lontani come Sabucina,
Capodarso, Enna, Montagna di Marzo, Monte Navone, Castelvecchio, Mole
di Draffu, Gibil Gabib, Monte S. Giuliano, il Castello di Pietrarossa a
Caltanissetta. Singolare
il rapporto fra il Castello di Pietraperzia e quello di Pietrarossa: essi
sì fronteggiano da sempre simmetricamente sui due lati del Salso
così come Capodarso e Sabucina si fronteggiarono sulla gola più
stretta di tale fiume in tempi più remoti. Nell'insieme
si tratta di un territorio assai interessante, lo studio del quale è
di fondamentale importanza per la comprensione della storia più
antica della Sicilia centrale.
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Le
leggi dei Carafa
Il principe
di Pietraperzia Don Carlo Maria Carafa, figlio di Fabrizio principe di
Roccella sposò Donna Isabella d'Avalos, figlia dei marchese di
Vasto e Pescara, non ebbe figli. Il principe s'era dedicato allo studio
dell'astronomia e delle matematiche, della filosofia ecc. edera stato
investito del principato di Butera il 4 aprile 1676. Nei tumulti antispagnoli
di Messina del 1676, arruolò a sue spese un reggimento di 500 uomini
tra i suoi vassallí, lo pose sotto il comando di Don Giuseppe d'Aragona.
Fu capo del Parlamento Generale e di tutte le forze militati in Sicilia.
Per mettere ordine in tutti i suoi "stati", nel 1686 emanò
delle leggi, dette "Pandette o Costituzioni", alle quali tutti
i suoi sudditi dovevano sottostare. L'opuscolo indica "il modo retto
di come amministrare ai Capitani le sue città e terre del suo immenso
principato ". Abbiamo trovato interessante riportarne qualcuno che
ci offre uno scorcio della Sicilia del periodo della Controriforma e dell'Inquisizione.
All'articolo I rivolgendosi ai medici chirurghi è detto: Il medico
"che andrà a medicare l'infermo primariamente ricordarli,
che s'habbia da confessare: e passati tre giorni dopo la prima visita
se non
l'haveranno confessato, non l'habbiano più a visitare, ne ordinarci
medicamenti, sotto pena di non poter medicare per due mesi, oltre a pagare
onze 10 ad uno luogo pio e ligendo per noi" . "Le donne che
fanno
l'ufficio di reputatrici, non possono andare nelle case, dove si ritroverà
morta alcuna persona per fare detto ufficio, sotto pena di Onze 10 da
applicarsi al fisco quali debbano pagare gli habbitatori di quella casa,
dove sifanno dette cose". "Nelle case di defunti, dopo tre giorni
della morte, passando il Santissimo Sacramento, Processione, ò
facendò altra festa, non si facciano píanti con grida, sottopena
d'onze 10. Nessuna donna possa andare alle Chiese, e sepulture, per piangere
morti, sotto pena di onze 4, e non potendo questa pagare per causa di
povertà, chi controverrà sia fustigata. Qualsivoglia persona,
che si ritroverà à cavallo, e per strada, s'incontra con
la processione del Santissimo Sacramento, debba scavalcare, e con ogni
riverenza inginocchiarsi, sottopena d'onze 4. Li Maestri di schola siano
obbligati d'insegnare li loro scolari la Dottrina Cristiana, sotto pena
d'onze 4. Incorrono nella stessa pena li Padri, che manderanno li figli
alla schola senza farci imparare la Dottrina Cristiana. Nella Domenica,
e giorni di feste comandate nessuno bottegaro possa tenere la bottega
aperta ne vendere cosa alcuna, e non che le cose commestibili, o medicine,
e in tal caso possa tenere solamente aperta mezza porta, putiulu sotto
pena d'onze I. Li tavirnari non possono aprire le taverne prima che sia
celebrato la Messa Grande, sotto pena d'onze 4. Tutte quelle persone che
faranno santo il nome del demonio, bestemmiassero in qualsivoglia maniera,
incorrano nella pena, cioè le persone honorate a basso da stare
per un'hora col boccaglio, e dall'honorate sopra, carcerate per un mese
". Tratto
da "Guida ai monumenti ed ai luoghi storici di Pietraperzia "
di LGuarnaccia
- Sac. S. Viola
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Il
Castello Barresi
Le
origini del castello di Pietraperzia si fanno in genere risalire al periodo
della dominazione araba. In epoca normanna, però, come d'altronde
avvenne per molti altri luoghi forti dell'Isola, la torre diventò
una fortezza vera e propria intorno a cui si formò consistente
anche un primo nucleo del paese, quello del quartiere "Terruccia
". Castello e "terra" di Pietraperzia rimasero demaniali
anche'sotto i Normanni e gli Svevi, nonostante il fatto che uno storico
locale,frate Dionigi, vissuto nel XVIII secolo, sostenga che nel 1200
Federico II abbia concesso ad Abbo Barresi questa baronia per i suoi meriti.
