Il territorio rurale siciliano fino al 1950 riusciva a soddisfare quasi l'intera gamma dei suoi bisogni materiali e immateriali attraverso l'opera di agricoltori, pescatori, artigiani, artisti, etc. Tutti, o quasi tutti, gli abitanti contribuivano con i loro mille saperi e saper fare in continua evoluzione alla produzione di tutta la ricchezza materiale e culturale necessaria alla vita dei cittadini.

Si lavorava dall'alba al tramonto, bambini compresi e un'alta percentuale di popolazione restava con una scolarizzazione bassissima e sovente anche analfabeta. In compenso uomini, donne, vecchi e bambini producevano ricchezza.

Tutti apprendevano un'arte e avevano la possibilità di affinarla. Tutti, in un modo o nell'altro, producevano beni e avevano la possibilità di accrescere i saperi e i saper fare della collettività locale. Anche le donne, nonostante fossero relegate al ruolo di casalinghe, non si limitavano ad accudire alla prole e alla casa, ma producevano il pane e la pasta, essiccavano e conservavano varie verdure, producevano marmellate per l'annata, curavano la frutta secca e realizzavano gli indumenti per tutta la famiglia, nonché il corredo e i ricami per le figlie da sposare.

Di fatto esse erano assi portanti dell'economica familiare, anche se il loro lavoro e il loro ruolo non veniva misurato in termini economici. Tutte le attrezzature e i mezzi tecnici necessari agli agricoltori e ai pescatori si producevano all'interno di un paese o di un territorio abbastanza circoscritto. 1 muli, gli asini e i cavalli erano i protagonisti dall'aratura dei terreni, dei trasporti, della trebbiatura e venivano allevati in loco. Essi mangiavano erba, paglia, fieno, orzo, avena, fave, crusca e carrube che si producevano in loco.

Aratri, carretti, selle, finimenti venivano prodotti da fabbri, carrozzieri, sellai sul posto così come le falci, i coltelli, le roncole e le forbici da pota, cesti e cestoni, bisacce, corde, cime, etc. Anche i vestiti, compresi quelli per le feste e le cerimonie, venivano prodotti nel paese dalle sarte e dai sarti e le scarpe, da lavoro e per la festa, dai calzolai.

Il mobilio e gli infissi in legno per tutte le case erano creati dai falegnami e i serramenti dai fabbri. In loco si producevano anche le botti, i grandi tinelli per spremere l'uva e gli stringitoi. Tutti gli oggetti di uso casalingo (pentole di metallo o di creta stagnata, nonché "bummuli" e "quartare'' per l'acqua) venivano realizzati sul posto dove si trovavano anche gli ombrellai e cento altri mestieri.

E cosi, ad esempio, ancora, i mulini ad acqua provvedevano alla molitura del grano, i frantoi alla molitura e alla spremitura delle olive, e le giare alla conservazione dell'olio. Le barche, le reti, le ancore, le nasse e tutte le altre attrezzature necessarie per la pesca erano prodotte in loco. E si conservavano tonni, sgombri. sarde. acciughe. Il cibo che si consumava era prodotto sul posto al 100%.

Vi era un sistema integrato delle attività. Gli uni avevano bisogno degli altri e tutti avevano una padronanza grandissima del loro territorio, delle sue risorse e delle sue possibilità e vi era stima e attenzione reciproca degli uni verso gli altri. La spesa che la gente faceva per i beni di consumo e strumentali alimentava l'economia locale, creava lavoro, stimolava iniziativa, intelligenza e competenza e A territorio veniva vissuto come bacino di risorse.

Nei paesi, sia pure in mezzo a tante ristrettezze e difficoltà, c'erano cento occasioni di feste collettive (fidanzamenti, matrimoni, battesimi, cresime, etc.) in cui si suonava, si cantava e si ballava. C'erano artisti del violino, della fisarmonica o del flauto e la banda musicale in ogni paese. E poeti.

