Deng, deng, deng, deng......... non è facile più ascoltare questi suoni martellanti e sincopati sul ferro rovente, motivi rintracciabili nelle botteghe dei maniscalchi, o se volete dei fabbri ferrai, memorie che riecheggiano e richiamano barlumi di vita rurale di un tempo orami sbiadito e confuso. Artisti del ferro battuto che utilizzano la forgia, l’incudine ed il martello al pari di una penna per scrivere o un pennello per dipingere, un mezzo come un altro per esprimere e realizzare la propria creatività. Carlo Guttilla, estroverso maestro del ferro battuto, è uno degli ultimi fabbri ferrai “rimasti”, capace di plasmare questo metallo con la grazia e l’irruenza di un antico sapere. Artista, ma anche personaggio. La sua bianca e lunga capigliatura, tirata all’indietro mostra superbamente la sua fronte alta e squadrata e due enormi occhioni cerulei pieni di fascino e curiosità introspettiva. Il suo fare è semplice, quasi trascinato, sembrerebbe a volte anche passivo, ma allorquando deve creare diventa d’improvviso euforico e vulcanico. Guttilla è l’erede e prosecutore di questo sapere antico. La sua creatura nasce su di una pagina di quaderno; schizza l’opera da realizzare, poi la modella, l’abbellisce, si ferma, l’ allontana tenendola con la sua mano callosa, la ritocca nuovamente, sorride. Si! Si può fare! Così nascono le creatura artistiche di Guttilla. Nella sua fantasia artistica materializza un’idea celata da anni, la modella, la plasma, la dimensiona, gli da l’inclinazione, la curvatura, insomma quando incomincia a lavorare è un atto di materializzazione della sua creatura. Creatività e genialità a volte incompresa, così come lo è il suo modo di fare, che è anche tipico degli artisti, per questo Guttila è apprezzato e voluto bene. Gran parte della sua vita l’ha trascorsa da girovago. Da giovane, Lercara Friddi, paese suo di nascita “gli sta stretto”; con il suo carattere bizzarro e sognatore, ha bisogno di evadere ed allargare i suoi confini. Prima l’Austaralia, la terra dove pensa di trovare la sua giusta dimensione; trascorso qualche anno nel continente oceanico e deluso di non aver trovato quello che cercava, si trasferisce in Germania, terra e popolo definito da lui definito freddo e pertanto non consono alla sua creatività. Poi si trasferisce in Belgio, paese incline alla sua tempra solitaria e mistica, l’accoglie per circa sette anni, ma preso di nostalgia della sua Lercara Friddi ritorna a casa sua. Guttila dice: “di non essersi mai sentito emigrato, bensì un menestrello, che al posto della chitarra, si portava appreso l’arte del lavorazione del ferro”. Le condizioni economiche e sociali, nel frattempo non erano le stesse del tempo quando aveva lasciato l’isola. Subito dopo la guerra, specie con l’introduzione della saldatura autogena, la fiorente attività del ferro battuto subì un notevole calo, tanto che al giorno d’oggi, soltanto qualche sporadico artigiano, come il nostro Guttilla, dedica la sua opera alla lavorazione di questo metallo aiutandosi con la vecchia forgia ed il solito martello. Nel frattempo si era anche sposato, l’arte del fabbro ferraio Guttilla l’aveva imparato da suo padre, e questi, da un suo zio; arte appresa alla scuola del “picciotto”, passata ad osservare in rigoroso silenzio, mentre muoveva con il piede quel grottesco mantice che sputava aria che serviva a dare fuoco ed anima alla miracolosa forgia. Cinque, dieci minuti, ancora uno, ininterrottamente, fin quando il ferro non si arroventava.E poi deng, deng, deng, suono interminabile che Carlo sente continuamente nella sua testa, che per altri è rumore assordante, mentre per lui è dolce musica. Guttilla il tempo non l’ha visto passare. Racconta che spesso si rivede