Certo è che nella prima metà del XIII la fortezza subì
un'altra massiccia ristrutturazione ma fu solo nel primo periodo della
dominazione aragonese, intorno al 1280, ch'essa fu concessa a un rappresentante
della famiglia Barresi. Vito Amico sosteneva che l'origine del castello
era antichissima e che ad accrescerlo e a renderlo abitabile fu, nell'anno
1520, "Matteo Barresio, primo marchese del medesimo" (Dizionario
topografico della Sicilia, Palermo 1855, vol.II). Pare certo, comunque,
che a Giovanni Barresi sul finire del XIII secolo, re Giacomo d Aragona
abbia concesso il castello e che durante la "Guerradel Vespro"
la fortezza sia stata presidiata da un corpo di cavalleria angioina e
successivamente assediata e distrutta, per il rifiuto dei francesi ad
arrendersi, da Manfredi Chiaramonte inviato sul posto da Federico III.
Vennero abbattute, allora, la torre della parte occidentale e gran parte
delle altre mura. Quando, per oscure ragioni, il barone Giovanni Barresi
venne esiliato il castello e la "Terra" di Pietraperzia ritornarono
alla Corona. Nel 1320, però, i feudi andarono ancora una volta
a un Barresi, Abbo, che aveva sposato Ricca La Matina, dama della regina
Eleonora. In questo periodo il castello venne nuovamente ristrutturato
e, ingrandito, reso abitabile. Da Abbo i feudi passarono ai suoi discendenti
fino a una Dorotea che sposò Giovanni Branciforte il cui figlio
Fabrizio trasformò l'antica fortezza in quell'elegantissimo palazzo
fortificato che è giunto intatto fino agli inizi di questo secolo.
Nel Sei e Settecento il castello fu la principesca dimora dei signori
che nella zona si preoccuparono di incrementare l'agricoltura e popolare
le loro terre con vendite agevolate ad enfiteusi. Anche i Lanza di Trabia,
che succedetero ai Branciforte, ebbero cura delle buone condizioni del
castello che cominciò a rovinare solo verso la fine del secolo
scorso, quando crollarono un tetto e una parte del muro perimetrale di
settentrione. Il materiale con cui molte parti e decorazioni erano costruite,
la malta di gesso, era d'altronde molto vulnerabile, assenti ogni cura
e manutenzione, all'azione degli agenti atmosferici o del tempo, cosi
come scadente era pure la qualità di qualche rifacimento fatto
con una rozza tecnica costruttiva. Senza contare, naturalmente, l'opera
vandalica degli uomini che negli ultimi decenni hanno scavato dappertutto
rovinando strutture murarie, stucchi e affreschi. Nel 1941, poi, la grande
torre che sorgeva nei pressi dell'ingresso principale del castello venne
abbattuta e al suo posto fu costruito un grande serbatoio idrico. Tra
il 1985 e il 1986 si è finalmente intervenuti con lavori di restauro
che hanno consentito la scoperta di ambienti e mura prima nascosti permettendo
una più chiara lettura dell'edificìo e impedendo il crollo
di altri locali pericolanti.