E i vecchi raccontavano ai bambini e al giovani storie e leggende. In ogni paese poi c'erano anche artigiani e artigiane del legno, del ferro, della ceramica, della pietra e del ricamo che producevano pezzi di valore artistico. Su ogni fronte in rapporto a ogni mestiere vi era chi ricercava e inventava nuove soluzioni a vecchi e nuovi problemi. Insomma nelle nostre collettività locali vivevano anche cultura e ricerca.

Tutta questa vitalità produttiva e culturale è stata in poco tempo (dal primi anni '50 alla metà degli anni '60) irrimediabilmente incrinata dall'unificazione del mercato nazionale e dall'arrivo dei prodotti della media e grande industria del Centro-Nord, dove imprenditori, artigiani, agricoltori, operai che avevano avuto un ruolo attivo nella lotta antifascista, erano divenuti, con la fine della guerra, protagonisti di nuove cooperative, nuove aziende, nuova organizzazione sociale, nuove attività industriali.

In Sicilia, dove non vi è stato un vero movimento antifascista (se non da parte dei mafiosi che erano più paralizzanti del fascismo stesso), non c'è stato un movimento partigiano, non c'è stata, con la fine della guerra uno sviluppo e una rigenerazione dei saper fare della popolazione in direzione di moderna industria, moderna organizzazione produttiva, di moderno rapporto col mercato.

L'unico movimento popolare del dopoguerra è stato quello contadino contro il vecchio sistema feudale e mafioso. In questa lotta è finito il feudo classico, ma non sono nate moderne aziende agricole. In questo nuovo contesto la Sicilia e ogni nostro paese si trovarono di fronte a una invasione massiccia di beni strumentali e di consumo provenienti dal Centro-Nord: ogni trattore era in grado di fare a minor costo il lavoro dì 20-25 braccianti agricoli che così sono stati estromessi dalla terra e dal territorio insieme ai muli, ai fabbri, ai carrozzieri e ai sellai.

Nello stesso periodo, con lo zolfo americano, arrivava anche la crisi del sistema minerario siciliano. Così i braccianti e i lavoratori delle miniere emigravano, con enormi sofferenze sociali e familiari. A prezzi più convenienti rispetto ai prodotti artigianali locali arrivavano scarpe, indumenti, vestiti, mobili, suppellettili, batterie da cucina. Insomma, per farla breve sono rimasti senza lavoro anche ì calzolai, i sarti, i falegnami, gli ombrellai, gli stagnini e tutti gli altri. Così i saperi e i saper fare della Sicilia e di ogni suo paese si sono bloccati e quasi atrofizzati.

A centinaia di migliaia i portatori di questi saperi e saper fare, anziché moderni imprenditori, sono divenuti operai industriali nel Nord Italia, nel Centro-Nord Europa, in America e in Australia. E nessuno li ha rimpiazzati in loco.

 

I giovani laureati, non trovando sul posto un terreno stimolante per fare ricerca, innovazione, impresa, sono partiti, anche loro, in direzione delle aree ricche di moderna vitalità. L'unica possibilità di trovare lavoro in loco è divenuto il pubblico impiego, considerato ambito sicuro per avere uno stipendio.

Il pubblico impiego è stato utilizzato dal politici per costruire e mantenere clientele. Regione, Province, Comuni e Scuola hanno assorbito la più grande fetta di forze laureate. Tutte queste forze, in un contesto di bassissima vitalità economica, produttiva ed aziendale, hanno avuto come ragione del loro impiego lo stipendio e non la produzione di efficaci risposte ai bisogni della società civile e ciò anche a causa di un potere politico completamente intriso di assistenzialismo clientelare.

Nella stragrande maggioranza dei casi sia la Pubblica Amministrazione che il sistema scolastico sono divenuti realtà autoreferenti. La stessa Università siciliana, salvo poche eccezioni, è entrata in questa logica fungendo da modello di intelligenza separata dalla vita e dal problemi del territorio e della società locale.

