I ritmi di vita odierni sono completamente diversi rispetto a quelli della civiltà contadina quando alzarsi all’alba era un’abitudine e sicuramente anche un piacere poiché si assisteva regolarmente ad un evento naturale di così grande bellezza: l’inizio di un nuovo giorno. Era anche l’inizio di una dura giornata di lavoro. Nelle semplici case dei contadini c’era il tempo di fare una buona colazione con la ricotta appena pronta, calda con siero, insieme a qualche oliva, il buon pane di casa e un bicchiere di vino prima di andare a lavorare per i campi. La preparazione del formaggio e della ricotta non era sempre e solo una semplice operazione da diletto. Si trattava della soluzione più antica escogitata dall’uomo per provvedere alla conservazione del latte. Infatti, quando questo era in abbondanza, come nel caso dei pastori con greggi numerosi, nasceva l’esigenza di utilizzo interamente, trasformandolo per poi rivenderlo. La prima operazione era quella di andare nella stalla a mungere il latte dentro dei grandi sacchi. In genere le antiche masserie avevano una zona detta “casa ri mannara”, lungo , cioè, in cui si lavoravano i prodotti ottenuti dal gregge. Spesso questa parte di casa coincideva con la cucina e vi si svolgevano quindi, diverse attività casalinghe. Per questo lungo le pareti erano disposti arnesi e utensili indispensabili ed era munita di forno a pietra e fornelli in muratura. Il latte appena munto veniva filtrato, per eliminare eventuali scorie, attraverso “u culaturi”, un colino in alluminio, dalla forma simile ad un imbuto, munito di una fitta rete all’estremità inferiore. Veniva, quindi, immesso in un grande contenitore, a “tina” all’interno del quale si aggiungeva il caglio naturale, e portato sul fuoco. Il caglio, detto anche presame, oggi si compra in farmacia o nei caseifici e si presenta in polvere o liquido. Quello naturale preparato direttamente dai contadini e dai pastori, veniva ricavato dallo stomaco dei vitellini e degli agnellini da latte, precisamente dall’abomaso, il quarto stomaco dei ruminanti. In questa parte dell’apparato digerente è infatti contenuto un enzima coagulante: la chimasi. Veniva essiccato all’aria e conservato sotto sale, quindi triturato. All’interno della “tina”, ad una temperatura di circa 40°C. si otteneva, per effetto della coagulazione della caseina contenuta nel latte, la cagliata, una grande massa che vaniva spezzata rimescolandolo con un arnese detto “ruotula” dal lungo manico e con l’estremità di forma semisferica. La tuma era già pronta e a questo punto, veniva disposta all’interno di contenitori rotondi di steli di giunco intrecciati, di diverse dimensioni: le “vascedde”. Queste ultime, ricolme di tuma fresca, venivano spesso messe a scolare all’interno di un recipiente di legno di forma rettangolare, a “mastredda”, molto simile ad una madia, che nel Ragusano si usava soprattutto per la preparazione del cacciocavallo. Una estremità aveva forma triangolare e vi era un foro sotto cui veniva sistemato un secchio per raccogliere il liquido gocciolante dalle “vascedde”. Ma per assaggiare la ricotta, si doveva ancora attendere; infatti, come dice lo stesso nome, ricotta, si ottiene da una doppia cottura. Bisognava, ancora, raccogliere “a llacciata” cioè il liquido rimasto dalla preparazione del formaggio, all’interno di una caldaia di rame stagnato, detto “cavaruni”, e rimetterlo sul fuoco. Bisognava inoltre aggiungere del siero inacidito (agra) e rimescolare con un bastone detto “mina” formato da una canna sottile alla cui estremità erano infilate foglie di cerfuglione o palma nana. La ricotta è costituita dall’albumina del latte che, non essendo coagulata dal caglio, resta nel siero e, dopo la separazione della cagliata, viene separata e coagulata con il calore. Per la preparazione si usa preferibilmente il latte di pecora perché è più ricco di albumina e dà un buon sapore alla ricotta. Quando la temperatura ha raggiunto circa 72°C, si comincia a formare sul bordo del pentolone, una schiuma superficiale che veniva tolta con un mestolo forellato “a scumalora”. Affiora quiandi, finalmente, la ricotta. A questo punto il contadino sceglieva fra gli utensili pendenti delle pareti, l’ultimo arnese indispensabile: la “cazza”. Di forma quasi rettangolare, eseguita in rame o in alluminio e munita di forellini alla base, serviva a raccogliere la ricotta dal pentolone lasciando scolare il liquido residuo destinato agli animali come alimento. La ricotta veniva riposta nelle caratteristiche “cavagne” di canne intagliate (le fiscelle) a forma conica e coperte con una foglia. Così venivano vendute o utilizzate in famiglia a seconda della quantità preparata. Semplici ma precise e attente operazioni svolte con oggetti naturali, pensati e ottenuti direttamente con le proprie mani, col proprio lavoro.