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L'Habitat
medievale
Dell'abitato
medioevale di Pietraperzia sono rimaste notevoli testimonianze nelle mura
occidentali e sulla parte meridionale rivolta ad est del castello; di
tutto il resto, che si trovava dentro le mura o attorno al castello, non
è rimasta alcuna testimonianza. All'infuori del castello, mancano
tutti i segni di quella civiltà, come lo squallore delle case,
degli abitanti, della scarsezza delle comodità e delle bellezze
cittadine. "Nelle case abitavano isoli ministri del barone e le loro
famiglie, mentre il popolo riparava, come bestie, in miserabili tuguri.
La caratteristica dell'abitato "antico" si può riscontrare
ancora nei quartieri vecchi del paese, che sono il risultato di particolari
composizioni architettoniche realizzate dallo stesso marchese Don Matteo
Barrese verso i primi anni del 1500". Erano case unifamiliari che
sorgevano prevalentemente su lotti chiusi da tre lati con un unico prospetto
ed a piano terra. A volte erano riunite dentro un unico cortile (bagliu),
su cui si aprivano i vani delle abitazioni il cui accesso era dato da
una porta unica (arco), che ne permetteva meglio il controllo. L'abitazione
comprendeva due locali, posti al piano terra, uno per il soggiorno con
l'alcova e l'altro per le bestie, posto dietro. Fu verso la metà
dell '800 che la camera da letto e la cucina furono portate al primo pìano,
con la scala di collegamento esterna con "tucchiena" l'astrico,
addetto per caricare e scaricare le masserizie dalla soma delle bestie.
A questa regolarità di "costruzioni" si contrapponeva
la chiesa e qualche casa " borghese ", poste tutte su un asse
portante per le manífestazioni religiose, la "via dei santi".
Lungo quest'asse infatti sorgevano le case dei borghesi, le botteghe d'arte,
i negozi, le farmacie ecc... La
pianta più antica di Pietraperzia, che si conosca, è quella
affrescata nel Palazzo Butera di Palermo dal pittore Gioacchino Martorana,
verso la fine del 1798. Dato
l'andamento del terreno scosceso e l'allineamento delle case antiche,
nelle nuove costruzioni, si mantengono le stesse caratterìstiche.
Nel dopoguerra
l'edilizia è cresciuta in modo caotico e confuso senza un piano
regolatore generale (strumento di cui il comune solo adesso si sta dotando
pur così grande ritardo) provocando danni non indifferenti all'assetto
urbano.
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Il signore delle fasce
La
caratteristica manifestazione del Venerdì Santo
Il nome
di "Signore delle fasce" al Crocefisso di Pietraperzia vìene
dal modo in cui esso, la sera del Venerdì Santo, è portato
in processione dai fedeli. La scultura del Crìsto, infatti, é
posta su un'asta di cipresso alta otto metri e mezzo che viene tenuta
ritta da circa duecento fasce di tela di lino bianco, lunghe 32 metri
e larghe 40 centimetri, da una parte legate alla croce e dall'altra trattenute
ognuna da un devoto, in modo da potere mantenere il giusto equilibrio mentre
viene trasportata in giro per le strade del paese. Ed è talmente forte
la devozione per questa particolare tradizione di Pietraperzia che per quel giorno
nessuno usa per alcun motìvo martelli o chiodi, a ricordo dell'infausto
uso fattone per la crocifissione di Cristo. La processione del "Signuri
di li fasci", che viene accompagnata dall'antica confraternita "Maria
Santissima del
Soccorso", un'istituzione fondata dagli Agostiniani alla metà
del XIV secolo, da tre bande musicali, dall'urna con il Cristo morto e
dalla statua dell'Addolorata, è un unicuim in tutta la Sicilia.
Un tempo la
manifestazione era più ricca di cerimonie collaterali come quella
di attaccare su tutto il corpo del Cristo le "scocche" di raso
a forma di fiori, quasi ex voto con tanto di nome e cognome dei devotì
che si contavano particolarmente numero si fra i bambini abbandonati, raccolti
dalla "ruota" del Carmine e affidati alla protezione del Crocefisso.
Sempre nel pomeriggío
del Venerdì Santo si svolge il rito delle "Miseredde",
strisce di tela che i fedeli vanno a misurare nella chiesa del Carmine
sul corpo del Crocifisso, un gesto che simbolicamente sta per una pietosa
appropriazione delle sofferenze e del dolore del Cristo in un giorno di
tristezza.
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