Nel periodo 1950-1970 a centinaia di migliaia braccianti, mezzadri, assegnatari della riforma agraria, minatori, piccoli artigiani, pur conoscendo notevolmente il loro territorio, se lo sono vissuto, insieme con le loro famiglie, come fonte di angustie e di sofferenza. Queste generazioni, compresa la numerosa schiera di pubblici dipendenti, non hanno concepito, e ancora oggi concepiscono con fatica, il loro territorio come bacino di risorse su cui innervare il destino dei propri figli e dei propri nipoti.

Diploma e laurea non hanno avuto l'obiettivo di creare conoscenze, competenze, vocazioni e progettualità delle generazioni più giovani da applicare alle risorse e alle potenzialità locali, ma, al contrario, quello di separare le giovani generazioni dal territorio. E l'obiettivo è stato, purtroppo, raggiunto con il contributo dell'intero sistema educativo e universitario; infatti, se si chiede a un giovane o ad una ragazza che esce dalla scuola superiore: "Che c'è di interessante e cosa c'è da fare nel tuo territorio?, facilmente ci si sente rispondere: "Non c'è niente, non c'è niente da fare".

Nessuno ha insegnato loro a viversi il territorio come un bacino di risorse e di opportunità cui applicare vocazioni, talenti, competenze di ogni genere. Di conseguenza, generazioni di siciliani sono cresciute con un progetto di vita orientato all' impiego pubblico, alla città o all'emigrazione. Conseguentemente 5.000.000 di siciliani spendono circa 40 miliardi di euro l'anno per acquisto di beni di consumo e strumentali, di cui 34 vanno per prodotti provenienti dal Centro-Nord Italia e da altre aree forti europee, americane, giapponesi e cinesi. Solo 6 miliardi di euro vanno ad alimentare l'economia siciliana.

Va subito chiarito che i 34 miliardi di beni importati non sono compensati con altrettante produzioni esportate che, invece, ammontano a poco più di 5 miliardi. Vi è, quindi, un passivo di bilancia commerciale di ben 29 miliardi di euro l'anno. In verità la Sicilia oggi realizza un volume di prodotto lordo vendibile che raggiunge appena il 50% della dimensione dei suoi consumi e vive per circa il 50% di rimesse pubbliche (impiego pubblico, pensioni, assistenza, etc.) .

Il modello che hanno agricoltori, artigiani, operai per il futuro dei loro figli è ancora l'impiego pubblico. Tutti aspirano a tenere lontano i figli da attività agricole, artigiane e industriali. Quasi nessuno pensa al propri figli come attori di ricerca, di progettualità, di iniziativa imprenditiva in relazione all'uva e ai vini, all'olio e alle olive, agli agrumi, agli ortaggi, alla frutta, al pesce e a tutti i frutti del mare con tutti i loro potenziali indotti. I giovani, così, crescono senza padronanza di tutto il ben di Dio della loro terra e del loro mare e senza considerare risorsa il patrimonio storico-culturale e naturale in mezzo a cui crescono.

Cosi buona parte degli agrumi vanno al macero o divengono succhi e marmellate confezionate al Nord e all'estero e buona parte del vino e dell'olio se ne va a rafforzare le identità e a qualificare i vini e gli ohi di altri territori e di altri Paesi, il patrimonio storico archeologico culturale è ignorato dal popolo che, quindi, lo propone al turista solo in misura minima unitamente al cibi e al prodotti tipici di Sicilia.

 

Nell'ultimo decennio, però, la Sicilia sta vivendo una importante stagione di risveglio, grazie ai programmi comunitari regionali POP (Programma operativo plurifondo) e POR e, soprattutto, grazie ad una serie di strumenti di Sviluppo locale comunitari e nazionali come i Piani di Azione Locale Leader 1, Leader Il e Leader +, i Patti territoriali, i Patti agricoli, i Patti per l'occupazione, i Progetti integrati territoriali e gli Accordi di Programma.