bambino con il viso imbrattato e pieno di sudore, sudicio nelle mani e nel corpo con i vestiti sporchi ed imbrattati di polvere di ferro. Quel ferro che si porta sempre appresso nella profondità dei polmoni, ferro che si è portato insieme ai suoi grandi occhi in giro per il mondo. Oggi, se gli chiede a che osa aspira, dice di ricercare la tranquillità attraverso il lavoro cercando di soddisfare i clienti sempre più spigolosi ed esigenti. Carlo Guttilla è questo! Sornione e bontempone con il sorriso sereno e pacato, che se allunga la sua mano immensa e callosa per salutarti è grande quando il suo cuore. Dalle sue mani sono nate numerose opere artistiche che adornano e ingentiliscono i più grandi edifici di Lercara e dei paesi vicini. I suoi due figli lavorano come lui il ferro, anche se propendono per il materiale zincato. Lui ripete che: ”questa è un arte che non si insegna, perché nasce da sola e si sviluppa come una malattia a poco a poco mentre che non te accorgi”. La scuola è l’officina, tra forgia e incudine; il metodo è battere rittimicamente un ferro incandescente con un martello che non da pace, arricciando il naso all’odore soffocante del metallo che frigge all’interno dell’acqua. Il nostro maestro dice che : “ La cultura del ferro, del lavoro fatto a mano, dove centrale è la figura dell'artigiano che lo crea, dovrebbe essere rivalutato specie, nei confronti di produzioni fatte con elementi assemblati, dove spesso motivazioni economiche obbligano ad appiattirsi su forme ripetitive”. In fondo è così. Il ferro, spesso, è percepito come freddo ed inanimato, invece può attrarre ed affascinare per la sua arrendevolezza, in quel momento incandescente nel quale diventa portatore di nuove forme che racchiudono ingegno, fatica, passione fatte a colpi di martello: .....deng, deng, deng, deng. Il territorio è ricco di queste opere d’arti, fatti da artisti sconosciuti, quasi musei a cielo aperto, lavori che sono riscontrabili, in modo particolare, nei vecchi quartieri di città o di paese. Il lavoro dei fabbri ferrai simboleggia la lotta millenaria per la sopravvivenza, la testimonianza di tradizioni locali e di cultura popolare. A Lercara questo artigiano continua ad eseguire lavori in ferro battuto secondo antiche tradizioni. Egli, pur munito dei mezzi che la tecnica gli offre, lavora il ferro alla vecchia maniera riuscendo a realizzare interessanti opere che sono il vanto di tutta una categoria sia per la ricchezza di fantasia e sia per la eccezionale capacità espressa. Con la forgia e con qualche altro semplice attrezzo Guttilla riesce a produrre oggetti diversi da quelli abituali, come ringhiere, decorazioni, cancellate, simboli religiosi, ecc. considerati dei veri pezzi artistici. Un lavoro duro e faticoso, tanto è vero che i giovani di oggi non scelgono questa attività per dedicarsi invece a lavori meno pesanti, meno sporchi. Il giovane che continua la tradizione del "ferraio ", o chi resiste lo fa soltanto perché è spinto da motivazioni molto profonde e soprattutto dalla soddisfazione che trova di fronte ad opere forgiate con le proprie mani e uscite dalla propria creatività. Bastano pochi colpi precisi di martello e la massa rovente prende forma di vanga, di inferriata, di fiore, di foglia, ecc. Guttilla ride, abbassa gli occhi, ti saluta. L’ultima sua creatura è una porta di un negozio di tappeti persiani, lui sorridendo ti indica il disegno che raffigura tre cupolette di cui, due esterne più piccole fisse, e la parte interna più rande mobile, ricamati da fiori e foglie e dice orgoglioso: “dobbiamo far immaginare che il cliente stia entrando in un bazar orientale”. Carlo, auguri e buon lavoro!
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