Il Decreto legislativo n. 228 del 2001, meglio noto come “Decreto di orientamento e modernizzazione in agricoltura” istituzionalizza i “Distretti rurali”, cioè i "sistemi produttivi locali caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea derivante dall'integrazione fra attività agricole ed altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali".
Più specificatamente, un Distretto rurale è un sistema produttivo locale costituito da imprese agricole e non agricole in grado di interagire tra loro attuando una politica distrettuale di diversificazione produttiva, di integrazione economica, sociale e di coesione nel rispetto della conservazione e riproduzione degli equilibri naturali ed in grado di promuovere una qualità totale territoriale, con una forte vivibilità per i residenti, promovendosi a polo d’attrazione per altre imprese ed individui.
Il Distretto valorizza e rafforza l’identità del territorio, ma anche lo specializza, in quanto affina le intelligenze locali verso sperimentazioni ed applicazioni che concorrono ad ingigantire lo stesso Distretto ed a creare strategie ed obiettivi comuni.
Pur tuttavia, entrando nella logica dello sviluppo rurale, al fine di definire un Distretto rurale bisogna ricorrere a due concetti di base, cioè la “territorialità” dell’azienda agricola e la “distrettualità” dell’impresa agraria che ci fanno recuperare in chiave moderna il termine medievale di distretto rurale (Iacoponi).
Per Michael Porter, guru harvardiano del management, un cluster (raggruppanaento) di successo è composto da quattro fattori tra loro interrelati:
a) un gruppo di aziende che operano in un settore;
b) una domanda interna;
e) aziende tra loro collegate (fornitori, distributori e partners;
d) una serie di fattori esogeni che incidono su qualità e quantità delle produzioni come capitali, risorse naturali, infrastrutture, centri di ricerca, università, amministrazioni pubbliche efficienti, gruppo di aziende che operano nel settore che caratterizza il sistema locale. Possiamo aggiungere anche una forte azione promo-pubblicitaria a favore dei prodotti con intervento pubblico, una eventuale presenza di marchi di qualità (attestazione di specificità, denominazione d'origine protetta e indicazione geografica protetta); condizioni favorevoli per intraprendere attività economiche di altri settori (agriturismo, turismo rurale, artigianato, commercio, etc.); attività di trasformazione dei prodotti agricoli di base che caratterizza nella zona un'attività agroindustriale, di fatto già esistente o in embrione, è un complemento che facilita l'affermazione di un potenziale distretto rurale.
Solo dalla miscela di questi diversi fattori si può ottenere un territorio-prodotto in grado di attirare investimenti e quindi proponibile ai mercati interni. “I Distretti Industriali si configurano anche come strumenti di Sviluppo Rurale, sebbene indiretti, in quanto la presenza nel territorio di un processo di sviluppo già in atto, caratterizzato da piccole e medie imprese d’origine locale, non esclude la ruralità del territorio interessato e inoltre perché possono far parte degli stessi Distretti Industriali individui ed anche Comuni limitrofi il cui sviluppo non sia ancora decollato in eguale misura”.
La prima esperienza di distretto rurale nell'intera Ue è quella realizzata in Toscana, in provincia di Grosseto, col nome "Progetto Maremma". L'Amministrazione Provinciale di Grosseto aveva predisposto delle linee programmatiche, nel comparto agricolo allargato, definite "SISTEMA DI QUALITA' MAREMMA". Questo sistema rappresenta il quadro di riferimento entro il quale collocare le azioni, gli interventi ed i progetti (pubblici e privati).
L’evoluzione della politica di sviluppo rurale dell' Ue è tale da incoraggiare siffatti progetti, la cui realizzazione consentirebbe uno sviluppo dei territori rurali, la conservazione del paesaggio e la tutela dell'ambiente, la specializzazione nella produzione di alcuni beni e/o servizi, la valorizzazione delle risorse in loco, nonchè la multidisciplinarietà e la intersettorialità, il coinvolgimento degli enti locali e delle parti sociali presenti e la realizzazione di una programmazione di bottom up.

Come identificare un Distretto rurale o agroalimentare

Il Decreto legislativo n. 228 del 2001 demanda alle Regioni il compito di individuare i Distretti rurali, così come i Distretti agroalimentari di qualità.
L’istituzione dei Distretti rurali ed agroalimentare non possono essere imposti “dall’alto”, ma attraverso una seria concertazione ed uno studio accurato.
A tal riguardo, la Regione Toscana, ha previsto tale istituzione attraverso quattro passaggi, che possono essere facilmente condivisibili:
1. istituzione del comitato distrettuale, fortemente rappresentativo del territorio e che comprenda obbligatoriamente i comuni interessati;
2. relazione dettagliata del Distretto nella quale vengano esposti e motivati le ragioni del riconoscimento, includendo la perimetrazione, la strategia di sviluppo prescelto;
3. accordi di programma (Enti vari, Sindacati di categoria, parchi, ecc).
4. alla Regione spetterebbe il compito di analizzare attraverso un comitato tecnico-scientifico, appositamente istituito, i presupposti tecnici, sociali e culturali della scelta del Distretto.

Riflessioni sugli strumenti di programmazione

Il Distretto rurale o Agroalimentare non può essere concepito come uno strumento da applicare sull’intero territorio siciliano, ma una come una nuova opportunità di programmazione per aree fortemente specializzate. Niente vieta che nell’ambito territoriale si possano avere dei Distretti di natura diversa: Rurale, Agroalimentare, Balneare, Industriale, ecc.
L’obiettivo è quello di arrivare ad una programmazione che trova in ogni ambito regionale la ragione storica, culturale ed economica della sua esistenza e del suo sviluppo.
La zonizzazione risulta un elemento indispensabile per l'impostazione di un piano di Sviluppo. La zonizzazione nei processi di sviluppo diventa un d’obbligo in quanto condiziona fortemente le scelte e ne determina i percorsi in quanto il badget pubblico a disposizione diventa sempre più limitato, facilità nella fase di diagnosi, sia in fase di programmazione che successivamente di valutazione. E' innegabile che solo legando la zonizzazione alla programmazione è possibile prevedere prima e valutare poi i risultati. Sarebbe così facilitato il compito della programmazione con l'obiettivo della migliore integrazione possibile tra gli interventi. E se qualcuno pensa che questa nuova “invenzione” possa essere un ulteriore strumento che crea concorrenza dei Patti territoriali, dei Piani integrati territoriali, associazione dei comuni, ecc. si sbaglierebbe di grosso, in quanto quest’ultimi, sono dei veri e propri strumenti di finanziamento che nascono e muoiono con l’attuazione dei piani stessi. Viceversa, il Distretto rurale o agroalimentare è un nuovo sistema su cui basare nel tempo la programmazione territoriale nel contempo capace di captare tutte le risorse disponibili sia quelle endogene ed esogene puntando ad una specializzazione del Distretto per divenire punto di riferimento e di attrazione per altre forze umane ed economiche.