Attraverso questi nuovi strumenti migliaia di amministratori locali, di responsabili delle associazioni artigiane, agricole, industriali, ambientaliste, culturali, nonché nuovi professionisti (ingegneri, architetti, agronomi, sociologi, economisti, etc.), funzionari della pubblica amministrazione e nuove figure professionali come gli Agenti di Sviluppo locale, sono divenuti protagonisti di diagnosi territoriali, di elaborazione di programmi e progetti di Sviluppo locale, di gestione politica e tecnica di programmi e progetti, di partenariati di Sviluppo.

A tutto ciò va aggiunto che l'Amministrazione regionale ha visto una straordinaria rigenerazione di molti dei suoi uffici in cui centinaia di funzionari si sono cimentati con lo studio dei programmi comunitari, con la elaborazione e la gestione di programmi regionali, spesso assai complessi e impegnativi e tutto ciò anche dialogando con gli attori dei territori rurali.

Il territorio rurale siciliano in quest'ultimo decennio è stato attraversato da circa 50 progetti di Sviluppo locale che hanno avuto una conclusione e da altrettanti che sono ancora in vita. Si tratta di progetti che hanno un inizio e una conclusione e non di processi/sistemi permanenti di Sviluppo locale integrato e sostenibile.

Ogni famiglia di progetti è diversa da ogni altra famiglia di progetti in relazione a concezione dello Sviluppo locale, impianto tecnico-metodologico, dimensione demografica, dimensione finanziaria, perimetrazione territoriale, tipologie di soggetti di gestione, etc.

Ogni singolo progetto, settoriale (Patto agricolo, Prusst, Accordo di programma) o generalista (Leader, Patto territoriale, Progetto integrato territoriale), ha definito un proprio perimetro territoriale che spesso comprende, attraversa o è compreso nel perimetro territoriale di un progetto di altra famiglia.

Ogni progetto si è dato un soggetto di gestione che, spesso, ignora gli altri soggetti di Sviluppo locale che operano nel proprio territorio. Avviene anche che un soggetto di Sviluppo locale gestisca progetti di Sviluppo locale di 2-3 diverse famiglie con diversi perimetri territoriali. Avviene anche che alcuni territori siano attraversati da progetti di tutte le famiglie e altri territori non siano toccati da nessun progetto.

Infine, avviene che non c'è incontro tra i progetti di una stessa famiglia e tra le diverse famiglie di progetti. Tutto ciò comporta una notevole varietà di motivazioni, linguaggi approcci dei progetti, che potrebbero costituire ricchezza se vì fosse una messa a sistema che consentisse dì:

a. evitare discontinuità ed esclusioni territoriale; b. realizzare il massimo incontro e scambio tra diverse esperienze, diversi territori, diversi soggetti; c. dar vita a sinergie, economie di scala, scambio e trasferimento di know how tra territori; d. innescare in ogni zona processi permanenti di Sviluppo sostenuto almeno in parte dal concorso finanziario pubblico e privato dello stesso territorio e nel quale si riesca ad avere continuità tra i vari progetti che attraversano il territorio nel tempo e nello spazio; e. condividere un comune glossario a proposito di Sviluppo locale, Sviluppo integrato, Sviluppo sostenibile, coesione sociale, coesione economica, coesione culturale. La presente proposta vuole provare ad avviare la messa a sistema dello Sviluppo del territorio rurale.

 

Il mondo è entrato nel ventunesimo secolo carico di grandi squilibri tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri, tra uomini e donne, tra gli esseri umani e la natura. La Sicilia, al centro del Mediterraneo, è uno dei tanti centri di detti squilibri, come abbiamo visto nel precedente capitolo. Tali squilibri si manifestano, soprattutto, attraverso:

a) la paralisi economica, sociale, scientifica e culturale della stragrande maggioranza dei territori del pianeta con relative risorse e Potenzialità; b) la disoccupazione, l'emigrazione, il razzismo; c) le guerre economiche, etniche, religiose; d) la tossicodipendenza, la prostituzione, la piccola e grande delinquenza, lo sfruttamento minorile; e) la desertificazione, l'inquinamento di acque continentali e marine, dell'aria e della terra,

Molti dei nostri imprenditori, politici, religiosi, scienziati, filosofi, formatori, sindacalisti, etc. si assuefanno alla loro ineluttabilità e si riducono ad accettarli come il prezzo che l'intera umanità e l'intero pianeta devono pagare al "progresso"!

Lo stesso sentimento d'impotenza domina sterminate quantità di semplici cittadini e, soprattutto, di persone emarginate ed escluse delle città e delle campagne. Questo sentimento di impotenza alimenta violenza e rassegnazione, due grandi piaghe della società umana. L'attuale funzionamento del mondo è dominato da pochi grandi centri di potere che, anche senza volerlo, escludono la stragrande maggioranza dell'umanità dal governo dei sistemi locali e, quindi, dal governo del sistema globale. Di conseguenza la straordinaria capacità della nostra specie di comprendere, intraprendere e creare non è canalizzata a beneficio di tutti gli esseri umani. L'umanità con l'attuale meccanismo di mercato globale sembra essere incappata in un tunnel senza fine. Uomini e istituzioni di buona volontà, nonostante la loro batteria di strumenti economici, tecnici e normativi, sembrano condannati al lavoro di Sisifo. Come uscirne?

Proponiamo di concorrere alla costruzione di risposte ai seguenti interrogativi:

a. Che fare per impedire che il mercato globale continui a destrutturare selvaggiamente le società locali cancellando o riducendo all'impotenza i loro "saperi" e i loro "saper fare"? In che modo bandire gli atteggiamenti predatori del mercato che riducono le cose al loro bruto valore monetario e gli esseri umani a semplici strumenti, a stomaci e braccia? b. Come accrescere la sensibilità e la cura per il prossimo e per l'ambiente? c. Le società più ricche accrescono il proprio benessere creando tecnologie che distruggono l'occupazione e l'ambiente. Come creare maggiore ricchezza senza creare ulteriore disoccupazione e più inquinamento? d. Come possono le società più povere uscire dalla loro condizione di inferiorità senza prendere a modello le società più ricche con il loro corteo di danni all'ambiente, di disoccupazione e di emigrazione?

Ecco alcune possibili risposte.

a. I processi globali per essere buoni devono essere prodotti e governati con il contributo di tutte le collettività locali. Nessuna collettività locale zonale, regionale o nazionale deve essere esclusa ed emarginata.

b. Le collettività locali devono partecipare al processo globale con le loro forze economiche, spirituali, scientifiche, politiche, sociali e culturali. c. Si può vincere la condizione d'impotenza condividendo a livello locale un comune disegno progettuale, stabilendo insieme un rapporto fecondo con il proprio territorio vissuto come bacino di risorse nel quale tutti i cittadini, dai bambini agli anziani, nativi e immigrati, costruiscano e realizzino il proprio progetto esistenziale. Essi devono potere interagire con tutte le possibili altre collettività locali vicine e lontane.

d. Quando la collettività di un territorio mette in produzione le risorse, le potenzialità e le identità locali aggiunge ricchezza autentica materiale, scientifica e culturale al patrimonio e al benessere dell'umanità. La collettività locale, in questo modo, sarà in grado, non solo di offrire la propria autentica ricchezza, ma anche di profittare efficacemente della ricchezza prodotta dalle altre collettività locali.

e. A tutte le collettività locali devono essere forniti mezzi e opportunità per padroneggiare il proprio contesto attraverso attività di ricerca scientifica e tecnologica, iniziative progettuali, attività produttive, produzioni identitarie. f. E' interesse di tutta l'umanità garantire alle collettività locali la loro feconda e stimolante presenza nel "globale" con i loro prodotti, i loro "saperi", i loro "saper fare" e i loro bisogni.

g. Le tecnologie della comunicazione e i "media" devono essere sempre più destinati alla circolazione delle identità, dei "saper? e dei "saper fare" locali. Ogni collettività locale deve poter comunicare con ogni altra collettività locale del pianeta.

Siamo consapevoli che lo sviluppo locale non può essere l'unica ed esaustiva risposta alle sfide del XXI secolo. Pensiamo, però, che senza lo sviluppo locale integrato e sostenibile non è possibile intervenire con efficacia durevole sui uran di squilibri del pianeta.

La partecipazione intelligente di tutti i cittadini, zona per zona, alla produzione di ricchezza materiale e immateriale è una delle condizioni imprescindibili per liberare il pianeta dai grandi squilibri Nord-Sud, ricchi poveri, uomini e donne, esseri umani e natura. Infatti:

l. la qualità dello sviluppo globale dipende innanzitutto dalla partecipazione attiva dei cittadini al governo del proprio territorio; 2. i comprensori locali sono gli unici luoghi dove è praticabile la partecipazione attiva e consapevole di tutti i cittadini; 3. è al livello locale che si può e si deve concretizzare la partecipazione di disoccupati, disabili, immigrati, tossicodipendenti, ecc. alla produzione dì ricchezza materiale, tecnica, tecnologica, scientifica, culturale;

4. è la popolazione locale che può e deve viversi il suo territorio come un bacino di risorse identitarie da salvaguardare, potenziare, valorizzare e offrire a se stessa e ai concittadini dell'Europa e del mondo; 5. è nel Locale che si può realizzare lo Sviluppo sostenibile; 6. la ricchezza e la vitalità culturale, scientifica, economica e sociale può venire innanzitutto e soprattutto da tutti i territori locali;

7. mettere al centro lo sviluppo locale eviterà che la globalizzazione continui ad accrescere le differenze tra centri e periferie e Permetterà ad ogni territorio di divenire un centro con tutte le sue funzioni intelligenti, in un sistema regionale, nazionale, europeo e planetario policentrico che valorizzi la diversità delle culture e dei saper fare dei popoli;

8. lo sviluppo locale è il solo progetto di società da costruire e governare collettivamente.

La Sicilia, con questa filosofia dello sviluppo locale, potrà, tra l'altro, fare fronte alle grandi sfide cui si trova confrontata la sua società civile e istituzionale:   - superare lo stato di fragilità e disgregazione della sua imprenditoria; - intensificare l'iniziativa e la progettualità imprenditiva; - sconfiggere l'alto livello di disoccupazione, superando la fortissima presenza di lavoro illegale e di economia sommersa;

- portare l'efficienza e la produttività dell'apparato istituzionale a livello dei suoi altissimi costi (la Regione Siciliana ha un costo medio per abitante 10 volte superiore al costo medio europeo); - accrescere e rendere fecondo il rapporto tra i vari dipartimenti delle Università e il territorio inteso come bacino di problemi e di risorse su cui innervare ricerca e progettualità delle nuove generazioni di laureati;

rendere sistematico il rapporto scuola e territorio inteso come risorsa didattica su cui i ragazzi possano applicare non solo tutte le discipline scolastiche, ma anche i loro talenti, pensando e progettando il loro futuro; espellere definitivamente dal territorio e dal corpo della società siciliana i veleni sociali, politici, economici e culturali della mafia; far divenire dominante nel mondo l'immagine di una Sicilia al centro del Mediterraneo, non solo carica di storia e patrimonio culturale, ma attiva produttrice di ricchezza materiale, scientifica e culturale che concorra efficacemente allo Sviluppo italiano, mediterraneo ed europeo.